clan aburame 5
Occhiali e situazioni sgradite
Tutti gli abitanti di Konoha sapevano quanto un Aburame poteva essere
inquietante, fermo e assolutamente irremovibile nel suo fiero silenzio,
quasi demoniaco alle volte.
Tutti tremavano all’idea dell’arrivo imminente di
quell’attimo tanto atteso in cui uno di loro, uno del Clan, uomo,
donna, vecchio o bambino che fosse, si fosse tolto finalmente gli
occhiali scuri dal viso e avesse rivelato al mondo il mistero che
isolava quella gente dai comuni mortali.
Che fossero occhi di mosca, che fossero semplici cavità da cui
uscivano insetti, il mondo voleva saperlo, anche a costo di morire di
disgusto al momento della scoperta.
Perché alla fin fine era davvero tutto lì.
L’aura di mistero che gli Aburame tanto amavano era resa concreta
da quei semplici oggetti scuri, quelle piccole maschere perfette che li
elevavano al di sopra di ogni umana opinione, di ogni misera
preoccupazione terrena.
E il fatto che, persone che si fondavano su esseri di dimensioni tanto
misere si credevano così grandi e potenti, nel loro piccolo e
angusto spazio vitale, allibiva non poco qualsiasi essere che la
ragione la usava più che bene.
-Come mai tua figlia porta gli occhiali scuri?-
Sera, il sole era tramontato da qualche ora ormai, lasciando spazio al
buio della notte dichiarato pigramente dalla luce pallida lunare. Il
cielo sgombro di nuvole brillava di stelle lontane.
Shino si sistemò gli occhiali sul naso, guardando in faccia il suo ospite.
Shikamaru Nara, suo collega di lavoro, Shinobi di Konoha del medesimo
suo livello e della medesima sua bravure, adducendo come scusa la
prassi lavorativa per scappare dall’isteria che molto volentieri
prendeva la sua signora, si rifugiava in quella casa fin troppo
silenziosa, godendo della compagnia del più tetro e discreto tra
tutti i suoi colleghi.
Non che Shino avesse qualcosa da ridire a riguardo, conosceva
abbastanza bene Ino da poter bene intendere quanto la tendenza
all’ozio del marito lo potesse spingere tra le mura della sua
casa, ma considerava questa una sorta di assedio, una conquista dei
propri, ristrettissimi, spazi vitali.
Specialmente quando questi faceva un’osservazione, seppur minima, alle regole precise e insuperabili del suo Clan.
E quanto un Aburame è a disagio lo mette in evidenza con semplici atti meccanici e ripetitivi fino allo stremo.
Si sistemò nuovamente gli occhiali sul naso e parlò con voce fin troppo bassa.
-Perché Miyako è un Aburame… anche io porto gli occhiali…-
Sì, anche lui portava gli occhiali, e la mano che si alzò
per sistemarli una terza volta glielo fece notare in maniera esplicita.
Ma Shikamaru non era certo tipo da rimanere impressionato così
poco, o semplicemente non abbastanza furbo da intendere la
pericolosità di quel gesto così disperatamente ripetuto.
Perché tra intelligenza e furbizia corre un fiume enorme
chiamato malizia, cosa di cui il signor Nara era ingenuamente privo.
-Come fate a vedere, esattamente?-
Un “toc” sonoro indicò l’avvenuto scontro tra
la testa della povera Miyako contro lo stipite di una qualche porta
dell’appartamento, ma come la propria figlia anche Shino fece
assolutamente finta di nulla.
-Non puoi capire certe abitudini Aburame… non fai parte del Clan…-
L’altro rispose, sinceramente curioso.
-Ed è vostra abitudine fare di tutto per ostacolare la vista?-
Le mani di Shino scattarono ai propri occhiali, mentre una piccola riga
discreta fece piegare le sue sopracciglia all’ingiù,
pericolosamente all’ingiù.
Trattenne il respiro, prima di dire tutto d’un fiato, con voce leggermente alterata.
-Vuoi una tazza di caffé?-
Era vero, aveva personalmente notato quanto le sue figlie si
adattassero a fatica alle esigenze del suo Clan, prima con gli insetti
e poi con gli occhiali.
La piccola Miyako aveva fatto enormi sforzi per tenere quei maledetti
cosi sempre e comunque sul proprio naso, anche a rischio di prendere a
craniate tutti gli ostacoli che gli si paravano di fronte. Che fossero
persone, oggetti, porte, animali, li abbatteva con un’energia
degna della propria vitale madre, urlando improperi ai malcapitati che
gli si stagliavano di fronte, che male non faceva mai.
Sua madre urlava, lei urlava, tutto era logicamente perfetto.
Peccato che una volta avesse sbattuto contro uno dei fratelli Inuzuka,
e da lì era scoppiata una rissa tremenda, tanto che sia Shino
che Kiba erano dovuti intervenire per fermare i piccoli diavoli.
Combattuto tra l’orgoglio imperante alla vista di quei occhiali
tenuti eroicamente al loro posto e il suo dovere di genitore
d’imporre la disciplina alla propria prole, Shino aveva risolto
semplicemente infischiandosi della faccenda e lasciando il tutto nelle
mani della povera Temari, che aveva gridato per ore e ore contro sua
figlia.
Se doveva sconfiggere l’avversario, che lo facesse con stile, mica alla cavolo di cane come una qualsiasi bestia.
Il risultato di tutta la faccenda fu che la piccola Miyako si
allenò duramente per circa un mese più duramente del
solito, per poi finire nuovamente contro il ragazzetto e pestarlo di
santa ragione ancora una volta.
Toc.
Di nuovo.
E nemmeno questa volta seguito da un solo singhiozzo.
La chioma rossastra fluttuò via, lasciando solamente silenzio
dietro il suo passaggio. Se la sorella non faceva un singolo cenno
nonostante la sua fronte prendesse quasi a sanguinare, certo lei
avrebbe fatto altrettanto se non di meglio. Questo era quello che
Karura ostinatamente pensava, almeno fino ad non incontrare
l’ennesimo spigolo dell’ennesimo mobile. Allora si fermava,
si prendeva qualche attimo di raccoglimento, e poi tornava a camminare.
-Quanto tempo durerà ancora questa storia?-
Ma Temari non ne poteva più, non sopportava di sentire tutti
quei rumori molesti che la inducevano a immaginare la testa delle sue
povere bambine contro una superficie dura e spigolosa. E ci credeva che
poi accusavano un forte mal di testa, con tutte le botte che prendevano.
Il marito la guardò fintamente incuriosito dalla sua domanda.
-Quanto durerà cosa, esattamente?-
Lei lo guardò di rimando irata, particolarmente dalla sua
domanda. Ma la bimba che teneva in mano le impedì qualsiasi
movimento troppo brusco, così che rimanette seduta al suo posto
e si limitò a guardare molto torvo l’uomo che le stava
seduto di fronte.
-Sappi solamente che mi rifiuterò di vedere anche la fronte di
Midori ricoperta di lividi violacei per colpa di quei dannati occhiali!
Ho sacrificato le mie prime due bimbe, non pretenderai che offra in
sacrificio anche la mia terza!-
Toc.
Temari tremò visibilmente di rabbia a questo ennesimo suono,
mentre vedeva le mani di Shino saettare agli occhiali in viso.
-Anche io ho dovuto affrontare questa prova…-
E Temari avrebbe voluto rispondergli che si vedeva, eccome se si
vedeva, quella sua crapa dura doveva essersi allenata per diventare
così, ma una vocetta un poco sofferente la fermò giusto
in tempo.
-Mamma… non mi sento tanto bene…-
Shino si alzò prima che sua moglie potesse incenerirlo con il
semplice sguardo, prima ancora che l’idea di prendere il suo
amato ventaglio e farlo a fette con un semplice gesto le sfiorasse la
mente. A livello biologico egli aveva concluso bellamente il suo
compito, dal momento che aveva già dato al mondo ben altre tre
donne di cui occuparsi, e sinceramente non desiderava concludere a
quella maniera anche il suo compito sociale.
Prese tra le braccia la figlia, sparendo ad una velocità degna del rango di ninja a cui era arrivato.
I continui scontri con i mobili della casa, nonché dei muri e
delle persone sulla strada avevano sviluppato un notevole senso
dell’orientamento nelle due piccole Aburame.
Karura si era imparata i percorsi a memoria, dopo che ci aveva sbattuto
la testa contro per almeno sette volte di fila. Ora, salvo gente che
sbucava fuori all’improvviso, animali molesti che correvano
impazziti, malattie degenerative che limitavano i sensi, riusciva a
muoversi dentro il suo quartiere con un’abilità
incredibile.
Quando però si iscrisse all’Accademia ninja, situata
praticamente dall’altra parte del villaggio, riscontrò
notevoli difficoltà operative. E sicuramente, la pessima figura
che la vide protagonista il primo giorno di scuola non le fu tanto
d’aiuto. Ogni bambino si sarebbe ricordato per anni e anni il
ruzzolone proverbiale che lei fece dalla porta fino alla cattedra della
maestra TenTen.
Se una semplice occhiata al suo viso era bastata alla donna per avere
in simpatia quell’irrecuperabile pasticciona, certo le risa
sguaiate dei compagni risultarono piuttosto impietose. Ma poco male, a
Karura era bastato semplicemente aspettare l’intervallo che
l’intervento della sorella maggiore aveva messo a posto ogni
cosa, nel silenzio e nel sangue che colava dai nasi dei suoi compagni
appena malmenati.
Quanto adorava sua sorella, in quei frangenti di spiccata fragilità.
E aveva imparato anche lei, aveva capito come quei occhiali potessero
essere utili in certi frangenti. Bastava semplicemente minacciare di
scatenare una delle piaghe d’Egitto nel caso l’avessero
fatta arrabbiare, o ipotizzare l’arrivo di una miriade di insetti
che avrebbero colonizzato i letti di quei insani miscredenti che tutti,
magicamente, se ne stavano zitti al loro posto.
Shibi, amorevole nonno paterno, guardava le sue nipotine mentre si
allenavano duramente con la madre, quell’orgogliosa e
intransigente donna straniera.
Non c’era nulla da dire, suo figlio sapeva mettere giudizio in
tutte le cose che faceva, anche in quelle prettamente personali, anche
in quelle che riguardavano i propri sentimenti. Francamente, non
avrebbe pensato ad una combinazione migliore, specialmente per quanto
riguardava la facilità con cui la donna riusciva a farsi
rispettare da tutti, lui medesimo compreso.
E pensare alla tonalità delle sue strilla quando qualcuno
disobbediva ai suoi veementi ordini, certo capiva il perché di
tutto quel rispetto. A nessun Aburame sarebbe piaciuto dover sprecare
qualche minuto di silenzio per ascoltare rumori molesti.
-Shibi! Signor nonno! Qual buon vento?-
Tutta quella confidenza non gli dispiaceva più di tanto, anche
se trovava inopportuno far collassare a terra la povera Karura con un
diretto non tanto gentile al suo stomaco per poter parlare con
l’uomo. E poi aveva ancora il coraggio di criticare i modi di
fare di Shino…
L’uomo la guardò in viso, gesto che per un Aburame equivaleva a sorridere.
-Temari…-
Ma ancora prima che l’uomo potesse aggiungere altro,
l’irruenza della signora lo zittì, rendendolo muto in un
sol colpo.
-Ha visto le sue nipoti quanto sono brave? Non è un poco orgoglioso di loro?-
Volse lo sguardo verso le due bimbe riverse a terra, col viso piegato
nel palese sforzo di non emettere alcun gemito di dolore. Non avrebbero
più camminato per diversi minuti, in quello stato, specialmente
se ad attenderle in piedi era l’ennesimo colpo
dell’impietosa madre.
Shibi non disse nulla, preferendo rimanere zitto piuttosto che dare il proprio giudizio.
Ma a quel punto la donna gli si fece vicina, come se la sua intenzione
era di parlargli di qualcosa di terribilmente scottante, un segreto che
non doveva essere sentito da alcuno al di fuori del signor nonno.
Con un fare piuttosto solenne, Temari fissò l’altro dritto
negli occhi, tanto da preparare psicologicamente Shibi a qualcosa di
veramente grosso.
-Mi dica, signor nonno… dal momento in cui Shino ha ricevuto i
suoi occhiali scuri, quanto tempo ha impiegato ad abituarvisi?-
Shibi non disse nulla per qualche minuto teso, poi borbottò,
guardando lontano, mentre la sua mano saliva al naso per sistemarvici
gli occhiali.
-Quasi un anno…-
E il gesto fin troppo esplicito della donna segnò la sua totale e definitiva vittoria sul marito.
La bimba Midori, ancora traballante sulle proprie gambette da quasi
neonata, dava innumerevoli segni della propria natura Entomologa.
Squadrava tutti dall’alto in basso, manco fossero stati vermi
striscianti, manco fosse stata una super donna alta quasi due metri.
Non dava confidenza con nessuno, parlava solo con chi voleva lei nei
momenti in cui voleva lei, disdegnava bellamente la badante Hanabi che
faceva eroici sforzi, andando contro la propria natura orgogliosa di
Hyuuga, per conquistare la sua simpatia.
Spocchiosa a dir poco.
E già prendeva gli occhiali del padre quando questi la prendeva
in braccio, allungando le sue piccole e tozze braccia verso il suo viso
e sfilandogli gli occhiali scuri, provocando un moto di pura commozione
nel cuore del genitore che, se non fosse stato Aburame, sarebbe
scoppiato a piangere dalla gioia.
Era buffa nel suo tentativo di indossare quegli arnesi troppo grandi
per la sua povera testa, ma la sua decisione, la sua testardaggine
avevano fatto si che nessuno osava manco avvicinarsi a lei mentre
tentava invano di inforcare i tanto amati occhiali.
C’era riuscita una volta, e aveva persino gorgogliato di gioia,
ma le erano caduti subito, provocando un pianto a dir poco disperato.
La vita continuava in casa Aburame, nonostante le teste cozzavano
ripetutamente contro le pareti dure dell’appartamento, nonostante
le strilla e l’incoerenza della padrona di casa, nonostante i
continui tentativi del signor Aburame di strappare di petto il cuore
delle proprie figlie con quei infidi scherzi con gli insetti, manco si
divertisse a metterglieli sotto il cuscino la notte per spaventarle a
morte.
E il mistero di due occhiali scuri, atti a celare un intero mondo
dietro di loro, continuava nel sangue delle figlie del signor
Entomologo e della Maestra del Vento.
No, non sono impazzita.
Hanabi è lì come riferimento al prossimo ed ultimo capitolo ^^
Non spaventatevi ^^
Ordunque,
ringraziando di cuore le due persone che mi hanno recensito (<3),
facendovi le scuse per il ritardo della pubblicazione, io vi saluto e
vi ringrazio ^^
Al prossimo, ed ultimo, capitolo ^^
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