Scritta senza nessuno scopo di
lucro questa fan fiction nasce dalla delirante fantasia inconscia di
questa scrittrice. Buona lettura.
Pioveva,
il cielo era plumbeo, quasi nero. A Lenys sembrava che volesse
arrivare un tuono che avrebbe spazzato via tutto. Forse lo avrebbe
preferito all'affrontare una nuova, estenuante e lunghissima
giornata di lavoro.
Tirava
un vento forte e fastidioso, le foglie cadute dagli alberi urtavano
contro il suo zainetto, bagnandolo e macchiandolo qui e là
di piccoli schizzi di fango. Non aveva nemmeno con sè
l'ombrello. Non se lo portava mai dietro, dimenticava sempre tutto.
Aspettava
l'autobus lì tutte le mattine, ed erano settimane che
pioveva ininterrottamente, come se il cielo avesse sempre qualcosa per
cui piagnucolare di recente. Lenys amava la pioggia, ma non quella
settimana. Sì, perchè quella settimana faceva la
dog sitter, e fare la dog sitter a New York City, con una mandria di
cani dei quartieri alti, capricciosi, viziati, col pelo quasi
più curato e prufumato dei suoi stessi capelli, con quella
pioggia assillante e inopportuna, non era decisamente il massimo per i
suoi nervi. Lenys si riteneva una persona paziente infatti, tutti la ritenevano una
persona paziente. Non aveva molte cose per cui farsi venire un
esaurimento o qualcosa del genere. Ma quella mattina da quando aveva
messo i piedi a terra, era come se tutto volesse andare per il verso
sbagliato. Prima c'erano state le ciabatte morsicchiate dal topo della
sua adorabile coinquilina, poi le cialde della macchinetta per il
caffè misteriosamente scomparse, il frigo di una desolazione
disarmante, la borsa senza un soldo, la valvola scattata, e tanto per
chiudere in bellezza, la caldaia aveva esalato il suo ultimo respiro a
seguito di mesi di inutili spese di riparazione. Lenys
sospirò mentre rivangava il tutto distrattamente, con lo
sguardo perso lì sul ciglio della strada. L'autobus era in
ritardo. Eppure non ne era sorpresa. Pensò che era destino:
quella mattina avrebbe dovuto camminare per ben nove isolati per andare
a prendere i tre cuccioli di terranova di
Mrs.Clark.
"Perfetto!"
Sospirò mentalmente, si stiracchiò energicamente,
e una nuvoletta di vapore bianca e densa venne fuori dalle sue labbra
viola di freddo. "Almeno camminando potrò scaldarmi un
po'." Riflettè, come consolandosi.
New
York a quell'ora era già piena di passanti, c'era
lo stesso trambusto di sempre, quello che Lenys amava tanto. Un
perfetto connubio vitale di gente e macchine, di aria pulita dalla
pioggia e smog newyorkese. Fece la strada che ormai conosceva a
memoria, passò davanti al giornalaio, poi
attraversò la strada e si trovò di fronte il
negozio dove lavorava da un paio di mesi la sua migliore amica,
nonchè compagna di appartamento, Gigi. Si fermò
con respiro affannoso solo pochi isolati più in
là e si concesse un caffè veloce, nero e bollente
prima di bussare alla porta della 'deliziosa' signorina Mary Clark, che
alla bellezza di ottantatrè anni, non amava che circondarsi
di bestioline di taglia pericolosamente extra large come due Labrador,
tre Terranova, e un meraviglioso esemplare di Pastore Tedesco.
Fortunatamente
era stato deciso che Lenys ne portasse al massimo tre alla volta, onde
evitare che le bestioline decidessero di fare di lei un trastullo per
le loro corsette mattutine. E così quel giorno di
metà ottobre toccò alle tre nere e implacabili J;
Joe, Jan e Jack essere portati a spasso.
Quando
Lenys suonò il campanello si trovò a pensare che
stesse incubando una brutta influenza, visto che cominciava a sentire
un certo pizzicore alla gola. Ma la signora Clark mise fine a quel
vagare della sua testa, quando aprì la porta e la spinse
dentro con poca delicatezza.
"Entri
o si inzupperà tutta. Stia attenta al pavimento con quei
cosi, e restì lì. Arrivo subito."
Sbottò, con quel suo vocione da soldato. Lenys non si era
mai chiesta perchè Mary non si fosse sposata, la risposta
era implicita nel solo starla a guardare, con quei golfini verde
militare, il tuppo tirato, la camicia sterile e senza grinze.
Pensò che per 'quei
cosi' avesse
voluto alludere ai suoi stivali di pelle, (tra l'altro nuovi di zecca)
che le erano costati la bazzecola di novantasette dollari e cinquanta.
"Aspetto
qui." Rispose, sforzandosi di sorridere.
Mrs
Mary tornò in un baleno, i cani avevano già il
guinzaglio al collo, e scalpitavano ansiosi di mettere il naso fuori
casa. Lenys non era decisamente altrettanto ansiosa. Le servivano i
soldi, certo, e per quell'incarico veniva pagata bene, eppure c'era uno
strano presentimento in lei. Col tempo aveva imparato a fidarsi delle
sue sensazioni visto che quasi sempre ci prendeva in pieno. Eppure non
voleva pensare che quella che si preparava ad affrontare sarebbe stata
l'ennesima mattinata no. Cominciava a perdere colpi?
Quando
fu in strada, con i tre guinzagli in mano, ben stretti con la sua
ferrea presa, si disse che non era il caso di farla tanto lunga. I
lavori precari non le erano mai dispiaciuti granchè, le
piaceva rinnovarsi. Oh,
certo, deve piacermi per forza. Fece una smorfia,
scacciando via il solito pensiero. Sua madre non era contenta, la nonna
non era contenta, e nemmeno il padre, e le sue due sorelle, che per
quanto piccole e superficiali parevano sempre aver voce in capitolo.
Sempre più che rispetto a lei, comunque.
Avevo
detto di finirla con queste cose, o no?
Detestava
quando la voce della sua coscienza non le dava retta. I suoi pensieri
odiavano essere imbrigliati, e spesso Lenys si ritrovava in posti e
luoghi della sua mente che non avrebbe voluto esplorare. La si poteva
dire distratta, o stralunata. Forse lo era davvero, perchè i
suoi passi rapidi e agitati la portarono esattamente nel luogo in cui
preferiva pensare. C'erano poche persone, panche e odore di fango
bagnato, nel parco.
Se
proprio devo farlo almeno facciamolo stando sedute. Si disse. Jan, Joe e
Jack stavano buoni e fermi sotto la sua placida sorveglianza, giocavano
tra loro, non curanti dei suoi complicati pensieri di giovane essere
umano. Li accerzzò distrattamente, prima di prendere un
respiro profondo e rituffarsi nei suoi pensieri. Pioveva meno, e
così tolse il cappuccio e lasciò che il vento
accompagnasse quel veloce, silenzioso vagare.
"Non
è la vita che fa per te!" Aveva singhiozzato sua madre,
teatralmente.
"Qualunque
cosa è meglio che questo."
"Lasciamola
provare."
"Andrò
a stare da Gigi."
Ricordava
perfettamente l'espressione che travolse le espressioni dei suoi
genitori e della nonna a quelle parole. Gigi significava una cosa
sola: problemi.
Hanno
sempre giudicato le cose normali, problemi. Era convinta che
l'abitudine all'essere serviti e riveriti rendesse le persone pigre,
chiudesse le loro menti, e Lenys voleva caricarsi di problemi come una
qualunque ragazza normale della sua età. Diciassette anni
appena, e una valanaga insormontabile di sconvenienze era l'unica cosa
che l'avrebbe resa davvero felice. Pazza o meno che la si potesse
giudicare, due settimane dopo Lenys lasciò cadere gli
scatoloni sul pavimento della sua nuova casetta, quaranta metri quadri,
un solo bagno e un divano letto mordicchiato da un topo, con un
chilometrico sorriso. Certo dopo due anni di quella vita frenetica e
precaria cominciava a pensare di poter fare qualcosa di più,
poter vivere in un posto più decente, avere un lavoro serio.
Ma ogni volta che pensava a quel giorno, quando finalmente era
diventata libera, sorrideva e si convinceva di essere nel giusto.
Qualunque posto sarebbe stato migliore di quello che le era toccato in
sorte diciannove anni prima. Era felice nella sua casa piccola, con la
sua amica normale, nel suo quartiere normale.
Si
rimise in piedi, rincuorata e sollevata, tenendo ancora stretto quel
ricordo, e cominciò a camminare, tenendo un passo veloce e
stando attenta ad ogni movimento dei tre bestioni che portava con
sè.
C'era
tanto traffico, e doveva stare molto più attenta del solito
quando lavorava per la sicurezza dei cani. Così
rallentò, e solo quando fu sul marcia piede si
tranquillizzò. La casa di Mrs.Mary era vicina, e mancava
poco all'ora di pausa. Cominciava a sentire un certo
gorgoglìo nello stomaco, e capì di essere
affamata. Alzò lo sguardo, e si preparò a
svoltare l'angolo, distratta da una magnifica vetrina.
Rallentò il passo per mettersi ad osservare con
più attenzione. Quel cappotto aveva un cartellino
dorato talmente lucido e pulito (abbagliante, quasi) che non
riuscì a cogliere tutti gli zero del prezzo. Una cifra
esorbitante: soltanto una ragazzina molto ricca o molto stupida (o
entrambe le cose) avrebbe potuto permetterselo. A quel pensiero
sorrise. Ma ciò che vide nel riflesso della vetrina le
mozzò il respiro.
"Attenzione!"
Successe
tutto molto rapidamente, come nell'immediatezza di un
millesimo di secondo si rese conto di aver lasciato i guinzagli dei
cani, essersi precipitata lì a pochi metri fino al centro
dell'incrocio, afferrato quella giacca di pelle nera lucida, e
strattonato l'individuo dal braccio per lanciarlo letteralmente
dall'altro lato della strada, mentre la vettura gialla
rallentava bruscamente, ma non abbastanza da non prenderla in pieno.
Nello
stesso istante, in aria si librarono decine di scatole e buste
multicolore, firmate Prada e Dolce e Gabbana, e indumenti di varia
natura, una crinieria leoncina sferzò il vento per un
secondo prima che due gemiti di dolore insieme risuonassero nel
silenzio gravido di panico di tutta Fifth Avenue.
Note
dell'autrice: Questa storia è nata da un sogno, o per meglio
dire, la scena finale è tratta da un sogno che faccio
ricorrentemente, e dunque mi sono finalmente decisa a darle una
sembianza reale. E' la seconda Fan Fiction sui Tokio Hotel che scrivo,
e per l'ennesima volta li ringrazio per l'ispirazione che hanno fatto
sbocciare in me.
Ringrazio sin da ora chi
volesse lasciare un commentino, sono sempre graditissimi, e fanno bene
a chi scrive. ;-)
Dedico la Fan fiction intera a due delle persone che più mi
hanno fatto apprezzare la lettura, la scrittura e i Tokio Hotel stessi;
Pao e Mary. Senza di voi questo fandom non sarebbe lo stesso.
Spero che il prologo sia
piaciuto, e vi abbia intrigato abbastanza da continuare la lettura.
Baci a tutti ^^
Loryherm.
|