Era da quella notte che vagavo.
Avevo visto mia madre piangere la morte di un figlio, i miei fratelli
abbattuti, contriti, e non seppi resistere a tutto quel dolore. Me ne
andai.
Da quella notte non volli più tornare nei luoghi che tanto
mi ricordavano la vita di prima, ma una domanda non mi abbandonava mai:
perché? Perché non ero riuscito ad andare avanti?
Cosa mi aveva trattenuto dal continuare sulla mia strada?
Più mi porgevo questa domanda, più l'istinto mi
dirigeva verso casa, più il mio cuore si rifiutava di
tornarci.
Sapevo che il mio vagabondare era forzato, quasi volontario, frutto di
un'ostinazione che tenevo stretta. Ero io che mi costringevo a restare
lontano alla soluzione dei miei problemi.
Avevo già visto susseguirsi tre primavere da quella notte.
Questa, che già si apprestava a verdeggiare sui rami degli
alberi, non sembrava poi tanto diversa dalle altre. Ma fu la stagione
della svolta.
Una mattina in cui i raggi del sole, ancora delicati, inondavano l'aria
frizzante della brezza mattutina, mi ritrovai ad errare nella verde
campagna inglese; senza accorgermene, sempre assillato dalle mie
domande, me la ritrovai dinnanzi: la Tana.
Poco era cambiato, quasi nulla. Solo il prato era più
curato.
L'emozione era diventata un fiume in piena che mi travolgeva, sentivo
ancora la voglia di fuggire, ma l'istinto mi portò ad
avvicinarmi a quel luogo a me tanto caro.
Doveva essere abbastanza presto: non si sentiva il solito cicaleccio di
voci che ricordavo o forse, amaramente pensai, era passato
così tanto tempo che tutti erano tanto cresciuti da
diventare persone pacate e tutt'altro che chiassose?
Un fruscio mi portò sul retro della casa, la mia amata casa.
Un lenzuolo steso sul filo che attraversava tutto l'orto ed una figura
snella che, dietro di esso, muoveva veloce le mani per togliere ogni
piega dalla stoffa che il sole doveva asciugare.
Era lei. L'avrei riconosciuta tra mille, tra un milione, un miliardo di
donne. Anche dopo anni, anche dopo secoli.
Guardavo la sua ombra disegnata sul candido drappo, non riuscivo
più a pensare nulla, ero svuotato da ogni domanda, da ogni
dolore, nei miei occhi solo lei, la sua essenza: Angelina.
Mi ripresi dal torpore di cui mi sentivo in balia solo quando sentii la
porta alle mie spalle annunciare, stridendo, l'arrivo di qualcuno.
Uno sguardo identico al mio, solo qualche anno più vecchio,
sorrideva alla stessa ombra per cui mi ero perso da pochi istanti, ma
anche da una vita.
Non mi vide.
Era stata una mia scelta non farmi vedere. Avevo potuto scegliere, e
quella era stata la mia decisione. Ed in quell'attimo fui contento di
averlo fatto.
Mio fratello mi sorpassò, con passi lenti e morbidi. Sul suo
volto era impresso un sorriso dolce che gli rendeva il viso limpido
come quello di un bambino, un viso che neppure l'assenza dell'orecchio
aveva deturpato.
Raggiunse il lenzuolo, i cui lembi cominciavano a danzare mossi dal
venticello primaverile, allungò una mano e, senza scostare
la stoffa, andò ad incontrare quella della mia dolce
Angelina che, dal lato opposto della sottile barriera, sfiorava la
sagoma delle dita di mio fratello.
Avrei dovuto sentirmi oltraggiato, geloso, tradito: la ragazza che
avevo sempre amato si rivolgeva a mio fratello con un sentimento
così profondo in quel gesto semplice, e lui traboccava di
altrettanto calore.
Sul viso di lui gioia e tenerezza, nel gesto di lei fiducia e
trasporto.
Era questa la felicità che mi era stata negata? Era per
vedere questo che non avevo potuto passare oltre quella maledetta
notte? Era perché già immaginavo a cosa sarei
andato incontro che ho voluto scontare il mio errare lontano da quei
luoghi in cui non avrei potuto sottrarmi dal comprendere?
Sì.
E no.
Sì: avevo già iniziato a percepire i sentimenti
di George per Angelina, avevo capito che c'era qualcosa di profondo che
li legava, li avevo consciamente tenuti separati solo con la mia
presenza, perché sapevo, speravo, che avessero avuto
scrupolo ad avvicinarsi, quando avevo già esternato
più volte i miei sentimenti per lei, anche se lo avevo
sempre fatto con la copertura della scherzo, ma loro mi conoscevano e
mi volevano troppo bene, entrambi, per causarmi qualsiasi tipo di
sofferenza, e così non si erano mai dichiarati.
No: avevo compreso che il mio mancato passaggio all'aldilà
non era dovuto a qualche Entità Superiore che volesse
punirmi mostrandomi quello che era sempre stato il mio incubo in vita.
Avrei dovuto sentirmi oltraggiato, geloso, tradito. Non era
così.
Ero commosso, sereno, mi sentivo completo.
Avevo capito, ora avrei potuto andarmene.
Mentre la Luce si stava facendo strada in me, donandomi una sensazione
di immensa pace ed infinita serenità, udii ancora la voce
della creatura più meravigliosa che avesse mai posato un
passo sulla Terra:
- George, secondo te, lui non si sentirà triste, per noi,
non si sentirà tradito? -
- No Angelina, so che non è così. Fino ad ora non
avrei potuto risponderti con questa sicurezza, ma, chiamalo il sesto
senso dei gemelli, io adesso sono sicuro che Fred abbia accettato
quello che noi proviamo e che, se fosse qui, ci darebbe la sua
benedizione -
Guardai George voltarsi verso di me. Non avrebbe dovuto vedermi, ma
chiamiamolo il sesto senso dei gemelli, almeno di quelli Weasley,
sentii che era proprio a me che sorrideva, allora un ghignetto mi si
dipinse in volto, dopo anni, e gliela diedi la mia benedizione, con una
strizzatina di occhio.
- Sai, penso che ce l'abbia data... -
- Cosa? -
- La sua benedizione... adesso... -
Angelina sbucò da dietro il lenzuolo, con uno sguardo
indagatore scrutò nel vuoto, verso il punto in cui mi stavo
riempiendo di Luce, segno che stavo per raggiungere il mio posto.
- George, non prendermi per pazza, ma stavolta penso di doverti dare
ragione. -
Abbandonai la terra dei vivi con una pienezza che non avevo mai provato
e la consapevolezza che esisteva un legame speciale, che trascendeva la
morte, con le due persone che amavo di più al mondo.
L'intromissione
dell'autrice...
Deve essere un segno: 1000 parole giuste giuste (almeno secondo il
contatore di Word)!
Quindi, dopo questa comunicazione celeste non mi
rammaricherò più se, invece di aggiornare "Il
bottino", ho postato questo malinconico scorcio di Fred (quello
trapassato, perché quello vivo malinconico non ce lo vedo
proprio), che segna sicuramente delle novità per me:
a) una fic che non contenga Ron/Hermione;
b) una fic totalmente malinconica;
c) una fic quasi totalmente introspettiva.
Mi sarò evoluta? Mah... come i digimon... gattoridens
digievolve... in che digievolvo? Gatomon c'è
già...
D'altra parte, ho avuto anche una conferma ad una certa teoria che
avevo: trovo ispirazione nelle cose più assurde e comuni,
nei momenti più assurdi e comuni. In tal caso, mi ritrovavo
ad aggirarmi per il bagno per apprestarmi ad arginare il problema della
crisi idrica mondiale (...), quando il mio occhio cadde sullo stendino
che, colmo di maglie, troneggiava nella vasca da bagno, così
pensai che lì non avrei mai potuto mettere ad asciugare un
lenzuolo, visto il minimo spazio disponibile tra filo e fondo della
vasca, ed allora immaginai il freddo alle mani per andare a stendere il
suddetto lenzuolo in giardino, sognando, con languida malinconia, il
ritorno di climi più miti, così mi ritrovai a
contemplare nei miei ricordi un'immagine del mio manga preferito dove
la protagonista stava stendendo i panni... e poi succedeva una cosa
romanticissima... e a quel punto... puff! La fic con il fantasma,
invisibile, di Fred che contemplava Angelina si è fatta
strada così prepotentemente che, seppur abbia tentato con
tutte le mie forze di scacciarla momentaneamente da un paio di giorni,
in favore dell'aggiornamento dell'altra fic, non ce l'ho fatta a
resistere ed ho dovuto scriverla...
So che tutto ciò importa a ben pochi (tra cui io, che non
valgo nel conteggio), ma che ci volete fare... sono fatta
così: voglio condividere con voi anche queste cose.
Festeggiando gli 11 anni di patente, saluto tutti!
Un bacio,
Elisa
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