1-come in una favola
La Luce al tramonto è un prequel
della saga di W.I.T.C.H., il noto fumetto della Disney.
Ho cercato di sfruttare e cucire al meglio i pochi
indizi sul passato dati da questa pubblicazione per ricostruire una trama
coerente con essa.
La Luce di cui si parla è la madre di Elyon:
la regina Adariel, sesta Luce di Meridian, sta spegnendosi lentamente con
la consapevolezza che il suo mondo sta scivolando verso l’inverno della
tirannia, ma cerca caparbiamente di dargli una speranza di rinascita.
Gli avvenimenti narrati nel seguito precedono di sedici
anni terrestri (undici anni del Metamondo) l’inizio della storia raccontata
a partire dal n.1 del fumetto.
Questa fiction proietta i lettori nella Meridian dell’anno
1984, prima della nascita delle note streghette, e nei difficili rapporti
con la congrega di Kandrakar per il passaggio sulla Terra.
Ho cercato di ricostruire una mentalità pragmatica
ma credibile per una città in cui magia e percezioni extrasensoriali
giocano un ruolo importante, governata da una monarchia sulla base di poteri
paranormali trasmissibili solo per via matrilineare; inoltre mi sono divertito
non poco ad immaginare le loro impressioni sul nostro mondo.
Ho ripreso nomi di persone e luoghi dalla pubblicazione
Disney senza scopo di lucro né l’intenzione di infrangere il loro
copyright.
Tra i protagonisti, troverete personaggi che nel fumetto
figurano solo come comprimari, antagonisti o comparse, tra i quali :
• il principe Phobos, di cui ho cercato di descrivere
la regressione da personaggio quasi positivo fino al ruolo finale di antagonista
tirannico;
• Cedric, comandante dei Servizi Segreti di Meridian,
del quale ho cercato di ricostruire il passato;
• Adariel (è un nome da me inventato, nel fumetto
non viene mai rivelato), la sesta Luce di Meridian, tormentata dalle sue
stesse profezie, che sta spegnendosi lentamente;
• Galgheita, la sua guaritrice di fiducia, scelta
per fuggire sulla Terra con Elyon;
• Miriadel, agente segreto, scelta per essere la madre
adottiva di Elyon sulla Terra;
• Alborn, comandante della Guardia di Palazzo, scelto
per essere il padre adottivo;
• Elyon, predestinata Settima Luce di Meridian, qui
nei panni di un fagottino piagnucolante;
• Jonatludr, destinato a diventare Jonathan Ludmoore,
il malvagio mago antagonista nella quinta serie di Witch;
• Eliasdal, pittore di corte, quell’Elias Van Dahl
che si ritroverà prigioniero del quadro in Witch n.5;
• Vathek, ufficiale dell’esercito diventato un fedele
seguace di Cedric;
• Frost, il feroce ufficiale che cavalca un rinoceronte;
• Daltar, il giardiniere, e la sua famiglia;
• Yan Lin, l’ultima guardiana rimasta fedele a Kandrakar,
con i suoi ricordi della rinnegata Nerissa e del vecchio gruppo;
• L’Oracolo, Endarno, Luba e altri personaggi della
Congrega di Kandrakar;
• Caleb, quando era ancora il primo Mormorante;
• Dean Collins, il futuro professore di Elyon e delle
W.I.T.C.H., ancora laureando ad Heatherfield, che fa da spalla ad Adariel
nel primo capitolo per presentare la storia.
Ed è con lui che vi lascio, augurandovi buona
lettura.
Un grazie di cuore a Silen, ad Atlantis Lux, a Melisanna
e a Rowena per la rilettura ed i loro consigli.
MaxT
|
|
Cap.1
Come in una favola
La sua sciarpa scozzese sventola al freddo vento di febbraio.
Trattenendo con la mano il bavero del cappotto, il giovane Dean costeggia
la palazzina di mattoni, fermandosi davanti alla piccola libreria.
Socchiudendo gli occhi per proteggerli dalle folate,
li alza verso l’insegna dipinta di verde: ‘Ye Olde Bookshop’.
Osserva la vetrina, contornata da infissi di legno in
stile novecento, ed i volumi perlopiù antiquati ed ingialliti che
vi sono esposti.
‘Qui potrebbe esserci qualche cosa di utile per la mia
tesi’, pensa, sfregandosi il mento prominente e il labbro ancora glabro.
Spinge la porta per entrare. “Buongiorno”, si annuncia
sorridendo con cortesia. Finalmente un po’ di tepore, assieme ad un vago
aroma di stufetta a kerosene.
All’interno, vicino alla cassa, c’è un giovanotto
alto e magro, dai lunghi capelli biondi tirati e raccolti in una coda.
I suoi occhi di ghiaccio lo squadrano da sopra gli occhialini da presbite.
“Buongiorno. In cosa posso servirla?”.
Dean si avvicina, facendo scricchiolare il pavimento
di legno sotto i suoi passi. “Vorrei sapere se avete qualche vecchio documento
sul passato di Heatherfield. Libri, giornali, stampe… qualunque cosa che
possa risultare utile per una tesi di laurea su questa città”.
“Dipende da cosa lei considera utile”, risponde il libraio
con freddezza, cercando di focalizzare i ricordi. “Comunque, provi sulla
seconda scansia in alto”. Indica con un cenno del capo le file di scaffali
stipati di pubblicazioni datate.
“Grazie”. Voltandosi, Dean scorge un tavolino di legno
scuro con due sedie alte; una giovane donna dai capelli castani raccolti
sulla nuca siede davanti ad una piccola pila di riviste e di fascicoli
fotocopiati. Per un attimo, quando i loro sguardi si incrociano,
lei trasale, come se lo avesse riconosciuto. Poi abbassa gli occhi, riprendendo
a scorrere una rivista.
Dean si porta dietro alla scansia. Mentre si alza in
punta dei piedi per scorrere i titoli di alcune pubblicazioni, continua
a ripensare a quello sguardo. Aveva già incontrato quella ragazza,
o ha semplicemente fatto colpo? Non gli capita poi così spesso…
Attraverso gli interstizi tra i ripiani, sbircia la donna
e il libraio che si avvicina al tavolino.
“Avete trovato qualcosa di utile?” le chiede l’uomo con
tono quasi deferente.
Lei scuote la testa. “Finora no, mio buon Cedric”. La
voce è stanca, delusa, e lascia trasparire un indefinibile accento
straniero. Un’altra caratteristica curiosa sono le due sottili trecce ritorte,
lunghe e come appuntite, che le scendono ai lati del viso.
Il libraio alza gli occhi sospettosi, incrociando quelli
di Dean attraverso l’interstizio. Vergognoso, lo studente abbassa lo sguardo,
immergendosi nella lettura dei titoli sulle costole.
Dopo un po’di ricerche disordinate, conclude che questa
libreria è una miniera di curiosità e libri fuori circolazione,
ma al momento non ha ancora trovato niente su Heatherfield che non si trovi
anche nell’archivio comunale.
Esaminati i libri del ripiano, si porta sull’altro lato
dello scaffale e cerca di dedicarsi ai volumi, ma sempre più spesso
lo sguardo gli scivola verso quella donna dal lungo vestito verde scuro.
Non ci mette molto ad accorgersi che anche lei, a momenti, lo sbircia,
poi lo guarda apertamente, per nulla intimidita.
Mentre Dean cerca di nascondersi dietro un volume aperto,
sente la voce della signorina: “Buon giorno”.
Alza gli occhi, stupito. Lei lo sta guardando. Sì,
ha salutato proprio lui.
“Buongiorno” risponde un po’ emozionato, “Ci conosciamo?”.
Lei fa un gesto vago. “Ho avuto un’impressione di già
visto, guardandola”.
“Forse all’Ateneo?”. Le porge la mano, sfoggiando il
suo sorriso migliore. “Mi chiamo Dean Collins. Sono uno studente di storia
moderna, qui all’Università di Heatherfield. Vuoi chiamarmi Dean?”.
Lei annuisce. “Certo, Dean. Comunque io sono passata
diverse volte da quelle parti, ma mai alla facoltà di Storia”.
Lui la osserva, sforzandosi di non fissarla con troppa
insistenza. La ragazza ha uno sguardo dolce e cortese, che però
è velato di stanchezza o forse di tristezza, come la sua voce.
“Io mi chiamo Adariel. Adariel Escanor”. Fa un gesto
grazioso verso la seconda sedia. “Se vuoi accomodarti…”.
Il viso del libraio ha un guizzo inatteso. Continua a
riordinare dei volumi sul banco, ma la tensione traspare dai muscoli del
collo.
“Bel nome. Molto insolito”. Dean si siede, sbirciando
i titoli di alcune pubblicazioni sparse sul tavolo: ‘Journal
of cell biology, nov.1983’. ‘Catabolismo cellulare e danni ossidativi’.
“Anche tu sei una laureanda? In… in medicina? Biologia?”.
“Non proprio” risponde lei, “Sto facendo una mia ricerca
sui meccanismi dell’invecchiamento, con l’aiuto di Cedric”. Gli mostra
alcune delle testate che sta leggendo. “Ma a tutt’oggi…”, sbircia la data
da una copertina, “… febbraio 1984, la scienza terrestre non è arrivata
abbastanza avanti. Ci sono teorie sull’esaurimento dei telomeri dei cromosomi
del nucleo cellulare, sul cumularsi di errori di replicazione del DNA,
sui danni ossidativi ai mitocondri dovuti ai radicali liberi… ma sono solo
teorie. Fondamentalmente, per la scienza attuale, non è neppure
chiaro se l’invecchiamento è predeterminato dai geni, come una bomba
a orologeria nascosta nelle cellule, o è invece un accumularsi di
danni evitabili”.
Lui annuisce cortesemente, cercando di nascondere il
suo disorientamento: l’argomento è uno tra quelli che lo vedono
meno ferrato. “Questa tua ricerca è per una tesi di laurea?”, chiede.
Adariel nicchia. “Ho passato da molto l’età in
cui la gente si laurea”, sospira.
Dean sa che, quando le donne si lamentano della loro
età, si aspettano sempre che un uomo le contraddica per rassicurarle.
“Non si direbbe”.
L’altra gli sorride enigmatica. “Quanti anni mi daresti?”.
Domanda delicatissima. Invecchiare una donna anche di
un solo anno può avere conseguenze fatali per qualunque tentativo
di approccio. “Credo… sui venti…cinque?”.
“Sali, Sali” risponde lei, “E di un bel po’”.
“Ventotto…”, la vede nicchiare, “…trenta?”.
“Quasi” risponde lei con un sorrisino indefinibile, “Adesso
ti basta aggiungere uno zero”.
Lui aggrotta le sopracciglia: “Non credo di aver afferrato
bene”. Butta un’occhiata verso il libraio, che sta ricontando gli stessi
libri di prima con movimenti secchi e un’espressione che lascia quasi trasparire
collera. Che sia geloso?
“Quasi trecento” risponde lei increspando un angolo della
bocca in un sorrisino amaro. “E per di più, nel luogo da cui vengo,
un anno dura più che sulla Terra, circa diciotto mesi. Quindi, fai
pure conto che siano quattrocentocinquanta anni”.
“Ben portati” risponde incerto Dean. Non gli sembra gran
che divertente come scherzo, ma tanto vale starci. “Allora saprai raccontarmi
qualcosa della nascita di Heatherfield”.
Lei si stringe nelle spalle. “Touchè. Sono passata
di qui troppo occasionalmente, e il mio principale interesse non era la
città”.
“E cos’era?”.
“Libri, soprattutto. Ma questa volta non mi aiutano più”.
Sul suo viso torna a dipingersi un’espressione infelice.
Dean non sa come interpretare questa strana alternanza
di facezie e tristezza. Forse questa ragazza ha bisogno di qualche aiuto
qualificato. Nel frattempo, la cosa migliore sembra stare allo scherzo.
“Immagino che cerchi qualche elisir di eterna giovinezza”.
Lei lo guarda quasi sorpresa. “In un certo senso è
vero… Dean. Ma l’aspetto è facile da controllare, perché
si può visualizzare. Anche i sintomi delle malattie, bene o male,
si riescono a controllare, perché uno ha un’idea chiara del benessere
che si desidera”. Si accalora. “Perfino un tumore si può tenere
sotto controllo con la visualizzazione, se si ha una conoscenza anatomica
che permette di distinguere tra come sono i tessuti del corpo, e come dovrebbero
essere”. Sempre più convinta, continua: “Il limite è la capacità
di visualizzare”.
D’improvviso, l’espressione ritorna triste. “E, al momento
attuale, io non ho né le conoscenze scientifiche, né i modelli
visivi che mi consentirebbero di operare cambiamenti all’interno delle
cellule del corpo, sui veri meccanismi dell’invecchiamento”.
“Modelli visivi? Cosa intendi?”.
“Intendo modi di immaginare. Supponiamo anche che io
possa diventare esperta in biologia molecolare, e concettualizzare le reazioni
che voglio. Ora, come faccio ad rappresentarmi una molecola? Spesso, nelle
riviste, gli atomi sono disegnati come palline colorate, ma in realtà
non sono affatto così. Ho già provato: questa visualizzazione
è inefficace a catalizzare alcuna reazione chimica”.
Mentre la ragazza parla, Dean deve sforzarsi sempre più
per mantenere un’espressione cortese: non solo le cose che lei dice sono
evidentemente senza senso, ma, quel che è peggio, si intuisce che
lei è ben convinta di ciò che racconta.
“Davvero?” chiede esitante.
Lei lo studia un attimo. “Dean, tu mi credi una pazza
furiosa!”.
“Ma no!” protesta lui senza convinzione. “E’ solo che…
che sono un po’ sorpreso, ecco!”. Cerca di cambiare argomento: “Il tuo
accento non è di qui, vero? Posso sapere da dove vieni?”.
Un luccichio divertito si intravede negli occhi stanchi.
“Io vengo da una città chiamata Meridian, in un luogo che alcuni
definirebbero Metamondo”.
Dean la guarda interdetto. ‘E’ matta?’ si chiede. Butta
un’occhiata di sfuggita sul giovane libraio: l’uomo sfoglia impassibile
un registro, ma la sua finta indifferenza è sempre tradita dalla
tensione dei muscoli del collo.
Il fischio sommesso del vento e i rumori del traffico
filtrano attraverso i vecchi infissi.
Le risponde dopo una lunga pausa di silenzio imbarazzato.
“…Davvero?”.
Lei lo osserva a lungo con una espressione vagamente
divertita. “No, naturalmente. E’ solo il soggetto di un racconto
che sto scrivendo”.
“Ah, un racconto!”. Dean si rilassa: forse la signorina
non è del tutto fuori dal mondo, ma solo un po’ eccentrica. “A me
piacciono i racconti”.
Gli fa uno dei suoi sorrisi indefinibili. “La mia protagonista
è una regina, potente e amata, discendente di una stirpe di maghe
dai poteri psichici quasi divini. E’ chiamata la ‘Luce di Meridian’ ”.
“So che questo genere comincia ad andare di moda”, concede
lui, “Potresti anche avere successo”.
Adariel continua: “Lei può prolungare la sua vita
e la sua giovinezza modificando sé stessa, ma c’è un limite:
non può realizzare ciò che non riesce ad immaginare. Alla
fine, gli interventi che lei o i suoi guaritori possono effettuare risultano
solo lenitivi. Dapprima durano anni, poi mesi, poi giorni, poi solo poche
ore, perché dentro tutte le cellule del suo corpo si è rotto
qualcosa che lei non capisce, e sente la morte che le alita sul collo.
Ma, prima di lei, è suo marito a cedere, e lei fa di tutto per prolungargli
la vita”. Il velo di tristezza torna, pesante, sul suo viso. “Mi dispiace,
Dean Collins. Mi ha fatto piacere parlare con te, ma mi trovi in un momento
infelice. Ho ancora un paio di articoli da scorrere, ma ormai sono quasi
rassegnata”. Lo fissa intensamente negli occhi. “Ora devi andare, Dean.
Tanto, in questa libreria non c’è niente di utile per la tua tesi
di laurea”.
Lui rimane un attimo catturato, poi ripete: “Ora devo
andare, Adariel. Tanto, in questa libreria non c’è niente di utile
per la mia tesi di laurea”. Si alza dalla sedia. “Ci rivedremo?”.
Lei scuote il viso. “Mi piacerebbe, ma temo di no. Ho
la sensazione che questa sarà l’ultima volta che verrò ad
Heatherfield”.
“Peccato”.
Lei conviene. “Non sai quanto mi dispiaccia. Io ho amato
molto questo luogo”.
“Ah… un’ultima cosa. Come finirà la tua storia?”.
Lei esita un attimo. “Non è ancora scritta. Credo
che la regina dovrà rassegnarsi: non si può fermare l’inverno,
ma si può sempre seminare per la primavera”. Lo congeda con un cenno
della mano. “Addio, Dean Collins”.
Lo studente, riluttante, si dirige verso la porta, salutando
con un gelido “Buon giorno” l’antipatico libraio.
Esce, pensieroso, sulla strada sferzata dal vento invernale,
e si abbottona il cappotto svolazzante. Quella ragazza era stranissima,
come se vivesse in una favola. Non è riuscito a capire quando parlasse
sul serio, e quando scherzasse.
Quando il sole basso lo illumina, vede il suo riflesso
in una vetrina. Perché le donne non lo prendono più sul serio?
Forse dovrebbe lasciarsi crescere i baffi...
Dentro al negozio, il libraio si avvicina alla donna,
che scorre rapidamente gli ultimi due articoli e richiude i fascicoli,
scuotendo rassegnata la testa. Poi lo guarda come se lo radiografasse.
Lui sceglie di parlarle chiaro: comunque indori il suo
rimprovero, sa che l’altra può sempre leggere ciò che sta
pensando davvero.
“Altezza, noi abbiamo sempre fatto di tutto per mantenere
segrete le nostre attività sulla Terra. Perché siete stata
così esplicita con quello studente?”.
Lei scuote il viso. “Non preoccuparti, Cedric. Non ha
creduto una sola parola su Meridian. Ha solo pensato che io viva nella
fantasia”.
“Per adesso non ci ha creduto. Ma cosa succederebbe se
notasse ancora qualcosa di strano, di inspiegabile? Ora avrebbe le chiavi
per interpretarlo!”.
Lei annuisce, riluttante. “Però, quando lo ho
visto, ho avuto una di quelle mie sensazioni, una premonizione. Prima o
poi quel ragazzo avrà a che fare con una persona che mi sarà
molto cara”.
“Altezza, con tutto il rispetto, sono sempre dell’idea
che dovremmo rintracciarlo e cancellargli il ricordo di questo colloquio”.
Abbassa il viso, rassegnata. “Temo che tu abbia ragione,
Cedric”.
“Allora, provvedo?”.
Lei annuisce, rattristata, mentre riordina i fascicoli
sul tavolo e richiude il notes ancora intonso. “Sai… è difficile
rallegrarsi che qualcuno mi dimentichi, sapendo che tra un po’ di tempo
non ci sarò più”.
“Ma Altezza!” esclama Cedric sorpreso, “Voi siete la
sesta Luce di Meridian! Tutta la città vi adorerà per sempre,
quando sarete salita a prendere il vostro posto tra gli Dei. Che bisogno
avete di essere ricordata per poche settimane da un misero terrestre che
non sa neanche leggere i pensieri?”.
Lei si stringe nelle spalle. “Mi piacciono questi incontri
occasionali con loro: sono i soli che mi trattano spontaneamente come una
loro pari”.
Il libraio storce il viso. “Questi terrestri sono troppo
limitati perfino nel capire la loro stessa inferiorità”. Si accorge
che la sua battuta non è piaciuta alla regina. “E poi, a Vostra
Altezza piace stupire”, conclude più indulgente.
Lei annuisce. “Proprio così. Parlare con quel
Dean sarebbe stato divertente, se il momento non fosse così tragico.
Cedric, lo avevo capito da tempo, ma non volevo rassegnarmi: la scienza
della Terra non può aiutarci a salvare Adleric”. Guarda l’orologio
sul muro. “Oh, quanto tempo ho sprecato! Dovrei essere con lui, ora!”.
“Andate pure, Luce. Penserò io a tutto”. Le apre
la porta del seminterrato. “Da questa parte, lontano da occhi indiscreti”.
“Grazie”. Scende le scale verso la penombra dello scantinato,
le cui finestrelle sono coperte da pesanti tendaggi, ed apre il palmo della
mano, in cui compare un medaglione romboidale di metallo smaltato.
Capta il pensiero di Cedric: è rammaricato che
la Luce di Meridian, la più grande maga del metamondo, sia così
indebolita da dover usare il sigillo anche per un semplice teletrasporto.
Gli sorride: “Caro amico, non esiste giornata senza tramonto”.
Mentre solleva il sigillo tra indice e pollice, la sua
figura tremola brevemente, avvolta da un baluginio, per poi dissolversi
nel nulla.
|