terza konoha 2
Due – Senza pietà
Un solo vero lamento si sentì durante tutto il funerale. La
signora Haruno ancora non riusciva ad accettare la brutalità con
cui le era stato tolto tutto – probabilmente, non si era accorta
di averlo già irrimediabilmente perso da tempo.
Piegata sulla bara, niente era riuscito a consolarla. Né il
marito stanco e provato, né i colleghi affranti, né altri
ninja né la stessa Hokage che recitava le preghiere ad alta voce.
Illuminati da un sole nascente, i vecchi compagni di Accademia
assistevano inermi e silenziosi alla cerimonia. Molte lacrime sui visi,
nessuna parola in gola. Solo qualche fiore rosa sulla bara assieme ad
una timida cosmea striminzita.
Kiba aveva abbracciato Shino – così, improvvisamente.
L’aveva abbracciato quando ancora la folla li circondava, quando ancora tutti avevano le guance bagnate in lucide scie.
L’Inuzuka sapeva fin troppo bene quanto l’Aburame
avesse difficoltà a far emergere le proprie emozioni. In tutto
quello si ricordava di come Shino non avesse neanche pronunciato un
singolo singulto. Neppure quando era morto un suo parente – il
cugino, caduto per mano di Konan dell’Akatsuki.
Camminare sulle proprie zampe era qualcosa di lodevole, ma rifiutare qualsiasi aiuto era solo masochista.
Shino non avrebbe mai chiesto nulla a nessuno, questo era il problema principale.
Così, col cuore in mano, si impose sul suo orgoglio.
-Ce la faremo! Io e te ce la faremo, Shino! Non dimenticare mai questo!-
Alla fine, Kiba aveva sentito due braccia stringergli il dorso. Due
braccia goffe, due braccia timide – due braccia che prima di
dieci minuti si rifiutarono di lasciarlo andare.
Mattone dopo mattone, nemmeno quel giorno il lavoro si arrestava.
La città certo non si fermava per un altro morto, anche se era l’allieva della principessa Tsunade.
Quello che importava – in quel momento più che mai –
era risollevare dalla polvere i vivi, e magari nascondere sotto metri
di terra i morti. Perché del loro ricordo si conservasse solo
qualche pallido secondo più splendente.
Non c’era certo bisogno di ulteriore angoscia.
La casupola per gli anziani aveva le fondamenta pronte per fare una
specie di tetto che servisse quantomeno a proteggerli dalla pioggia o
dal vento battente Shino aveva impiantato una serie di pali e applicato
un tendone spesso e dal colore scuro. Sicuramente meglio che niente.
Intanto, oltre a separare oggetti ancora utilizzabili da quanto invece
non lo era, gli orti fatti agli angoli delle strade vedevano i primi,
timidi germogli. E per sopperire alla mancanza di carne commestibile,
si cacciavano ancora i colombi e le anitre di passaggio.
Il carretto del pane passava ogni quattro ore precise, come a scandire il tempo che passava lento.
-Shino, è ora di andare… abbiamo finito per oggi!-
L’Aburame fu scosso dall’intento di posizionare un tubo su
per il canale della fontanella ricostruita quello stesso pomeriggio
dalle sue mani. La voce del suo compagno lo richiamò alla
realtà: la sera era già calata, era giunto il momento di
riposare i muscoli.
Provò un irritante malessere al ricordo del vecchio Toshi che
trasportava personalmente l’acqua ogni giorno dal grande fiume.
Due tinozze poggiate sulle spalle, almeno un litro da bere per ognuno.
Per questo finì il suo lavoro nonostante le lamentele dell’altro.
Dieci minuti ed era fatta – il quartiere aveva di nuovo la sua acqua.
Sorrideva, Hinata, nel vedere che la porta le si apriva davanti come ogni sera.
Al solito, Kiba e Shino entrarono per la visita giornaliera.
-Salve, Hinata…-
-Buonasera, compagna! Come stai?-
Come al solito, parlò più Kiba che ogni altro presente
nella stanza. Ma benché il rituale si ripeteva identico ogni
singolo giorno, non pareva che il sorriso di Hinata divenisse per
questo meno solare, così come la voglia di Kiba di mettersi in
mostra e il muto desiderio di Shino di strangolarlo per prendere parola
a sua volta.
Sembrava davvero che ognuno di loro, ognuno dei membri del vecchio Team
8, si impegnasse con tutto se stesso a vivere, a ritrovare dentro il
proprio intimo quella forza che lo aveva caratterizzato ai tempi
d’oro.
Non accettavano neppure il concetto di una sconfitta su tutta la linea.
Erano rimasti vivi, questo significava sicuramente qualcosa.
La visita finì, Hinata necessitava della cena e di un buon riposo.
Ma quando Shino passò davanti a quel luogo ora vuoto, davanti
alla porta del traditore provò l’impulso più grande
della sua vita – e, allontanato con una frase spicciola il
proprio compagno, entrò con un gesto deciso nella stanza di
Sasuke Uchiha.
-Lo sai che Sakura è morta?-
Sasuke voltò appena lo sguardo per fissare in volto chi lo aveva
disturbato. Non aveva riconosciuto la voce, in quei tre anni Shino si
era fatto uomo e la tonalità della sua voce era diventata molto
più grave.
Sorrise, amaro, prima di tornare a guardare il soffitto.
-Aburame, noto che sei senza pietà come sempre…-
Shino restò fermo al suo posto, guardando in maniera truce il ragazzo steso ancora nel letto.
Delle macchine testimoniavano la sua vita con incessanti ticchettii, il
loro rumore era quanto di più fastidioso ci fosse al mondo.
Martellavano la coscienza senza darle tregua.
-L’ho sentita buttarsi giù dal balcone di Naruto. Non ha
fatto proprio niente per essere discreta. Urlava come una pazza…-
Si girò a guardarlo ancora una volta, infastidito dalla supponenza che gli era dipinta in viso.
-Cosa sei venuto a fare? Imputarmi la colpa di non averla fermata?-
L’Aburame bisbigliò, trattenendo a stento il disgusto che provava per l’altro.
-Non consideravo quell’essere ancora vivo, non vedo come avresti potuto salvarla…-
Fece una pausa, posando gli occhi sui macchinari che ancora legavano
Sasuke a quella terra e guardandolo di nuovo arrogante e borioso.
-Considerando la tua inutilità, poi, presumo che fosse una cosa abbastanza impensabile…-
L’Uchiha ebbe uno scatto in avanti, che lo portò col busto sollevato per la prima volta dopo tanto tempo.
No, il suo orgoglio non ammetteva giudizi. Non ancora. Dopo una vita
passata a considerare cosa era rispettabile o no, cosa ad un Uchiha era
concesso o no, in quel momento – quando aveva deciso di farla
finita con tutto – davvero non voleva essere giudicato ancora una
volta.
Ma Shino, come lui stesso aveva detto, non conosceva pietà.
Ricambiava il suo sguardo di fuoco dietro gli occhiali scuri, senza pronunciare una singola parola.
Aveva già detto quale fosse il suo pensiero, altro non gli doveva.
Eppure Sasuke riuscì a sorridergli, ricordando quanto fosse violento l’odio che provava per quelli di Konoha.
-Inutile? Pensi che io sia inutile? Almeno io ho tentato di dare una
ragione alla mia vita, Shino! Almeno ho fatto in modo che la mia
persona non fosse soggiogata da una volontà superiore come
ognuno di voi, pedine in mano all’Hokage!-
Schietto, Shino fu tanto rapido quanto incredibilmente loquace.
-Certo, peccato che gli ideali per cui ti sei macchiato di sangue le
mani si siano rivelati vani e privi di senso. Almeno ne avessi portato
a termine uno, Sasuke… Né la tua tanto amata vendetta
né il tuo orgoglio hanno avuto mai ragione d’essere. Sei
inutile, Sasuke. Solo un peso per Konoha come lo è sempre stata
la tua famiglia…-
Sasuke lo fissò a lungo, attraversato da mille e più pensieri contrastanti.
Poi, prendendo il primo oggetto disponibile, gli scagliò contro
qualcosa e gli urlò con quanto fiato aveva in corpo.
-Vattene… Vattene! Non tornare mai più qui! Non tornare, non tornare!-
Era stanco, anche lui. Voleva solo morire in pace dopo quanto era accaduto.
Kiba lo aveva guardato tutto il tempo, mentre camminavano l’uno
accanto all’altro silenziosamente verso le proprie case.
Quel giorno pareva che Shino fosse più rigido del solito.
Non che in altri momenti avesse spiccato per vivacità o
allegria, ma in quel momento – il suo sesto senso canino glielo
suggeriva – l’Aburame era tormentato da qualcosa di diverso.
Lo si vedeva da come camminava, non era per niente rilassato.
Conoscendolo bene quanto poteva farlo solo Kiba, il giovane Inuzuka
credeva fortemente che mai Shino si sarebbe confidato se non costretto
da qualcuno. Mai fare la prima mossa, era una regola a cui si era
sempre attenuto negli anni addietro.
Così, Kiba lo anticipò, domandandogli con aria vaga.
-E’ stata una bella giornata, no?-
Lo vide curvare di più le sopracciglia, ma nessuna risposta uscì dalla sua bocca.
L’altro sbuffò, sistemandosi meglio sul dorso del proprio cane.
-Oh, insomma Shino! Si può sapere che cosa hai, oggi? Sei meno attivo del solito, il che è tutto dire…-
Niente, l’Aburame si ostinava a non parlare, rinchiudendosi in un silenzio cocciuto.
Giunsero alla sua dimora – Kiba giurò di averlo sentito
sospirare mentre si girava verso di lui per salutarlo con due misere
parole.
-A domani…-
Kiba fu lasciato solo, a guardare un cancelletto di ferro che si richiudeva con un suono metallico.
Steso sul proprio lettino, Sasuke sentiva ancora l’odore del cibo
ormai freddo che l’infermiera qualche ora prima gli aveva portato
nella speranza di vederlo nutrirsi da sé.
Inutile, ancora una volta avrebbero dovuto immettergli direttamente nel sangue proteine e carboidrati.
Sospirò, guardandosi attorno.
L’ampia finestra che dava su Konoha aveva le tende tirate, eppure
si vedevano le timide luci della città in ricostruzione. Sparse
qua e là, sembravano lucciole timide.
Sentì un ronzio, il movimento di un piccolo essere – vide
in alto, sbattere contro il soffitto, una mosca di dimensioni notevoli.
Sbuffò spazientito, rifiutandosi di pensare a quanto era
successo qualche ora prima: ancora lo stomaco si contorceva dalla
rabbia.
Chiuse gli occhi cercando di prendere sonno ma fu proprio a quel punto che sentì.
Il ronzio della mosca ne aveva coperto un altro più discreto, un
qualcosa di infinitamente più silenzioso e flebile. La puntura
di quella piccola creatura ebbe un effetto devastante sul sistema
nervoso centrale.
Applicato all’interno dell’orecchio, il suo veleno
andò a colpire direttamente i nervi del cervello, provocando un
dolore lancinante che proruppe all’esterno in grida strazianti.
Mentre gli infermieri accorsi ancora si stavano domandando cosa diamine
avesse Sasuke Uchiha da urlare così tanto, le macchine collegate
alle sue braccia emisero un unico suono prolungato.
Il corpo divenne rigido e l’ultimo respiro fu esalato.
Avevano seppellito Sasuke Uchiha in una fossa, senza dargli né bara né funerale.
Solo un uomo era andato a guardare mentre due becchini buttavano nella
conca il corpo avvolto da un lenzuolo lercio. Il solo che sentisse
dentro il cuore il dovere morale di farlo.
Kakashi, quando uno dei due uomini incappucciati aveva preso in mano la
propria pala per coprire di terra il cadavere, gli aveva preso di mano
lo strumento guardandolo serio in volto.
-Lasci fare a me, per favore…-
I due uomini si guardarono per un istante, quindi lasciarono gli
attrezzi e si allontanarono da quel luogo, lasciando soli Maestro e
Allievo.
Con gratitudine Kakashi li guardò andare via. Poi, fissando lo
sguardo su quel piccolo fagotto ormai sporco di fango, strinse tra le
dita il manico di legno dello strumento e lento cominciò a
spalare.
|