cinderella HTML
Era la fine di una
normale serata all’insegna dell’alcool (la cosiddetta “Serata a tema Yuko”).
Yuri e Momo stavano tornando a casa quando, in preda ad una visione mistica che
solo la birra è in grado di dare,in collaborazione con due cervelli bacati e ben
pochi neuroni , è apparsa l’idea di Fay-Cenerentola.
Tutto il resto è stato
abbastanza automatico, facilitato soprattutto dai vapori etilici e da una
crepes alla nutella.
Momo: “Ovviamente
Kurogane sarà il principe!”
Yuri: “E Yuko la
matrigna!!”
Momo: “Il re? Clow?”
Yuri: “No, lui non c’è
mai. Meglio Ashura.”
Momo: “Giusto… e
Sakura? Ce la vedo troppo come fatina! Almeno finalmente si rende utile e fa
qualcosa!”
Yuri: “Assolutamente
sì! E Shaoran dove lo mettiamo?”
Momo: “Eh, avrei in
mente una serie di posti non molto carini ma non mi sembra il caso…”
Yuri: “Nella storia
rimane solo il posto della sorellastra…”
Momo: “E come facciamo
con la carrozza?”
Yuri: “Intendi quel
mezzo di trasporto tondo e comico di cui tutti si domandano l’utilità?”
Momo: “…… Mokona.”
In ogni caso mi duole
ammettere che il seguente delirio è opera mia…
E mi duole anche
ammettere che l’ho terminato in questo momento, ore 2.31.
Perciò domando
perdono.
Un po’ di disclaimers, valà… I personaggi qui citati sono di
proprietà delle CLAMP e tutti i diritti sono loro, anche se credo che vi
rinuncerebbero volentieri se leggessero come sono state ridotte le loro
creature.
Le somiglianze di questa fanfiction con quella di Lovva_Chan non sono assolutamente volute, si tratta di un
semplice caso. Avete già letto come sia nata questa storia e, purtroppo (?), a
quel tempo non leggevamo ancora fanfiction.
Yuri
Cinderella
in CLAMPland
C’era
una volta, in un regno lontano chiamato Clow, una povera ragazza di nome
Cenerentola, anche se, da qualche tempo, la gente del luogo aveva iniziato a
chiamarla semplicemente Fay. Questo soprannome era dovuto agli ordini che le
venivano continuamente impartiti, come: “Fay la cena! Fay il bucato! Fay la
spesa!” ecc…
La
povera Fay era sempre costretta a sottostare a imposizioni, in quanto orfana di
madre da quando era appena nata. Anche suo padre l’aveva lasciata da poco,
abbandonandola alle “cure” della sua nuova moglie. La matrigna di Fay si
chiamava Yuko, altrimenti nota come “la Strega” a causa del suo vizio di impartire ordini
a destra e a manca e di pretendere un risarcimento per ogni particella
d’ossigeno che veniva respirata o anche solo ammirata all’interno della sua
casa.
Fay
aveva inoltre tre sorellastre: Shaoran, Maru e Moro, che la soggiogavano quasi
al pari di Yuko.
La
sfortuna di Fay, nota a tutto il popolo di Clow, non era finita lì: quando era
appena una bambina, infatti, un malvagio stregone, apparso da un misterioso
squarcio nello spazio, le aveva lanciato contro una maledizione che recitava: Sarai costretta a restare al servizio della
Strega finché non avrai trovato l’uomo-solo-per-te.
Fay
non aveva ben capito a cosa si riferisse il malvagio stregone con le basette,
ma comunque non aveva mai avuto modo di scoprirlo, essendo costantemente sotto
la sorveglianza della matrigna.
Questa
giustificava la sua supremazia imposta dicendo che nulla viene dato gratuitamente. Fay non sapeva a cosa si
riferisse, dato che non aveva mai chiesto nulla alla Strega – e mai avrebbe
osato farlo.
Un
giorno, di ritorno da una delle tante commissioni impossibili affidatele dalla
matrigna, era intenta a sbucciare 5 chili di mele – sapete quanto sia difficile
scovare delle mele in una terra desertica come Clow?! – sospirando mestamente.
Era
giunta alla fine del suo ingrato compito, aveva ancora in mano l’ultima mela,
quando questa le sfuggì alla presa tramutandosi in una nuvola di fumo e vapore
che si condensarono davanti a lei, sparendo un istante dopo per lasciare, al
loro posto, una giovane ragazza. Portava un caschetto castano chiaro e
spettinato, un vestitino rosa con delle candide ali sulla schiena e uno strano
scettro che a Fay ricordava tanto uno di quegli uccelli esotici che aveva visto
nei libri di Yuko.
“Chi
sei?” chiese Fay non troppo sorpresa, essendo abituata ad eventi di quel tipo a
casa della Strega.
“Sono
la fatina delle mele!” rispose la ragazza dagli allegri occhioni verdi. “Appaio
ogni volta che qualcuno riesce a sbucciare una mela intera senza interrompersi.
Sono qui per realizzare un tuo desiderio.”
Al
che Fay si illuminò. “Potresti dirmi chi è l’uomo-solo-per-me?”
La
fatina assunse un’espressione dispiaciuta. “Purtroppo questo è un desiderio che
va oltre i miei poteri. Sei vincolata da una maledizione troppo potente. Tutto
ciò che posso fare è metterti sulla via che conduce da lui, ma dovrai essere tu
a capire chi sia veramente.”
Non
si può dire che Fay fosse del tutto contenta, ma dopo anni di soprusi quella,
infondo, era una buona notizia.
“Stasera
si terrà un ballo al castello di Ashura-ou” continuò la fatina, “al quale
parteciperanno tutti i giovani del regno, compreso Kurogane-ouji. Il mio consiglio
è di andare a quel ballo.”
Fay
si agitò. “Non posso assolutamente! La matrigna mi ha dato un sacco di cose da
fare, devo giocare con Maru e Moro e devo ancora spolverare la collezione di
piume della sorellastra Shaoran. Se non le sistemo come vuole lei, ha detto che
mi caverà un occhio.” E si portò preoccupata la mano al volto.
“Non
temere per questo. L’Hitsuzen – per una volta – è dalla tua parte. A momenti giungerà
una persona che potrà prendere il tuo posto.”
Non
trascorsero nemmeno pochi istanti che qualcuno entrò dalla porta annunciandosi.
Era Watanuki, il lattaio.
“Signor
lattaio!” esordì Fay lanciandosi su di lui e prendendogli le mani tra le sue. “La
prego, rimanga qui a sbrigare qualche faccenda al posto mio, solo per stasera!”
Forse
fu a causa dell’Hitsuzen o forse dell’animo nobile di Watanuki o, più
verosimilmente, della galassia che splendeva negli occhi sbarluccicosi della
tenera – ed estremamente uke – Fay, in ogni caso, dopo qualche reticenza poco
convincente, il lattaio accettò.
“Ma
ho tempo solo fino a mezzanotte. Dopo dovrò andare a fare una commissione
speciale al Drugstore assieme a Domeki-kun.”
A
quel punto, sopraggiunsero due nuovi problemi.
Primo,
Fay non aveva sicuramente nessun abito adatto, possedendo solo il sobrio vestito
sgualcito e rosicchiato che indossava sotto al grembiulino bianco che non si
era mai liberato dalle macchie si soia. L’unica cosa ancora più certa era che
mai e poi mai ne avrebbe preso “in prestito” uno dalla Strega.
Secondo,
il castello si trovava molto lontano, impossibile da raggiungere a piedi entro
sera.
La
fatina mise fine anche a questi dilemmi. Da non si sa dove estrasse una carta
che aveva disegnato uno splendido abito. Batté il suo scettro su di essa e, tra
un’esplosione di luci e strani simboli, il vestito si materializzò direttamente
addosso a Fay. Era azzurro, come i suoi
occhi, vaporoso, stretto in vita e abbellito con piccole perle candide e
fiocchetti. Per completare l’abbigliamento, ai piedi di Fay apparve un paio di
scarpe di cristallo.
“Per
finire, sarà Mokona a trasportarti fino al castello.” E sulla mano della fatina
comparve un esserino bianco che a Fay ricordava inevitabilmente – no,
hitsuzenabilmente – le polpettine che la Strega la costringeva sempre a cucinare.
Dopo
aver salutato tutti i presenti con un sonoro “Puuuh!”, Mokona si ingrandì fino ad occupare quasi tutta la stanza.
Tra
le grida angosciate di Watanuki, Mokona invitò Fay ad entrare nella sua grande
bocca, dopodiché sparirono.
Il
lattaio stava ancora tentando di tenere a bada la tachicardia che lo stava
stroncando quando una sinistra voce provenne da una stanza della casa.
“Cenerentola!
Arrivano o no il sakè e gli stuzzichini?!”
E a
seguire un ancora più inquietante: “Giochiamo… giochiamo… insieme!”
E
ancora un morboso: “Recupererò tutte le piume! Ad ogni costo!”
“Sarà
meglio che vada” salutò la fatina e scomparve a sua volta tra i vani richiami
di Watanuki.
Nel
frattempo, a palazzo, Ashura-ou tentava di comprendere i misteri della mente
del suo unico, ribelle figlio.
“Kurogane,
non riesco proprio a capire come mai tu non sia interessato a trovarti una
moglie degna.”
Il
principe, vestito di nero, rivolse uno sguardo altero al re dai suoi due metri
e trentacinque di altezza.
“Che
seccatura, padre. Ciò che realmente desidero è ben diverso.”
I
suoi occhi infuocati non lasciarono spazio ad altre indagini, ma solo al
profondo, sofferente sospiro di Ashura-ou.
“Al
ballo di stasera si presenteranno tutte le ragazze celibi del regno” proseguì
il re, “spero che avrai modo di cambiare idea”.
Quando
Fay giunse a palazzo provò subito un grande senso di smarrimento e disagio, un
po’ come quando ci si reca in comune per rinnovare la carta d’identità e ci si
trova di fronte a cinque porte tutte uguali che non recano alcun cartello e che
conducono a luoghi sconosciuti che solo dopo tanto vagabondare si rivelano
assolutamente sconfinati e straripanti di persone ridotte a semi automi che
rimangono ipnotizzati da una voce cantilenante che annuncia numeri e lettere
incomprensibili a orecchio umano mentre si cerca di decifrare ciò che l’enorme
tabellone in stile “Big brother is watching you” tenta di dirti da tre ore
esponendo simboli alfanumerici colorati che non corrispondono a ciò che hai sul
foglietto che un’inquietante guardiana ti ha mandato a prelevare da una
macchinetta semi invisibile proprio dietro alla porta numero due che tu credevi
essere la numero uno che in realtà conduce all’ufficio assistenza per cui ti
sei messo in coda immaginando che fosse lo sportello per il rinnovo dal quale
ti hanno mandato a sedere per due ore e tre quarti per poi chiamarti
dall’asettico altoparlante e svelarti infine l’antico arcano: la carta
d’identità vale per altri cinque anni.
Sì,
proprio quella sensazione.
Non
aveva mai partecipato ad un evento come un ballo e mai avrebbe immaginato di
potervi prendere parte, un giorno.
C’erano
moltissimi giovani eleganti e dal portamento fiero. Al centro del grande salone
abbellito da alte colonne di cristallo grezzo, in fondo al quale svettavano due
troni di uguali fattezze, stava una ragazza dai lunghi capelli neri e dal viso
gentile che conversava amabilmente con colui che Fay riconobbe essere
Kurogane-ouji.
Fu
qualcosa di improvviso e inaspettato, una sensazione che la povera sguattera
non aveva mai provato prima. La vista del principe ebbe su di lei l’effetto di
una fresca brezza estiva che la fece sentire, per la prima volta in vita sua,
esattamente nel luogo più adatto per beneficiarne. Oppure, per spiegarla più
semplicemente, fu una sensazione simile a quando si aspetta un treno in una
fresca giornata d’agosto al cospetto di 45 piacevolissimi gradi che ti gridano
in faccia la loro più totale supremazia e la tua più misera sconfitta di fronte
ai ritardi che aumentano allegramente sul tabellone luminoso che si accende
soltanto quando il treno in questione è infine arrivato dopo un insignificante
ritardo di 260 minuti e tu cerchi ancora di recuperare la tua unica moneta
avidamente inghiottita dal distributore che avrebbe dovuto dispensarti la
bottiglia d’acqua che ti avrebbe permesso di arrivare vivo a destinazione
proprio quando quasi per miracolo senti un fischio assordante e vedi un
incoraggiante treno sgangherato che si avvicina al tuo binario e tu lo attendi
consapevole che non riuscirai mai a trovare un posto e che soprattutto dovrai
correre con le valigie perché mai e poi mai la porta della seconda classe si
degnerà di fermarsi al tuo cospetto e invece mentre ancora inveisci contro un
dannato Hitsuzen il treno si ferma e la porta della carrozza della seconda
classe si apre dinanzi alla tua faccia sgomenta invitandoti ad entrare nel
magico regno dell’aria condizionata.
Sì,
proprio quella sensazione.
Eppure,
come avrebbe potuto una ragazza come Fay suscitare l’aria condizionata l’attenzione
del principe?
Di
nuovo, l’Hitsuzen ci mise lo zampino – o la zampaccia melmosa. Proprio in quel
momento, Kurogane-ouji si voltò verso di lei e rimase a fissarla con i suoi
occhi incatenanti e un’espressione severa – ma terribilmente affascinante!
Il
principe avanzò verso di lei, abbandonando senza spiegazioni la ragazza dai
capelli neri. Fay avrebbe voluto andarsene, improvvisamente assalita da
un’inspiegabile vergogna… beh in realtà si potrebbe spiegare…, ma quegli occhi
ardenti la bloccavano lì dove si trovava.
Senza
dire una parola, il principe le porse la mano e Fay, trascinata da
quell’impeto, iniziò a ballare, pur non sapendo come fare.
“Non
ti ho mai vista prima, a palazzo” disse il principe con voce profonda. “Qual è
il tuo nome?”.
Fay
non era certa di essere ancora in grado di parlare in maniera sensata. “Mi
chiamo Cenerentola… ma tutti mi chiamano Fay. Lavoro… per la Str… cioè, per la matrigna
Yuko…”
Kurogane,
sentendo quel nome, cambiò improvvisamente espressione. “Lavori per la Strega?” ripeté incredulo.
“Ti devo assolutamente conoscere!”
Dei
rintocchi lontani infransero l’atmosfera e Fay dovette tornare dolorosamente
alla realtà.
“È
mezzanotte! Devo correre a casa!”
Abbandonò
il salone senza aggiungere altro, incurante dei richiami del principe che
pretendeva spiegazioni.
Fay
si accorse troppo tardi di aver perso una scarpa durante la sua corsa giù per
l’interminabile scalinata.
Kurogane
la raccolse e la esaminò attentamente.
“Un
piede insolitamente grande per essere quello di una ragazza. Grazie a questa
non faticherò a ritrovarla.”
La
ragazza correva per le vie della città, abbandonate per il ben più invitante
ballo, quando la sua andatura zoppicante, causata dall’avere un tacco sì e uno
no, si interruppe bruscamente nel momento in cui l’incantesimo della fatina
terminò, riportando Fay al suo aspetto originario… con in più i suoi vecchi
vestiti addosso.
Era
in procinto di aprire la porta di casa quando questa sembrò leggerle nel pensiero
e pensò di risparmiarle il disturbo, spalancandosele in piena faccia.
Prima
di toccare terra, a Fay sembrò di scorgere il volto sconvolto del lattaio che
solo in quel momento si accorse di lei.
“Oh,
sei tornata finalmente! Me ne vado, non sopporterò di sottostare un secondo di
più agli ordini di quella megera!”
Non
aveva fatto nemmeno in tempo a togliersi grembiule e cuffietta che Yuko apparve
come evocata sulla soglia, con un sensuale e sadico sorriso sulle labbra scure.
“Eh
no, non funziona così. Le cose rotte vanno ripagate. Hai distrutto la mia
bellissima pipa e non ti lascerò andare finché non mi avrai risarcito.”
Di
nuovo, la scena terminò con la disperazione di Watanuki.
Kurogane-ouji
si godeva la brezza notturna, dopo il lungo ballo, sulla terrazza della sua
camera. Tra i torrioni del castello spiccava una falce di luna, troppo grande e
troppo sottile per non essere stata disegnata da qualcuno che il principe
inspiegabilmente immaginò essere un gruppo di sadiche infoiate.
Dopo
essersi scrollato di dosso con un potente brivido quell’inquietante visione,
ritornò alla sua riflessione.
Ciò
che nessuno conosceva era il desiderio segreto di Kurogane: impadronirsi del
famoso quanto ambito tesoro della Strega, ovvero una riserva a vita di sakè
sopraffino, che ella custodiva gelosamente.
Nessuno
era mai stato in grado di introdursi in casa della Strega, che si diceva
trovarsi in un’altra dimensione, proprio per proteggere il suo inestimabile
tesoro. Ma, a quanto sembrava, quella ragazza bionda e dall’aria un po’
svampita vi aveva accesso senza problemi.
Il
principe decise dunque di sfruttare la povera Fay per raggiungere i suoi scopi.
Come
uniti da un invisibile filo rosso, i pensieri di Fay si collegarono a quelli di
Kurogane-ouji. La ragazza, coricata rigorosamente prona sul letto, tra le
coperte disordinate, non riusciva a prendere sonno. Era come se la sua mente
fosse indissolubilmente legata a quella del principe, incapace di pensare a
qualcosa che non fosse lui, incapace di chiudere gli occhi e non vederlo,
incapace di aprire gli occhi e non desiderare di richiuderli per poterlo vedere.
Che
sentimento complicato, l’amore.
Che
sentimento puro, l’amore.
Che
sentimento abilmente costruito, abbellito, celebrato e crudelmente,
inspiegabilmente, bastardamente falciato da coloro che disegnano le lune grandi
e sottili attraversate da petali di ciliegio.
E
così, navigando tra quella burrasca di pensieri che irrimediabilmente la
confondevano, Fay si scoprì ad arrossire con gli occhi lucidi semi nascosti
dalla frangia dorata e scompigliata, pronunciando due semplici parole: “Kuro…
sama”.
Per
la terza volta bussò alla porta.
Finalmente
qualcuno si degnò di aprire e due bambine apparvero dall’oscurità della casa
causando a Kurogane-ouji un brivido di puro terrore che gli risalì serpeggiando
lungo la spina dorsale.
Quella
coi lunghi, lunghi, lunghissimi capelli azzurri raccolti in code ebbe la
cortesia di domandare chi fosse l’ospite, mentre quella dai capelli rosa si
limitava a misurare idealmente il principe alzando la manina scheletrica fin
dove riusciva ad arrivare – nemmeno alla metà del petto di Kurogane.
Il
principe, di cattivo umore, un po’ per via dell’ora mattutina, un po’ perché
solitamente la sua cattiva fama lo precedeva, si presentò in maniera non molto
educata – appunto.
“Sono
qui per ritrovare la proprietaria di questa scarpa, per cui, se ci sono in casa
ragazze in età da marito, si facciano avanti e la provino.”
In
realtà al principe sarebbe bastato ricordarsi un minimo l’aspetto di Fay, dato
che non erano molte le persone a Clow con capelli dorati e occhi azzurrissimi,
ma la verità era che Kurogane aveva già la mente annebbiata al pensiero della
quantità di sakè che avrebbe potuto degustare da lì in poi.
Terminate
le spiegazioni, poiché le bambine non diedero il benché minimo segno di aver
compreso ciò che il principe avesse detto – ma, anzi, se ne andarono
saltellando mano nella mano, sbaciucchiandosi e rotolandosi – intervenne quella
che, a prima vista, sembrava una creatura più intelligente.
“Entrate
pure, Kurogane-ouji” lo invitò una ragazza dallo sguardo leggermente ossessivo
e dalle lunghe trecce castane, troppo spesse e rigide per sembrare vere.
“La
padrona di casa in questo momento è assente, ma se lo desiderate potete far
provare la scarpa a noi” concluse la ragazza castana.
Desideroso
di porre fine a quella sfilata di sbandati il prima possibile, Kurogane non
sollevò obiezioni.
Ovviamente
la scarpa era troppo grande per i piedi delle bambine inquietanti e anche per
quello della ragazza con le finte trecce, sebbene la misura vi si avvicinasse
di più.
Deluso
per vero sprecato tutto quel tempo, il principe chiese: “Non ci sono altre
donne in questa casa?”.
“No”
replicò prontamente la ragazza e lo fissò per qualche istante con sguardo
vacuo. “Però c’è lei” e indicò la porta dietro di sé che emise un gemito di
sorpresa.
Dopo
aver appurato che non fosse stata la porta a parlare, Kurogane si accorse con
immenso stupore – o meglio, con il massimo stupore che lui riusciva ad
esprimere, ovvero quello di un personaggio clampiano che vede sfumare in pochi
attimi tutti il senso della sua vita – che dietro la porta stava nascosta una
ragazza magra, fin troppo femminile per essere una ragazza, con i capelli
biondi e gli occhi azzurri.
Con
un invito che non ammetteva rifiuti, la fece sedere sulla sedia di fronte a sé
e le mise al piede la scarpa di cristallo.
Kurogane
non poteva credere ai suoi occhi, e questa volta con GRANDE stupore – ovvero
quello che dimostra un personaggio clampiano quando, alla fine di una serie,
scopre di essere ancora in vita e con ancora qualche speranza di condurre
un’esistenza pseudo normale – si rese conto che la scarpa avvolgeva alla
perfezione il piccolo grande piede della bionda.
“Allora
tu sei la ragazza del ballo!” esclamò Kurogane, evitando di pronunciare il nome
che aveva rimosso un istante e ventotto microsecondi dopo averla conosciuta.
Fay
non riusciva a spiccicare una parola per l’emozione, e anche perché fino a un
attimo prima si stava imbottendo di burro d’arachidi, di cui andava
estremamente ghiotta.
Il
principe non voleva sprecare altro tempo. Prese la bionda per mano, causandole
un principio di infarto, e le si avvicinò.
“Conducimi
subito al tesoro della Strega.”
Fay
era troppo inebetita dall’amore per rendersi conto dello sfruttamento e del
maschilismo che si annidavano dietro a quella frase e rispose, con aria
serafica: “Il tesoro? Intendi forse la riserva a vita di sakè sopraffino?”
Kurogane
annuì, troppo emozionato e troppo impaziente per perdere tempo in inutili
parole.
“Beh,
devi sapere che tra una spolveratina a l’altra… l’ho bevuto tutto.”
“…”
Questa
volta sarebbe davvero troppo difficile spiegare lo stato d’animo di Kurogane
con una semplice metafora…
Ma
si può fare un tentativo!
Avete
presente la sensazione che si prova quando si attende con somma impazienza e
fiducia la conclusione di una storia che all’inizio prometteva uno svolgimento
piacevole e divertente orientato verso un finale forse un po’ scontato ma di
per sé accettabile e tutto sommato educativo durante il quale la personalità di
certi personaggi viene costruita talmente bene da darti l’impressione che siano
davvero i tuoi modelli e che finalmente tu abbia trovato un modo per passare le
tue serate a base di birra con l’unica amica che ti sopporta recitando a
manetta stupide battutine divertenti che vi fanno sentire parte integrante del
mondo anche se in realtà ve ne state del tutto allontanando ma in fin dei conti
va bene così perché tutto ciò di cui avete bisogno nella vita è una storia in
cui i personaggi che vi piacciono e che magari sono stati sfortunati alla fine
ottengono il riscatto che meritano e un piccolo spicchio di felicità che li
vedrà concludere le loro vecchie vite assieme e in armonia in un mondo che
magari non sia imploso su se stesso e poi invece tutto questo si trasforma in
un regno dell’orrore, del sangue e all’insegna dell’automutilazione che ti fa
domandare perché mai hai pensato solo lontanamente di poter assistere a un
semplice lieto fine che non veda per forza la morte del 98% dei personaggi tra
i quali il 100% di quelli che volevi che vivessero mentre le tue speranze
evaporano di fronte all’ennesima dimostrazione di quanto possa essere crudele
la vita in Giappone per aver generato quattro menti come quelle che disegnano
le lune grandi e sottili attraversate da petali di ciliegio e perché no anche
da qualche pipistrello assassino.
Sì,
proprio quella sensazione.
Ma
Fay si rese subito conto del baratro di disperazione in cui era precipitato il
principe e, a differenza di qualcun altro, decise di fare qualcosa di utile per
tentare, almeno, di risollevarlo dall’abisso e dall’orlo sempre più prossimo
del suicidio. Così gli porse la sua piccola e candida mano attendendo che
sollevasse gli occhi su di lei e quando i loro sguardi si furono incontrati in
un’apoteosi di fuoco e ghiaccio, alba e tramonto, inferno e paradiso, lampone e
puffo, disse in un sospiro: “Kuro-ouji…Sei sicuro di non preferire me al
tesoro? Perché, sai… credo di aver trovato l’uomo-solo-per-me”.
Kurogane
rimase immobile, muto, con una faccia che imitava perfettamente quella di un
pesce morto. Dapprima fissò incredulo Fay, ma quando vide che questi non
accennava ad abbassare lo sguardo, ma anzi, si protendeva sempre più alla
ricerca di una risposta in quegli occhi di rubino, la soluzione a tutti i
problemi gli piovve addosso di colpo e in quel momento si ritrovò a chiedersi
cosa mai avesse cercato fino a quel momento. Aveva dato la caccia a un
fantomatico tesoro di sakè quando invece qualcosa di più buono, gustoso e
assuefacente si trovava proprio lì. Il suo alcool personale.
Non
ci fu bisogno di parole. La maledizione di Fay si spezzò nel momento in cui,
persi l’uno negli occhi dell’altra, la stanza si riempì di strani simboli che
parevano lettere indecifrabili azzurre e viola che presero a vorticare
raccogliendosi attorno a Fay e infine avvolgendolo in un tripudio di luci e
tonalità cangianti. Quando la stanza tornò al suo consueto aspetto, al posto di
Fay c’era… Fay.
“Kuro-ouji!
Fay-hime!” ripetevano in coro Maru e Moro fornendo la perfetta e stupenda
imitazione di un disco rotto. Fortunatamente i loro deliri erano coperti dal
frastuono della folla che acclamava i novelli sposi in uscita dal palazzo
reale.
Tra
coloro che assistevano, c’era anche la Strega.
“Matrigna
Yuko” le domandò la fatina delle mele, apparendo magicamente alla sua destra,
senza comunque distogliere gli spettatori da quello spettacolo felice. “Ho
agito come avete richiesto?”
“Proprio
così, fatina. Sei stata davvero brava.”
Facendosi
largo tra un uomo più simile a una montagna e una calca di vecchiette
infervorate, Watanuki emerse dalla marea umana tenendo sollevate sulla testa
tre casse di mele e reggendo in mano e sulle spalle pacchi e sacchetti di varie
misure, contenenti assolutamente inutili ma assolutamente costosi oggetti di
antiquariato.
“Come
sarebbe a dire?!” ansimò, sputacchiando delle piume di pavone che gli si erano
infilate in bocca evadendo dal sacchetto più grande.
“Non
esistono coincidenze, caro Watanuki-kun” iniziò a spiegare Yuko con quel sorriso
tipico di quando si preparava a fare qualcosa di molto, molto bastardo. “Tutto
questo era inevitabile per consentire l’avverarsi di un evento fondamentale.”
Watanuki
non poté fare a meno di gettare un’occhiata agli sposini che si scambiavano
sorrisi lascivi, ansiosi di ritirarsi a fare ciò che dovevano fare al fine di
aumentare esponenzialmente il numero di fangirl.
“Quindi
tutto questo è servito a farli mettere insieme?” chiese con la serietà di chi è
appena venuto a conoscenza di una grande verità esistenziale.
“Ma
sei pazzo? Cosa mi interessa di quei due? Non lo capisci? Fay non mi ubbidiva,
si rifiutava di prepararmi il sushi e si scolava tutto il mio alcool! Come puoi
pretendere che me la tenessi in casa come sguattera?! No no, tu sei molto
meglio!” E proruppe in una fragorosa risata, lasciando Watanuki e la sua
dignità a seppellirsi sotto ai pacchi.
D’un
tratto, Yuko tornò seria, senza mai staccare gli occhi dai due principi che si
avviavano ormai verso la
Moko-carrozza.
“Eppure,
il mondo non si riduce solo a questo. Forse loro non hanno ancora capito che…”
To be continued
|