Autrice:
_BellaBlack_
Titolo:
Kurohitsugi
Rating:
Arancione
Genere:
Dark, Introspettivo, Drammatico
Avvertimenti:
Longfiction, What if...?, Shonen-ai
Numero scelto/canzone
ottenuta: 17/ The world you live in
Presentazione:
Questa storia potrebbe tranquillamente essere AU, tuttavia ho pensato
che l'avvertimento What if fosse sufficiente. Prima di tutto: Sebastian
non esiste, e se esiste sarà da qualche parte a lucidarsi
gli stivali, in mancanza di argenteria inglese. Grell neanche, e se
esiste starà cercando Sebastian seguendo l'odore del
lubrificante degli stivali. Sarebbe più semplice, in
effetti, dire che la fic coinvolge due soli personaggi principalmente
(più alcune comparse più o meno importanti):
Undertaker e Ciel Phantomhive. Dopo aver chiarito questo punto,
passiamo avanti. Anzi no, un'ultima cosa: siccome le cose sono
già intricate e non c'è il tempo di affrontare
anche gli angeli ho semplificato le cose, altrimenti non sarebbero
bastate 20 pagine – il limite – per narrare tutto.
Spero comunque che la mia versione risulti sensata.
Il Conte Phantomhive ha diciannove anni e
un passato oscuro con cui un becchino-Shinigami ha a che fare anche
troppo. Ipotizzate per un istante che Sebastian non sia mai esistito
(per i più testardi XD) – o mai rivelato, che sia
nel suo bel mondo di demoni a farsi gli affari suoi – e che
Ciel Phantomhive non abbia mai ricevuto il marchio. Immaginate che Ciel
sia stato salvato dall'intervento di uno Shinigami. Immaginate che il
lavoro sia stato svolto proprio dallo Shinigami Leggendario e che abbia
stretto un “patto”con Ciel. Un patto chiamato Kurohitsugi. Kurohitsugi, come ho avuto modo di
scoprire leggendo Bleach, vuol dire: Black Sarcophagus. Incredibile
come si possa ottenere un significato così diverso
eliminando semplicemente una lettera e cambiandone un'altra *O*.
Incredibile come questo possa richiamare alla memoria la figura di
Undertaker.
Le vicende prenderanno avvio a partire
dal futuro, da cui poi si dipaneranno vari flashback riguardo il
passato dei due protagonisti. Perciò, il Ciel di cui
narrerò nel presente è adulto – ha 19
anni. Undertaker ha qualche secolo, ma questa non è una
novità. Se tutto ciò vi schifa, chiaramente,
questa storia non fa per voi. In pace. Alexiel.
Note dell'autrice:
Prima che dimentichi... Questa storia nasce grazie ai Son
of Rust e alla loro canzone “The
World you live in”, come
già specificato quassù. Non mi sono ispirata
all'intero testo ma solo ad alcuni frammenti della canzone. Penso
d'aver detto già tutto nella “breve”
presentazione, perciò non mi resta altro da dire, se non:
buona lettura.
Ps:
in realtà un piccolo accenno a Sebastian c'è,
vediamo chi riesce a scovarlo! :P
Note
2: Per spiegarvi questa "apparizione" c'è il mio profilo. ^_^
KUROHITSUGI
Black Sarcophagus
1° Classificata al Contest
indetto da signorino "L'ottocento stringe la mano al ventunesimo secolo
[Kuroshitsuji & Son of Rust]
Once
again in a world of my own
With nothing left to do
Everything looks different now
Reality is seeping through
(Son of Rust – The
World You Live In)
***
Siamo solo luci
che illuminano bugie,
siamo luci
colpevoli in cerca della verità ma incapaci di trovarla.
Siamo cacciatori di un futuro
che è sempre un passo dietro di noi;
stupidamente
ricerchiamo ciò che abbiamo abbandonato alla vista della
prima luce.
La
verità ha la forma della prima lacrima di un bambino,
la bugia il
sapore dell'odio liquido, che scorre come lava dagli occhi.
( ©
_BellaBlack_ )
***
Prologo
“La natura umana è
davvero ingannevole.”
Probabilmente qualcuno aveva
pronunciato quella frase in passato, usando parole diverse ma volendo
intendere la stessa cosa. Gli uomini sono inclini
all'inganno. O anche: Le scelte umane mirano sempre
alla manipolazione e all'inganno, anche quando gli intenti sono dei
più puri.
“La purezza è
destinata alla corruzione.”
Non sapeva, Ciel Phantomhive,
se là fuori ci fosse qualcuno che stesse pensando la stessa
cosa o che l'avrebbe pensata in futuro. In effetti, mentre beveva il
suo tè seduto davanti al camino, su una poltrona di soffice
velluto, cercando un briciolo di calore in quella sera invernale, si
rese conto che non gli importava affatto. Che gli uomini pensassero o
no, non poteva interessargli. Ne aveva conosciuti di esseri pensanti,
ma non aveva mai avuto il piacere di giungere a positive conclusioni. Il pensiero è
decisamente sopravvalutato, avrebbe detto qualcuno di sua
conoscenza.
La tazzina di
porcellana finissima restò immobile tra le sue dita, mentre
gli occhi disperdevano guizzi di blu nel fuoco scoppiettante. Gli
sembrava quasi di sentirla, la risata di quell'uomo. Shinigami o
qualunque cosa fosse. Non ricordava che gli fosse mai importato.
Sì...
lui avrebbe detto proprio così, per poi abbandonarsi ad una
risata leggera, come un sibilo che scioglie paura nei cuori di chi non
conosce le tenebre.
Immaginava che
sarebbe giunto il momento, prima o poi, che la sua stessa natura
l'avrebbe ingannato, trasformandolo in ciò che era sempre
stato destinato a diventare. Dopotutto, erano state le scelte del Conte
stesso a condurlo a quel giorno ormai sempre più vicino.
Tornare e
ritrovare il mondo, tornare e immergersi forse un'ultima volta nella
realtà. Cosa sarebbe rimasto di se stesso probabilmente Ciel
Phantomhive non voleva saperlo. Non ancora.
1. Stelle nere
La fiamma
guizzante, eternamente mossa dal desiderio di raggiungere vette
proibite dove il fuoco divora persino il nulla, accarezzava con la
propria luce parte del volto del ragazzo in piedi, le spalle rivolte al
muro sporco e ricoperto di strani segni. Evitava di poggiarvisi
direttamente, per evitare qualunque contatto con quella sozzura
così palese. Egli, al contrario, conservava un'apparenza
candida, pura; un'aura che sussurrava nobiltà e malinconia.
La parte del volto
illuminata dalla luce della torcia assicurata al muro appariva
completamente immobile, impassibile. L'occhio destro era socchiuso e
solo una linea di fragile blu infrangeva l'unione del pallore di quella
pelle. Pareva una macchia di vernice, lasciata lì apposta da
un pittore esperto. Richiamava armoniosamente il completo blu genziana
che fasciava il suo corpo, elegante, privo di qualunque imperfezione.
Sembrava in attesa
di qualcosa o qualcuno, giaceva in quel luogo insieme al silenzio,
respirando appena. Il capo leggermente inclinato in avanti avrebbe
fatto credere che la sua attenzione fosse rivolta altrove, verso
pensieri lontani. Ma tutto ciò che il ragazzo in
verità ascoltava era il rumore assordante della luce
intrappolata in quelle tenebre. Cercava una via per entrare, per
sprigionarsi e sostare lì, eternamente.
Era tutta
lì l'attenzione di Ciel Phantomhive.
Dall'altro lato
della torcia, rumoroso come il cigolare di una porta che si chiude per
l'ultima volta, si avvicinava una seconda persona. L'atmosfera
vagamente dorata rimandava l'immagine di un uomo alto, dipinto nel nero
delle sue vesti. Capelli lunghi e grigi si univano al rosa chiarissimo,
un occhio attento avrebbe detto “bianco”, della
pelle, muovendosi appena in quel luogo attraversato
dall'immobilità. Eppure, era possibile percepire un leggero
rumore: sinistro, ipnotico, paralizzante. Gli occhi celati dalla
frangia lunga e irregolare, forse per un intuito incomprensibile, erano
sicuramente ancorati alla figura sottile e silenziosa del Conte.
Le unghie placcate
di nero, affilate probabilmente, graffiavano lungo il muro, intaccando
ulteriormente quel silenzio che pareva dire addio e bentrovato
contemporaneamente. Allo stesso modo, i denti bianchi, lasciati
scoperti dalle labbra sottili e bagnate da un velo quasi invisibile di
saliva, distruggevano il buio, rendendo vane persino le speranze della
luce. Non era luce quella che fuoriusciva da quelle labbra, ma non era
neanche ombra.
L'unico in grado
di dare voce a quel mistero era Ciel Phantomhive, ancora e
ostinatamente immobile al proprio posto, a un soffio dal muro. Le ombre
silenziosamente abbracciate l'una all'altra mormoravano ipotesi e
segreti. La luce imprigionata e debole piangeva lacrime prive di
sapore, ancora ignorata dagli unici presenti che avrebbero potuto
invitarla a entrare.
Era una legge che
luci e ombre, forse all'inizio del tempo, avevano scritto sui battenti
della porta che conduceva al mondo che solitamente chiamiamo
“mondo degli uomini”. Fin quando l'ombra
invisibile, egoisticamente rappresa attorno allo spazio vuoto e
dispersa tra le iridi e il respiro, non avesse dato il permesso di
entrare alla luce, essa sarebbe rimasta nel suo stato di perpetua
agonia.
Un permesso
chiesto agli uomini, sempre alla ricerca delle cose visibili, di
ciò che si può toccare e rende solide le
consapevolezze. La luce, in quel caso, avrebbe dominato. Ma non tutti
ricercano ciò che la luce rende visibile; altri tengono gli
occhi puntati su ciò che è ancora puro, protetto
dalle ali spezzate del buio. E' lì che risiede la
verità, quella che nessuno può vedere e che
nessuno sa riconoscere.
“Tornare all'ora del
tè.” la voce dell'uomo vestito di nero
rallegrò le ombre “Proprio da voi,
Conte.”
L'immobilità
del nobile scomparve quando i suoi occhi persero finalmente la pallida
protezione delle palpebre. Il blu, due sfere nel buio, sciolse la
propria regalità sullo sguardo nascosto del becchino.
“Non credo che quell'appellativo
mi appartenga ancora.” replicò lui, pur sapendo
che quella era un'identità che a stento egli stesso era
riuscito a ripudiare. “Ma non posso dire lo stesso di te,
Undertaker.”
“Non posso liberarmi del mio
appellativo, Conte. Non potrei neanche se lo volessi.”
replicò Undertaker, impaziente di avvicinarsi all'altro.
Eppure, evitava di toccarlo, resistendo. Anni prima sarebbe stato
così semplice finire alle sue spalle e sfiorargli una
guancia, oppure arrotolare intorno alle dita quei capelli.
“Condanna o
privilegio...” sussurrò Ciel, vagheggiando il
significato di quelle due parole. Il significato dell'una toccava
quello dell'altra come le onde del mare si infrangono sul bagnasciuga
per poi tornare indietro, in un ciclo eterno quanto il tempo.
“Condanna o privilegio...”
“Suppongo, Conte, che questo
cambi da individuo a individuo.”
“Oppure da compenso a
compenso.” disse tagliente il nobile, azzardando un'occhiata
fuori dall'ombra. Le labbra del becchino si curvarono armoniosamente.
“Quali compensi credete siano
destinati, a noi becchini?”
“Alla luce il tuo stato
è quello di becchino. Il tuo compenso si attiene alle leggi
del mondo.” iniziò, allontanandosi ancor di
più dal muro. Ormai, cresciuto più di quanto
ricordasse, Ciel poteva perfettamente osservare il viso di Undertaker
senza sforzare le punte dei piedi o lo sguardo. C'era qualcosa di
diverso, oppure erano i suoi occhi a guardare tutto da un'angolazione
diversa da prima. “Ma nell'ombra c'è
più di quanto gli altri possano vedere.” concluse,
senza imbellettare il discorso o fare giri di parole inutili. In quello
non era affatto cambiato. Ma lo stesso Undertaker dubitava che il Conte
fosse effettivamente cambiato. Forse il mondo, per quanto impossibile e
fantasioso suonasse, ma non il Conte.
“Tra gli altri, Conte, la vostra
umiltà,” rise impercettibilmente “vi
spinge a inserire anche il vostro nome?”
“Se l'avessi fatto, in passato
come ora, oggi non saremmo qui, becchino.”
Oh, sì,
il Conte era ancora così divertente da costringerlo e tenere
gli occhi chiusi per non farli bruciare.
“E sarebbe un immenso dispiacere
per entrambi.”
***
Undertaker aveva sempre tenuto
in gran considerazione gli esseri umani. Pur non essendo divertenti
allo stesso modo del Conte, riuscivano a strappargli una risata di
tanto in tanto, - senza farlo apposta, chiaro – oppure a
lasciarlo in silenzio; magari di fronte a una chiesa durante un
funerale, insieme a tre fratellini che si chiedevano il
perché della vita e della morte 1. Non domande filosofiche,
profonde e piene di opinioni strappate dalle labbra di scrittori o
personaggi importanti ormai belli che morti. Solo con occhiate curiose,
“perché” assillanti seguiti da una
tiratina alla maglietta sdrucita del fratello maggiore e uno
scappellotto dovuto all'esasperazione.
A ben vedere, il
paradigma dell'esistenza era tutto lì. Esisti per assistere
alla morte, in una giornata di sole, e neanche sai perché.
Esistere, alla fine, non significa crescere in una famiglia che ti
coccola dalla mattina alla sera, o prendersi un ceffone da tuo fratello
perché non sei abbastanza sveglia da capire le cose da sola.
Esistere è solo avere la luce negli occhi, inconsapevoli,
tuttavia, della propria immensa cecità. Vivere, poi,
è tutta un'altra cosa. Ma quello, giustamente, non era
l'ambito di Undertaker.
Per questo al
becchino non dispiacevano gli umani, a differenza del Conte.
L'ignoranza delle cose importanti e la piena conoscenza delle cose
inutili è tutto quello che rendeva divertenti le giornate
del becchino. Poteva guardarli e sapere che tutti, prima o poi,
sarebbero finiti tra le sue fatali braccia, pronti a ricevere l'addio.
Forse solo allora avrebbero spalancato i veri occhi, comprendendo
ciò che avevano sempre avuto davanti allo sguardo. Ma alcune
stelle sarebbero rimaste sempre nere. Sì, pensò
Undertaker. Si dice che nel momento della morte tutta la vita ti passa
davanti. Forse è vero, ma più veritiero di questa
vaga affermazione è che il buio che ne deriva trova la
propria causa in quell'ignoranza umana. E la finale luce bianca, per
quanto potente possa essere, non scaccerà mai tutte le
tenebre.
Il giovane Conte
Phantomhive, anni prima, doveva averle viste molto da vicino quelle
stelle nere. Forse, mentre sentiva la vita fluire via, aveva cercato di
tendere le braccia nello sforzo di toccarle, prenderle e sbucciarle
come fossero mele, per poi morderle e lasciarsi invadere dalla
conoscenza perduta.
Era semplice
immaginarlo, anche perché aveva partecipato a quel suo
supplizio. Ma solo per un po'. Poteva ricordare bene quella notte e,
per quanto suonasse banale e scontato, ricordava che fosse buia e
tempestosa.
My greed, my fear, my tears
won't come 2
I bambini
possiedono dentro di sé una innocente forma di
avidità. Desiderano le cose, ma non in maniera malata,
ossessiva, che porta più guai che altro. Desiderano qualcosa
che neanche conoscono, desiderano semplicemente per il gusto di
desiderare, ma nessuno si sognerebbe mai di additare quella
inclinazione come un peccato mortale. Fa parte del corso naturale
dell'esistenza, con il tempo si affina, stemperato dalla buona
educazione o dal buon senso. Certo, spesso parte del lavoro spetta ai
genitori, ma la natura umana, oltre a essere ingannevole, si avvale di
altre caratteristiche che neanche la migliore delle educazioni
può sopprimere.
Siamo esseri umani
abituati a soffocare la nostra reale natura, anzi, a mascherarla. Per
questo l'inclinazione al male o ad abitudini dai più
definite devianti – una soggettività di opinioni
resa oggettiva da quel grande male che si chiama civiltà
(forzata) – prima o poi torna a ruggire. Come un leone che
azzanna il collo del proprio ammaestratore.
E pare strano, ma
nessuno si rende conto che tale devianza altro non è che la
stessa avidità che provavamo da bambini. Solo, è
avvelenata da quello che diventiamo quando la civiltà compie
il proprio lavoro come non dovrebbe. E' giudicata con tanta
severità solo perché sembra innaturale in un uomo
adulto e abituato al controllo. E' come guardare una quarantenne che
cerca di entrare negli abiti che indossava a tre anni. Folle.
L'avidità
è una follia che tutti coltivano e al tempo stesso falciano,
per poi nascondere sotto il cuscino.
Undertaker,
soffocando una risata per poi lasciarla rimbombare attraverso le viuzze
londinesi, si domandò quanta di quella follia fosse nascosta
sotto i reali cuscini della regina Vittoria.
Anche Ciel
Phantomhive doveva aver avvertito quella innocente avidità
da bambino, senza sapere che quella stessa sensazione divora il corpo
degli adulti. Su di lui aveva l'effetto di una camomilla. Era
un'avidità ben sfamata, poiché ogni suo desiderio
infantile veniva esaudito senza che la fame diventasse troppo dolorosa.
Desiderava giocattoli, attenzioni, compagnia e allegria. Era il mondo
limitato di chi non è ancora riuscito a vedere quelle stelle
nere, di chi non conosce l'odio e l'amore nella loro forma
più pura, perciò più facilmente
corruttibile. La forma d'amore che Ciel conosceva allora era quella
semplice, conosciuta solo per metà, di una madre che ti
bacia prima di andare a letto e di un padre che ti accarezza la testa e
sorride là in alto, dove lui non poteva ancora arrivare.
Non
sapeva, il piccolo figlio del Conte di Phantomhive, che quelle stelle
nere sarebbero esplose prima di quanto potesse anche solo immaginare.
1 : Qui faccio riferimento alla
scena dell'anime e del manga in cui Undertaker parla con i bambini che
si trovano davanti alla chiesa in cui si sta celebrando il funerale di
Madame Red. Ma Madame Red e il suo funerale, nella mia storia, non
c'entrano nulla. Mi piaceva quella scena e l'ho decontestualizzata e
generalizzata dalla trama originale. Madame Red, infatti, è
ancora viva.
2 : Son of Rust, The World you
live in
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