About: Dante's Inferno (the
game)
Characters:
Francesco Portinari,
the Beatrice's brother
Warnings: giallo -
drammatico, sovrannaturale, introspettivo // Spoiler! - Non per stomaci
delicati - One-shot - Missing Moments
Sin_Peccato
Non aveva idea di che posto fosse o di quanto allungo vi
sarebbe restato. Quel che dava certo, però, erano le grida
di dolore e terrore mescolate ai cori di guerra e ai tamburi in
lontananza. Questi scandivano il passo dei prigionieri che seguivano la
mala via l’uno dietro l’altro, come legati da una
catena tanto robusta quanto invisibile come quella della resa alla
disperazione.
Di tutta la gente che lo circondava, Francesco non vide nessuno tentare
la fuga: in momenti del genere la natura umana comanda di star come
pecore coi suoi simili, senza ribellioni, senza litigi. Ma neppure
loro, gli umani davanti e dietro di lui, potevano dirsi tali: nudi,
privi di altro che non fosse l’unico corpo,
l’oggetto col solo scopo di contenere l’anima.
La salita finiva là dove, abbandonata la nave che li aveva
traghettati sull’Acheronte, Francesco vide comparire un
grande anfiteatro colonnato dall’aspetto greco antico. Nel
mezzo tra due pilastri sedeva, o meglio, s’aggrappava agli
stessi un mostro di misure colossali, peggio di tutti quelli che il
Portinari aveva incontrato nel suo lungo cammino da punibile reietto.
Si era milioni, (ma che!) miliardi di milioni a dover attendere il
proprio turno. Uno ad uno, quel mostro orripilante pigliava chi voleva
come prodotti da scaffale e se li portava vicino al naso,
perché occhi non aveva. Poi gridava:
“Avarizia!”, “Gola!”,
“Lussuria!”, “Ira!” con tanto
furore a seconda dei peccati di cui si erano macchiati quelle donne o
quegli uomini.
Alcuni tornavano indietro, nuotavano contro la corrente di gente che
saliva, saliva fino a non sentirsi più le gambe (era una
pena anche quella) stringendosi le tempie e gridando. Francesco ne vide
più di uno, scendevano, tornavano verso la nave
sull’Acheronte correndo o trottando, ma sempre in una falsa
fuga. Follia. Era ciò a cui aspirava quel luogo di tortura?
No, non la follia… bensì il dolore che scaturisce
da essa, la consapevolezza di essere matti nuoce ancor più
dell’esserlo e basta. Ecco cos’è il
Limbo, si disse Francesco giungendo alle colonne del teatro e
inginocchiandosi al viscido suolo, sporco di sangue.
Attorno a sé vedeva uomini e donne nella sua stessa
condizione, a mangiarsi le carni o giungere le mani in preghiera. Ma il
tempo del perdono era scaduto, comprese, perché dinnanzi
allo smistatore d’anime e corpi non sarebbe sfuggita neppure
la briciola di pane gettata in terra da un goloso.
Fu così che Minosse lo afferrò per la caviglia
stringendo a tal punto da rompergliela, ma Francesco ben sapeva che
nell’arco di pochi minuti gli sarebbe guarita, per poi
tornare a dolere nei momenti in cui altre bestie dell’Inferno
avessero voluto far di lui un dilettante giocattolo.
Francesco tentò in ogni modo, anche con un morso, di
strapparsi via il tentacolo da quel che restava della sua carne umana.
Picchiò colpi, pugni, si dimenò come la bestia
che aveva saputo essere in battaglia al fianco di Dante, il cui volto
al momento della morte ricordava per filo e per segno.
Era colpa sua se periva tra le fiamme dell’Inferno,
altroché! Francesco ruggì di collera, ira, e non
gli importò di farlo anche in faccia a Minosse che,
tenendolo sottosopra sospeso nell’aria, se lo
annusò per bene.
-Ira!- sibilò sprezzante, ma prima di gettarlo alla ruota,
indugiò un istante, se lo avvicinò di nuovo e
annusò una seconda volta. Storcendo il naso, Minosse
così disse: –Credevi di poter nascondere
i tuoi ben peggiori peccati dietro una maschera da iracondo?! Stupido
ingenuo! Violenza!- si corresse.
Scaraventò il Francesco senza esitare un attimo in
più. L’uomo finì trafitto e in un mare
di sangue sull’uncino della ruota. Tenne per sé il
dolore quando con un colpo netto all’ingranaggio Minosse lo
gettò nell’oscurità degli Inferi
volgendosi al condannato del turno successivo.
Francesco cadde come cadeva un morto, precipitò
nell’abisso scuro che era l’eterno dolore, tra
grida, fiamme e ancora grida. I suoi occhi verdi e sgranati videro le
anime girare nel vortice della lussuria, consumarsi nelle bocche di
Cerbero, crogiolarsi nell’oro
dell’avidità. Più giù
ancora, gli iracondi annaspare nelle paludi o gli eretici ardere nelle
tombe infuocate.
Francesco cadde avvolto dalle impetuose correnti del Fiume di Sangue
Ribollente, che lo trascinò lungo tutte le coste
frastagliate del VII Cerchio dell’Inferno: i Violenti.
Dove la disperazione e l’eterno calore del sangue li
corrodono, muoiono e rinascono, muoiono e rinascono i violenti verso
gli altri.
Una nera foresta di alberi umani accoglieva i suicidi, il cui corpo
tramutava in radici e arbusti per quel non rispetto ad esso dato in
vita.
Il Fiume di Sangue Ribollente schiaffò Francesco sulla riva
ospitante i violenti verso Dio. Nei torridi deserti dove piovevano
cenere e fiamme, il Portinari si trascinò in ginocchio
scottandosi quel che restava della sua pelle. Strinse
l’ardente sabbia tra le dita e sfogò il dolore
gridando, mentre il sangue del Fiume scorreva via dal suo corpo.
Ecco compiersi la meta del suo viaggio. Francesco alzò gli
occhi e vide le anime dei suoi compagni crociati inginocchiati a terra
e rivolti verso il Dio che in guerra o in pace hanno offeso o rinnegato
con la carne.
L’eternità gli si apriva dinnanzi come i battenti
di un grande e vasto portone. Il Portinari assaporò il
dolore e ne prese gusto, sotto il sole cocente e il cielo in tempesta.
Sgombrò la mente, concentrato solo a guardar il
Misericordioso Dio che da lassù l’aveva condannato
quaggiù.
Dedicata a goku94,
e al nostro zietto Dante :3
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