Sono
sincera: in questa storia ho messo il cuore.
Un
po' perché ho avuto un periodo abbastanza critico, indi,
volevo
tornare a farmi viva coi contest -dopo un'estate senza computer,
praticamente XD- con qualcosa di serio. Non perché altre mie
storie
non lo siano, semplicemente questa ha qualcosa di diverso, è
come se
avessi scrutato dentro me stessa, a fondo, e poi avessi trasportato
quei sentimenti nella mia storia.
Tutto
partì da un disegno... io frequento il Liceo Artistico,
quindi per
me disegnare è normale. Iniziai ad abbozzare uno schizzo,
che poi si
trasformò in un vero e proprio disegno... e poi i miei
personaggi
presero vita, Sasuke e Sakura *_*. Me lo sentivo, dovevo scriverci
qualcosa... qual occasione migliore se non un'imminente
contest?<3.
Vi
presento così una fan fiction che mi resterà
sempre nel cuore, il
“Cuore di Zingara” -così come cita il
testo- è diventato anche
il mio, con il tempo... Posso dire di essere felice ed un po'
emozionata, perché Quinta
su Ventuno non me l'aspettavo
proprio... in più a parimerito con Darkrose86
e questa è la
cosa che mi ha scombussolato di più. È un onore
esser arrivata a
parimerito con lei, davvero. Non lo dico con falsa modestia o
semplicemente per elogiarla, ma perché è davvero
così.
È
una fan fiction di quattro capitoli, più l'epilogo. Spero vi
piaccia
<3... ahimè dovete già sapere che
sarà angst ^^... metterò il
giudizio della giudiciaH (Red Diablo) nell'epilogo, onde evitare
spoiler <3.
Un
grazie speciale alla mia beta Elwerien.
Una
carissima ragazza che ieri sera è andata a dormire
ad
un orario indecente solo per moi, e mi ha sopportata tutti questi
giorni
nelle mie continue -e ormai abituali- crisi del “Non ce la
faccio a
continuare”
XD.
Inoltre adoro questa ragazza, perché si dimostra una persona
estremamente garbata e
socievole,
con cui mi trovo veramente in armonia <3.
Abbiamo
la stessa vena di sadismo/angstosità *ç*, indi
per cui ogni cosa
che scriviamo sa di sangue <3.
Fan
fiction dedicata ad Elwerien,
un
TesoVo di persona <3.
Cuore
di Zingara
1.
Soldato
e Gitana
Ancheggiava il
bacino, con perfetto controllo. I suoi occhi erano socchiusi, si
lasciava trasportare dal suono del cembalo, tastando con perfetta
audacia il suolo arido ora divenuto un palcoscenico per grandi
talenti. Forse gli sguardi correvano alla prorompente scollatura
oppure allo spacco oltremodo provocante… ma non le importava
granché. Mostrava gambe e braccia senza alcun pudore, la sua
era una
sensualità da strega,
avevano detto in molti. Sì, lei era
una strega.
Così ormai
veniva nominata. Bastava dar voce ad un alito di vento, e tutti si
fidavano della prima insulsa menzogna che passava di strada. La gente
era ingenua e allo stesso tempo cattiva. Ingenua, sì.
Andavano
incontro a falsi ideali e stupidi ragionamenti. Cattiva,
perché
parlavano senza cognizione di causa. Era abituata, ormai, a quelle
occhiate languide che le rivolgevano, a quegli sguardi che non
elogiavano sicuramente la sua indole artistica.
“Prostitute a
quest’ora! Quasi quasi ne approfitto!”
Ecco, il solito
marpione da quattro soldi. Ad accerchiarsi intorno a lei folle di
umili briganti e artigiani, che non si tiravano indietro a qualche
risata di scherno, peraltro assolutamente ridicola. Un coro di risa
sguaiate perforò
le sue orecchie; ma a Sakura Haruno
bastava guadagnare il pane da portare in tavola e racimolare qualcosa
per tirare avanti. Il resto era solo rumore.
Questa era la sua
vita. Questa era la sua casa.
La
strada.
Quella
strada
che a volte rendeva felici, altre volte rendeva disperati.
Almeno fino a
quel giorno. Dietro la folla inferocita spuntò
qualcuno… aguzzò
la vista, aprendo le palpebre dapprima socchiuse: un mantello nero si
fece strada e superò tante persone. Lui, con quello sguardo
gelido e
quel portamento regale, incuteva una certa soggezione.
“Andatevene.”
Il suo tono era pacato, eppure gelido. Sakura si ricordò di
respirare solo dopo pochi istanti. Ora poteva sfiorare il soffice
mantello, poteva notare la spada custodita nel fodero; e allora
capì.
Capì che tutte le sue fantasie potevano andare bellamente a
farsi
benedire.
“Un soldato?”
domandò più a se stessa che a lui. Quello che
prima era un dubbio
ora diveniva una certezza, dal momento che l’uomo in
questione
aveva cacciato fuori una lama che scintillava alla luce del sole.
“Un
assassino”, lo guardò con disprezzo, quando
sentì la punta gelata
sulla sua epidermide.
“Andatevene”
ripeté. “Le streghe come voi hanno vita breve,
ricordatevelo”, e
fece un po' più di pressione sulla sua pelle. Ottenne
l'effetto
desiderato: le labbra della zingara si fecero contratte.
Adesso
si stava mordendo il labbro inferiore coi denti, sofferente.
Essere
disgustoso. L'Haruno trattenne
un conato di vomito,
indietreggiando di parecchi centimetri. Il suo braccio aveva preso a
sanguinare, di poco. Il segno della spada sarebbe comunque rimasto,
senza alcun dubbio. Era capace
di uccidere... senza pietà. Si
trovò con le spalle al muro, le vecchie pietre che si
sgretolavano
dietro la sua schiena. Lo fissò, senza alcun timore; poi
fece leva
sulla pietra più sporgente di tutte e vi appoggiò
un piede. “Gli
assassini invece...”,
non riuscì a trattenersi. Conosceva i
rischi e i pericoli: poteva ritrovarsi piegata alle sue stesse
volontà in un batter d'occhio, ma di sicuro non avrebbe
trattenuto
quel boccone amaro in gola. Lui le prestò una certa
attenzione,
esortandola a continuare. “...
gli assassini pagheranno il
sangue che è stato versato dagli innocenti.
Ricordatevene”.
E, con un agile
scatto, si trovò dall'altra parte. Il cuore in gola, le
ginocchia
tremolanti, il respiro affannato. Sakura strisciò
verticalmente,
affondando
il capo tra le
mani; e pianse, ma non di dispiacere o di sofferenza. Bensì
di
paura, quella
strana forza che agitava il suo animo e si
prendeva gioco delle sue sicurezze. Il senso di terrore che aveva
sentito mentre il soldato la guardava negli occhi, pensando a
qualcosa tutt'altro che innocente... I suoi occhi, appunto,
sembravano volerle squartare l'anima. Singhiozzò
più forte,
tappandosi subito dopo la bocca. Stava convivendo col pensiero che
lui sarebbe potuto venire a prenderla nella notte, strapparle il
cuore e gettarlo nelle fauci del fiume più vicino, senza che
nessuno
sospettasse di nulla.
Batteva
ancora, troppo rapidamente.
Sentiva
che stava per andare in crisi,
doveva calmarsi. Inspirò ed espirò più
volte, inalando l'ossigeno
necessario. Alla fine si pulì il viso
col dorso della mano, non potendo eliminare però quegli
occhi, lo
sentiva perfino lei, arrossati. Erano divenuti gonfi e tanto stanchi,
che temeva di cadere in preda del sonno da un'istante
all'altro.
Si rialzò, cautamente, marciando con passo sicuro lungo le
strade
piene
di zingari... gitani.
La
gente pronunciava con disprezzo quella parola, quasi a volerla
vomitare. Erano convinti che le persone come loro non fossero altro
che ladri. E invece, l'unica cosa che Sakura vedeva mentre camminava,
era l'onestà. Quell'onestà
che le era stata infida
dall'altra parte della barricata, quell'onestà che, quando
vogliono,
gli uomini sanno mostrare anche se sanno già di non poterla
mettere
in pratica: non con loro.
Cosa
c'era poi di diverso fra i loro
mondi?. I bambini avevano lo stesso sorriso di quelli ricchi,
le
donne faticavano come muli durante la giornata ma tornavano a casa
abbracciando i loro figli, e i padri si preoccupavano come perfetti
capo famiglia, accollandosi tutto sulle proprie spalle. Non capiva,
allora: cosa c'era di diverso?. Un piccolo nodo le bloccò la
gola.
Respirò frustrata.
D'altronde
non possiamo aggiustare
tutti i torti di questo mondo. Possiamo solamente sperare in
qualcosa
di migliore, in fondo...
sognare non costa nulla.
“Sakura,
hai visto... Ho finito
tutto!”, esclamò una piccola birbante di pochi
anni leccandosi il
contorno delle labbra. Le stava tirando forte la gonna e rivolgendole
un sorriso a trentadue denti, ansiosa di
ricevere complimenti. “Bravissima!”, le rispose
lei,
accarezzandole la testolina mora. La piccola gioì alcuni
istanti,
poi corse dalla sua mamma, appoggiandosi alle sue ginocchia. La
ragazza invece posò il mestolo: non aveva molta fame. Decise
di
saltare la cena, lasciando quasi come un fantasma la catapecchia che
fungeva da abitazione. Sollevò la tenda -la
porta-, uscendo
fuori e sentendo il fresco venticello pungerle la pelle. Prese una
delle fasce che teneva legata in vita, passandosela sulle spalle.
Dopo tanto tempo guardò la luna in cielo, alta e maestosa,
eterna e
immortale. Ecco, così sarebbe voluta nascere.
Fissò con occhi
meravigliati la forma circolare, immersa in
uno sfondo blu scuro: il cielo, ornato a tratti da nembi di
brillanti.
Ma
in fondo, si disse,
si
sarebbe accontentata di venir trattata come un essere umano.
Quel
pensiero la amareggiò, e priva
di paura o inquietudine, a
piedi nudi, percorse la strada
deserta; era solo curiosa e determinata, perfino di scoprire i
pericoli del mondo. Più in là vedeva delle luci
lampeggiare... no,
non luci: erano fiaccole. Enormi fiamme, rosse e splendenti, stavano
avvicinandosi sempre più, man mano che il suo passo si
faceva più
lesto. Si nascose dietro una roccia, lanciando però
un’occhiata
con la coda dell’occhio a quel gruppo di soldati che
sembravano
sulle tracce di qualcuno. Vedeva due mani gesticolare e spiegar loro
i comandi. Erano proprio soldati, pensò con rammarico.
Rispondevano
a qualunque richiesta con un sì affermativo, seguito quasi
sempre da
signore. Se
assottigliava lo sguardo poteva notare un mantello
scuro, una chioma color petrolio, un'espressione ostile e sgarbata,
di chi non voleva perdere. Certo,
era lui!
Il
pensiero la irrigidì all'istante;
trasalì incerta, come se sapesse già di dover
andare al rogo. Già,
perché da quando c'era il “famoso
Uchiha” in città, una gitana
alla settimana veniva bruciata viva, nel grande falò della
domenica
pomeriggio, con tanto di sentenza di morte per stregoneria.
Che
idiozia. Le streghe erano ben altre, in questo mondo insozzato dalla
guerra e dalla povertà. E, mentre loro perdevano tempo a
dare alle
fiamme l'intera città, i criminali se ne andavano a piede
libero, e
non venivano nemmeno puniti. E
così era quello il famoso Uchiha?
Impose
al suo udito di cogliere anche
il più piccolo e impercettibile suono, sforzandosi,
cercando di tradurre in parole i loro monosillabi. “Avete
capito?
Voglio la gitana bionda, Ino Yamanaka” e si trattenne
dall'urlare,
sentendo però una scossa di paura in fondo al cuore. Ino,
avrebbero
ucciso Ino!. Non poteva permetterlo, non colei che conosceva da
sempre e con cui era cresciuta insieme, non la sua migliore amica.
“... viva o morta”.
“Viva o
morta”, aveva aggiunto, pregustando già la
vittoria.
Ma non avrebbe ucciso l'ennesima innocente: Sakura
non l’avrebbe permesso.
Avrebbe messo fine a quella strage disonesta di corpi, martoriati e
poi gettati tra le fiamme, uno dopo l'altro. Decise che si sarebbe
mossa, aspettando il momento più opportuno per agire... il
cuore
scalpitava, la paura diventava un tutt'uno con il suo corpo,
respirare ormai aveva perso il suo significato. Solo quando non
distinse più le ombre degli uomini proiettate sulle rocce
scarne
intorno, solo allora si mosse, prestando sempre attenzione.
Guardò
avanti e indietro, con
maniacale metodicità.
Avanti e indietro, sempre, attenta a quello che vedeva a terra, ai
sassolini aguzzi e agli animali che si volevano arrampicare sulle sue
gambe. Viva o morta. Il
suono di quelle parole le sembrava
così sprezzante che sentiva che avrebbe sognato quella frase
–qualora, ovviamente, fosse riuscita ad addormentarsi.
Sentiva che
avrebbe potuto morire nel sonno, al rogo, attaccata ad un cappio,
scivolando su quei sassi apparentemente innocui. Tutto il mondo era
diventato un immenso covo di pericoli, una giostra delle torture a
cui non voleva prender parte. Fece alcuni passi, lesta.
Respirò -era
ancora viva. Poi si fece ancora
più avanti, andando ad urtare
una roccia. “Diamine”, si trattenne dall'imprecare.
Aveva
paura che perfino i suoi silenzi fossero udibili.
“Dovrebbe
stare più attenta”,
disse un uomo, rimproverandola. Una punta di crudeltà in
quella
frase. E, fino ad allora, conosceva solo un uomo che conservava tanta
malvagità. “Uchiha”, scandì
bene, attenta a non sbagliare.
Voleva liberarsi ma la sua stretta era ferrea, rigida, e l'aveva
avvelenata come un serpente, perché non riusciva proprio a
muoversi.
“Gitana”
“Sakura”,
lo corresse. Le parole le
morirono in gola in quello stesso attimo, quando avvertì
il suo mantello sfiorarle le esili spalle. Poi
sentì
qualcosa nel cielo... Si voltò a guardare:
ora i nuvoloni coprivano la
maestosità della luna e la pioggia sembrava voler diventare
fitta.
Se il suo tocco prima era lieve, inudibile, appena accennato, adesso
era pesante, rumoroso; così tanto che l'unica soluzione
pareva
essere quella di tapparsi le orecchie. “Piove”,
comunicò
all'uomo che si stava allontanando da lei. Il buio le copriva la
visuale, rendeva i suoi sensi meno acuti; era solo riuscita ad
avvertire l’uomo scostarsi da lei.
Ora quelle mani sporche
del sangue versato dagli innocenti avevano contaminato
la sua pelle. La vergogna e
l'orrore le scatenarono un brivido
per nulla piacevole lungo la sua colonna vertebrale, facendole
solamente disprezzare il genere umano.
“Hai
sentito”
Disse
lui, prendendole bruscamente un
braccio e portandola in una via deserta ma con un piccolo barlume di
luce. Ora riusciva a distinguere il color sangue di quegli occhi
carnefici, avvertiva la paura come una costante.
“S-sì”, disse,
indietreggiando ancora. Si trovava ancora con le spalle al muro: era
infatti incollata ad una porta di legno e la pioggia si stava
prendendo gioco della sua vista, offuscandogliela. E il tempo
sembrava peggiorare, la pioggia imperversava sui loro corpi, bagnava
i vestiti, picchiettava sui massi e sui ciottoli lungo la strada.
“M-mi... Ucciderete?”, aveva detto, mostrandosi fin
troppo
audace. Quello ci aveva pensato un momento, poi, con quel suo tono
gelido, leccandosi le labbra -cosa che faceva alquanto spesso: forse
faceva pensieri perversi o sadici, non avrebbe saputo dirlo; sapeva
solamente che era un tic nervoso che non lo abbandonava-,
scandì
anche lui le parole. “Sarebbe troppo facile”.
E
abbassò impercettibilmente lo
sguardo, temendo di perdere l'orgoglio. “Ma lo
farete”, si
torturò con le dita, domanda retorica.
“A
tempo debito”, posò un braccio
sulla porta di mogano. Sakura ebbe un fremito, il raziocinio veniva
sempre meno.
“Cosa
volete fare?”, chiese,
incerta. Aveva tentato la fuga ma i riflessi dell’altro erano
pronti, fin troppo. Era stato addestrato proprio come un perfetto
soldato.
“Divertirmi”,
e si avvicinò ancora
di più, impattando col proprio corpo su quello
più esile della
zingara, totalmente allibita dalla situazione. Ora le sue mani si
erano staccate ma erano andate a incidersi sopra le spalle di Sakura.
Poi erano scese un po', quel poco che bastava per avvistare la sua
prorompente scollatura e per far correre le fantasie degli uomini con
pensieri poco casti, anzi, profani. E lei era rimasta immobile,
subiva quella tortura senza proferir parola, come una bambola di
pezza. L'Uchiha aveva abbassato il capo e Sakura era sicura di aver
sentito qualcosa di strisciante correre dall'incavo del collo fino
alla curva del seno. Le sue mani andarono a bloccare quelle
dell'uomo, totalmente preso dalla situazione, ma sembrava non trovar
pace e nemmeno starla a sentire. Si erano spostati un po', incollati
al muro di una strada disabitata, senza che lei potesse nemmeno
chiedere aiuto. “Cosa state facendo, adesso?”, la
mano del
soldato correva verso la sua gamba, aveva alzato un po' la gonna,
mentre con l'altra gamba bloccava il suo corpo, inchiodandola. Era
arrivato fino al fianco, riusciva a sentire la stoffa della
biancheria intima contro le sue dita. Giocò un po' con
l'orlo,
sentendo il tremore della ragazza sotto di sé; temeva
proprio di
averla impaurita. Quel tanto che bastava per non sentirla fiatare
più.
“Potrei
andare avanti”, e la
ragazza sbarrò le palpebre, totalmente terrorizzata.
“Ma mi
fermerò. Non c'è gusto senza la tua
partecipazione”
“La
mia partecipazione?”, domandò,
scettica. In quale universo si sarebbe mai sognato la sua
approvazione a una cosa tanto disgustosa?.
“Quella
che mi darai, altrimenti la
tua amica morirà”
Tasto
dolente, assai dolente. La
pioggia in quel momento terminò, lasciando comunque la sua
presenza.
L'Uchiha tese una mano, senza più avvertire lo scroscio
dell’acqua
sul proprio palmo: vedeva solamente delle goccioline che grondavano
dai tetti delle abitazioni. “Buonanotte, gitana”.
Cosa
avrebbe dovuto fare ora?. Era
possibile che lui la stessa ingannando,
con uno dei suoi
sporchi trucchetti?
La
notte avrebbe portato consiglio...
Sempre
se al suo ritorno non fosse
stato già mattino inoltrato.
Continua...
****
Quinta
Classificata
Vincitrice del Premio
Originalità
Vincitrice del
Premio Emozione
La
fan art è ad opera mia e guai a chi la copia
è_é.
La fan art per intero, a chi
interessasse vedere le mie scarse capacità artistiche XD:
http://img225.imageshack.us/img225/1223/sasusaku.jpg
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