Note: A discrezione del lettore, il seguente scritto
può contenere lievissimi riferimenti slash.
Kitchen, sweet kitchen.
Alla cucina del mio gatto.
Perché ‘cucina’ non è un luogo,
è uno stato
d’animo.
Merlino, nella sua pur giovane vita,
di cucine ne aveva viste parecchie, anche se la maggior parte di esse non
poteva definirsi tale.
Quella dove era lui era nato, anzitutto.
Quel piccolo angolo cottura diviso dal resto della piccola
stanza da un telo consunto e così familiare.
Se chiudeva gli occhi, vedeva nitidamente sua madre Hunith affaccendata nel preparare la cena, china sul
calderone fumante, intenta a rimestare gli
odori e i sapori che riconosceva e gli scaldavano il cuore.
C’era poi la cucina a casa di Will, un po’ più grande della
sua, dove con l’amico d’infanzia mangiava senza pensieri le merende che la
madre di William preparava loro. Pane e
marmellata e sorrisi sdentati.
C’era quella di Gwen, semplice e
pulita, dignitosa e accogliente.
A volte Merlin cenava con l’amica, lì dentro, ed era sempre
piacevole l’atmosfera rilassata che si creava.
C’era la cucina del palazzo, con un infinito andirivieni di
cuoche e sguatteri, a tutte le ore del giorno e della notte, sempre pronti a
soddisfare i capricci di qualche nobile.
Se cadevi in una delle marmitte, potevi quasi rischiare di
annegarci, tanto erano profonde e grandi.
E poi sembrava sempre di essere tra i piedi, la gente non
aveva mai tempo di darti retta, tra il cozzare dei piatti e il ribollire delle
pignatte. Eppure anche lì c’era gente che
gli sorrideva.
Infine c’era la cucina di Gaius, solo
un focolare e un tavolo su cui il suo maestro, l’uomo che amava come un padre, gli preparava i pasti e lo
consolava quando qualcosa non andava, lo sgridava se aveva fatto qualche
rischiosa sciocchezza, e rideva con lui di qualche cosa buffa.
Ad essere sinceri, c’era anche la cucina di Artù, che cucina non era.
La sua camera non aveva una cucina, non ce n’era bisogno. I
pasti gli arrivavano già caldi, belli e pronti.
Ma anche il lungo tavolo di legno antico che lui puliva, e
il caminetto che lui era costretto ad attizzare, il letto a baldacchino che
riassettava ogni giorno, l’armadio perennemente in disordine… anche tutto quello era cucina.
Come i sorrisi di Artù, i suoi ghigni arroganti, le
sfuriate, i silenzi. I gesti d’orgoglio, di stizza, e quelli d’affetto, che
mascherava malamente e che rendevano Merlino così orgoglioso
di lui.
Merlino aveva visitato tante cucine, ma ciascuna di esse era
unica, un pezzetto di vita, un piccolo mosaico di emozioni, di sentimenti e
calore.
E ciascuna, per sempre, avrebbe fatto parte di lui.
- Fine -
Disclaimer: I
personaggi citati in questo racconto non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma
di lucro, da parte mia.
Note: Beh, in
realtà non credo che ce ne sia bisogno. La cucina è forse la stanza più vissuta
di una casa e questa breve fic è nata per dare addio
ad una cucina che si è lasciata, piena di ricordi, e per dare il benvenuto ad
una nuova cucina, che di ricordi sarà riempita.
E se anche non avete compreso niente di questo mio discorso
sconclusionato, abbiate pazienza. Il mio gatto capirà.
Per chi se la fosse persa, la mia ultima fic
su Merlin è questa: “The He in the She (l’Essenza dentro l’Apparenza)”
(capitolo IV)
E ringrazio quanti l’hanno commentata e chi commenterà.
Nota di servizio:
esiste la possibilità che il consueto aggiornamento di sabato prossimo possa
slittare a causa delle festività. In tal caso il capitolo V della long-fic sarà postato lunedì, credo.
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