Hysteria
-Voglio andare da sola a
giocare in giardino!
Me lo disse con una
tale determinazione, che quasi dimenticai che avesse
solo cinque anni.
La osservai meglio.
I lunghi capelli
biondi le ricadevano in morbidi boccoli sulle spalle,
incorniciandole il viso paffutello, che
lasciava intravedere una rosea luce sulle guance morbide.
Il
vestitino color panna, fasciato in vita
da un nastro smeraldo,
le stava un incanto.
Non
portava le scarpe.
Amava andare in giro
per casa, completamente scalza.
Molte volte
l’avevo rimproverata, provando a metterle almeno
delle calze leggere. Lei non ne voleva sapere, però,
preferendo mille
volte sentire il fresco del pavimento stuzzicarle la pianta dei piedi
nudi.
Posai lo sguardo sui
suoi occhioni color nocciola, ripensando alla
prima volta che li vidi.
Così belli,
grandi e luminosi. Provai un senso di malinconia nel notare che non
fossero azzurri come i miei, come avevo
inizialmente sperato, ma scuri come quelli del padre, morto suicida un
mese prima del parto.
Scossi la testa.
-Non puoi permetterti
di fare troppi sforzi. Ti
accompagno io!
Povera la mia bambina
tanto malata.
Non doveva esser
facile avere tutta quella vitalità,
e vivere con una malformazione alla spalla e alla gamba
destra, che le davano un aspetto leggermente ingobbito e impacciato.
Nonostante tutto, non
rinunciava mai al suo sorriso.
Si
allontanò goffamente nel momento stesso in cui provai a
prenderla in braccio, storcendo le labbra in un broncio contrariato.
-Sono grande ormai! E
poi sono solo pochi gradini!
Sentii che avrei
dovuto insistere nell’accompagnarla... ma il
suo sguardo desideroso di provare a fare qualcosa da sola mi fece
cambiare idea, sebbene fossi ancora un po’ riluttante.
E come una sciocca
annuii, lasciandola zompettare gioiosa verso la
rampa di scale che conduceva al giardino.
Un senso di orgoglio
si impossessò di lei, quando fatto il
primo gradino si voltò verso di me con un enorme sorriso,
tenendo comunque una manina stretta alla ringhiera.
Non
erano molti gradini.
Dieci
al massimo.
E nemmeno tanto
sicuri, considerato il fatto che la casa era molto
vecchia, e le scale -un tempo di un legno rigoglioso- erano
praticamente in pericolosa decadenza.
-Fai attenzione,
Elisa!
Sono sempre stata una
donna apprensiva, e tante volte in modo quasi
esagerato.
Forse per il fatto che
il mio primo bambino non era mai venuto al
mondo, morendo al sesto mese di gravidanza.
Persi il controllo
mentale, tanto che dovetti andare in una clinica
psichiatrica per un anno.
Tutto però
sembrò stabilizzarsi quando scoprii di
essere nuovamente incinta, ma a pochi mesi dal parto mio marito si
suicidò, senza darmi un perché.
Cercai di lottare per
la mia bambina.
Per la piccola Elisa.
Quella bimba tanto
bella, che in quel momento stava davanti a
me, a studiare attentamente il terzo gradino.
Sono sempre stata
molto protettiva nei suoi confronti, in particolar
modo quando seppi che aveva una disfunzione alla gamba e alla spalla, e
che probabilmente non sarebbe mai riuscita a camminare in modo
'normale'.
Ma ciò non
mi impedì di amarla lo stesso, anche
se cercavo in ogni modo di evitarle sforzi eccessivi.
Ogni volta provavo un
moto di fastidio nel vedere gli altri bambini che
la fissavano, ridendo per il fatto che zoppicasse.
Tante volte, sanno
essere più crudeli degli adulti.
Alzai lo sguardo,
incontrando i morbidi boccoli di lei messa di spalle,
che alzava il piedino per trovare appoggio nel terzo gradino,
leggermente più instabile del secondo.
Ero lì, a
osservare ogni suo movimento con il timore che
potesse cadere e farsi male.
Timore…
o… desiderio?
Chi lo sa…
forse ci speravo?
Volevo che cadesse,
solo per il gusto di dirle che avevo ragione?
Che era troppo presto
per lei camminare da sola senza il mio ausilio,
visti anche i prematuri esami?
Non so che mi
successe, ma per un secondo che mi sembrò
un’eternità, la mia vista si annebbiò.
L’ultima
cosa che sentii, fu il mio corpo che si muoveva a
braccia tese verso Elisa. Poi più nulla, se non un piccolo
grido e qualche tonfo.
Infine,
il silenzio.
Fu allora che aprii
gli occhi, posandoli alla fine della scalinata,
dove giaceva il corpo della mia bambina.
La testa era curvata
all’indietro, e mi ci volle poco per
capire che, l’osso del collo, si fosse miseramente fratturato
contro lo scalino.
Rivoli cremisi
fuoriuscivano dalle labbra socchiuse, scendendo verso il
collo e macchiando il vestito di un vivido scarlatto.
Scesi le scale con una
calma innaturale, piegando la testa di lato una
volta accanto a lei, osservando i suoi occhi spalancati senza vita.
Mi inginocchiai,
carezzandole una guancia fredda, mentre le mie labbra
si piegarono in un sorriso nervoso
-Te
l’avevo detto di stare attenta…
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Spero vi
sia piaciuta!
Baci.
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