Titolo:
Good morning Dr Burke. Good morning Mrs. Ford
Pairing: James/Juliet
Rating: G
Conteggio Parole: 2611 (
Fidipù)
Challenge: W.W.F.
su
Fiumi
di Parole,
II settimana: Fluff Week, prompt
Domestic!Fluff.
Warnings: Fluff. Ma sul serio.
Spoiler: 6x11, Happily Ever After
Note: Zucchero sotto forma di parole,
praticamente.
Ma era una vita che volevo scrivere questa fic, infarcendola ben bene
di smancerie made in LaFleurs (o meglio made in Fords?) Nel complesso
sì, mi piace. Ah, i loro rapporti con gli FS: ancora non ho
capito bene come funziona il meccanismo, cioè se si
ricorderanno tutto, oppure solo la parte della loro vita legata al loro
amore, quindi diciamo che ho improvvisato, ecco. ^^"
Disclaimer: Lost appartiene a J.J. Abrams, Damon
Lindelof, Jeffrey Lieber e alla ABC, che ne detengono tutti i diritti.
Non è scritta a scopo di lucro, ma di
ludo,
esclusivamente principalmente il mio.
-:-:-
La luce del sole filtrava appena dalle grandi finestre oscurate e si
adagiava mollemente sulle lenzuola disfatte e sulle coperte rivoltate
ai piedi del letto che arrivavano perfino a toccare terra. L'aria era
silenziosa e placida, l'unico rumore che si poteva sentire era quello
dei loro respiri che svanivano soffusi verso il soffitto bianco e le
tendine leggere che giacevano immobili ad incorniciare la finestra.
James aprì un occhio, ancora mezzo addormentato, e si
voltò impacciato verso il comodino, dove le lancette della
sveglia ticchettavano lentamente, segnando che erano poco meno delle
nove.
Lui sbadigliò, riabbandonando mollemente le testa sul
cuscino e chiuse di nuovo gli occhi, cercando di riprendere il ritmo
del sonno. Era domenica, e aveva intenzione di approfittarne fino in
fondo. Restò immobile, immerso nella luce calda e soffusa,
lasciandosi cullare dal respiro profondo e regolare della donna che gli
dormiva accanto. Aprì di nuovo gli occhi, come colto da un
pensiero, e si voltò nuovamente, questa volta verso di lei.
Juliet era stesa su un fianco e il lenzuolo, arrotolato attorno alla
sua vita, le lasciava scoperta una spalla nuda e un braccio che giaceva
proprio accanto al suo viso, a pochi centimetri dal naso. Le palpebre
tremolavano appena e le sue labbra erano piegate leggermente
all'insù, in un sorriso appena accennato.
Guardando il suo viso, così pacifico nel sonno, non
poté fare a meno di sorridere a sua volta. Erano passati
anni, ormai, ma tutte le volte che la vedeva era sempre come
rincontrarla per la prima volta; ed ogni volta non poteva impedire ai
ricordi – i suoi, del se stesso che aveva vissuto
un'altra
vita – di riversarsi in lui come un fiume in piena,
lasciandolo poi a boccheggiare per lo sconcerto e la sorpresa, e tutte
le volte gli tornava in mente sempre quel momento, e poteva ancora
sentire la mano di lei scivolare via dalla sua e poi, immersi nel buio,
la sua vita abbandonarla, come un soffio leggero che scompariva con
l'esalare del suo ultimo respiro. Era indescrivibile, il dolore
lancinante che poteva sentire direttamente sotto la sua pelle, un pugno
ghiacciato nello stomaco che non gli permetteva nemmeno di respirare.
Rise di se stesso al solo pensiero che, tempo prima, era stato proprio
lui a dire che tre anni potevano bastare, per dimenticare qualcuno che
si era amato, e adesso era lì, nel buio della sua mente, a
soffrire ancora per un dolore che, alla fine, non era stato altro se
non un breve attimo di smarrimento, un ostacolo che era riuscito a
superare nell'esatto momento in cui l'aveva ritrovata.
Allungò un dito per accarezzarle una guancia e le
scostò una ciocca di capelli dagli occhi, delicatamente, per
poter vedere il suo volto nella sua interezza. Qualsiasi cosa gli fosse
costata, non voleva assolutamente perderla di nuovo.
Indugiò sulla sua pelle, sentendola tiepida sotto le dita, e
Juliet si riscosse, piano, scostando il viso e aprendo gli occhi.
La prima cosa che vide fu il sorriso di James. Lei sorrise a sua volta,
afferrando la sua mano e gli si avvicinò appena, quanto
bastava perché le punte dei loro nasi fossero a pochi
centimetri di distanza. «Buongiorno, dottor Burke,»
sussurrò, ridacchiando e James le sollevò la
mano, portandosela alle labbra. Lasciò un bacio
impercettibile sulle nocche e le sfiorò la punta del naso
con la sua. «Buongiorno, signora Ford.» Si
allungò sul cuscino, verso di lei, e appoggiò
piano le labbra sulle sue, soltanto per un istante, come se quel
contatto, seppur breve, fosse stato indispensabile e poi si
allontanò ancora, abbastanza per poter parlare, ma non
così tanto da non sentire più il suo respiro
sulla pelle. «Ti ho svegliata,» mormorò,
a bassa voce, cosicché nemmeno le pareti che li circondavano
potessero sentire quello che le diceva.
Juliet scosse il capo, piano. «No, ero già
sveglia. Mi piace sentirti dormire.»
Restarono in silenzio, avvolti dalla sensazione confortevole che
provavano nello stare insieme, riparati in quel bozzolo caldo, intimo,
un quell'attimo che potevano rubare al tempo e dimenticare
completamente l'esistenza del mondo intero.
Gli occhi di lei, di quell'azzurro intenso che riluceva anche al buio,
brillavano e lui sapeva che l'espressione sul proprio viso non poteva
essere molto diversa dalla sua. La baciò di nuovo, facendo
scorrere un braccio dietro le sue spalle, stringendola a sé.
Juliet si scostò, sistemandosi più comodamente, e
portò entrambe le sue mani sul suo viso, accarezzandogli le
guance ispide con le dita sottili. Si scostò per prendere
aria. «Va a raderti,» borbottò,
disegnando con i pollici dei cerchietti sui suoi zigomi. «La
barba mi fa il solletico.»
James lasciò che il suo sorriso si trasformasse in un ghigno
appena accennato, mentre la circondava con entrambe le braccia,
impedendole qualsiasi via di fuga. «Ah, davvero?»
la stuzzicò, prima di ribaltarla e di cominciare a sfregare
le proprie guance contro le sue, cercando di darle più
fastidio possibile.
«James!» La sua risata cristallina
riempì la stanza in un secondo, illuminandola.
«James, smettila!» Rise ancora, dibattendosi
pigramente e spintonandolo, cercando di guadagnare una via di fuga.
James rise con lei, ribaltandosi sul materasso fino a farla stendere
sopra di sé, beandosi della vista delle sue guance
leggermente arrossate e dei suoi occhi brillanti. Fece una smorfia,
tirando in fuori il mento. «Sei arrabbiata?»
«Furibonda!» esclamò, incapace di
trattenere le risate.
Lui le accarezzò nuovamente il viso, e Juliet si
alzò, permettendogli di scivolare via.
«Andiamo,» disse. «Non possiamo stare qui
tutto il giorno.»
James le afferrò i fianchi. «No? Perché
io avrei una mezza idea di restarmene qui a poltrire almeno fino a
domani mattina.»
Juliet rise. «Oh, non fare il pigrone,» lo
rimproverò, sforandogli con le labbra la punta del naso.
«Dai, tu va in bagno e io intanto preparo la
colazione.»
Fece per alzarsi ma lui la trattenne di nuovo, scivolando seduto sotto
le sue gambe. «No, no, no. Se permetti, io avrei un'idea
migliore.»
«Che sarebbe?» gli chiese, poco convinta.
«Sarebbe che in bagno ci andiamo insieme,»
soffiò, accarezzandola la schiena languidamente, come per
chiarire il concetto. «E
poi, con tutta
calma, ci prepariamo una lunga e abbondante colazione che ci duri
almeno fino all'ora di pranzo.» Lei rise, ma lui
continuò, serio nelle sue intenzioni. «Che ne
dici?»
Juliet finse di pensarci su e poi annuì, convinta.
«Ci sto.»
«Perfetto, signora, si tenga forte.» E senza
permetterle di dire alcunché le afferrò le gambe,
costringendola a stringersi a lui e la sollevò senza fatica,
portandola in braccio fuori dalla camera e fino alla porta del bagno
che aprì malamente con un gomito, rischiando di far
capitolare entrambi.
La lasciò a terra poco lontano dalla doccia e si tolse la
maglia che usava come pigiama con un movimento fluido, abbandonandola
sulle piastrelle candide del pavimento. Juliet gli si
avvicinò, stringendogli le mani dietro alla nuca e
carezzandogli i capelli biondi. «Tu sei matto,» gli
disse, baciandolo.
Lui le afferrò i fianchi e le sfiorò le labbra.
«No, biondina. Sei tu che mi mandi fuori di testa.»
James aveva appena inserito il filtro del tè nell'acqua
calda quando sentì il getto della doccia riversarsi con meno
intensità e poi spegnersi del tutto. Diede ancora una rapida
occhiata ai fornelli e, quando ritenne che tutto fosse a posto si
voltò, soltanto per trovarsi Juliet con indosso una delle
sue camicie pulite che lo guardava dalla porta con un sopracciglio
inarcato.
«Che c'è?» le chiese, stringendosi nelle
spalle.
«Non lo so,» rispose, avanzando dubbiosa.
«Ho sempre paura di cosa possa accadere, lasciandoti solo ai
fornelli.»
Lui si fece da parte, facendole ammirare i risultati del suo duro
lavoro. «Uova e pancetta, succo di frutta, pane tostato e
marmellata, se ti va, e infine tè caldo e biscotti per la
signora e caffè amaro per me,» concluse,
sollevando una grande tazza da cui usciva una spessa voluta di fumo.
Juliet fece schioccare la lingua, genuinamente ammirata. «E
tutto questo mentre io mi stavo facendo la doccia? Non hai nemmeno
spaccato le uova.»
Lui le girò attorno, andando ad appoggiare la sua tazza
sulla tavola modestamente imbandita e si fermò dietro di
lei, lasciandole un bacio sulla nuca. «Tu non hai idea di
quanto tempo sai perdere, chiusa in bagno.»
Juliet li lanciò una gomitata scherzosa, fingendosi
oltraggiata. «
Questo non è
vero.» i due rimasero zitti un momento, l'uno stretto
all'altra, ad assaporare l'aroma di caffè e pane tostato che
riempiva la cucina; poi lei si voltò verso il tavolo,
facendo un cenno con la testa. «Se tu qui hai fatto tutto, io
posso anche sedermi, no?»
«Ma certo.»
La guidò verso il tavolo e scostò una sedia per
lei, lasciando che si sedesse comodamente. Juliet rimase incantata a
guardarlo con il viso appoggiato su una mano mentre lui faceva di tutto
per non rovinare il suo duro lavoro. Sistemò il pane e la
marmellata sul tavolo, subito seguito da un paio di bicchieri stracolmi
di succo aranciato e i loro piatti di uova e pancetta.
Juliet sospirò.
«Cosa?»
«Ti ci sei davvero impegnato, eh?»
«Ci puoi scommettere.» Si sedette di fronte a lei
ed infilzò un pezzo di pancetta abbrustolita con la
forchetta. «E poi, per te questo ed altro.»
Fecero colazione con calma, prendendosi ogni minuto disponibile,
continuando per tutto il tempo a parlare di tutto e di niente,
godendosi semplicemente quel breve attimo di intimità come
se di lì a breve tutto quanto sarebbe scomparso. James
chiuse gli occhi, solo per un momento. Da quando tutto era cominciato,
aveva sempre avvertito dentro di sé il terrore che ogni cosa
sarebbe scomparsa, che lui si fosse trovato nuovamente solo –
sull'Isola o in questa realtà, poco importava –
senza di lei, accorgendosi che tutto non era stato altro se non un bel
sogno.
Forse era per questo che, dopo tutti quegli anni, ancora si ritrovava
con un anello nascosto in qualche angolo e una proposta non fatta sulla
punta della lingua; perché aveva paura che chiedendo di
più a questa realtà forse avrebbe finito con
ritrovarsi senza più nemmeno la sua presenza accanto.
Sollevò gli occhi verso di lei, e restò un attimo
incantato nel vederla assorta a leggere il giornale, domandandosi se
anche lei, ogni tanto, avesse le sue stesse paure, se qualche volta si
ritrovasse da sola a pensare che la fortuna che era capitata a entrambi
fosse veramente di più di quella che potevano permettersi.
Eppure, più restava a guardarla, più sentiva che
le sue paure erano del tutto infondate. Lei era lì e lui era
con lei: questa era la realtà e niente al mondo sarebbe
riuscito a distruggere – di nuovo – quello che con
tanta fatica avevano creato.
Juliet depose il giornale e sollevò lo sguardo, incontrando
i suoi occhi assorti. «James?» lo chiamò
e lui si riscosse, leggermente stralunato. «Sì?
Che c'è?»
«Va tutto bene?»
Lui non rispose subito.
Ora o mai più,
si disse e, sotto gli occhi sbalorditi di lei, si alzò in
piedi. «Puoi aspettarmi qui un momento?»
«Certo, ma… Sei sicuro che vada tutto
bene?»
«Tutto benissimo devo solo… fare una
cosa,» e se ne andò senza aggiungere altro,
dirigendosi a passo deciso verso la loro camera da letto. Si
voltò indietro, prima di chiudersi la porta alle spalle, per
controllare che lei non l'avesse seguito. Non perse tempo ad accendere
la luce o ad aprire le inferriate, sapeva benissimo che cosa stava
cercando.
Aprì l'armadio e si inginocchiò, sfilando dalla
pila di scatole che teneva sotto gli abiti un contenitore anonimo,
bianco e blu. Lo aprì con reverenza, mostrando un contenuto
di oggetti banali e, in un angolo, di una scatoletta in velluto blu
scuro. La prese con due dita e, prima che riuscisse ad aprirla per
guardarne il contenuto, squillò il telefono.
Scattò in piedi lasciando cadere la scatola più
grande sul pavimento e trattenne il fiato fino a che lo squillo non
cessò. Chiuse alla rinfusa l'armadio, cercando di mettere
tutto a posto e, quando uscì dalla camera, fu immediatamente
richiamato dalla voce di Juliet: «James?»
Lui deglutì, nascondendo la scatolina dietro la schiena
sperando che lei non se ne accorgesse.
«Sì?»
«C'è Miles al telefono, dice che ha bisogno di
parlarti.»
Miles? «E che accidenti vuole?»
«Dice che si tratta di lavoro.»
James sbuffò vistosamente, imprecando a bassa voce.
Merda.
«Lo prendo qui in camera,» le disse, sgusciando
già dentro la porta.
«Ok,» gli rispose, per poi tornare a borbottare
qualcosa alla cornetta.
Entrò nella camera ed accese la luce, prima di buttarsi sul
letto e di prendere in mano il telefono. Avrebbe ucciso Miles, era
ufficiale. L'avrebbe ucciso nel modo più doloroso possibile.
«Miles, che accidenti vuoi? Lo sai che giorno
è?»
«Ehi, amico, non ti scaldare, è domenica per
tutti.»
James si pinzò la radice del naso con due dita e
sospirò. «Ok, ok. Che c'è di
così urgente?»
«Dicono che ci sono stati dei casini con certi rapporti, ci
sono delle versioni che non coincidono, hanno bisogno di noi qui per
verificare le deposizioni.»
«Porca puttana,» imprecò, stringendo con
più forza del necessario la cornetta del telefono.
«Ma questi bastardi non possono aspettare almeno fino a
domani?»
Non poteva vederlo, ovviamente, ma sapeva che Miles aveva appena
scrollato le spalle. «Gliel'ho detto anche io, ma sono stati
irremovibili. Comunque non credo che ci vorranno più di un
paio d'ore.»
«Un paio d'ore?» esclamò, indignato.
«Che diventeranno tre se non muovi il culo e non ti presenti
qui immediatamente…»
James scattò in piedi, sfilandosi malamente la maglia pulita
che aveva indossato. «Ok, ok, mi vesto e in un quarto d'ora,
traffico permettendo, sono alla centrale.»
«Perfetto. Muoviti,» e chiuse la chiamata senza
nemmeno salutare. James sbatté giù il telefono e
si gettò verso l'armadio, vestendosi il più
velocemente possibile. Ogni tanto – e in realtà
più spesso di quanto fosse consigliabile – odiava
davvero tanto il suo lavoro.
Si infilò una camicia e i jeans e, prima di uscire, raccolse
anche la scatolina di velluto. Corse verso l'ingresso e si
infilò le scarpe e il cappotto, e aveva appena nascosto
l'anello nella tasca del giubbotto quando Juliet gli si
presentò davanti, un sopracciglio inarcato e un'aria poco
divertita sul viso. «Problemi?» gli chiese, e lui
allargò le braccia, sconsolato. «Qualcuno ha fatto
casino e i pezzi grossi non possono aspettare fino a domani.»
Le si avvicinò e le carezzò i capelli.
«Mi spiace piccola, farò in modo di tornare il
prima possibile.»
Lei annuì abbozzando un sorriso. «Fa il tuo
dovere, agente.»
Lui rise e, in quell'istante, si accorse di aver dimenticato qualcosa.
«Porca puttana. Ho dimenticato il distintivo.»
Juliet gli sorrise. «Vado a prenderlo io. È nel
cassetto, no?» e si incamminò lungo il corridoio.
«Sì, grazie.» Sbuffò,
appoggiandosi contro il tavolino del telefono.
E anche questa
volta non se ne fa niente. Si voltò e, quando lo
sguardo gli cadde sul ripiano lucido del mobile, prese la sua
decisione. Afferrò velocemente un post-it e una penna e vi
scarabocchiò sopra alcune parole. Se il destino non aveva
intenzione di andargli incontro, ci avrebbe pensato da solo.
Appiccicò il bigliettino in bella vista sullo specchio e
quando Juliet tornò con il suo distintivo lui raccolse le
chiavi della macchina, ringraziandola.
Si avviarono insieme alla porta e, quando lui fu fuori si
voltò di nuovo indietro, guardandola dritta negli occhi.
«Torno presto.»
Lei annuì. «Fa quello che devi, io non me ne
vado.»
James restò per un attimo interdetto e poi sorrise.
«Lo so.» Stava per voltarsi, ma poi
cambiò idea: «Ah, Juliet.»
«Mh?»
«Ti ho lasciato un post-it sullo specchio,» e se ne
andò, senza aggiungere altro.
Lei rimase immobile a guardarlo per un momento e poi, vinta dalla
curiosità, rientrò in casa, e si fermò
subito nell'ingresso, davanti al suo riflesso, dove un fogliettino
giallo fosforescente faceva bella mostra di sé, attirando la
sua attenzione.
Lo staccò delicatamente e lesse le parole che vi erano
scritte almeno tre volte, mentre un sorriso quasi sciocco le spuntava
sulle labbra. Accarezzò con le dita le lettere malamente
scarabocchiate, ma comunque sufficientemente leggibili e
sentì il suo cuore gonfiarsi di gioia mentre i ricordi
affluivano in lei come un'ondata inarrestabile.
Quando torno ci prendiamo un caffè.
Offro io.