Attenzione:
Il presente scritto ha
come protagonisti persone realmente esistenti e soggetti di pura
fantasia. Le
vicende narrate sono interamente inventate dall’autrice.
Nessuno scopo di lucro
e nessun intento offensivo né pretesa di
veridicità o verisimiglianza. Nessun
diritto legalmente tutelato s’intende leso ed ogni diritto
riservato spetta ai
rispettivi titolari.
Storia
– immeritatamente - seconda classificata al “Lyrics
Contest” organizzato da Nemo
from Mars, con la seguente “traccia”:
“Ti
cerco perché sei la disfunzione,
La macchia sporca, la mia distrazione,
La superficie liscia delle cose,
La pace armata, la mia ostinazione”
Subsonica
“Nuova Ossessione”
You’re The Reason
I’m Leaving
1. Prima battuta
Bob
Hardy aveva una caratteristica fondamentale. Una di quelle cose che la
gente
impara in fretta di te, che memorizza e manda a memoria per sapere
esattamente
cosa aspettarsi.
In
realtà, Bob Hardy ne aveva parecchie di caratteristiche
fondamentali che i suoi amici – ma poi anche quelli
che lavoravano con
loro, i tecnici, Cerne, Rich…- avevano mandato a memoria per
sapere sempre
esattamente cosa aspettarsi da lui. Ad aiutarli, in realtà,
c’era il fatto che
Bob fosse fondamentalmente una persona semplice. Al di là
delle velleità
artistiche, Robert Byron Hardy era, infatti, una delle persone
più semplici che
esistessero al mondo. Era incredibilmente “solido”,
per dire, uno di quegli
individui a cui piace fare le cose solo quando hanno la certezza che
riusciranno, e riusciranno bene. Era puntuale, era ordinato, era
metodico, era
uno senza grilli per la testa…un
abitudinario, la classica persona di cui dire che “quando
serve, c’è”. Era il
punto fermo di un gruppo – una band
–
che di colonne portanti ne aveva anche troppe, ma in basi stabili aveva
peccato
fin dal principio.
E se
pure a Cerne Cunning, il loro manager, piaceva dire che la forza dei
“Franz
Ferdinand” stava tutta nelle loro personalità
così diverse, loro sapevano bene
quanto quelle “personalità diverse” a
volte potessero diventare incostanti e
difficili da gestire.
Per
dire, Bob Hardy aveva appunto una caratteristica fondamentale che tutti
loro
conoscevano e su cui potevano fare affidamento: qualunque cosa fosse
successa,
lui sarebbe stato al proprio posto quando avrebbe dovuto esserci.
Allo
stesso modo, ed in una sorta di immagine riflessa, anche Alex Kapranos
aveva
delle caratteristiche fondamentali ed in particolare su una tutti loro
sapevano
di poter contare con una regolarità aritmica che aveva dello
spaventevole.
Alex
Kapranos, infatti, era pazzo.
Non
era il genere di conclusione a cui arrivavi immediatamente, quando lo
conoscevi. Anzi. Alex era un pazzo di quelli tranquilli, di quelli che
a
vederli pensi che siano proprio come tutti gli altri e pure
più intelligenti
della media dei tuoi conoscenti. Era pulito,
ad esempio. Il che non era male per uno che comunque aveva sangue
inglese nelle
vene. Ed era educato, in generale…quando la birra non
riportava a galla il
sangue inglese, appunto. Era anche uno che ci pensava alle cose prima
di dirle
– non che poi questo gli impedisse di dirle lo stesso con
tutte le conseguenze
del caso – e pareva proprio che non ci fosse nulla in grado
di fargli perdere
la pazienza, eh. Salvo che non fosse ubriaco, chiaro.
Beh
insomma, per non dilungarsi troppo, Alex Kapranos, a conoscerlo
così,
superficialmente, era come qualsiasi altro inglese di
trent’anni che Bob avesse
mai conosciuto. Come suo cugino, ad esempio. Magari meno grasso, ecco.
Però
poi lo conoscevi meglio – e se ce lo avevi attorno per
ventiquattro ore al
giorno, trecentosessantacinque (o giù di lì)
giorni all’anno, lo conoscevi
meglio di tuo cugino…ma pure meglio di tua madre!
– e capivi che era pazzo. E
manco un pazzo di quelli che lo sono sempre e, quindi, puoi gestire. No
no, lui
era un pazzo di quelli che ti colpivano a tradimento, mentre tu eri
perso nel
mezzo della campagna scozzese, in un cottage che lui
aveva comprato e che voi
avevate dovuto fare i salti mortali per dotare di uno studio di
registrazione.
A quel punto, quando meno te lo aspettavi, l’evidenza della
follia di Alex
Kapranos ti veniva sbattuta in faccia con una crudeltà che
ti privava del tutto
di ogni capacità di reazione.
Per
cui Bob Hardy aveva preso la decisione, più o meno
ponderata, di non provarci
affatto, a reagire, di lasciarsi scivolare addosso quella nuova
consapevolezza
con la stessa flemma atavica che stava sfoggiando nel prenderne atto,
ritto
davanti ad una finestra, in cucina, una tazza di the bollente nella
destra, la
sinistra affondata nella tasca di una tuta malmessa che usava come
pigiama, la
musica assordante di “Cats” alle sue spalle.
Dall’altro
lato di quello stesso vetro, immerso fino alla caviglia nel fango e
nella
pioggia malsana tipica di quella regione, Alex marciava,
sulla spalla una zappa ed in mano un grosso annaffiatoio
da giardiniere, ai piedi stivali alti di gomma di quelli che si usano
per la
pesca, ed in faccia l’espressione più torva che
Bob, in tanti anni di sincera
amicizia, riusciva a ricordare.
Bob
prese un sorso di the dalla tazza e la riabbassò.
-Siamo
alle solite?
La
voce alle sue spalle gli fece voltare la testa per riconoscere
l’uomo che stava
entrando in quel momento dirigendosi direttamente alla vecchia cucina
economica
– Alex aveva insistito per tenerla ed, anzi, rimetterla in
funzione – su cui
riposava in caldo il bollitore ancora pieno.
-Ciao,
Rich.- borbottò Bob basso e pacato.
Non
si premurò di confermare quello che il produttore aveva
chiesto, anche perché
lui stesso lo raggiunse alla finestra, una seconda mug tra le mani, e
scostò
delicatamente la tendina, osservando poi Alex che, raggiunta finalmente
l’aiuola che lo interessava, metteva mano alla zappa con un
entusiasmo che lo
avrebbe ricoperto di terra, fango ed erba nel giro di pochi minuti.
-Sarei
davvero curioso di sapere che gli frulla per la testa. –
ammise piano l’uomo,
sfoggiando peraltro la stessa rassegnazione indolente del ragazzo
più giovane.
Lasciò ricadere la tendina per tornare sui propri passi,
seguendo la scia
musicale che proveniva dal piano di sopra e che sembrava essere
improvvisamente
aumentata di intensità.- Paul è uscito dalla
tana!- annunciò cattedratico il
produttore.
Bob
rise e soffocò quel suono nella tazza quando, a conferma
delle parole
dell’altro, si udì un fracasso terribile provenire
dal piano di sopra, seguito
da una serie di imprecazioni volgari e dal rumore di qualcuno che si
precipitava scalpicciando nel corridoio delle stanze da letto.
-…tutto
a posto?- s’informò una voce perplessa.
Bob
riconobbe facilmente Paul quando rispose, soffocato, un
“sì” stentato e
tutt’altro che convinto:
-Sono
inciampato.- spiegò con una certa dose di imbarazzo.
-Eh…tanto
per cambiare…- Questo era Cerne, rifletté Bob
voltandosi anche lui e posando la
tazza semivuota sul tavolo.
Fuori
della finestra Alex era completamente fradicio, sporco e molto molto
stanco. Un
ottimo modo per iniziare una giornata di lavoro.
E
Nick ancora non si trovava.
Alex
aveva preso questa abitudine del giardinaggio da un po’ di
tempo ormai. I
ragazzi non lo capivano, ad essere onesti, e lui credeva che la
giudicassero un
cosa un po’ strana – si era accorto di certe
occhiate che i suoi stivali di gomma, la zappa ed il rastrello si erano
guadagnati più di una volta. In realtà gli
serviva per schiarirsi le idee.
Solo,
in mezzo ad un giardino che oltre ad essere deserto era immerso in un
silenzio
reso ovattato dal ticchettio costante e sottile di una pioggia quasi
invisibile, Alex aveva come compagnia i propri pensieri e niente altro
fino a
quando le braccia non diventavano troppo pesanti, le ginocchia gli si
stancavano a stare piegate e le ossa prendevano a fargli male sotto
l’umido che
raccattava lì fuori. A quel punto c’erano una
doccia calda, un the bollente ed
una chitarra ad aspettarlo, ma tutto il
resto era molto più facile.
Quella
mattina non avrebbe fatto eccezione alle altre identiche che si
ripetevano da
tempo, se Nick non avesse deciso di non farsi trovare affatto. Le
ultime
notizie che si avevano di lui le aveva fornite Michael, che alzatosi
alle
quattro per andare a pisciare aveva beccato il chitarrista mentre
usciva,
vestito di tutto punto e baldanzoso come se lo avessero invitato ad una
festa
di sole donne. Aveva pure provato a fermarlo prima che imboccasse la
porta, ma
la risposta di Nick davanti al suo ragionevole “che cazzo ci
fai già sveglio?!”
era stata la più lapidaria possibile.
-Esco.
E
l’istante dopo lo aveva pure fatto, tirandosi dietro il
battente del cottage e
lasciando l’amico da solo su una scala buia, la bocca
spalancata ed il sole che
sorgeva pallido e smunto attraverso le finestre del salotto. Michael,
chiaramente, aveva fatto quello che avrebbe fatto chiunque altro al suo
posto:
aveva girato le spalle, era andato a pisciare e poi se n’era
tornato a letto.
Da
lì, tuttavia, si perdeva ogni traccia di Nick. Ed erano
già le undici del
mattino; Rich stava inspiegabilmente
perdendo la pazienza.
-Ma
io che cazzo devo fare per lavorare con voi?!- abbaiò dietro
ad uno
scazzatissimo Alex, arrampicato su uno sgabello con
l’acustica in braccio ed
un’espressione feroce a contrastare quella del produttore.-
Siamo in ritardo
fottuto su tutta la scaletta e voi cosa fate?!- continuò
imperterrito. – Tu ti
metti a coltivare patate e
quell’altro sparisce nel mezzo della campagna senza lasciare
traccia di sé!
Alex
pensò tra sé e sé che quella cosa che
lui fosse il leader della band solo
quando c’era da prendersela nel culo cominciava ad andargli
stretta; perché
Rich non urlava allo stesso modo contro Bob o Paul?
-Beh,
poco male. Tornerà.- affermò spiccio, pizzicando
di malavoglia un paio di corde,
in un chiaro invito a piantarla lì.- Magari quando
avrà fame…- aggiunse
velenosamente con un sorrisetto tutt’altro che incoraggiante.
Rich
sospirò in modo pesante e teatrale e Bob provò
pena per lui.
-Se
non si è addormentato in un pozzo…-
borbottò Paul facendo per uscire da dietro
la batteria.
Per
sua fortuna inciampò nel rullante molto prima di riuscire a
districare le gambe
dallo sgabello, rovinò in modo ignobile sui piatti e
piombò a terra con un
fracasso che congelò del tutto la battuta crudele di Rich
sul fatto che invece
sarebbe stato molto meglio per lui affogarci in un pozzo, prima che
potesse
mettergli le mani addosso.
-Paul!-
ringhiò Alex tappandosi le orecchie istintivamente.
-Eccheccazzo!
Fai attenzione!- gli tirò dietro anche Bob imitando il
cantante.
-…scusate.-
biascicò il batterista dal pavimento.
Rich
sospirò ancora, ma stavolta si risparmiò
qualsiasi commento affidandosi ad una
breve scrollata di mano ed uscendo subito dopo, nel momento esatto in
cui Cerne
Cunning appariva sulla stessa soglia, mano ai fianchi e sguardo severo
da “papà
è molto arrabbiato”.
-Dove
cazzo è quel coglione?!- ruggì.
A
quel punto Alex mise via l’acustica, saltò
giù dallo sgabello e si ricordò
improvvisamente di avere un altro impegno che non poteva proprio essere
rimandato.
Bob e
Paul uscirono a mezzogiorno. La pioggia aveva deciso di dare loro un
attimo di
tregua e, visto che c’erano da scaricare il materiale e la
spesa dal furgoncino
che Andy aveva portato su il giorno prima – e visto che tutti, appena sentito che c’era
da scaricare il furgoncino di Andy,
si erano dileguati a tempo record. Andy in testa – avevano
pensato di
approfittare di quel momento di pausa per non doversi ridurre a due
spugne
indolenzite e raffreddate. Raggiunsero il garage nella vecchia stalla,
Bob avanti
con le chiavi in mano e Paul che gli arrancava dietro, cercando quanto
più
possibile di evitare le pozzanghere fangose che costellavano i
vialetti.
-Diamoci
una mossa.- sbuffò il primo rudemente, spalancando di
malagrazia il portello
posteriore del furgoncino rosso.
-Che
diavolo è quella roba?- s’informò Paul
raggiungendolo e studiando una cassa più
piccola delle altre su cui tutta una serie di avvisi tipo
“attenzione,
proprietà privatissima!” e “non toccare
o Alex morde!” invitavano a maneggiare
il tutto con cautela.
Cautela
che difficilmente ci si sarebbe potuti aspettare dal batterista,
così che Bob
si affrettò a togliergli dalla testa ogni idea al riguardo e
gli rifilò un più
agile sacchetto della spesa ricolmo di verdura e frutta. Che poi che
senso
avesse ordinare tutta quella roba vegetale, visto che l'unica cosa che
non
mancava lì intorno erano le verdure, restava un mistero su
cui Bob aveva smesso
di interrogarsi quando Alex lo aveva tenuto più di un'ora a
discutere di tre
differenti qualità di cipolla.
-Sai
a cosa pensavo?- intervenne la voce di Paul a distrarre l'amico dalle
proprie
riflessioni a tempo perso. Bob grugnì
una sorta di attestazione interrogativa e Paul proseguì
senza avvertire nemmeno
lontanamente il bisogno di aiutare l'altro quando caricò a
braccia un'enorme
cassa di birre.- Beh, se ci pensi bene Alex e Nick hanno iniziato a
comportarsi
in modo strano da un momento preciso.
-Sì.
Quello del loro primo vagito.- sbuffò ancora l'altro,
posando a terra la cassa
e reinfilando la testa nel retro del furgoncino.
-Beh,
ok...intendevo dire in modo più strano.-
si corresse Paul pacatamente. Bob gli alzò in faccia
un'occhiata scettica e lui
circostanziò.- Dai! facci caso.- pretese agitando il
sacchetto in un modo che
Bob ritenne decisamente pericoloso per le cipolle di Alex.- Prima che
Nick ci
dicesse che lui e Manuela si sarebbero sposati, andava tutto come al
solito.
La
testa bionda e ricciuta di Bob fece nuovamente capolino dalla portiera
del
furgone e gli occhi del ragazzo si puntarono su Paul con attenzione
autentica
stavolta.
-Beh,
senti...- prese a borbottare il più giovane tirandosi dritto
e mollando la
presa sulla maniglia della portiera.- Nick è
solo...spaesato, ecco. Ed Alex...-
ma rinunciò ad aggiungere qualcosa non appena si rese conto
che non avrebbe
saputo cosa aggiungere. Alex era
incomprensibile. Scosse la testa e tornò a scaricare casse e
sacchetti.
-Cioè,
tu pensi che non ci sia relazione tra le due cose?- continuò
imperterrito Paul
alle sue spalle.- Voglio dire, sarebbe anche normale. Nick sposato non
riesco
proprio ad immaginarlo, sai. Glielo hanno detto che significa monogamia a vita? Ed Alex, in fondo,
è
il suo migliore amico. Insomma, quando non tentano di uccidersi a
vicenda,
s'intende. Ma ci sta che ci sia rimasto male, così, a sangue
freddo, da un
giorno all'altro. Da quant'è che Manuela e Nick stanno
assieme?
-Da
sempre.- grugnì nuovamente Bob, secco ed aspro, rimettendosi
dritto.- E questo
dovrebbe darti l'esatta misura di quanto sia stupida la tua idea! Lo
sapevamo
tutti che si sarebbero sposati, prima o poi.
-Saperlo
per principio non è come saperlo e basta.-
filosofeggiò il batterista con aria
ascetica.- Secondo me per Al è stata una doccia fredda e ci
deve ancora fare
l'abitudine.
-E
sfoga la stizza a colpi di zappa!- esclamò ridendo Bob.
Paul
storse il naso, non la reputava una gran battuta. Ma non ebbe il tempo
di farlo
notare al biondo perché un suono sordo e metallico,
soffocato, li raggelò
entrambi sul posto.
-...cosa
è stato?- sussurrò Paul guardandosi attorno
spaventato.
Il
suono si ripeté più basso e Bob si
voltò in direzione della cabriolet bianca di
Nick, parcheggiata vicino all'uscita del garage.
-Viene
da lì.- annunciò a mezza voce, posando a terra la
cassa di birra che era
tornato ad imbracciare ed impugnando un'unica bottiglia a mo’
di arma.- Stammi
vicino.- ordinò.
Paul
trovò la cosa sufficientemente ridicola, gli
gettò uno sguardo perplesso a
sopracciglio alzato e rimase esattamente dov'era mentre Bob procedeva
lento e
guardingo verso l'auto.
A
metà strada il rumore divenne ritmico anche se
più flebile e Bob si accorse che
era accompagnato da versi bassi e gutturali che sembravano provenire
dall'interno dell'auto. Dal bagaglio per la precisione. Si
assicurò che la
macchina fosse aperta e poi si portò sul retro, una mano sul
pulsante che
apriva il portabagagli e l'altra sollevata e pronta con la bottiglia a
mezz'aria. Paul fece un paio di passi ed allungò incuriosito
il collo verso la
scena.
Bob
spalancò il portello con un unico gesto rapido, scagliando
contemporaneamente
in avanti il braccio che reggeva la bottiglia di vetro ed un urlo
disumano, cui
il qualcuno infilato nel bagagliaio
rispose con identica ferocia:
-BOB!
-NICK?!-
urlò Paul.
-CHECAZZO!-
strillò Bob, saltando indietro mentre il chitarrista si
buttava a terra per
evitare di essere colpito dall'amico.
-...ma...che...diavolo ci
fai nel portabagagli della
macchina?- mormorò Paul affaticato, reggendosi una mano sul
petto e prendendo
fiato a respiri corti.
Nick,
ancora steso sul dorso proprio sotto le ruote posteriori della cabrio,
sollevò
su di loro uno sguardo smarrito e confuso ed additò
silenziosamente Bob.
-Oh.-
realizzò quest'ultimo, abbassando il braccio armato che
ancora brandiva in
aria.- Scusa.- borbottò imbarazzato e spaventato.
Nick
si rilassò visibilmente, spalancando le braccia attorno a
sé e rimanendo così,
pancia all'aria e sguardo al soffitto del garage.
-E'
una storia lunga.- confessò quietamente.
Paul
e Bob si cambiarono un'occhiata veloce da sopra il corpo dell'altro e
tutti e
due recepirono la medesima informazione.
-Ti
sei addormentato lì dentro!- sbottarono all'unisono,
sconsolatamente.
-...riassumendo...
Paul fece
fuori per intero la scorta di uova che avevano ordinato dal paese, Andy
lo
mandò a cagare e Michael fu estratto a sorte per pulire il
pavimento della
cucina da tuorli e rossi. Nick tornò in quel momento dalla
propria camera, dove
era sparito mezz'ora prima con la scusa di farsi una doccia “che puzzava come un arbre
magique”, si
affacciò alla soglia della cucina frizionandosi i capelli
con un asciugamano e
si informò candidamente di dove accidenti fosse finito Alex.
-E'
uscito due ore fa.- rispose stringato Michael, a cui non pareva andare
a genio
l'essere stato eletto Cenerentolo del focolare per una mattina.
Ma
Bob era ai fornelli a spadellare per il pranzo e Paul era stato
cacciato prima
che combinasse altri disastri. Andy aveva trovato in Rich un aiuto
insperato
quando il produttore aveva chiesto che lo assistesse in sala di
mixaggio e
Cerne non avrebbe toccato una scopa nemmeno se ne fosse andato della
sua vita.
-Mi
aiuti?- provò Michael in tono scettico.
-Non
ci penso neanche.- gli confermò Nick asciutto.
Sistemò sulle spalle
l'asciugamano, si arrampicò su uno degli sgabelli della
cucina ignorando il “figuriamoci!”
risentito dell'altro e puntò a Bob per avere maggiori
informazioni.- Dov'è che
è andato Alex?
-Uhm?-
borbottò il bassista buttandogli uno sguardo distratto da
sopra la spalla.-
Cos'hai? paura che ti avveleni per averci fatto saltare le prove oggi?
-Ehi!
io sono qui adesso, è sua altezza ad aver tagliato la
corda!- fece notare
acidamente Nick.- E poi non è colpa mia se sono stato
vittima di un incidente.
-Se
dormissi di notte invece di girare come un sonnambulo e poi cadere
addormentato
praticamente ovunque!- sbottò il biondo senza farsi
intimidire.
-Non
posso farci nulla se il silenzio e la pace di questo posto mi
scombussolano i
bioritmi. Voglio il caos rumoroso della città! non riesco a
dormire senza!-
protestò infantilmente il chitarrista.- Io non ci volevo
mica venire, qui, è
stato Alex a mettersi in testa con la storia del ritiro spirituale per
meglio
concentrarsi ed esprimere le nostre potenzialità artistiche
e...
-Aveva
un funerale.
La
risposta lapidaria del biondo soffocò il resto delle
proteste di Nick in un
silenzio pesante e carico di significati che non riusciva a cogliere.
Succedeva
sempre così, rifletté vagamente mentre passava lo
sguardo da Bob – che gli dava
di nuovo le spalle – a Michael, che spazzava a terra con
l’espressione
concentrata ed assorta di un chirurgo. Succedeva sempre così
perché alla fin
fine c’era sempre qualcosa
che lui,
come ultimo arrivato del “gruppo di Glasgow”, non
poteva sapere. Alex aveva un
funerale? Come minimo era morto qualcuno che tutti tranne lui
conoscevano, ed
anche se era sciocco sentirsi degli esclusi per una cosa
così – ti auguri di
essere escluso da una cosa
così! – non era la prima volta che Nick
si trovava a provare quella
sensazione fastidiosa all’altezza dello stomaco.
-Vado
a cercare Cerne e Rich.- annunciò saltando giù
dallo sgabello.
-Guarda
che Rich vuole la tua testa!- lo inseguì la voce di Bob.
Nick
non si preoccupò di rispondergli, tanto non era davvero sua
intenzione cercare
né il manager né il produttore, ma sentiva il
bisogno quasi fisico di uscire
dalla stanza e quella era la prima scusa sensata che aveva racimolato.
Poi,
fermandosi sotto la verandina d'ingresso del cottage ed accendendosi
una
sigaretta, si ritrovò a sorridere ed a dirsi che in fondo
sarebbe bastata anche
quella come scusa. Prese un tiro, si appoggiò alla ringhiera
di legno e puntò i
piedi avanti e lo sguardo all'orizzonte.
Se
aveva un funerale, Alex sarebbe andato giù a Glasgow e
questo significava che
non sarebbe stato lì prima di sera. Rich non avrebbe
apprezzato quella cosa,
erano davvero in ritardo sulla scaletta ed il loro cantante non
sembrava
intenzionato più di tanto a cercare di recuperare quel
ritardo. Ed ok che parte
della colpa era anche sua in qualità di
“co-autore”, ma restava il fatto che le
registrazioni procedevano a rilento - peggio
di quelle del primo album - e la data delle sue nozze si
avvicinava
inesorabile.
...magari
avrebbe potuto dire a Manuela che dovevano rimandare il matrimonio.
Scoppiò
a ridere alla sola idea, era quasi certo che lei lo avrebbe ammazzato!
Non che
non ne avesse motivo, poi. Santo Cielo! erano anni che lo inseguiva con
una
fede ed un abito bianco e Nick si reputava fortunato che avesse ancora
abbastanza amor proprio e desiderio di godersi la vita da non aver
cominciato a
vaneggiare di bambini e cani e casette con il giardino…! Ma
siccome la amava
davvero - Dio, non se lo ricordava
nemmeno da quanto la amava… - e siccome Manuela,
quando lui ne aveva avuto
bisogno, era stata l'unica persona della sua vita ad essergli vicina
nel modo
in cui serviva, Nick lo sapeva che era stupido e codardo continuare a
scappare.
Per
cui le aveva chiesto lui di sposarlo. Le vendite del primo disco erano
andate
alla grande, la band registrava un successo che non si sarebbero
aspettati
nemmeno nelle loro sogni più rosei, stavano registrando un
secondo album che
avrebbe segnato il loro ingresso definitivo nel mondo della musica rock
o la
loro disfatta totale. Lui ed Alex si stavano giocando tutto...
Fece
un secondo tiro ed infilò una mano in tasca scuotendo la
cenere davanti a sé. Aveva
ricominciato a piovere in quel modo sottile e costante che era la
caratteristica peggiore della Scozia.
Ne
avevano parlato, a volte, mentre erano tutti e due troppo stanchi per
continuare a cercare di buttare giù qualcosa di decente ma
avevano ancora
troppa adrenalina in corpo per pensare davvero di andare a dormire. In
quei
momenti, di solito, stavano giù nel salotto più
piccolo, quello dove c'erano
solo il piano, le due acustiche ed un mucchio di fogli e penne sul
tavolino da
the di fianco ai divani. Alex sembrava incapace di metterla via, quella
dannata
chitarra, se la teneva in braccio come fosse un orso di peluche con
troppi
spigoli. Lui, invece, era la prima cosa che si toglieva di dosso, poi
stendeva
le gambe davanti a sé e si lasciava scivolare fino in fondo
alla poltrona, in
punta in punta, socchiudendo gli occhi ed incrociando le mani sulla
pancia. Era
tutto un susseguirsi di risate basse e confessioni a mezza voce,
allora,
c'erano le paure di sempre, le aspirazioni nuove e quelle vecchie che
si
confondevano, c'erano un sacco di idee che il giorno dopo si sarebbero
dimenticati perché erano troppo confuse e mischiate a troppe
cose diverse.
C'era quella cosa ricorrente sopra tutte, un pensiero fisso che era
come se si
tendesse nell'aria stessa e finisse per condizionare qualsiasi altra.
Era un
ostacolo fermo che passava da un capo all'altro della casa ma che non
aveva
abbastanza spessore da poter essere colto interamente da loro, l'unico
istante
in cui Alex gli permetteva di assumere un senso era proprio quello: in
un
salotto, con la compagnia di un'acustica, di un tavolino da the e di un
amico /
nemico che aveva trovato per caso sulla propria strada.
-Se
questo album dovesse essere un fiasco avremmo chiuso.- esordiva
invariabilmente.
Nick
la sapeva talmente tanto bene, ormai, che quello stupore quieto che
l'aveva
preso la prima volta all’affermazione dell’altro
era sbiadito perfino nel
ricordo. Sbadigliava e poggiava la fronte sul pugno chiuso, agganciando
il
gomito al bracciolo scomodo della poltrona “da
nonna”.
-Beh,
allora dovremo impegnarci perché non lo sia.- ribatteva
quietamente, con un
sorriso.
Di
solito Alex lo fissava. Non faceva altro per un po’, lo
studiava come se si
stesse aspettando un suo cedimento, tanto che Nick aveva capito che era
proprio
quello che cercava sul suo viso. Ci era rimasto stranito nel rendersene
conto -
che Alex potesse aver bisogno anche lui di un appoggio, di qualcuno a
cui
chiedere “possiamo farcela?” solo per sentirsi dire
di sì, per sentirsi dire che,
comunque, lui aveva fatto tutto per bene, tutto
quello che poteva. Alex non era il tipo che ti facesse
credere di aver
bisogno di essere rassicurato. Pensavi sempre, erroneamente, che dietro
ai suoi
modi decisionisti, ai suoi tentativi educati di tiranneggiarli tutti,
ci fosse
la certezza delle proprie scelte. Forse era anche così, Nick
era sicuro che
Alex fosse ben conscio e determinato riguardo le decisioni che prendeva
per sé
o per tutti loro; era un buon leader, nel senso pieno del termine,
anche nel
suo cercare di imporre un punto di vista finiva per scontrarsi con la
propria
incapacità di non far passare tutto per un dibattito.
Ché magari di democratico
non c'era nulla! - si ritrovò a pensare ridendo - erano
più le botte da orbi e
gli insulti che volavano in quei casi, ma difficile che qualcuno di
loro non
dicesse la propria e gli altri non lo ascoltassero.
Beh,
comunque quella volta era andata in modo leggermente diverso. Invece di
deviare
il discorso subito dopo, far ricadere tutto in una normalità
quieta che era
diventata la norma di quegli incontri serali, Alex aveva finito per
rimettere
le dita sulla chitarra – una scusa evidente per non guardarlo
in faccia e dover
condividere con lui i propri dubbi tutti per intero, aveva realizzato
Nick – e
poi gli aveva posto quella domanda in modo piano.
-Ci
hai mai pensato a cosa potresti fare se andasse male?
Nick
non gli aveva risposto subito, soprattutto perché non sapeva
bene quello che
l’altro intendesse.
-…uhm…-
aveva bofonchiato dopo, recependo il senso solo a livello epidermico,
in un
fastidio superficiale che gli faceva prudere la nuca.- Onestamente,
no.- aveva
ammesso con una risatina nervosa, passandosi la mano tra i capelli e
nel punto
incriminato.
-Beh,
ma avrai pensato a cosa avresti fatto se non fossi riuscito a diventare
un
musicista!- aveva obiettato Alex ostinatamente.
Detta
da lui suonava strana davvero, Nick lo conosceva abbastanza bene da
sapere che
Alex era proprio il tipo di persona che ad un’alternativa che
non comprendesse
note musicali, chitarre e microfoni non aveva mai pensato, quindi non
doveva
essergli difficile credere che anche lui potesse aver sempre
“saputo” che era
quello che sarebbe finito a fare.
-Vuoi
dire se penso alla possibilità di abbandonare questo
mestiere?- gli ritorse
pacatamente.- Nah.- ammise con una smorfia serena.- Ad essere sinceri
non ci ho
mai pensato e non credo che ne sarei neppure capace. Immagino che
continuerei
solo a provarci.- confessò divertito.- Voglio dire, se il
disco andasse male ed
i Franz dovessero sciogliersi. Non penso davvero che sarei capace di
fare
altro.
Alex
aveva riso con lui, scuotendo la testa e tirando una o due corde in
un’eco
bassa che si era persa in fretta nella stanza.
-Povera
Manuela.- aveva sospirato in un tono che Nick si era trovato a dover
interpretare. C’era qualcosa al di là dello
scherzo, ma Alex non sembrava
intenzionato a permettergli di decifrarlo e si affrettò a
sollevargli in faccia
lo sguardo una seconda volta, sbuffando un sorriso sereno –
Beh, facciamo in
modo che non debba mantenerti tutta la vita, allora!- aveva esclamato.
Nick
gli aveva ricambiato il sorriso perché era felice che fosse
tornato l’Alex di
sempre, quello che all’indulgere in pensieri malinconici
preferiva buttarci su
due righe e due note e passare oltre con una risata, un bicchiere di
whiskey e
quattro chiacchiere al pub.
Adesso,
guardando verso l’orizzonte alla ricerca di una Glasgow per
cui sarebbe sempre
rimasto l’ultimo arrivato, si chiese se Alex stesse facendo
lo stesso in quel
momento: bevendo una birra o un whiskey giù al pub, in
compagnia degli amici di
una vita e per dimenticare la malinconia di un’assenza su
cui, magari, avrebbe
scritto su due parole e due note…
Era
una canzone del cazzo. Era davvero una canzone del cazzo.
Sbatté
la porta, gocciolando nell’ingresso e sul tappeto orientale
per cui quello
dell’agenzia immobiliare si era raccomandato tanto. Fottuta canzone del cazzo. Si tolse
l’impermeabile
appallottolandolo malamente quando si impigliò un
po’ ovunque - sui suoi
vestiti o sui mobili intorno – e lo tirò
contro l’attaccapanni sperando in un intervento divino che lo
convincesse
dell’opportunità di restare aggrappato ad almeno
uno dei bracci che sporgevano
in fuori. Ovviamente l’intervento divino non ci fu affatto ma
Alex era già su
per le scale, saltando i gradini a due a due e facendo tanto baccano da
non
doversi stupire troppo di aver richiamato l’attenzione
dell’intero cottage –
Paul si affacciò alla porta della propria stanza in tempo
per rischiare
seriamente di farsi tranciare il naso da un passaggio rapido del
cantante,
Cerne si fermò alla base delle scale guardando in su con
aria stralunata e da
qualche parte Michael gli chiese come fosse andata e non ricevette
risposta –
spalancò il battente della camera e se lo richiuse alle
spalle con un calcio.
A
quel punto si fermò a respirare di nuovo.
Mentre
le lacrime agli angoli degli occhi pizzicavano la pelle ed iniziavano a
tirare
lungo gli zigomi, si ripeté ancora che era solo una fottuta
canzone del cazzo.
Nick
lo raggiunse nel salottino, dopo cena. I ragazzi erano stati bravi come
sempre,
all’unisono avevano adottato la modalità
“di protezione” che sfoderavano
nell’individuare, riconoscere e sopperire agli umori ed alle
esigenze del
gruppo. Bob aveva raccontato di come lui e Paul avessero trovato Nick
nel
bagagliaio della cabrio, Nick si era difeso, Rich lo aveva rimproverato
ed Alex
aveva riso di tutti. Nessuno aveva ripetuto la domanda di Michael.
-Ehi.-
Alex girò la testa, ricambiando con un
“ehi” appena meno sentito ed un sorriso
decisamente più spento. Mise via la penna sul tavolino da
the e si massaggiò
gli occhi, una mano ancora attaccata all’inseparabile
chitarra.- Scrivi?-
s’informò Nick in un evidentissimo tentativo di
fare conversazione sull’ovvio.
Alex
apprezzò il modo in cui l’altro cercava
discretamente di sondare il terreno e
si limitò a sbuffare un accenno divertito.
-Ci
provo.- disse con qualche difficoltà, aggiungendo.-
…mi è venuta un’idea oggi…
La
ritrosia con cui concesse quelle ultime parole fece intuire a Nick che
non
volesse parlare della canzone. Si lasciò cadere a sedere
sulla solita poltrona
e provò ancora.
-…era
qualcuno che conoscevo?
-No.-
gli rispose Alex semplicemente. E come al solito quando le cose si
facevano
difficili, rimise le dita alle corde.- Era un vecchio amico di scuola.
-Uhm.
Ci sei rimasto male, eh…- banalizzò nuovamente.
Alex
si concesse due note ed un sorriso stirato, giusto per non doverlo
guardare in
faccia mentre rispondeva ancora, allo stesso modo spento e lento.
-Non
è quello. È che le cose cambiano e noi non
possiamo farci proprio nulla per
impedirlo.
-Beh.
Se non fosse così, sarebbe uno schifo!- sbuffò
Nick, sincero, accomodandosi
meglio tra i cuscini ed allungando le gambe tra sé e
l’altro, in un incastro
perfetto.
Alex
si fermò. Le dita congelate sulla chitarra e gli occhi
ancora fissi alle corde.
Nick capì che qualcosa lo aveva infastidito,
perché recepì il brivido leggero
dell’altro e poi non gli sfuggì il modo educato ma
fermo con cui si spostò
all’indietro, allontanandosi da lui fino a ristabilire una
certa distanza. Gli
sembrò strano, ma preferì non commentare; magari
aveva detto qualcosa che aveva
ferito Alex, era un argomento abbastanza delicato. Quando il cantante
riprese a
strimpellare a casaccio accordi che non conosceva, lui rimase
semplicemente in
silenzio, rispettando i suoi spazi.
-Hai
presente quella canzone dei REM?- esordì Alex dopo un
po’.
Nick
lo osservò interrogativamente, ma l’altro non gli
ricambiava affatto lo sguardo
ed era difficile capire cosa gli passasse per la testa. Alex era un
riflessivo,
certo, ma non era affatto uno portato a quel modo alla drammatizzazione
e Nick
cominciava a sentircisi stretto nel ruolo che gli altri gli avevano
rifilato
con tanta sollecitudine – quello di confidente e migliore
amico – senza che lui
glielo avesse mai chiesto. Almeno in quelle occasioni, per quanto rare
fossero,
ci si sentiva davvero stretto. E poi Bob era molto più bravo
di lui nel dare
virtuali pacche sulle spalle alla gente e farla sentire rincuorata!
-Sai,
Alex, non è che i REM ne abbiano fatta una di canzone, eh!-
commentò spiccio
quando ritenne che l’amico avesse bisogno di un
incoraggiamento per andare
avanti, e gli strappò una risata sincera che valse a
ripagarlo di tutto il
fastidio e l’imbarazzo che avvertiva in quel momento.- Di
quale canzone stai
parlando?
Alex
si decise a guardarlo, sembrò fare un attimo mente locale
– le labbra
arricciate in un’espressione concentrata e le dita pronte
sulle corde – e poi
accennò il motivo, prima sulla chitarra e poi a labbra
socchiuse, così che fu
il turno di Nick di sorridere.
-Ah!-
esclamò.- La so!- e gli puntò addosso un dito con
aria sorniona. Ci pensò su a
sua volta, mentre Alex lo osservava divertito, sopracciglia alzate.-
“Everybody
Hurts”!- chiosò orgogliosamente.
Alex
motteggiò un “Bingo!” silenzioso e gli
ricambio il cinque quando Nick,
ringalluzzito, gli allungò la mano.
-Carina.-
annuì distrattamente il chitarrista, rimettendosi comodo a
mani strette sulla
pancia. Ecco, adesso che Alex rideva era tutto nella norma.
-Fa
schifo!- commentò l’altro ilare.
-…beh…ora…
-Nah,
fa schifo!- ribadì Alex recuperando un plettro dal
tavolino.- È patetica! Ma
non sentirla mai quando stai andando al funerale di un tuo vecchio
compagno di
scuola.- raccomandò prima di rigirarsi il plettro tra le
dita e posarlo sulle
corde.
Nick
non ribatté. Rimase in silenzio mentre Alex ricominciava a
scappare da tutti
loro – e sì, erano giorni ormai che lo faceva e
nessuno riusciva a fornire una
spiegazione convincente. Avrebbe davvero voluto essere Bob in quel
momento.
-Alex.-
lo chiamò di nuovo. La musica si fermò, ma fu
lui, stavolta, a fare fatica nel
girarsi ancora a cercare gli occhi dell’amico.-
Senti…c’è…sì,
insomma, c’è
qualcosa che io o gli altri possiamo fare? - Alex era sinceramente
stupito.
Nick sospirò e fece uno sforzo ulteriore – Abbiamo
la sensazione che tu non
stia troppo bene e siamo un po’ preoccupati…
-Sto
da Dio!- lo interruppe allegramente il cantante.- Sono solo un
po’ preoccupato
che non veniamo a capo di queste registrazioni.
-Mh.
Posso?- si ritrovò a chiedere, additando il quaderno aperto
sul tavolino di
fianco a loro.
Alex
esitò, poi scrollò le spalle e gli fece cenno di
prenderlo pure.
Mentre viaggiamo sotto un
sole ottimista
alla radio c’è
quella
canzone dei REM che dice “Everybody…”
Ed io sono qui a lottare,
a lottare,
sì, a lottare per non
piangere
E questa è
un’altra
ragione
per la quale devo odiarti
quanto ti odio
quanto ti odio
Sei tu il motivo per cui
me ne vado
***
Nota
di fine capitolo della Nai:
La mia prima fan fiction sui Franz
Ferdinand! *_*
Siamo nell’ambito di
quelle storie che,
volente o nolente, mi sento in dovere di corredare di note esplicative,
sia
perché i Franz Ferdinand non sono un gruppo così
conosciuto in Italia, sia perché
ammetto per prima che la lettura di
una piccola monografia a loro dedicata, a parte farmi venire voglia di
scrivere
fan fictions che li vedessero protagonisti, ha avuto
l’ulteriore effetto di
farmi usare un mucchio di riferimenti semi incomprensibili.
Quindi partiamo
dall’inizio ed andiamo con
ordine.
I componenti dei Franz Ferdinand,
band
scozzese che di scozzese ha solo il luogo di provenienza –
Glasgow - ed un
unico componente del quartetto, è formata da quattro
elementi:
Alex Kapranos,voce e chitarra
nonché “fondatore”
della band; Nick McCarthy, chitarra, voce e tastiera e
“co-fondatore” del
progetto “Franz Ferdinand”; Bob Hardy,
originariamente pittore ma precettato
bassista in circostanze che rasentano l’assurdo
°-°; Paul Thomson, batterista
le cui capacità sembrano essere pari esclusivamente alla
totale mancanza di
coordinazione nei movimenti (e non fatemi domande su come
ciò sia possibile)
che lo porta ad essere una delle creature più imbranate
nell’Universo creato.
Questi quattro meravigliosi omini
– per i
quali mi struggo d’amore dal glorioso 2005, anno di uscita
del mio singolo
preferito “Walk Away” – vivono in un
mondo variegato di altri meravigliosi
omini, dei quali sputtanano nomi, attività lavorative e non
e, se qualcuno non
li censurasse, pure gli indirizzi di casa ed i numeri di telefono (la
mancanza
di pudore è una caratteristica del mondo musicale, pare).
Tra questi
meravigliosi esseri io ne ho citati alcuni.
Andy Knowles e Michael Kasparis
sono
entrambi musicisti che girano nello stesso ambiente di Glasgow che ha
dato i
natali, musicalmente parlando, ai quattro pargoli e collaborano spesso
e
volentieri con la band oltre ad esserne rimasti carissimi amici.
Cerne Cunning è effettivamente il manager dei Franz Ferdinand e
Rich Costey è
effettivamente il produttore del secondo album “You could
have it so much
better”, le cui registrazioni offrono spunto al racconto.
E veniamo agli spunti, offerti in
ordine di
apparizione e nella speranza di essere il più esaustivi
possibili (sono tanti,
vi avviso…)
Si comincia dal cottage nella
campagna scozzese, effettivamente
comprato da Alex ed utilizzato dalla band per le registrazioni del
secondo
album nell’estate del 2005. Pare che il cottage fosse
appartenuto ad un qualche
personalità storica che ho rimosso e, pertanto, i ragazzi
ebbero un mucchio di
problemi nel trasformarlo in uno “studio di
registrazione” per un’estate. Ma la
cosa fu molto divertente a sentire loro.
Sempre durante il periodo della
permanenza presso il cottage, pare,
Paul – delle cui capacità motorie si è
già riferito, notizia proveniente tra
l’altro da dichiarazioni rese dallo stesso Costey nel
definirlo, comunque, uno
dei migliori batteristi indie che avesse mai sentito -
allietò l’intera
combriccola riunita con l’audizione a spron battuto di
musical classici. Così
come vera sarebbe stata anche la passione di giardiniere di Alex nel
periodo di
permanenza al cottage e l’abitudine di Nick di addormentarsi
ovunque e nei
momenti più impensabili – auto compresa…
La passione di Alex per la cucina
risale a tempi immemori – lui e Bob
hanno, tra l’altro, lavorato nello stesso ristorante
– ed è la ragione per cui,
a tutt’oggi, il cantante delizia i lettori di “The
Guardian” con articoli che
vengono pubblicati nella rubrica culinaria del giornale (ho scoperto
oggi che
alcuni sono stati anche pubblicati in Italia…)
Il matrimonio tra Nick e Manuela,
fidanzata storica del chitarrista ed
“origine” della sua conoscenza con Alex e gli
altri, è avvenuto davvero nello
stesso anno delle registrazioni dell’album.
Quando Nick svolge una serie di
considerazioni sul fatto che sarà
sempre l’ultimo arrivato a Glasgow, queste sono dettate dal
fatto che,
effettivamente, Nick, trapiantato in Baviera da piccolissimo,
arrivò in Scozia
al seguito della fidanzata che, per farlo ambientare, lo
presentò ai colleghi
di corso presso la “Glasgow School of Art”,
ambiente all’epoca frequentato da
Alex e Bob, studente della stessa Accademia.
L’incontro / scontro tra
il cantante ed il chitarrista avvenne proprio
ad una festa a cui Manuela portò il ragazzo, complice un
incidente con una
bottiglia di vodka e l’abitudine scozzese – per me
incomprensibile – di bere
alle feste ognuno quello che porta da sé °_°
Nick, inconsapevole di tale
usanza, si era servito dalla bottiglia di Alex senza pensarci ed i due
hanno
finito per fare a botte, poi mettersi a chiacchierare – non
è chiaro in quale
successione – e quindi decidere di condividere vari, astrusi
progetti musicali
dei quali – Grazie al Cielo! – andò in
porto esclusivamente la band.
Da allora il rapporto tra i due
pare si svolga sempre su toni
scoppiettanti e dinamici – liti furiose ed entusiastiche
riappacificazioni – ma,
in generale, nel leggere la monografia sono arrivata alla conclusione
che sia
tipico degli scozzesi risolvere le questioni con il binomio pugni /
discussione
civile.
L’episodio del funerale e
della canzone dei REM è tristemente vero. Lo
stesso episodio ha ispirato la canzone che da il titolo alla fan
fiction e che
è stata da me “forzata” in un ruolo
ingrato, essendo stata scritta da Alex
sulla spinta delle emozioni suscitate dall’evento luttuoso e
da una serie di
circostanze piuttosto spiacevoli. Pare, comunque, che Alex non apprezzi
davvero
la povera, bistrattata “Everybody Hurts”…
Per la seconda parte del
documentario “Alla
scoperta del favoloso mondo dei Franz Ferdinand” si rimanda
alle note a piè di
pagina del capitolo II e si ringraziano i gentili telespettatori per la
loro
attenzione! ^_^
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