Fic scritta
per un contest sullo Yuri e lo Shoujo-ai. I prompt erano casuali, dati da un
generatore, ma appena ho visto i miei ho capito subito cosa avrei scritto.
Sembravano fatti apposta per questo pair. Anche se non sono rimasta del tutto soddisfatta di "come" sia venuta, mi piace^^
Comunque è
triste pensare che il mio periodo più prolifico sia relativo al fatto che mi
sono iscritta a una serie di contest senza cognizione di causa xD
Che dire, se
non buona lettura^^ E, anche se non vi piace, lasciate un commento per farmelo
sapere^^
I prompt
erano:
Numero situazione shōjo-ai/yuri/girls'
love/femslash: “Sarai sempre il mio principe azzurro”
Numero oggetto
“positivo”:
“Mollette per capelli dalla forma graziosa”
Numero oggetto “negativo”: “Filo ingarbugliato”
Tema dell'immagine:
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I rumori
provenienti dall’interno della palestra risuonavano in tutto il cortile.
Colpi
cadenzati e precisi, come un cronometro, rompevano ritmicamente la calma quasi
innaturale del luogo; il cielo, striato di arancione all’orizzonte, mostrava
qualche nuvola plumbea che faceva presagire brutto tempo per il giorno dopo. Un
venticello, troppo fresco per essere solo l’inizio di Settembre, soffiava con
indolenza tra le fronde degli alberi che stavano già cambiando colore.
La ragazza
all’interno della palestra, però, continuava i suoi allenamenti, ignorando il
tempo, il freddo e l’orario.
Quando alzò
lo sguardo per tergersi il sudore della fronte il suo sguardo corse, senza che
nemmeno se ne accorgesse, all’orologio appeso di fronte all’entrata. E si rese
conto di due cose contemporaneamente: che se n’erano già andati tutti ed era
rimasta da sola in palestra e che erano le sette passate.
Senza
fermarsi nemmeno a pensare si slanciò verso gli spogliatoio, dove si scontrò con
un altro ragazzo.
Lui la guardò
stupito e anche un po’ perplesso.
“Tatsuki! Ma
che cosa ci fai ancora qui? Non avevi detto che oggi saresti andata via presto
perché avevi promesso a tua madre di essere a casa per l’ora di cena almeno
stasera?
La sua
risposta si perse nei meandri dello spogliatoio femminile, mentre cercava di
aprire l’acqua della doccia e allo stesso momento togliersi i vestiti senza
bagnarsi, un qualcosa che assomigliava paurosamente a: “Lo so! Sono in mostruoso
ritardo!”
Il ragazzo
scosse la testa, ormai rassegnato. Suo senpai da troppo poco per conoscerla
bene, diciamo che si era fatto comunque un’idea di come la ragazza ragionasse.
Quando si
parlava di karate, sport in cui Tatsuki eccelleva, la ragazza perdeva ogni senso
del tempo e della misura. In un certo senso era spaventosa: a soli quindici anni
era candidata per vincere alle Nazionali. E la cosa strana era che, quando le
aveva chiesto cosa le piacesse così tanto del karate, lei aveva risposto che lo
faceva solo per difendere la sua principessa.
Ovviamente
non si era permesso di fare altre domande, non erano affari suoi, ma non aveva
mai capito a chi si riferisse.
Tatsuki, i
capelli ancora bagnati al vento, volava con la sua bicicletta lungo le stradine
più nascoste di Karakura, tentando di scovare ogni scorciatoia possibile e
immaginabile per non aumentare ulteriormente il suo ritardo.
Tentò di
entrare in casa senza farsi sentire da sua madre: appoggiò con cura la porta, si
tolse le scarpe senza fare il minimo rumore, appoggiandole nella scarpiera
accanto alla porta e quando si rialzò, evitando qualunque movimento brusco, si
accorse che non c’era bisogno di nascondersi.
Con un
sospiro si raddrizzò fissando la donna che si trovava a braccia incrociate sulla
soglia della cucina, un mestolo in mano e un’aria battagliera che preannunciava
tempesta.
-Ciao, mamma…
Ecco… Vedi… So che avevo promesso che sarei stata a casa per cena, ma vedi, ho
perso un po’ il senso del tempo e…-
La donna
sospirò a sua volta, rassegnata, tornando in cucina borbottando come una
caffettiera
-Sì, come al
solito… Ormai non so più cosa fare con te… E io volevo una femmina, una bella
femminuccia da vestire e a cui insegnare come si cucina…-
Tatsuki
ridacchiò sotto i baffi. Sua madre rivangava sempre quell’argomento quando
ritardava per gli allenamenti ma era orgogliosa di lei. E poi, tutto sommato,
era contenta: non si interessava ai ragazzi rischiando di finire nei guai e, se
doveva uscire, non si preoccupava di maniaci e aggressori. Dopotutto era
iscritta ai campionati regionali ed era nella rosa delle probabili vincitrici.
All’inizio
non credeva che il karate le sarebbe piaciuto, ma aveva un buon motivo per
cominciare.
E quel motivo
era una persona a lei molto cara.
Certo, era un
po’ svampita e così ingenua da risultare a volte irritante, ma era sempre
disposta a dare una mano a tutti, un sorriso, una carezza a chi ne aveva
bisogno. Era così straordinariamente buona che sorgeva spontaneo chiedersi come
avesse potuto rimanere così candida in un mondo che, invece, cadeva su se stesso
come un castello di carte.
Malgrado
tutto quello che le era successo, era riuscita a rimanere sempre la stessa:
sempre la solita Orihime, intelligente ma troppo sognatrice.
Si lasciò
crollare stancamente sulla sedia della scrivania della sua camera, senza aver
nemmeno fatto caso a come ci fosse arrivata. Lo sguardo le cadde sul calendario
che teneva accanto al porta penne e i suoi occhi si chiusero a quel quadratino
segnato da un paio di scritte decise.
Sapeva come
sarebbe andata il giorno dopo, lo sapeva bene, era così da sempre.
Una specie di
copione implicito, che lei si sentiva costretta a seguire per far contenta
Orihime, quando, in realtà, l’unica cosa che avrebbe voluto sarebbe stata
buttare fuori quella parodia di principe delle favole da quella tragicommedia
che si ripeteva ogni anno.
Invece no,
perché lei voleva che la ragazza fosse felice, che la sua…migliore amica?
Ma lo era
davvero?
Era una
domanda che ultimamente si faceva troppo spesso.
Considerava
davvero Hime un’amica?
Certo,
Hime è la tua migliore amica, ricordi?
Tatsuki
annuì, più che altro a sé stessa, cercando di convincersi.
Poi i suoi
occhi catturarono l’immagine di un pacchettino nascosto dietro una pila di
libri (che dovevano essere sistemati, ma sapeva già che non l’avrebbe fatto).
Sapeva benissimo cosa c’era dentro.
Il regalo.
Il regalo per
il compleanno di Orihime che sarebbe stato il giorno dopo, il 3 Settembre.
E ogni anno
la scena era la stessa.
Lei arrivava
in classe euforica, sprizzando colore da ogni poro, diffondendo nell’aria una
sorta di felicità che solo Hime era in grado di far provare alle persone solo
standole accanto. Ogni anno sperava che Ichigo si ricordasse del suo compleanno
e le facesse gli auguri ma ogni volta, puntualmente, Ichigo si dimenticava. E
toccava a Tatsuki, allora, intervenire. Una mossa azzeccata (che solo
nell’ultimo anno si era tramutato in un pungo in testa) per ricordargli che
Tatsuki non aveva voglia di sporcarsi le mani solo perché lui era così
idiota da dimenticarsi una cosa del genere.
E tutto
tornava in ordine.
Quella luce
triste che ogni tanto baluginava negli occhi della ragazza scompariva, lasciando
il posto a una scoppiettante allegria.
E se
all’inizio questo a Tatsuki bastava, vederla felice, ora non era più così.
Ora sentiva
qualcosa, che la rodeva intorno allo sterno, tutte le volte che Hime nominava
Ichigo. Si sentiva bruciare, si sentiva sbriciolare, sentiva un’immensa voglia
di stringere le mani intorno al collo di quello che avrebbe dovuto essere il suo
migliore amico per quello che stava facendo passare alla ragazza.
Sentiva
qualcosa che mordeva e mangiava dentro il suo corpo ogni volta che lo sguardo
sognante di Orihime si perdeva a fissare la figura alta e asciutta del loro
compagno dai capelli arancioni.
Il suo cuore,
ormai, si era ridotto a un intricato groviglio di fili annodati, come un
gomitolo ormai inservibile, inutilizzabile. Sentiva come se ognuno di quei fili
si fosse avvolto intorno al suo cuore, intorno a ogni muscolo, intorno ai
polmoni, levandole il fiato necessario per respirare quando stava con lei. Tutto
il suo corpo stava diventando un’enorme massa di fili ingarbugliati che lei non
riusciva a svolgersi di dosso.
E ognuno di
essi rappresentava qualcosa. Rabbia, odio, paura, amicizia…
Impotenza.
Lei stessa
non capiva cosa stesse succedendo ma più i fili stringevano e più tutte quelle
emozioni la investivano ogni volta.
E quando
aveva visto quei due piccoli oggetti, i fili si erano stretti intorno al suo
cuore, perché le ricordavano terribilmente Hime.
Due piccole
mollette, a forma di piuma, quasi si nascondevano nella vetrina del negozio,
cercando, forse, di non farsi vedere. Bianche e candide, soffici e vaporose come
delle piume vere.
Non ci aveva
pensato due volte a comprarle, candide come il suo animo, soffice come lei e
ogni suo comportamento verso le persone. Tutto in quelle graziose mollette le
ricordava Orihime, sembravano fatte apposta per lei.
Eppure quelle
mollette si nascondevano in un cassetto della sua scrivania da tantissimo tempo.
Dovevano
essere un regalo di buon anno, poi erano diventate un regalo di san Valentino e
lì, dopo mesi, imploravano di essere regalate per il compleanno.
Ma dargliele
significa ammettere che provava qualcosa per Hime, e Tatsuki, per la prima volta
in vita sua, aveva paura.
Aveva paura
che, esponendosi così, non sarebbe più stata in grado di proteggerla, come
faceva quando era piccola con quelli che le tiravano i capelli. Perché era come
se Hime avesse ormai chiesto a Ichigo di proteggerla, di essere lui il suo
principe azzurro.
E Tatsuki non
voleva scontrarsi con il suo amico d’infanzia, perché sapeva che non avrebbe
fatto differenza.
Hime veniva
prima di tutto.
E sentiva
che, se solo Hime avesse voluto, lei sarebbe stata ad aspettarla.
Si sentiva
come una porta che poteva essere aperta solo da lei. Una porta un po’ tarmata ma
ancora massiccia, con un mazzo di chiavi qualunque, quelle vecchie e consunte
fatte di ottone, ma che poteva tenere in mano solo lei.
Solo lei, con
la sua dolcezza, la sua goffaggine, il suo modo di pensare così fuori dalle
righe.
Proprio come
una porta non si sarebbe spostata, sarebbe rimasta lì ad aspettarla, lasciando
le chiavi nella toppa, pronte per essere girate. Con un tintinnio, un po’ sordo
per colpa delle chiavi vecchie, la porta si sarebbe aperta e poi…
E poi..?
Non lo sapeva
nemmeno lei ma, forse, lasciando che le cose scorressero libere come un placido
fiumicello, anche quel gomitolo di fili aggrovigliati che sentiva al posto del
petto sarebbe scomparso. Ogni filo sarebbe tornato al suo posto, lasciandola
libera di respirare, di sentire il proprio cuore battere senza niente a
contaminarlo.
Tatsuki andò
a dormire con la convinzione che il giorno dopo avrebbe dato il proprio regalo a
Orihime.
Le due
ragazze, l’una davanti all’altra, si guardavano, in silenzio.
O meglio, una
in realtà stava fissando un pacchetto che aveva tra le mani e che l’altra le
aveva appena consegnato. All’improvviso un sorriso si aprì sul suo volto e la
guardò con occhi sfavillanti.
-E’ un regalo
per il mio compleanno?
Tatsuki si
sforzò di sorridere, cercando di ignorare il cuore che sembrava volerle uscire
dal petto, riuscendoci anche abbastanza bene, visto che Hime non si accorse di
nulla. E più i minuti passavano e più Tatsuki, al posto di agitarsi, si calmava.
Era come se la presenza stessa di Orihime riuscisse a calmarla.
Il pacchetto
colorato fu scartato con impazienza e le due mollettine si mostrarono quasi
timidamente agli occhi della nuova proprietaria. Gli occhi della ragazza
brillavano di luce propria e, senza esitare, spostò una delle mollette a forma
di fiore che aveva sul lato sinistro su quello destro della testa. In questo
modo poté mettere le due piccole piume insieme a reggerle la frangia.
Poi corse ad
abbracciare Tatsuki, stringendosela contro più forte che poteva e lei non poté
che ricambiare l’abbraccio, troppo contenta di avere fra le braccia la sua
principessa, quella che avrebbe protetto a costo della sua stessa vita.
-Tsuki-chan,
sarai sempre il mio principe azzurro, lo sai?
Tatsuki prese
un profondo respiro, annusando l’odore di vaniglia che i capelli di Orihime
sembravano emanare naturalmente.
-E tu sarai
sempre la mia *Hime…
*Giocato sul
fatto che Hime sia il suo nome e voglia anche dire “principessa”.
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Giudizio
del giudice, Kuri-chan
1° classificato [con 44/50
punti]
Correttezza grammaticale [4.5/5 punti]
Un paio di imprecisioni non inficiano un uso molto buono della lingua. La
punteggiatura è utilizzata per costruire una narrazione dal ritmo piano, quasi
pacato, che però scava con attenzione all'interno delle parole dette,
arricchendole di significato.
Stile di narrazione [9.5/10 punti]
L'autrice costruisce uno stile che, pur basandosi su elementi molto semplici,
come ad esempio sequenze di coordinate, sa essere proprio per questa sua
caratteristica elegante e di ampio respiro, come suggerisce fin da subito la
suggestiva descrizione iniziale. Si ha una sensazione di estrema ariosità, di
leggerezza che non sminuisce affatto il significato delle parole, ma che fa
splendere le sequenze di immagini sotto un'atmosfera trasognata, come se il
tramonto iniziale gettasse la sua luce dorata su ogni cosa, anche sui flashback.
Personalmente ho trovato che questa delicatezza stilistica sia più forte nelle
parti narrate rispetto a quelle di dialogo, ma è anche vero che quest'ultime
sono poche, e rappresentano un aspetto di contorno rispetto all'attenta indagine
dei sentimenti di Tatsuki.
Originalità della storia [8.5/10 punti]
La storia verte principalmente sull'angoscia che la figura di Orihime, e di
conseguenza il loro rapporto, causa in Tatsuki, soprattutto in relazione al
fatto che lo sguardo della piccola principessa è rivolto altrove, cioè alla
figura di Ichigo. In molti dei prodotti di stampo yuri la figura del principe si
trova ad essere spesso il “terzo” dando così luogo a figure che hanno sempre una
patina di malinconia e tristezza. A questa caratteristica non sfugge neppure
Tatsuki, eppure nelle sue riflessioni c'è un desiderio di rivincita che preme,
disperatamente, per uscire, tanto che, in prossimità della chiusa, si ha come la
sensazione che non sarà impossibile, per la protagonista, esaudire i propri
sogni.
Originalità/Aderenza al fandom dei personaggi [8.5/10 punti]
Il personaggio di Tatsuki è molto ben caratterizzato, ricco di implicazioni non
solo emotive-personali, ma determinate soprattutto dall'insieme di relazioni
sociali che si diramano intorno a lei e che molto spesso è la parte meno
descritta (giustamente) per questo genere di personaggi di contorno. Tatsuki
esce da questa introspezione davvero come un personaggio a tutto tondo, ricca di
debolezze e di pregi che le consentono di descrivere la realtà che la circonda,
e soprattutto Orihime, con un sentimento che si propone al lettore senza indugi
e senza falsi pudori. L'autrice riesce a spogliare il personaggio gradualmente,
conducendola verso una confessione totale di sé, rendendo l'operazione di
introspezione realistica grazie alla capacità di abbassare l'occhio del
narratore universale allo stesso livello di quello di Tatsuki, trasformandolo da
semplice osservatore ad attento ascoltatore delle parole della ragazza.
Uso dei prompt del generatore [9/10 punti]
Davvero molto buono l'uso dei prompt, ramificato con attenzione all'interno del
racconto. Soprattutto l'elemento negativo e l'immagine diventano metafore che si
posizionano all'interno della narrazione con un forte significato per la
protagonista e che accompagnano la confessione dei suoi sentimenti, mentre
invece l'elemento positivo calza su Orihime a pennello, trasmettendo la
sensazione che questi elementi fossero stati pensati fin dal principio, molto
prima della loro attribuzione.
Gradimento personale [4.5/5 punti]
Davvero molto bella, emozionante, ricca di immagini che ritagliano le figure
quasi come se potessi vedere le scene di un anime scorrere di fronte a me. Mi
sono lasciata attirare dalla patina di malinconia che pervade ogni cosa, eppure
ho avuto la sensazione di non rimanere mai invischiata in qualcosa di
limaccioso: paradossalmente, l'autrice ha saputo creare una malinconia quasi
splendente, ricchissima di sfumature. Ho trovato molto belle anche le
descrizioni della vita di tutti i giorni di Tatsuki, che contribuiscono a
rendere la storia completa.
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