Note dell'autrice:
One shot che ho scritto di getto, sulla base della canzone "La guerra
di Piero" del grande Fabrizio de Andrè. Ovviamente non avevo
intenzione di rovinare la canzone, nè di scrivere qualcosa
che potesse risultare in qualche modo offensivo. Unica correzione che
vi
ho fatto: siamo in inverno e non a Maggio.
Spero che questa mia storia possa piacervi.
{In alcuni punti potrà risultare difficile da leggere, ma temo dipenda dal fatto che ho tentato di riprodurre il più fedelmente possibile dei flussi di pensiero. Non lasciatevi scoraggiare. Ci terrei molto.}
Titolo:
Feliciano va alla guerra.
Fandom: Axis
Powers Hetalia.
Coppia:
Germania x N.Italia {Ludwig x Feliciano}
Rating: Verde
Parole: 2856
(W)
Avvertimenti:
One-Shot, Shonen-ai, Guerra, Storico, Character death.
Note: Il
giorno di settembre menzionato è ovviamente l'8 settembre
1943, giorno dell'armistizio firmato dall'Italia con gli Alleati.
{Vi rimando per maggiore completezza alla pagina di Wikipedia}.
Feliciano va alla guerra
Dormi
sepolto in un campo di grano
non
è la rosa non è il tulipano
che
ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma
sono mille papaveri rossi
Dicembre 1943, Nord
Italia.
Lungo
le sponde del mio torrente
voglio
che scendano i lucci argentati
non
più i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente
Feliciano sedeva sulle
rive di un fiume, le falde della divisa che si sporcavano mescolandosi
al fango della terra, e fissava l'acqua. Si sentiva debole, ferito,
stanco. Il suo corpo era ormai sfinito dai numerosi colpi inflitti
senza pietà in ogni punto che fosse per i nemici possibile
da raggiungere.
Germania l'aveva
aiutato per quanto era stato possibile, questo era certo. L'aveva
salvato da campagne fallimentari, l'aveva ripescato dall'oceano di
sabbia di un infinito deserto, gli aveva teso la mano ad ogni sua
caduta, quando Feliciano si abbatteva e quando invece veniva abbattuto.
L'aveva fatto combattere accanto a sé in prima fila, i loro
stendardi incrociati in indissolubile unione, e allo stesso tempo gli
aveva fatto scudo con il suo corpo forte, parando i colpi che avrebbero
segnato la fine di uno stato così gracile, così
fragile. E ogni volta Feliciano aveva osservato il suo salvatore negli
occhi, cercando di catturarne lo sguardo, e aveva osservato il leggero
rossore che imporporava le guance del più forte, tradendo
inaspettata tenerezza per quella nazione che nessuno al mondo avrebbe
definito come qualcosa di poco più che inutile. Aveva
osservato come lui si gettava davanti al suo corpo durante gli
attacchi, ignorando, per salvarlo, tutte le più elementari
regole della guerra. Per lui Ludwig era stato pronto a cancellare le
regole del gioco che lui stesso aveva creato. Infine, Feliciano aveva
osservato molto più di quanto aveva creduto di vedere.
Aveva saputo attendere
e resistere, aveva saputo stringere i denti e sputare sangue, aveva
imparato a mettere le mani avanti a sé quando cadeva per poi
rialzarsi ogni volta più in fretta. Ma non l'aveva fatto per
la vittoria. La vittoria era un miraggio così lontano... non
più di un mero scintillio dell'oro dei conquistatori,
sepolto dalla polvere e dal sangue versato dalla sua gente. E poi,
Italia era abituato a perdere. Dopo gran parte della sua vita passata a
cadere ai piedi di nazioni più forti, le sue ginocchia erano
abituate a piegarsi, il suo capo sapeva chinarsi a sostenere il peso di
corone che non erano le sue.
Ma no, non c'entrava
nulla di tutto questo. La verità era che l'aveva fatto solo
per Germania, solo e soltanto per lui. Feliciano conosceva bene il
carattere di Ludwig. Sapeva che avrebbe continuato a camminare, mentre
altri, meno determinati, cadevano attorno a lui. E Italia aveva
imparato a rialzarsi sempre più in fretta, asciugandosi il
sangue delle ferite senza farsi vedere, solo per poter dimostrare alla
sua nazione preferita che anche lui, costasse che quel che costasse,
avrebbe continuato a camminargli a fianco. E se ogni nazione fosse
caduta attorno a loro, e se solo loro fossero alla fine rimasti,
Feliciano non avrebbe rimpianto un solo passo del suo cammino,
perchè aveva finalmente imparato a stare in piedi accanto a
Germania.
Questo era stato fino
ad ora il loro legame, invidiabile, saldo, profondo. Era stato
reciproco, nonostante la durezza apparente di Ludwig. Il rossore che
colorava le sue guance, contrastando con la carnagione eccessivamente
chiara, l'aveva dimostrato. Feliciano non aveva mai chiesto altro,
aveva creduto di poter andare avanti così per sempre...
Non si sarebbe mai
perdonato l'errore commesso in un giorno di settembre, ne era sicuro.
Il suo cuore si
strinse in una morsa di ferro al pensiero, mozzandogli il respiro di
colpo, lasciandolo affannato e tremante. I suoi piedi scivolarono un
po' verso l'acqua del fiume. Non aveva timore di bagnarsi,
né di cadere. L'acqua non sarebbe stata in grado di lavare
via ciò di cui si era macchiato quel giorno.
Era stato irretito
dalle proposte degli Alleati. Anch'essi erano sfiniti
dall'interminabile gioco
che erano costretti a compiere per aver salva la vita, ma avevano
saputo agitare le code della loro grandezza di un tempo (o, nel caso di
una certa nazione oltreoceano, della loro grandezza recentemente
acquisita) in un ultimo guizzo di vittoria. E Feliciano era caduto
nella loro trappola, tentato dalla possibilità di riposare
il suo corpo ormai esanime, di potersi abbandonare finalmente nelle
braccia di Germania senza che questi lo stesse stringendo per ricevere
un colpo che in realtà era destinato a lui, e non per amore.
Il capo di Germania,
invece, nella sua limitatezza, non aveva saputo vedere nel gesto di
Italia l'amore per lo stato che egli comandava. Egli aveva intenzione
di continuare il gioco, con o senza di lui. E si era affrettato a
sparargli alle gambe, piegando di nuovo quelle ginocchia che tanto
avevano faticato per sorreggersi da sole.
Feliciano era ormai
allo stremo. Gli Alleati tardavano a rispettare le loro promesse, il
vuoto assoluto al suo fianco gli divorava il cuore, gelandolo di
assenza.
Voleva solo che la
guerra finisse, e che finisse in fretta. Era stanco di stare seduto su
quelle rive, vedendo passare la sua sconfitta. Vedendo passare la sua
gente, portata in
braccio dalla corrente.
Così
dicevi ed era d’inverno
e
come gli altri verso l'inferno
te
ne vai triste come chi deve
il
vento ti sputa in faccia la neve
Era venuto anche il
suo momento, infine. Doveva alzarsi, asciugare di nuovo le ferite alle
gambe, posare di nuovo a terra una corona che non era la sua,
nell'ultimo gesto di ribellione che poteva compiere.
Faceva freddo, davvero
freddo. Nevicava. Non avrebbe chiesto momento migliore. Al freddo,
nessuno avrebbe visto che stava tremando. E se anche quella fosse stata
la sua ultima azione, forse lo stesso inverno gli sarebbe venuto in
aiuto. In un giorno di inverno sarebbe stato più semplice
morire.
Si passò
per l'ultima volta le mani sporche tra i capelli, scompigliandoli. Si
lisciò la divisa azzurra come meglio poté,
asciugando le falde della giacca, stretta in vita da una cintura,
battendo gli stivali neri a terra per scuotere via le ultime tracce
della sua permanenza sul fiume della sconfitta. Si sistemò
le maniche, spingendole il più possibile a coprire i tagli
sulle mani deboli, che forse non avrebbero saputo reggere in mano
un'arma mai utilizzata prima.
Qualcun
altro era stato lì, al suo fianco, ad impedirgli di usarla,
fino a quel momento...
Passò
un'ultima volta il palmo delle mani sulla divisa stracciata,
saggiandone la consistenza. Infine le sue dita salirono al laccio che
gli stringeva il collo, perdendosi poi nelle pieghe della veste,
scendendo, a contatto con la pelle, fino al cuore. Era il laccio che
sorreggeva una croce, la croce che Germania gli aveva donato a
suggellare il loro legame. L'aveva nascosta dopo quel giorno di
settembre, ma non l'avrebbe dimenticata. Era per l'uomo che essa
rappresentava che combatteva. E si aggrappò ad essa,
chiudendo per un attimo gli occhi. Stringendola tra le dita
cercò di carpirne la forza, la sicurezza, l'ottimismo di una
vittoria.
Poi diede a lei il
bacio che non era riuscito a consegnare a chi gliel'aveva donata, e
partì.
Il
vento gli sputava in faccia la neve.
Fermati
Piero, fermati adesso
lascia
che il vento ti passi un po' addosso
dei
morti in battaglia ti porti la voce
chi
diede la vita ebbe in cambio una croce
Oh no, no. Non poteva
fermarsi. Non ora che aveva una risoluzione, non ora che aveva
asciugato le sue lacrime e aveva finalmente trovato l'orgoglio di
reggersi in piedi, appellandosi ad un'assenza che sperava di colmare. E
se anche gli avessero sparato alle gambe, le avrebbe convinte a non
piegarsi più. Le avrebbe forzate a stare dritte, anche se
avesse dovuto strisciare a terra per continuare ad andare avanti. I
suoi gomiti erano già feriti, il contatto con la terra non
era loro nuovo. I tagli erano già profondi, il fango che li
copriva li aveva già infettati. Non avrebbe vissuto una
situazione estranea. Ma nuovo sarebbe stato il finale, quello
sì, l'avrebbe cambiato. E l'aveva giurato, ad ogni costo.
Era fiero delle sue
gambe, adesso. Continuavano a muoversi, da sole. Non si lasciavano
tentare dalla paura di quello che poteva essere il loro ultimo cammino.
Si muovevano e basta, andando sempre avanti.
Era vero, le voci dei
suoi caduti gli suonavano sempre, fioche, nella mente. Erano il suo
popolo, li amava e li rispettava. Aveva promesso fin da subito di non
dimenticare mai la croce che avevano ricevuto in cambio della loro
fedeltà. Ma anche lui ne aveva ricevuta una, di croce. La
portava al collo, e per essa era pronto a dare la vita. In quel momento
anche Feliciano non era nulla di più che un soldato - non
una nazione, non un uomo ferito, né un uomo scoraggiato.
Nulla di più che un soldato.
Feliciano andava alla
guerra, e il vento gli
passava un po' addosso.
E
mentre marciavi con l'anima in spalle
vedesti
un uomo in fondo alla valle
che
aveva il tuo stesso identico umore
ma
la divisa di un altro colore
Aveva raggiunto il
fronte, camminando di buona lena. Si era unito ai suoi uomini, portando
in loro nuova speranza. E adesso stava in piedi, in cima ad una
collina, guardava dall'alto il suo territorio violato da un gioco che si era spinto troppo oltre.
Ancora fece il gesto di lisciare la sua divisa, ormai a brandelli. E
ancora si passò tra i capelli le mani, non curandosi
più di nasconderne la debolezza e la fragilità.
Quelle mani avrebbero dovuto reggere ciò che le sue spalle
ora sostenevano, la sua arma e la sua anima. E forse, proprio in quel
momento, queste ultime stavano diventando la stessa cosa.
Sorrise, mentre il
vento carico di neve gli sfiorava gli occhi, e il cielo bianco lo
fissava di rimando. Le nuvole gonfie passavano senza sosta nell'alto
silente, e raffiche di mitra turbavano invece la terra degli uomini e
delle nazioni, in basso nella valle ai piedi della collina.
Il suo sguardo venne
attirato da una macchia nera che si muoveva lentamente contro il bianco
abbacinante della neve, nella conca profonda.
Aveva visto troppe
volte la divisa tedesca per non riconoscerla immediatamente. Se si
fosse concentrato, avrebbe saputo raccontare la consistenza e il
profumo di quella divisa, la sensazione di appoggiarvi sopra la guancia
alla ricerca di una protezione che non avrebbe tardato ad arrivare.
Sapeva di stare
andando contro tutte le regole del gioco. Gli sguardi riprovevoli delle
altre nazioni gli passavano davanti agli occhi della mente, beffardi,
stizziti, sconvolti. Quale orrore, seguire una nazione simile, quale
errore affidare la propria vita ad uomo che ne avrebbe potuto fare
pezzi con un solo gesto della mano. Non sarebbe stata certo la prima
volta. Germania aveva una certa esperienza. Aveva una vita che lo
attendeva nel suo territorio, da cui non cercava di fuggire. Sapeva
quello che vi stava accadendo, sotto gli ordini del pazzo che lo
comandava. Ma aveva deciso che era suo dovere andare avanti.
E Italia aveva deciso
di avere anch'egli un preciso dovere.
Feliciano andava alla
guerra per seguirlo.
Così che
davvero i due uomini, uno nella valle e uno sulla collina, con la divisa di un altro
colore, avevano lo stesso identico umore.
Sparagli
Piero, sparagli ora
e
dopo un colpo sparagli ancora
fino
a che tu non lo vedrai esangue
cadere
in terra a coprire il suo sangue
No, no! Non era questo
quello che intendeva. Non l'avrebbe mai fatto, non avrebbe mai sparato.
Era deciso a salvare la sua gente, era deciso a riconquistare
l'occasione perduta, ma era deciso a farlo a modo suo. Non avrebbe
ceduto ai ricatti di nazioni che, forti della loro alleanza e del loro
isolamento, erano riuscite a metterlo contro a quello che fino a un certo giorno di settembre
era stato il suo unico sostegno, e anche il primo uomo che gli avesse
teso la mano per sorreggerlo, e non per colpirlo al volto,
così com'era sempre stato. Di quante nazioni aveva subito le
percosse! Anche dalle stesse a cui aveva così
stupidamente ceduto non aveva ricevuto altro che dolore.
No, non avrebbe
sparato, né un colpo né due colpi.
Nessuno, mai
più, sarebbe
caduto in terra a coprire il suo sangue.
E
mentre gli usi questa premura
quello
si volta, ti vede e ha paura
ed
imbracciata l'artiglieria
non
ti ricambia la cortesia
Era un bersaglio fin
troppo semplice Feliciano, con quella divisa azzurra, in piedi sulla
collina, stagliato contro il cielo bianco. Il candore della neve
scomponeva la luce nell'aria in mille bagliori, riflettendosi
spietatamente sul volto del giovane, fragile soldato che era andato
alla guerra per cercare la pace.
No, la guerra era un
mestiere serio, secondo Germania. C'era stata solo una persona per cui
era stato pronto a trasgredire le regole, a disobbedire agli ordini, a
scaricare le responsabilità. Ma quella persona non era
lì al suo fianco a pregarlo come al solito di non sparare,
adesso. Non era lì a ricordargli che anche sull'altro fronte
chi combatteva era un uomo, non era lì a dirgli che se
avesse usato pietà nei suoi confronti forse la guerra
sarebbe finita prima, forse avrebbero potuto raggiungere un accordo.
Non era lì a cingergli i fianchi, ad appoggiare il volto
contro la sua schiena, non era lì a tendere la mano sul suo
braccio per abbassargli lentamente l'arma.
No, non era
lì. Non gliene faceva una colpa. Anche Ludwig, per quanto
fosse spesso in difficoltà a leggere l'atmosfera, aveva
imparato a conoscere Feliciano. Aveva conosciuto le sue debolezze
(tante), ma anche i suoi tanti pregi. E come l'aveva fatto lui, anche
altri c'erano riusciti. Solo che, a differenza sua, ne avevano
approfittato.
No, Feliciano non
c'era più. Ludwig non avrebbe mai neppure sognato che si
trovasse lì, in quella valle. Lo immaginava lontano da
quella guerra, che sapeva che egli aveva tanto odiato nel profondo. Lo
immaginava salvo, così come l'aveva sempre voluto vedere.
Nessuno
era
lì ad abbassare il suo fucile. La luce nascondeva il volto
del
soldato in piedi sulla collina, che, lo vedeva bene, aveva in mano
un'arma, ma sembrava esitare.
Ah,
questi italiani...
Non si esita in
guerra, Ludwig aveva sempre tentato di farglielo comprendere.
Ed
imbracciata l'artiglieria, non gli ricambiò la cortesia.
Cadesti
a terra senza un lamento
e
ti accorgesti in un solo momento
che
il tempo non ti sarebbe bastato
a chiedere perdono per ogni
peccato
Aveva le labbra ancora
dischiuse, Feliciano. Aveva appena riconosciuto nell'uomo che si
muoveva
nella valle il suo Ludwig, il motivo per cui aveva camminato tanto,
combattuto tanto. Avrebbe voluto chiamarlo.
Una pallottola gli
bloccò un grido in gola. Trapassandogliela,
arpionò tutte quelle parole che avrebbe voluto pronunciare,
disperdendole nell'aria.
Non pensava nulla,
Feliciano. Sentiva la sua vita scorrere via, e non pensava nulla.
Troppo dolore, troppo rimpianto lo attanagliavano, quando il pensiero
del peccato commesso ancora in un giorno di settembre lo sfiorava
impietoso.
Era caduto, Feliciano.
E il tempo che aveva sempre creduto eterno si rapprendeva in gocce e
cadeva insieme al suo sangue.
No, il tempo non sarebbe bastato a
chiedere perdono per ogni peccato.
Cadesti
a terra senza un lamento
e
ti accorgesti in un solo momento
che
la tua vita finiva quel giorno
e
non ci sarebbe stato un ritorno
Anche Ludwig aveva le
labbra dischiuse. Ma la sua non era una smorfia di dolore. Era
concentrazione che si era presto mutata in sorpresa, sgomento, terrore,
rabbia. Fino a lasciare spazio ad un vuoto assoluto, ad un bianco
più abbacinante della neve, ad un orrore che non aveva
parole.
Non pensava nulla,
Ludwig.
Ma poteva muoversi, e
correva. Correva, evitando le raffiche di pallottole provenienti dalle
trincee ben nascoste sul colle, correva risalendo il pendio e
lanciando dietro di sé quel maledetto fucile.
Non pensava nulla,
Ludwig.
Vedeva di fronte a
sé, un unico, orribile fotogramma: il soldato che cadeva,
allontanandosi dalla macchia di luce che gli rifletteva sul volto. Un
ricciolo di capelli castani che salutava per l'ultima volta il cielo,
confondendosi poi con la neve.
Una
vita finiva quel giorno, e non ci sarebbe stato un ritorno.
E
mentre il grano ti stava a sentire
dentro
alle mani stringevi il fucile
dentro
alla bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al
sole
Non aveva parole,
Feliciano. Ma aveva ancora occhi per vedere.
E sarebbe stato sempre
grato di aver potuto vedere Ludwig per l'ultima volta.
Di aver potuto vedere
i suoi occhi chiedere silenziosamente perdono, di aver potuto vedere le
sue braccia stringersi intorno al suo corpo, le sue labbra avvicinarsi
finalmente alle sue.
Non aveva parole,
Feliciano, ma non ne aveva bisogno. Ludwig aveva sempre conosciuto
quelle tre che avrebbe voluto dirgli, e le aveva a suo modo,
silenziosamente, ricambiate.
Adesso toccava a
Feliciano andarsene silenziosamente.
E allora, in silenzio,
affidò le sue parole al grano che covava sotto la neve.
E si
allontanò dalla guerra che aveva tanto odiato, con il grano che lo stava a
sentire.
Dormi
sepolto in un campo di grano
non
è la rosa non è il tulipano
che
ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma
sono mille papaveri rossi.
|