Storia di una madre
Storia di una madre
Stanotte le ombre sono tornate. Il
grande letto nella stanza scura è freddo e la seta non scalda il
mio vecchio corpo, e improvvisamente in un angolo loro mi
guardano, grazie al cielo sono ancora solo due.
Mi ricordano che l'orologio scorre e che
qualcosa di scuro mi divora da dentro, mentre per un attimo
l'odore dei medicinali impregna l'aria come un profumo troppo
forte, e per una volta spero che non torni più la luce.
Oggi è venuto un uomo. Con gelida
cortesia mi ha mostrato campioni e modelli, e un repertorio di
frasi fatte, come se dovvessi scegliere un abito o le nuove tende
del salone, e voleva sapere con dovizia di particolari quale
marmo e incisione preferivo, e continuava a ripetere quella
parola, madre, come se da sola dovesse racchiudere la
mia vita. Fui moglie devota e madre amorevole. Alla fine
l'ho accontentato, perchè ormai cosa mi costa? Chi ne può
soffrire o gioire? Non ci saranno rose sulla mia tomba, nè
pianti per me, perchè anche se non sono l'ultima ho seminato
odio e solo odio raccoglierò da lui.
Non voglio il mio nome sulla lapide. Che
importa? Nessuno saprà mai il mio nome e lui forse
nemmeno lo conosce. E se la mia vita è stata spesa a proteggere
e innalzare quel nome, la mia morte sarà solo mia, qualcosa di
intimo e privato come una carezza, e il mio nome è dimenticato.
Fui moglie e madre. Moglie di
un uomo senza un'anima. Avevo vent'anni quando in un giorno di
aprile andai sposa in abito bianco, e ancora non sapevo nulla
della vita. E quella macchia di bianco nei miei ricordi e nelle
fotografie sbiadite è rimasta l'unica, l'unica macchia di
candore a sporcare il nero di un'intera esistenza. Ricordo il
sorriso di mia madre quel giorno e anche adesso non so pensare a
qualcosa di più finto. Ricordo il mio orgoglio e tutti quei
metri di seta bianca e le perle purissime, e il bacio -il mio
primo bacio- e le labbra di mio marito, e sembrava di baciare un
morto. E l'odore dei fiori è ancora in questa stanza, putrido e
invecchiato come me e le mie speranze.
Ho vissuto in altri tempi. I miei
giocattoli erano pesanti libri sulla testa e passi rigidi e
incerti, i miei passi di bambina nei corridoi bui e tetri, e la
decadenza delle cose distrutte dal tempo e la polvere delle
soffitte. Andai alle nozze con l'orgoglio della nobile povera, e
mio marito, ricco e bello, mi sembrava un principe azzurro mentre
mi guardava, ma aveva un cuore nero e mi regalava diamanti senza
guardarmi negli occhi.
Non ricordo il colore dei suoi occhi. La
sua ombra mi scruta altera dall'angolo della stanza, so che è
qui per me, ma io non ricordo.
Fui devota e fedele, devota alla
famiglia fino al punto di donarle la mia anima -e mio figlio, mio
figlio...- e fedele all'odio che portavo quando lui entrava nel
mio letto, questo letto, e sentivo le sue mani fredde e pensavo
solo al nome e alla dinastia, e immaginavo un figlio a cui
insegnare per non pensare al digusto e al dolore che provavo. E
qualcosa di me si è perso in questo vecchio letto, tra queste
cortine buie e queste lenzuola fredde, e solo adesso che le ombre
sono arrivate e che la mia carne cede capisco che non ho mai amato.
Credevo di amare, forse, ma poi l'ho
dimenticato. Non sono fatta per amare. Sono nata per essere moglie
devota e madre amorevole e questo scriveranno di me. Non
sono fatta per amare perchè non sono mai stata amata.
Forse solo lui. Lui solo mi
aveva amato e lui solo io avevo amato, e per questo mi ha
spezzato il cuore. E io ho spezzato il suo e l'ho cacciato, il
mio bambino, e non cerco il suo perdono e mai l'avrò.
Ricordo che volevo essere madre, con il
desiderio così umano dell'amore e del calore che non erano fatti
per me. Mi aggrappavo a questo desiderio mentre imparavo l'ordine
delle stanze scure e i nomi dell'arazzo e l'odio mi veniva
instillato in ogni respiro. L'ho voluto tanto, l'ho amato nella
mia mente in maniera così ossessiva che quando finalmente arrivò
a me non sapevo che farne davvero.
Eppure lo amavo mentre si aggrappava al
mio seno con la bocca vorace e le unghie di madreperla che mi
segnavano la carne, lo amavo quando il suo pianto turbava il mio
riposo, e i miei sogni e i miei incubi erano solo per lui. Amavo
il suono della sua voce nelle parole sconnese e la sua forza che
mi sorprendeva ogni giorno, e la tempesta nei suoi occhi. Era il
mio solo amante, e glielo ripetevo all'infinito nelle orecchie a
conchiglia mentre si nutriva di me. E imparai ogni suo respiro e
ogni suo gesto, per ore lo guardavo nel sonno e lo svegliavo solo
per il piacere di sentire il suo pianto rimbombarmi nell'anima.
Il mio bambino. Adesso è solo e nessuno più lo culla. E il
nostro amore unico e istintivo è diventato l'odio più
devastante, ma ancora è il sentimento più forte della mia vita
-e so che il mio ultimo respiro sarà per lui.
Poi lo tradii. Per mesi odiai con tutta
me stessa l'intruso che cresceva nel mio ventre che lui accarezzava
con le dita minuscole, e odiai l'uomo che portò lui lontano
da me nel dolore del travaglio, perchè in quel momento
l'incantesimo si spezzò e lui non fu più mio, e io non
fui più sua e l'amore morì per sempre nel mio cuore.
L'odio che provai per il più piccolo
dei miei figli non fu senza conseguenze. Da quell'intruso imparai
la paura, per il suo corpo fragile e il suo respiro debole che
per anni ogni tanto spariva. Io che invocavo demoni e uccidevo
uomini senza un battito di ciglia, io che da tutta la vita sapevo
che l'uomo è un mostro, tenevo tra le mani quel corpo fragile e
morivo dalla paura di perderlo e non lo amavo. Portai per anni la
colpa di quel non amore, e guardavo il mio primogenito chino
sulla culla e sentivo amore e paura quando sfiorava suo fratello.
Poi la paura divenne più forte dell'amore e di nuovo tradii lui
e me stessa. L'ombra ora sa che non l'ho mai odiato perchè
mai l'ho amato. E la mia ora suonerà e non ci sarà conforto per
me tra le braccia dell'ultimo dei miei figli.
Mi chiesi per anni perchè il tempo
scorre mentre i miei figli crescevano. Instillavo in loro la
forza dei valori in cui avevo sempre creduto e lottavo con tutta
me stessa per creare per loro un mondo perfetto. Insegnavo al più
grande per amore e al più piccolo per lenire la colpa. Ma
ugualmente, come era stato per me, non c'erano carezze tra di
noi, solo schiaffi e parole velenose e la loro paura di un padre
di ghiaccio. Mi applicai con molto più impegno sul più grande,
e lo strinsi tanto che non mi accorsi di quando mi scivolò dalle
mani.
Ma aveva sedici anni quando mi accorsi
con orrore che il nostro amore era divenuto odio, che i suoi
occhi erano bui e che la sua bellezza non era più per me. Il mio
figlio perfetto e crudele mi lacerò l'anima con unghie affilate,
e non ricordo di averlo mai visto sorridere. Fuggì in una notte
d'estate e il caldo soffocante delle stanze buie e delle tende
tirate alimentò implacabile il mio dolore e il mio odio. E
l'altro era lì, vicino e consolatorio e ancora io non lo amavo.
Vedevo l'orgoglio del proprio essere nei suoi occhi -così
identici a quelli di suo padre. Vedevo l'incomprensione quando
io, sempre dignitosa prima, giravo sperduta in camicia da notte
per le stanze invocando con la mente mio figlio e il mio amore.
Vedevo il suo dolore, e il suo sforzo consapevole -e così sbagliato-
di essere quello che io volevo. Il mio bambino malato crebbe e si
fece forte, e odiò suo fratello e si costrinse ad una strada che
non era la sua, e tutto per compiacere me. Me, che ancora e per
sempre non l'amavo.
Poi mio marito morì. In una sera
d'ottobre improvvisamente si accasciò nel mezzo di una frase, e
il suo respiro divenne un rantolo di agonia mentre il suo cuore
freddo cessava di battere. Lo seppellimmo nella tomba di famiglia
con un lungo e straziante funerale. E indossando il nero da
vedova pensai che avrei dovuto sentirmi libera e non avevo mai
avuto più catene. I presenti ammiravano la mia dignità senza
lacrime, io sentivo uno strano calore mentre il vuoto dentro di
me si allargava e si portava via un po' del mio odio.
Per la prima volta in due anni rividi lui
quel giorno. Era bellissimo quel mio figlio, dignitoso nell'abito
a lutto, la pelle serica e il volto dipinto come in un quadro di
Botticelli, e l'aria composta e il freddo che irradiava. Ma era lì,
al funerale del padre che odiava, e anche se non l'ha mai capito
era lì per me. Poteva reclamarmi quel giorno e io l'avrei
seguito ovunque, incurante della famiglia in lutto e di suo
fratello che lo scrutava con odio e invidia. Ricordo che mi
sganciai dal braccio dell'altro che mi sosteneva e mi avvicinai a
lui, e fissai i suoi occhi e mi vidi come in uno specchio.
Riuscivo solo a pensare che era mio, mio come non era mai stato
nessun'altro al mondo, e bello e forte e infinitamente lontano da
me. Spezzò di nuovo il mio cuore e non mi reclamò quel giorno.
Mi salutò con la fredda cortesia che gli avevo insegnato nel
nostro salotto, e di nuovo lo amai. E mentre gli urlavo contro
che era la vergogna della mia famiglia, che aveva ucciso suo
padre con la sua fuga sconsiderata, che era un traditore, pregavo
ipocritamente che leggesse dentro di me e sentisse che in realtà
volevo solo dirgli ti amo. Che sentisse la mia anima che lo
implorava di tornare da me. Ma lui non capì quel giorno, e mi
lasciò sola, con il mio figlio più giovane come bastone e la
pioggia che cominciava a cadere e mio marito freddo e rigido in
una bara. Lo persi ancora e di nuovo lo odiai.
Davvero sarei cambiata per lui? Come
posso saperlo. Sono rimasta in questa casa fredda e gelida e
buia, gli anni sono passati e ora sto morendo e lui non può
tornare. Il mio bambino bellissimo è solo al freddo, e io sono
sola al freddo e ancora siamo incatenati insieme. Lo lascerò
libero presto. Lui non tornerà più qui e non penserà più a me.
Le nostre catene si sfalderanno e il cordone dal mio ventre al
suo marcirà come deve essere, e se rimpiango qualcosa al mondo
è che non potrà gioirne mai.
Intanto il tempo era passato e anche
l'altro non era più bambino. Lui continuava a consolare la mia
solitudine e io continuavo a guardarlo ammirata e indifferente
come una statua di cera. Scelse il suo cammino per compiacere me
a cui non importava nulla di lui. Tutta la sua vita fu spesa,
adesso lo so, a cercare disperatamente il mio amore. Ma il mio
amore era per lui, e l'ombra non mi perdonerà. Il
piccolo scelse la via dell'odio nella ricerca dell'amore, e fu
redento per amore e per amore morì. Non ho mai saputo chi fosse
lei, quella che lui non volle uccidere, quella che me lo donò in
una cassa come un regalo. Era pallido da morto.
Ci fu ancora un funerale, e lì vidi lui
per l'ultima volta in questa vita. So che non potrò aspettarlo,
perchè il mio tempo non è infinito come la sua prigionia. Al
funerale di suo fratello era ancora più bello, sempre in
disparte a non farsi notare. Ma presente. Aveva il volto fiero e
le sue labbra così morbide erano una linea pallida, e la forma
delle dita di sua cugina si tingeva di rosso sulla sua guancia
indifferente. Ancora mi avvicinai a lui, avevo occhi solo per lui
mentre l'intruso nella nostra vita spariva per sempre tra terra e
marmo. Il mio bambino piangeva in silenzio, il volto impassibile
e le sue lacrime, come perle, che segnavano le rughe precoci di
chi a vent'anni conosceva la morte. Piangeva suo fratello come
mai avrebbe pianto me, e anche se ormai non avevo più un cuore,
qualcosa di nuovo si spezzò e svenni.
Durò pochi istanti e poi tornai in me,
ed ero tra le sue braccia e lui mi cullava leggermente in una
sensazione sbagliata e dolce. Il suo volto era sereno e turbato
al tempo stesso, e le lacrime non si erano fermate. Sembrò che
sorridesse e per un secondo mi aggrappai all'illusione che non
fosse finita tra noi. Mi rimise gentilmente in piedi e poggiò
leggermente le labbra sulla mia guancia gelida. Improvvisamente
seppi che mio figlio era l'unico calore della mia vita, e sentii
che non l'avrei mai più riavuto tra le mie braccia. Per questo
mi scolpii nella mente le sue ultime parole verso di me in questo
mondo.
-Non posso tornare indietro, Madre.-
Si allontanò verso una presenza
indistinta ai margini del cimitero, qualcuno che non avevo notato
e che passò un braccio amichevole sulle spalle di mio figlio.
Qualcuno che avrebbe asciugato le sue lacrime, raccolto quelle
perle rare sulle guance del mio bambino e ne avrebbe fatto tesoro.
E di nuovo un amore soffocante mi invase per mio figlio che non
avrei rivisto mai più, per mio figlio che mi aveva chiamato
Madre.
Le sue parole mi eccheggeranno in testa
fino all'ultimo respiro. Questo amore e questo odio per lui sono
la nenia della mia ultima notte su questo mondo, il mio monito
eterno, e non alzo lo sguardo perchè so che le ombre sono
scomparse per sempre. Ma lui non è un'ombra, è vivo e lontano,
e esiste ancora quel sorriso che io ho potuto solo immaginare.
Vorrei vederlo solo una volta, ma so che anch'io non posso
tornare indietro.
Con le mie ultime forze lascio il letto.
Il mio vecchio scrittoio mi vede per l'ultima volta mentre
correggo con difficoltà il mio testamento. Domani sarò in una
tomba senza nome, e sulla lapide sarà scritto Non posso
tornare indietro. Nessuno capirà, ma se mai un giorno lui
sarà libero e si troverà lì, forse saprà.
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Lontano quella stessa notte un uomo
dormiva inquieto in una cella di Azkaban. I suoi vestiti erano
laceri e sporchi e il giaciglio freddo. L'uomo stava
raggomitolato su se stesso come a condividere il calore del suo
cuore con tutte le membra. Come un feto nell'utero materno, e il
suo respiro era irregolare e le palpebre fremevano.
Le guardie dicevano che da qualche
giorno parlava nel sonno. Ripeteva ossessivo una frase, a volte
chiara e a volte incomprensibile, ma sempre la stessa. Ma quella
notte la guardia provò per la prima volta un moto di pietà per
l'assassino nella cella. Perchè due sole sillabe lasciarono la
sua bocca nella notte per essere consegnate alle stelle.
Mamma.
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