Step on memories.
- E'… grande! No, no! E’ immensa!
E’ immensamente grand… -
- Dacci un taglio, idiota. Il fatto che sia così grande va
tutto a tuo svantaggio, fidati. –
- … -
- Che c’è adesso? –
- Grazie per avermi portato con te alla fine. -
- …
Stammi vicino, principino. Non vorrei tornare alla villa senza la
regale scorta questa sera. –
Le cose da allora erano cambiate.
Il tempo aveva trasformato quelle mura gravide di vita in un fitto
intrico di vie e stradine, insolitamente tortuose. Si incrociavano come
una ragnatela raggiungendo ogni angolo dell’isola,
insinuandosi serpentine nelle pieghe dei monti per poi uscire
nuovamente nelle valli, ricongiungendo interi centri.
Non esisteva più la città, le piazze gremite di
mercanti erano adesso vuote, il vociare spento. Come una bolla
l’intera popolazione si era lasciata lentamente risucchiare
dagli eventi fino ad atrofizzarsi all’ombra dello splendore
di un tempo. La cenere della sigaretta ora sporcava un’aria
che altrimenti avrebbe saputo di qualcosa andata irrimediabilmente a
male, il suo respiro gelava un vento già freddo.
Il biondo alzò appena un po’ di più lo
sguardo, verso i tetti sporchi di fuliggine e bruciato, ed
inconsapevolmente si scoprì subito dopo a chinare il capo.
Era frustrante ammettere l’ascendente che
quell’indecoroso spettacolo avesse ancora su di lui. Era
frustrante il semplice credere di stare provando, ancora una volta,
sensazioni che un pirata non avrebbe nemmeno dovuto conoscere.
Un sentimento insensato perché, in fondo, lui quella
città l'aveva disconosciuta anni ed anni prima. Ed alla
frustrazione allora si univa la rabbia.
E gli sembrava quasi di sentirla gorgogliare dentro di sé,
fargli prudere le mani a tal punto da costringerlo a tenerle premute in
tasca per il timore che potessero prendere vita propria e sporcarsi per
la prima volta di sangue.
Di tanto in tanto capitava poi che gli si serrassero fra la stoffa, con
forza, quando, giunto ad una nuova via, si scopriva a riconoscere un
nuovo pezzo di qualcosa che oramai credeva aver dimenticato. Speranze
sciocche perché ad ogni ricordo rovinato se ne sommava uno
ancora più antico, sgualcito come il cotone che le sue dita
ostinatamente continuavano a grattare dall'interno della giacca.
Semplici contorni ad una genesi che prima avrebbe raggiunto e meglio
sarebbe stato per la sua mente.
Troppo pesante adesso, troppo piena per poter anche solo sperare di
riuscire ad andare avanti con quella ridicola farsa.
- Merda… -
- Una libreria! Guarda! Guarda là! La vedi anche tu? La
vedi, vero?! -
- Il fatto che non stia saltando come un idiota non implica il fatto
che non possa vederla. -
- Allora possiamo entrarci? Possiamo, no?! -
- Che ci devi fare? -
- Possiamo sì o no? -
Quell'imprecazione era uscita senza il consenso dei pensieri dalle sue
labbra. Era stato un istinto spontaneo in sin dei conti.
I suoi passi - passi stanchi, passi quasi non calcolati per quanto
assenti, lo avevano portato inevitabilmente alla prima breccia in grado
di mostrare le sue ferite al di sotto di quella maschera. E la mente,
discorde come qualsiasi altra volta, si era limitata semplicemente ad
esprimere la sua.
Il succo della questione si sarebbe potuto racchiudere in questo.
Mosse i primi passi fra colonne portanti e scaffali del pianterreno,
ammassati in un unico angolo della villetta quasi come in attesa che
qualche anima pia si levasse dai detriti ed incominciasse a separarli
nuovamente, mandandone le une ai piani superiori e gli altri, invece,
nell'androne. Un'entrata sporca, buia ed insolitamente infestata dal
lerciume. Eppure anche gravida di memorie, talmente piena da creder
quasi di potere scoppiare.
Il biondo scosse la testa, cercando inutilmente di ritrovare un senso
fra i pensieri. In quel posto, ne era certo, vi era stato un'unica
volta, anni ed anni prima.
Cedere così facilmente, a qualcosa di così
lontano, non era di certo ciò che si sarebbe aspettato quel
giorno.
Strinse con rabbia la sigaretta fra gli incisivi e spingendo ancor
più le mani nelle tasche ricominciò a camminare.
Passi silenziosi, passi felini.
Soliti passi in quel locale che più guardava e
più sentiva storcergli le viscere, quasi come se mosso da
volontà propria.
- Merda. - questa volta le sue parole erano risuonate un pò
più concise, in qualche assurdo modo vagamente sicure.
L'edera davanti a sé se ne sporcò appena le
foglie, facendole oscillare mestamente sotto il peso scostante del suo
respiro.
In una complessa protezione il rampicante avvolgeva l'intero casolare,
pochi ruderi ancora in piedi, penetrando dai vetri rotti delle finestre
sin dentro le camere più esposte.
L'intonaco ancora visibile al di sotto delle piante era invece rosso
acceso, vivo. Come una fiamma ardente si limitava a berciare ampi spazi
di fogliame, facendo capolino fra le pareti scrostate ed i grandi fori
dei primi mattoni.
Non era un colore comune, non era stato ideato per adornare e basta.
- E' fatto per pulsare, un pò come il sangue che ti scorre
nelle vene e ti tiene in vita. Qualcosa di metaforico, insomma…
Capisci, ragazzo? -
- Credo di sì, signora. Però continua a farmi un
pò impressione… -
- E nonostante questo sei entrato nel mio negozio? Devi essere un
ometto coraggioso allora! -
- Umph… -
- Gli schiavi non sono ammessi qui dentro. Aspetta il tuo padroncino
fuori, tu. -
- … -
- Allora, piccolo, dimmi un pò! Che libro posso venderti
oggi? Sai, mi è appena arrivata un’enciclopedia
sui frutti del diavolo. Oppure, se preferisci le avventure, ho anche un
nuovo libro sulle meraviglie dell’All Blue…-
- …
Mi sono appena ricordato di non aver portato il borsellino con me. La
ringrazio, ma sarà per la prossima volta, signora. -
Scostò con il piede alcuni detriti, in un movimento assente,
e rimase ad osservare immobile l’insignificante fazzoletto di
mondo che quel gesto era riuscito a portare allo scoperto.
Un ammasso informe di legno marcio e fogli ingialliti si
limitò a rispondere atono al suo tocco, scivolando sul
pavimento della stanza fino ad arrivare alla minuscola uscita
secondaria, di emergenza probabilmente, nascosta appena dietro il
pesante bancone.
Lo seguì con lo sguardo, socchiudendo gli occhi quando un
tonfo sordo gli fece intuire che l'esile uscio doveva aver resistito
nonostante tutto, come a voler ridicolizzare gli anni e le intemperie
trascorse.
- Un principe senza regno… chi mente ai propri sudditi. -
- Io non dico le bugie! -
- No, dici semplicemente stronzate. Hai ragione, principino. -
- Si può sapere che cavolo ti prende? -
- Perchè non hai comprato quel libro? -
- Perchè non avevo soldi con me! -
- Perchè non hai comprato quel libro, Sanji? -
- …
Perchè non mi è piaciuto come quella
signora ti ha trattato… -
Fu sufficiente una leggera pressione delle dita per farlo spalancare.
L’immenso parco su cui in passato si sarebbe affacciato
adesso era rovinato, intrappolato in una fitta rete di rovi e piante a
fusto lungo, ghiacciate dalle radici sino alla cima a causa del gelo.
In una grottesca immagine si limitavano a riempire ogni singolo spazio
vuoto nella maestosità di quel giardino, fondendosi con
l’edera in un caleidoscopio di colori spenti. Aridi.
Il biondo chinò appena un po’ di più lo
sguardo, verso la pesante lastra di marmo ai suoi piedi e ne
tastò con un movimento di punta la consistenza. Era
denigrante pensare come, a dispetto di tutta la voglia di vivere di
coloro che l’avevano limata, fosse rimasta la sola cosa in
quell’insulsa città a rimanere ancora integra.
Ma fu unicamente nell’istante in cui si mise a sedere,
arpionandosi con le dita alla pietra pur di non scivolare, che si rese
conto di quanto i suoi sensi l’avessero voluto far sbagliare.
Non un centimetro, non un singolo frammento di roccia viva era rimasto
illeso alla furia di quelli ultimi undici anni.
Le crepe, seppur talmente sottili da dare l’illusione di
appartenere ad un unico strato di polvere, si erano ramificate con
continua insistenza, assorbendo pacatamente ogni colpo sino a
diradarsi. Lì, immobili in quel misero fazzoletto di mondo
da oltre un ventennio, attendevano unicamente il colpo di grazia per
andare in frantumi.
- Siediti. -
- Ma il marmo qui è freddo! Non possiamo tornare a
camminare? –
- Non te lo ripeterò un’ultima volta: siediti,
dannato idiota. -
Un ventennio… e dire che era sicuro che quella merdosa pietra
ne avesse appena la metà, di quelli anni.
- Privare un sadico del suo spettacolo non è mai una buona
cosa. -
- Non capisco… -
- Credi che quella vecchia si sia limitata a seguire le leggi
sbattendomi fuori di lì? Lo ha fatto perché la
cosa, lo spettacolo, la divertiva. E tu, agendo da perfetto idiota
quale sei, andandotene l’hai privata di un compagno con cui
poter ridere. –
- Ma… -
- Hai agito seguendo la tua idiozia, lo so. Ma così facendo
non hai potuto comprare quel fottuto libro, no? Era lo scopo per cui mi
hai trascinato fino a questo buco e te lo sei lasciato sfuggire.
Quindi adesso ascoltami bene, principino, perché fuori di
qui, in quel mondo di bastardi, non incontrerai più nessuno
pronto a ripetertelo; se perdi di vista i tuoi obiettivi, non importa
per chi, non importa per cosa, finirai schiacciato. Chiaro? –
- Ma, t… -
- Chiaro? –
- Sì. –
Si accese nervosamente una sigaretta quando la consapevolezza di
ricordare persino il benché minimo – ed oltremodo
stupido, particolare di quel giorno incominciò a farsi
strada dentro di sé.
Ogni suo buon proposito si era ritrovato ad andare al diavolo dal
momento in cui era entrato in quel posto.
Aveva voluto fingersi forte, sfidare quelle ombre e dimostrarsi una
volta per tutte di averle lasciate chilometri e chilometri dietro di
sé.
Gli era bastato tuttavia sedersi su un gradino rovinato ed attendere
che la realtà lo investisse nuovamente, dura ed ispida come
le gomene, per capire quanto ogni suo tentativo non fosse stato che una
sciocca presunzione. Aveva voluto mostrarsi forte.
Tutto ciò che era riuscito a raccogliere, invece, era stato
un insieme infinitesimale di cocci.
Pezzi minuscoli, poco più grandi della brina che ad ogni
sibilo di vento nella sua direzione sentiva innalzarsi e colpirlo con
rinnovata insistenza.
Rimase immobile per alcuni istanti, con lo sguardo fisso oltre la
vetrata infranta del locale ed un braccio stupidamente penzoloni lungo
i fianchi, di tanto in tanto scosso da un involontario brivido di
freddo.
Costatare come, nonostante il passare degli anni, quel casolare
riuscisse ancora a solleticare la sua curiosità era stata
forse la cosa che maggiormente fosse riuscita a colpirlo quel gelido
pomeriggio. Credeva di essere cambiato, e tanto anche.
Ma invece, in un profondo che per troppo tempo si era riproposto di
ignorare, era rimasto lo stesso bambino di undici anni prima. Il
moccioso che credeva nei sogni che faceva ed in quelli che gli
dicevano; che, in maniera morbosa ed innegabilmente infantile, pensava
che al mondo non vi fosse sofferenza, che le persone fossero buone e
che chi gli era accanto non lo avrebbe mai potuto ferire.
- Tsk, sognatore. -
- Solo perchè non l'hai visto con i tuoi occhi non vuol dire
che non esista! Mamma dice sempre che… -
- Tua madre non è Dio, sempre a patto che ve ne sia uno. Non
può di certo sapere se un mare simil… -
- Quel mare, il miracoloso, esiste! Io lo so! -
- E cosa te lo dice? -
- Il mio istinto! -
- …
Ti basta semplicemente quello per credere ad un' idiozia simile? -
- Sì! E… e non è un'idiozia! E' la
pura verità!-
- … -
- Che hai da sorridere adesso? -
- Non sei cambiato affatto da quando ti ho conosciuto, Sanji. Sempre
lì, a fantasticare sulle cose… -
- E piantala di prendermi in giro! -
- Sperare in qualcosa di meglio non è sempre un difetto,
principino. -
Speranze. Sciocche ed inutili speranze.
Dov’erano quando ingenuamente aveva sperato che piangere
potesse acquietare il fuoco? Quando le mani, le dita ed i palmi erano
affondati in cumuli e cumuli di cenere riuscendone sporchi di carne e
lapilli?
Quando i nervi del sinistro avevano incominciato a bruciare e
bruciavano, bruciavano da far male, mentre erano solo ombre le sole
cose che riuscisse a scorgere intorno a sé? Le speranze
erano lì, a rider di lui probabilmente e ricordargli quanto
fossero inutili.
Ecco dove.
Spense lentamente quell’ultima paglia.
E rimase immobile ancora per alcuni istanti, beandosi del sapore acre
della cenere sulle labbra, bruciante sulla pelle scoperta delle mani
dove lentamente era scivolata senza che neanche se ne accorgesse. Poi
si alzò, gettando lontano da sé il filtro con un
movimento annoiato delle dita.
- Che diavolo…qui sto soltanto perdendo tempo. –
non disse nient’altro.
Non vi era nient’altro di cui dovesse convincersi, del resto.
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Ringraziamenti speedo
perché, disgraziatamente, ho una dannata fretta addosso.
Colgo quindi l’occasione per ringraziare dalla parte
più nascosta e pulsante del mio cuoricino
d’amianto tutte le persone che hanno recensito, seguito e
preferito la storia.
E sì, anche tu visitatore occasionale che mi segui
semplicemente.
Grazie, grazie davvero a tutti.
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