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Raito, in camera tua. Subito!
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L’ordine di Sachiko tuona secco e perentorio. Un tono che non ammette
repliche.
Su una delle assicelle del lucido palchetto del soggiorno spicca un
bollo, bello evidente. Il legno è rimasto incrinato dalla
collisione col vaso che, in seguito a un gesto maldestro, è
precipitato dal tavolino e con un fragore sonoro si è
sparpagliato in decine di frammenti irregolari sul pavimento. Il
liquido che vi era contenuto ha inzuppato per bene il tappeto, e la
povera orchidea che fino a un minuto prima troneggiava nel prezioso
contenitore di cristallo giace ora nella pozza, sciupata.
Il bambino rimproverato guarda con rammarico quella bellezza sfiorita.
Che disastro!
E tutto per un po’ di curiosità. In punta di
piedi, si era allungato per ammirare meglio il fiore
dall’aspetto insolito: l’ocra tenue del bordo che
sfumava gradualmente nel fucsia carico, screziato di arancio man mano
che si avvicinava al centro della corolla, i pistilli color giallo
acceso protesi verso l’alto, la forma curiosa dei
petali…
Evidentemente doveva essersi appoggiato un po’ troppo al
tavolino, perché improvvisamente l’aveva sentito
scivolare via sul pavimento incerato e il vaso era caduto in avanti,
troppo pesante per essere fermato.
E’ colpa sua.
Ma, orgoglioso per natura, non vuole ammetterlo. Sebbene tenga il capo
chino, solleva impunemente lo sguardo sulla madre, con
un’occhiata che vorrebbe essere di sfida.
Naturalmente la reazione che provoca non è quella sperata.
- Fila! Di corsa! E oggi niente merenda! – sbotta Sachiko,
decisa a troncare sul nascere quel debole tentativo di ribellione.
Il piccolo adesso scruta spaventato l’aria severa della
madre, sottolineata dalla minaccia verbale e dal dito proteso con
autorità ad indicargli le scale che portano al piano
superiore.
A discapito dell’orgoglio, cinque anni sono pur sempre troppo
pochi per fare lo spaccone con la mamma...
Raito si volta e si incammina verso la cameretta dando le spalle alla
madre, nascondendole così i due lacrimoni che cominciano ad
affiorare agli angoli degli occhi. Cerca di occultare la vergogna del
pianto imminente controllando, senza successo, il tremito che gli
scuote le spalle.
Deve camminare dignitosamente verso le scale, a testa alta, come se si sentisse offeso.
Non deve mettersi a piagnucolare. Sarebbe come ammettere la sconfitta.
Non vuole assolutamente.
Non…
SPAF!!!
Un improvviso scapaccione sul sedere scatena l’effetto di
farlo partire come una freccia su per le scale, facendolo scoppiare
contemporaneamente in un pianto rumoroso a bocca spalancata. Al diavolo
l’orgoglio!
Entra di corsa nella cameretta tirandosi dietro la porta, che si chiude
con uno schianto.
- Raito, guarda che la rompi quella porta! – gli grida
Sachiko dal piano di sotto.
Eccolo, a frignare come una fontana sdraiato a pancia in giù
sul copriletto, con il viso nascosto nelle braccia ripiegate. Che
vergogna, che vergogna, che vergogna!
Nella sua mente infantile, l’episodio acquista le proporzioni
di una catastrofe. Con che coraggio potrà mai ripresentarsi
al piano inferiore dopo un tale smacco?
Ma il suo pianto, tipico dei bambini, è come un
acquazzone estivo, tanto impetuoso quanto breve.
A poco a poco i singhiozzi si calmano. Dieci minuti dopo Raito solleva
di malavoglia il visetto, sul quale é dipinta una buffa
espressione tra l’offeso e il rassegnato. Con le mani chiuse
a pugno, si sfrega gli occhi arrossati per cacciare le lacrime
superstiti.
La faccia gli bolle come se avesse la febbre. Sarebbe un vero sollievo
poter andare in bagno e rinfrescarsi la pelle accaldata dal pianto
isterico, ma ancora non se la sente di uscire dal suo rifugio.
Il piccolo si mette seduto sul letto e sbatte a terra di malagrazia
l’orsetto appoggiato sul cuscino, sfogando la frustrazione su
di esso. Dopo essersi soffiato il naso con il fazzoletto che vi era
nascosto sotto, azzarda circospetto i primi passi giù dal
letto.
Bene, e ora che fare fino al momento in cui la mamma
deciderà che la sua punizione è durata
abbastanza? Non ha voglia (o forse è più
realistico dire che ha timore) di scendere al piano di sotto e
sbirciare dalla porta della cucina come un cucciolo che attende il
perdono per la sua marachella ma che teme una bastonata.
Raito si siede istintivamente alla scrivania e prende una penna e un
quaderno. Subito dall’inchiostro nasce una gallinella grassa
e storta con tanti pulcini rotondi, un gatto simile a uno sgorbio
minacciato da un cane ringhiante ma innocuo perché legato
alla sua cuccia, un bambino con una cartella più grande di
lui, un pesce di razza incerta. Concentrato sui disegni, Raito
dimentica la recente sgridata. Gli piace creare figure da una penna. Ma
ancora di più gli piace formare parole unendo uno dopo
l’altro i segni di hiragana (*) che ha imparato
all’asilo. Per cominciare, sotto ciascun disegno di animale
scrive il nome corrispondente. Poi aggiunge il proprio nome sotto il
bambino, tracciando i tre kana con linee incerte e tremolanti. Di quel
nome, in realtà, conosce anche il kanji; è
semplice da ricordare, sembra una finestra con la persiana abbassata
fino a metà.
E’ strano, il suo nome; si scrive con il kanji
“tsuki”, ma nel suo caso si legge
“raito”. Il papà gli ha spiegato che
è una parola straniera, facendolo sentire fiero di quel nome
che solo lui possiede.
Il bimbo osserva con occhio critico i kana scarabocchiati con mano
ancora inesperta, e ne rimane affascinato. C’è
qualcosa di speciale nel costruire le parole con quelle linee. Poter
fissare i propri pensieri su un foglio è un po’
come catturare un’idea astratta e renderla tangibile.
Comunicare con gli altri, renderli partecipi delle proprie opinioni,
acquisire nuove nozioni...
Nonostante la tenera età, Raito intuisce che
c’è una sorta di potere in tutto ciò. E
vorrebbe farlo suo, poterlo controllare.
Prende coraggio e prova a comporre delle semplici frasi unendo una
parola dopo l’altra. Il risultato è una mezza
paginetta di pensieri leggeri di bimbo. Felice, Raito rimira il suo
lavoro. Dimentico del castigo, corre subito dalla mamma a mostrarle il
quaderno. Vedendo quanto è stato bravo, non potrà
che sorridere e perdonarlo.
Sì, la scrittura è davvero una cosa portentosa.
Può sfruttarla per piegare gli eventi a proprio favore...e
forse riguadagnare quella merenda che gli dispiacerebbe tanto saltare!
E se riuscirà a riavere il suo premio solo grazie alla
scarsa abilità attuale, chissà dove potrebbe
arrivare progredendo.
Un'affascinante domanda gli si insinua nella mente: può la scrittura influire sul futuro degli uomini? In
qualche modo, Raito ha la sensazione che sarà proprio lei, in un modo o nell'altro, a
segnare il suo destino, da adulto.
(*) hiragana: uno dei tre sistemi di scrittura che,
nell’insieme, compongono la lingua giapponese, e il primo che
viene studiato a scuola (o all’asilo, per chi lo frequenta).
Gli altri due sistemi sono katakana e kanji.
Per evitare le critiche dei conoscitori della lingua giapponese, metto
le mani avanti: so bene che “Raito” si scrive con
un kanji o in katakana, e non in hiragana. Ma in questa storia Raito
non va’ ancora a scuola, quindi l’hiragana
è l’unico sistema di scrittura che mastica XD
Spazio
autrice
Che senso ha tutto ciò? Mah, a dire la verità
avevo voglia di scrivere qualcosa di stupido su Death Note, ed
è venuta fuori questa roba.
All’inizio doveva essere una storiella dolce, ma mi diverto
troppo a trattare male Raito, anche da piccolo, così alla
fine la trama ha preso una piega diversa!
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