Prima di
iniziare, una premessa doverosa.
Avete letto bene i personaggi? Esatto, c'è scritto
"sorpresa", il che significa che se rimanete delusi perché
non c'era il vostro personaggio preferito o quello che vi aspettavate
sono affari puramente vostri. Una sorpresa è una sorpresa,
insomma u.u
In secundis, questa storia è stata scritta per il prompt Auto volante della tabella Seven for Side sui mezzi di trasporto magici, in collaborazione con Lady of Lorien e Calliope.
Detto questo, un grazie grande come un Ungaro Spinato -aculei compresi-
a whateverhappened che
ormai è la beta di fiducissima della sottoscritta e che si
è sobbarcata anche questa volta il grosso lavoro di
correzione e accendiamo i motori.
Si parte!
Disclaimer: I personaggi e gli elementi creati da J.K. Rowling presenti in questa fanfiction sono suoi e solamente suoi, il resto della storia è tutto una mia invenzione. Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
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Capitolo I
Da qualche parte in
Scozia, 15 agosto
Il motore ruggiva come una Manticora affamata in gabbia.
Le gambe gli formicolavano e vampate di adrenalina gli risalivano
violentemente lungo la spina dorsale.
Era pronto.
La sua testa era svuotata di tutto, concentrata solo sullo strapiombo
che si apriva davanti a lui.
Laggiù, in fondo a duecento metri di vuoto, c’era
la foresta, una macchia di nero assoluto in quella buia notte di
tempesta.
In quel trionfo di tenebre persino i fanali delle auto in linea
sull’orlo del precipizio sembravano inglobati
nell’oscurità.
«Ehi, tu!»
Si voltò e vide un uomo che gli faceva gesti fuori dal
finestrino. Lo abbassò di una spanna.
«Che c’è?»
«Metà dei concorrenti si è ritirata. Ti
consiglio di fare lo stesso, se domani non vuoi ritrovarti in una
corsia del San Mungo con la testa aperta in due. Non si vede a un Lumos di
distanza.»
Lui si limitò a piegare la bocca in un ghigno.
«Non temere, se succedesse ti farei avere una cartolina via
gufo da Londra.»
L’uomo alzò gli occhi al cielo e
borbottò qualcosa, quindi si ritrasse e si
allontanò dalle auto di dieci passi. «Molto
bene!» ruggì dunque, la voce amplificata da un
Incanto Sonorus. «Siete ancora in quattro concorrenti in
gara, e le condizioni del tempo non accennano a migliorare. Ma chi
c’è, c’è, e ormai non
può più tirarsi indietro. Siete pronti?»
Lui seguì l’esempio delle altre tre auto in gara e
schiacciò il clacson per dare il suo assenso.
«Perfetto! E allora… tre, due, uno…
VIA!»
Mollò il freno tutto d’un colpo, e la macchina
scattò in avanti, dritta giù dal dirupo. Vide il
mondo inclinarsi di novanta gradi e la linea del precipizio assumere
un’apparenza orizzontale.
Stava precipitando.
La macchia nero inchiostro degli alberi di sotto si avvicinava
rapidamente. Molto rapidamente.
Sapeva perfettamente cosa doveva fare: serrò il volante in
una mano e premette con decisione un pulsante che recitava “Volo” sul
cruscotto.
La discesa rallentò, ma era ancora troppo veloce.
E non sarebbe stato certo lui a frenarla.
Pigiò l’acceleratore, e l’auto si
lanciò con un cigolio sinistro tra le fronde degli alberi,
raddrizzandosi di botto.
Il contraccolpo non lo prese di sorpresa: era abituato alla sua
antiquata Golf Cabrio e alle sue brusche riprese di quota; erano il
segreto che l’aveva portato, in quei quattro anni, in vetta
alle scommesse di corse clandestine di auto volanti babbane incantate.
E anche in cima alla lista delle persone sgradite al Ministero.
Uno schianto a pochi metri da lui lo informò che uno degli
altri concorrenti si era abbattuto contro un albero.
Meno uno, pensò soddisfatto.
Poi non pensò più, e rivolse occhi, sensi e mente
al labirinto di rami e tronchi davanti a lui. Niente di problematico:
ne aveva viste di peggio, giocando a Quidditch. Sebbene a Quidditch non
fosse mai stato assalito dalla sensazione di brivido e di esaltazione
che lo invadeva durante le corse di auto; era la sensazione del
rischio, la sensazione del proibito; e, Merlino!, quanto la
amava.
Poi accadde qualcosa.
Un lampo rosso in mezzo ai rami alla sua sinistra.
Si arrischiò a distogliere lo sguardo per mezzo secondo
dalla strada e li vide: uomini, molti uomini a cavallo di scope; e
avevano mantelli neri ben riconoscibili.
Dannazione.
Virò all’improvviso a destra e si gettò
in una macchia di abeti sperando di seminarli; spense i fanali: non ci
avrebbe visto nulla, ma almeno non si sarebbe fatto individuare da
decine di metri di distanza.
Auror.
Dovevano aver scoperto la corsa clandestina. Chissà chi
aveva fatto loro la soffiata.
Sbuffò, poi sogghignò di nuovo. Ora vediamo quanto siete bravi
su quelle scope da quattro soldi.
Si appiattì ancora di più al terreno,
rallentando, e premette il pulsante
dell’invisibilità. Ora volava rasoterra,
lentamente, guardandosi intorno circospetto.
Nessuno.
Forse li aveva…
Non finì di pensare che un lampo rosso saettò nel
buio della foresta e il finestrino posteriore dell’auto
s’infranse in mille schegge.
Irritato, fece accelerare di nuovo la macchina con un sobbalzo e
tornò a guizzare tra i rami. Non era facile guidare al buio,
ed era ancora meno facile quando avevi un Auror su una scopa che
persisteva a rimanere visibile nel tuo specchietto retrovisore.
Ma non si era ancora stancato di seguirlo?
Svoltò all’improvviso, poi ancora, e per un pelo
evitò un grosso ramo di quercia. Il successivo, invece, gli
portò via la parte superiore del tetto di tela.
E tanti saluti all’invisibilità.
Forse prima avrebbe dovuto spegnere la macchina:
l’Auror probabilmente l’aveva individuato per il
ronzio del motore e adesso non dava cenno di rinunciare alla sua preda.
Premette l’acceleratore a fondo e finalmente vide nello
specchietto l’inseguitore allontanarsi e poi sparire.
Soddisfatto, riportò lo sguardo davanti a sé.
Tutto ciò che vide fu solo una solida parete di roccia.
Poi nulla.
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