Vecchia di un anno, per le Streghe (e i
Vampiri e i Lupi Mannari, ma pfffffft, viva le streghe) dell'Anonima
Autori. è rimasta nel cassetto da allora perché
il finale mi
schifava anzichenò. Shame on me, l'ho rivisto solo oggi.
Amo la
mia Unara e spero ancora che venga illustrata dal destinatario, prima
o poi.
Inciso del filmato
iniziale, quando Wander sta scarrozzando la sua mortarella
verso
la fine del mondo per farla risorgere in barba a tabù, saggi
consigli et quant'altro. Per chi se lo stesse chiedendo [SPOILER DI PULCINELLA]
sì,
finirà in tragedia [/SPOILER].
L'idea che non fosse così complesso
cacciare una strega in un'Era e continuare così allegramente
il
filone Myst, allora ai suoi beati inizi, mi ha colpita una frazione
dopo questa trama che, maledetta lei, m'è pure piaciuta.
Tanto.
Così...
Wander e la strega
Sempre
al
mio Wander. La via prosegue senza fine...
La
strega si contrappone alla fiamma del dovere, all'attimo presente
nella totalità del tempo,
trattiene
il viaggiatore lontano dalla patria, stende su di lui l'oblio.
(Simone
de Beauvoir, Le Deuxième
Sexe,
spudoratamente presa di
peso e fuori contesto)
La linea scura del
bosco tagliava il mondo in due. Sotto, la terra gialla e incolta in
cui una rete di sentieri si snodava invisibile. Sopra, un cielo
spento, giallo e piatto, gelato dal vento dell'autunno.
Wander la stava
inseguendo da ore, unico punto di riferimento all'orizzonte,
accompagnato solo dallo zoccolare ritmico di Agro col suo passo ormai
familiarmente scomodo. Notò avvicinandosi che gli alberi
seguivano
una linea precisa, il limitare di una strada, quasi fossero stati
piantati a bella posta da un gigantesco giardiniere stanco della
monotonia delle sue terre. Era un'idea nuova nel mezzo della
desolazione e, a modo suo, simpatica: Wander la accolse con piacere,
come aveva e avrebbe fatto per altre distrazioni, sufficientemente
piccole da non sviarlo dalla meta, sufficientemente forti da
sorreggerlo.
Solo un vecchio
tronco ricoperto di muschio rompeva le righe, segnando un quadrivio.
La via stretta percorsa da Wander si perdeva nel bosco; quella che la
incrociava, confine degli alberi, portava ancora i segni di un tempo
in cui quelle terre vicine al confine del mondo erano popolate. La
seguì con lo sguardo verso sud, fino all'orizzonte.
Vicino al crocevia
Agro sbuffò, portò indietro le orecchie e si
fermò di colpo,
sbilanciando il suo cavaliere. Quando le loro opinioni differivano,
tentare di imporsi sull'enorme morello era una lotta senza speranza e
Wander ne era da tempo cosciente: per scrupolo, scese di sella e
controllò gli zoccoli e il sottopancia, senza capire cosa
avesse
irritato il compagno. Lo fissò sconsolato e venne ricambiato
da un
nitrito sommesso.
“Salute,
viaggiatore.”
Wander portò la
mano vicino all'elsa della spada. Quello che da lontano poteva
sembrare un tronco era in realtà una donna china, avvolta in
un
mantello pesante dall'aspetto di muschio. Si era voltata per
salutarlo, rivelandosi alta, con la pelle scura e grinzosa come il
legno, gli occhi marroni, sottili e attenti. Una corona di rami
intrecciati le tratteneva i capelli, castani e stopposi,
così che
era difficile dire dove finisse l'una e iniziassero gli altri. Da
sotto il mantello spiccava un tabarro, lungo fino ai piedi secondo un
uso che presso la gente di Wander si era perso da generazioni. C'era
molto nero nei suoi simboli, più di quanto fosse accettabile
per una
donna, e gli intrecci si contorcevano in messaggi che il giovane
viaggiatore non era in grado di decifrare.
“Salute”,
rispose, la mano cautamente sul pomo.
“La strada è
lunga e la sera si avvicina. Che anima audace si attarda sulla
via?”
“Un
viaggiatore.” Che sarebbe saltato in sella e ripartito, se
solo
Agro gliel'avesse permesso, perché la strada era davvero
lunga e l'avvicinarsi della sera non aveva peso per un giovane
temerario che aveva già dato addio all'ultimo tetto. Solo la
meta
contava, e il riposo necessario a sostenere il viaggio.
La donna lo
osservava, in attesa. Fece un passo in avanti, l'unico movimento che
le avesse visto compiere da quando si era alzata: la stoffa rigida
che la ricopriva nascondeva braccia e gambe e le dava l'aria di aver
messo radici nel terreno.
“Hai una stalla
e un giaciglio da offrirci?”, si sentì dire d'un
tratto e tutto
quello che importava era la stanchezza del tanto cavalcare. Braccia e
gambe dolevano e lo stomaco reclamava un pasto caldo che mancava da
troppi giorni.
Lei annuì con un
sorriso soddisfatto e si incamminò; Agro non si oppose. Per
Wander,
sul momento la cosa più sensata da fare sembrò
seguirli, non a
sinistra dove avrebbe dovuto svoltare ma dritto, in mezzo alla fitta
vegetazione, e prima che il suo istinto si ribellasse erano ben
addentro al bosco, seguendo un sentiero tenue come quelli della
pianura reso più ingannevole dal susseguirsi identico degli
alberi.
Camminare dietro a
loro era rassicurante, piacevole, facile.
“Mi chiamano
Unara del Castagno.”
“Chi ti
chiama?”, chiese, perché non riusciva a immaginare
quei boschi
abitati da altri che non fossero spettri.
Lei tacque.
“Il mio nome è
Wander.”
“Sei ardito a
rivelarlo così.”
“Non mi appartiene più: vi ho giurato.”
“Allora sei
cortese.”
Tacque lui.
“Gli alberi.”
“Cos'hanno?”
“Quelli fuori”,
precisò esitando. Gli sembrava di essere entrato in un altro
mondo.
“Chi li ha ordinati?”
“Loro stessi”, rispose lei ridendo piano, un suono
dolce che
contrastava con la sua aspra parlata del Sud. “Non amano la
strada,
temono i pericoli che essa porta con sé.”
“Pensavo fosse il
contrario.”
“Fidati del giudizio di un albero, giovane Wander.
Di rado ne troverai uno più assennato.”
Nel silenzio
prolungato che seguì, Wander si sentì sul punto
di risvegliarsi da
un sogno verde. La magia che l'aveva legato si stava allentando e
poteva nuovamente pensare – abbastanza, almeno, da essere
certo che
quella che aveva guidato la sua voce e i suoi passi fosse magia e la
strana donna che lo guidava, che conosceva il volere degli alberi e i
pericoli di un nome, una strega. Sarebbe dovuto fuggire. Ma una parte
di quell'incanto si era annidata nel suo cuore e tratteneva con forza
l'idea del riposo.
“Cosa mi hai
fatto?”
“Ho parlato alla
tua stanchezza ed essa ha parlato per te. Non ho il potere di
trattenere un uomo”, gli rispose, “resterai solo
per stanotte, a
meno che tu non desideri altrimenti.”
Wander si girò
verso l'involto che Agro portava in sella e gli rivolse uno sguardo
di scusa.
“Va bene.”
Solo un giorno,
Mono,
pregò. Puoi
aspettare un giorno di più?
“Siamo arrivati”, annunciò Unara
guadando un ruscello.
L'acqua fredda riscosse Wander dai pensieri cui si era abbandonato,
di cui la sua guida era invariabilmente protagonista. D'istinto gli
piaceva quella donna, coi suoi silenzi e i suoi gesti invisibili: gli
ricordava sua madre, se solo sua madre fosse stata un albero. E non
gli aveva proprio detto, molti passi addietro, di fidarsi delle
piante? Certo sembrava un consiglio sensato, aveva riflettuto
rabbuiandosi, quando tutto quello che gli uomini sembrano saper fare
è parlare di maledizioni e destini segnati.
La sua magia, però, lo spaventava. Un potere diverso da
quello con
cui era cresciuto, che era fatto di formule e preghiere familiari:
Unara aveva smosso un ciottolo per provocare una valanga e tutto, in
quelle terre, era connesso e parte di un grande incantesimo, un mondo
di simboli cui Wander non aveva mai aperto gli occhi. Le storie
insegnavano a temere le streghe. Restò in guardia.
Con questo pensiero ancora fresco in mente vide, ma non comprese, la
radura che si stendeva di fronte a loro. Il prato era punteggiato di
grosse pietre spezzate, più di una dozzina, poggiate su un
terriccio
ancora fresco. Gli ricordò un luogo di sepoltura. All'altro
estremo
la casa, la loro meta. L'edera la ricopriva tutta tranne che per una
chiazza di tetto dalle tegole imbrunite e due finestrelle buie. Al
suo fianco, una stalla che non avrebbe potuto ospitare più
di due o
tre animali.
Seguirono docilmente Unara fino alla stalla, che si rivelò
ordinata
e accogliente. Wander fu sopraffatto da un odore di fieno che gli
ricordava casa; sotto lo sguardo della strega liberò Agro
dal suo
carico e poi da sella e finimenti, soffermandosi dolcemente sul primo
per tutto il tempo che poté concedersi senza sembrare
sospetto.
Salutò Mono in silenzio, come aveva imparato; con Agro
poté essere
più libero. Dopo una necessaria strigliata, si
alzò in punta di
piedi per grattare le orecchie del suo compagno di viaggio, allo
stesso tempo ringraziandolo e incolpandolo per il susseguirsi di
eventi che li aveva portati fin lì. Con un'ultima occhiata a
entrambi, fu pronto ad uscire.
“Non con quella”, lo ammonì Unara, che
era rimasta immobile
sull'uscio. “La morte non ti seguirà nella mia
casa.”
Wander la guardò torvo. Aveva temuto per tutto il tempo
domande sul
suo bagaglio ed era trasalito a quell'affermazione; solo poi si era
reso conto che l'oggetto del divieto – il simbolo
più ovvio –
era la sua spada e abbandonarla lo faceva sentire ugualmente
insicuro. Cercò di rispondere, ma si trovò presto
ad allentare il
fodero e riporlo a fianco di Mono.
“Non hai di che temere”, lo rassicurò,
circondandolo di parole
calme e vincendo con quelle le sue paure. “Vieni.”
Di nuovo Unara si fermò sulla soglia, mentre Wander entrava
in casa
e si stupiva di trovarla buia e fredda, ai suoi occhi più
morta
della lama da cui si era separato.
“Non mi segui?”
“Riposa, viaggiatore. Ti seguirò. Ora, altri
richiedono la mia
presenza.”
“Altri?”
“Giovani alberi che non resisteranno al gelo, frutti caduti
su
terreno arido. Concedo loro il riposo”, rispose con un
sorriso
enigmatico, e non c'era dubbio che quel dono fosse eterno. Se ne
andò, con lo strascico della veste che raccoglieva paglia e
foglie
secche.
Wander la osservò mentre si allontanava nel bosco,
confondendosi con
la vegetazione. Fu tentato di tornare da Agro, sellarlo e fuggire.
Restò immobile.
Solo per un
giorno, Mono.
La luce filtrata dalle finestre toccava gli oggetti della sala dando
loro contorni indistinti, che sotto lo sguardo di Wander si
ricombinavano in figure spettrali.
“Va bene”, aveva detto. Le sue parole pesavano come
catene.
Aveva freddo e Unara non tornava.
Vide un camino pulito, degli sterpi e un ceppo nuovo – accese
il
fuoco. Il tepore gli entrò nelle ossa assieme alla memoria
di giorni
più lieti: se ci fosse stata Mono al suo fianco, se avessero
davvero
viaggiato insieme fino a quei luoghi sperduti, si sarebbero potuti
fermare più a lungo di un giorno, se la saggezza della sua
compagna
l'avesse ritenuto appropriato. Forse avrebbe detto che potevano
fidarsi della strega. Allora avrebbero tenuto vivo il suo fuoco e
condiviso i suoi silenzi. Rimpianse di essere giunto lì per
un
viaggio infausto e comunque di essere troppo incolto (e incauto, e
altre parole che non conosceva) per comprendere la situazione,
restando teso fra il giuramento che lo guidava, il naturale timore e
una fiducia istintiva che poteva essere o non essere suggerita da una
malia. Mono avrebbe capito. L'avrebbe guidato.
Combatté le lacrime. Ricordarla, immaginarla lì
era l'unico modo
che aveva per tenerla in vita.
Ancora per poco.
Aveva fame e Unara non tornava.
Il fuoco aveva tinto la stanza di altra vita: pentole, erbe e rami
erano appesi alle pareti, dipinte con numerosi simboli. Gli stessi
motivi si ripetevano sul pavimento in legno, mentre mensole e tavoli
traboccavano di oggetti che avevano forse nella sacralità la
loro
unica base comune: vasi, maschere, pugnali, sacchetti di semi
colorati, oli, stoffe ricamate, piume. Dei tasselli di legno inciso
erano sparsi su un pagliericcio in un angolo.
Al centro della sala spiccava una tavola imbandita e apparecchiata
per due. Wander si sedette, studiando le ciotole di spezie e i
recipienti ineguali che contenevano minestre fredde, formaggi e
frutta secca. Una forma di pane scuro e profumato troneggiava su
quell'abbondanza, adagiata in un letto della sua stessa farina.
Wander sentì una morsa allo stomaco.
Prese il pane e lo spezzò in due, servendosi della
metà più
piccola come cortesia comandava e riponendo il resto.
“Mi aspettavi?”, chiese quando la vide rientrare,
china e tirata,
avvolta nel mantello.
“No. Preparo ogni giorno, sperando in un ospite.”
Si sedette al
tavolo e servì entrambi di una birra chiara. “Sono
Unara del
Castagno. Così onoro l'origine del mio nome, che offre
nutrimento ai
viandanti in inverno.”
“È anche un frutto di morte, offerta ai defunti.
Le storie
insegnano a temere chi tratta con l'aldilà.”
“Sei bene istruito, per essere un cacciatore”,
rispose piccata. E
le storie esigono rispetto, ma sarebbero state parole
inutili: lo
sapevano entrambi.
“Ho avuto una buona maestra.”
“E tu menti”, ribatté poi, calmo.
“Lo sapevi, dato che sei una
strega.”
“Sì.”
“Perché?”
“Gli uomini non mi volevano. Un giorno ho deciso che non li
volevo
neanch'io.” Prese una manciata di castagne da una ciotola e
se le
rigirò in mano, pensierosa, come cercando parole adatte.
Penso di capire, stava per rispondere Wander.
“Sono uscita da un destino maledetto”, lo
precedette lei
guardandolo negli occhi.
La risposta gli
morì in gola.
Non si ribellò
quando, prima di alzarsi, gli chiuse il palmo attorno a quelle stesse
castagne. Né le impedì di segnargli la fronte con
un olio nero e
maleodorante.
“Per
protezione”, disse. “Sangue contro il
sangue.”
“Sangue...?”
Non ricevette
risposta.
Unara gli mostrò
una scala a pioli che portava in soffitta e non si sorprese di
trovarvi il suo giaciglio già pronto, incastrato in uno
spazio
rubato a stoffe, legna e altri oggetti che al buio non riconobbe.
Con addosso la
stanchezza di giorni di viaggio nelle terre selvagge, ci si
gettò
senza eleganza. Era però troppo inquieto per abbandonarsi al
sonno:
mentre lasciava che la stanchezza defluisse e si imprimeva a fuoco
ogni sensazione di calore e protezione, con l'udito cercava qualunque
indizio sui movimenti della strega.
Sangue contro
il sangue.
La
sentì parlare, ma non riconobbe la lingua. Rumore d'ossa.
Qualcosa
bolliva. Era pronto a scattare se appena avesse sentito un gradino
cigolare o la porta aprirsi, ma Unara non sembrava interessata a lui
né alla stalla coi suoi preziosi occupanti. Wander chiuse
gli occhi.
Si trovò nel mezzo di un'ampia vallata, in un cerchio di
ombre.
Quelle si accalcavano su di una superficie invisibile, non riuscendo
ad oltrepassarne il perimetro, mentre Wander le osservava sgomento
dal suo interno. Lo cercavano.
Iniziarono ad arrampicarsi l'una sull'altra nel tentativo di
raggiungerlo, ma ancora la sua protezione resisteva, anche se
sembrava fatta solo di aria fina. La vista della valle fu presto
coperta dal muro d'ombra che cresceva, ingoiando i boschi, le vette,
il cielo, soffocandolo in una cupola perfetta... poi il legno
scacciò
le ombre, o le ombre divennero legno, divennero rami e non era
più
notte. Dal nuovo groviglio filtrava un sole caldo.
Wander sentì distintamente un ciottolo smuoversi dentro di
sé.
Si arrampicò con tutte le sue forze verso l'ultima apertura,
stretta, sempre più stretta...
Wander aprì gli occhi. Era a letto. Gambe e braccia pesavano
come
dopo un giorno di fatiche e non riusciva a pensare con chiarezza,
perso in un turbinare di ombre e legno. Da qualche parte al piano di
sotto, Unara cantilenava nella sua strana lingua. Non aveva forze per
combattere e ritrovare se stesso in quella confusione, così
ebbe
l'impressione di cadere a pezzi e confondersi nel buio.
Resterai solo
per stanotte, a meno che tu non desideri altrimenti.
Cosa desiderava?
Strizzò gli
occhi, li riaprì e immaginò di vedere una figura
bianca abbagliante
ai suoi piedi: il suo desiderio. Se avesse permesso alla magia di
sopraffarlo era certo che non l'avrebbe più rivista. Non era
però
un incantatore e poteva contrastarla solo col suo corpo: lentamente,
un muscolo alla volta, lottando contro un'enorme pressione si
alzò.
Si trascinò a
forza nella casa vuota, giù dalle scale e fino alla soglia,
compiendo ogni passo come se fosse lo sforzo supremo. La sala era
tornata buia e spettrale, ora riempita dai fantasmi cui stava
sfuggendo: una fila di spettri benigni, perché non c'era del
male in
quella casa, solo radici troppo profonde. Ombre di
possibilità che
lo vedevano dimentico del suo giuramento, privo della sua
volontà
più profonda, al sicuro e in pace sotto la protezione della
strega
del Castagno.
Seguì il suo
ricordo bianco. Per Wander, l'unica serenità era al suo
fianco.
Ringraziò il
Passaggio che la porta incarnava e che in un momento di
lucidità
riconobbe come un simbolo antico e potente di rottura, una protezione
affine all'acqua corrente del ruscello. Fuori da essa, il legame era
debole. Corse verso la stalla e respirò veramente solo dopo
essersi
accertato che Mono era ancora lì, come l'aveva lasciata, al
sicuro
avvolta nella stoffa grigia e assieme a lei il suo nome, le sue
speranze, tutto il suo futuro. Per Wander, l'unica vita era al suo
fianco.
Impugnò infine la
spada sacra, la tenne alta sopra la testa e ci si specchiò,
in cerca
di chiarezza. L'incanto gli cadde di dosso come un mantello. Libero
di agire e senza cedere alla paura né perdersi in
riflessioni, sellò
in tutta fretta Agro e gli buttò in groppa i suoi pochi
averi prima
di fuggire verso il bosco a un trotto sostenuto.
Non si voltò
indietro. Superò le rocce spaccate con un'angoscia che aveva
poco a
che fare col pericolo cui era appena scampato, ma nell'impeto del
momento non li distinse. La fronte gli pulsava. Aumentò
l'andatura e
si chiuse a ogni pensiero salvo uno: Mono. Quell'unico
che lo accompagnò fino alla fine.
***
“Era mio ed era
salvo. Senza la protezione dell'ospitalità, legato alla casa
dal
ceppo nuovo acceso, legato a me dal pane spezzato. L'ho condotto
sulla mia strada e sui miei simboli. Eppure ho combattuto contro un
semplice giuramento e ho perso.” Dispersa la rabbia fra le
fronde,
Unara era cupa e appassita di fronte alla sconfitta del suo gesto
gentile.
“Avrei dovuto
imparare dalle storie. Ma ho tentato ugualmente di scacciare l'ombra
di pietra che grava su di lui. Sono stata sciocca? Non avrei dovuto
tentare?” Gli alberi fremettero.
Lei si appoggiò
ad un pioppo.“No, non era solo un giuramento. C'era il
Giovane, la
Dama, la Strega. Avrei dovuto imparare dalle storie, avrei... la
verità è che ho combattuto contro il
più puro Amore e ho perso,
vero? E non c'è mai stata battaglia più futile. A
cosa gli è
servito cavalcare una storia che nemmeno conosce?”,
lamentò
sottovoce, mentre una foglia impigliata sui suoi rami proseguiva il
suo volo verso terra. “La strega è battuta,
l'ordine ristablito.
Ma ho già scorto il loro destino. Il mondo degli uomini
venera una
condanna.”
Gli alberi la
chiamavano Unara del Castagno, la Madre del Bosco. Passeggiò
a lungo
finché la stanchezza non la trattenne, offrendo loro il suo
freddo
amore fedele di strega che non conosceva sacrifici.
***
Indicò la strada
a sei viaggiatori, cercavano un fuggitivo su un cavallo nero.
Passarono i giorni e li vide tornare, ed erano ancora sei, e la sua
tristezza si perse nel fruscio delle foglie d'autunno.
“Parlami di
lui”, chiese alla loro guida e restarono in silenzio,
dolenti, fino
al calare del sole.
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