L'altalena

di Lady A
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Sognavi spesso da bambina –
Il tramonto stretto nel palmo,
come un pettirosso nel nido.
 
Chi intreccia d’azzurro
i cieli interminabili del mattino?
Chi beve la pioggia,
dopo le grida tremende del cielo?
Cosa bisbiglia il vento,
alle campanule sconosciute,
o agli asfodelo?
 
 
Ella piangeva - il viso e i capelli
simili ai tuoi.
Egli le urlava addosso di tutto.
Le scuoteva il corpo fragile,
quanto un salice
in balia della tempesta impietosa.
Quei frastuoni t’afferravano il petto.
 
Sola,
in capo alla tua altalena,
affidavi il cuore tuo all’immaginazione;
una corrente d’acqua purissima e innocente.
 
Volavi via, dal cielo
e la terra,
assieme ai ranuncoli bianchi
strappati dalle tue mani stesse.
 
Crescere è spietato -
un atto ingrato,
una ghigliottina sul capo.
Una prigionia invalicabile.
Il fondale d’acqua
è torbido e fangoso –
te ne accorgi da grande.
 
Ti manca l’aria.
Spegni i camini, presto!
Spranga le finestre tutte.
 
Non si più sognare più –
l’illusione finisce.
Lascia che vada via, lontana,
come rondini d’autunno,
e le risate tue innocenti,
di quand’eri ancora bambina.
 
Il dondolio del mondo,
che saggi sull’altalena
è un colpo di cannone.
Lo punti sulla parte alta della Fortezza.
 
Non spari.
Sei il comandante ribelle di un reggimento
disarmato, decimato.
Deponi allora, la tua fantasia.
 
A volte torna in visita;
le offri granelli d’animo tuo.
Insieme, bevete da una coppa
di cristallo spezzata.
E poi si ritira
come a volte, il mare.
 
E allora, ti guardi indietro.
E folle di suprema, adulta saggezza
addenti quel pane - che
non ha sapore.
E i lillà bianchi affiorano dalla terra,
come piccole torri d’avorio,
senza sale né grida.
Si mischiano d’azzurro,
e rosa e viola.
E le ali di Icaro e di Pegaso
tornano parte di te.




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