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Disclaimer: Gli
aforismi citati nella storia appartengono ai rispettivi filosofi. I
personaggi, invece, sono frutto della mia immaginazione, pertanto di
mia esclusiva proprietà.
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Commons.
AVEVA RAGIONE LEIBNIZ
"Quelli
che hanno affermato che
tutto va bene
hanno quindi affermato
una sciocchezza:
bisognava dire che tutto
va nel migliore dei modi."
Voltaire, "Candido"
Leibniz aveva torto.
Sin dal primo istante in cui quella constatazione si era affacciata,
beffarda, alla sua mente, Renato Portinari seppe di non essersi appena
aggiudicato il merito per la rivoluzione copernicana del terzo
millennio: molti suoi illustri predecessori, armati di quel sadico
autocompiacimento che caratterizza le menti superiori, avevano affilato
le penne e demolito punto per punto la celebre teoria secondo cui
l'uomo vive nel migliore dei mondi possibili.
Ad ogni buon conto, da
laureato con centodieci e lode in Scienze Filosofiche, preferiva di
gran lunga costruire una tranquilla e redditizia carriera accademica
sulla veridicità delle asserzioni di altri pensatori, anche
se,
allo stato attuale delle cose, era ancora fermo alla fase di supplente,
pagato poco e male, di una cricca paramafiosa di detestabili figli di
papà, presso il più prestigioso liceo pavese.
La
contestazione, di qualunque genere essa fosse, non si addiceva per
nulla alla sua indole paciosa e fondamentalmente allergica al rischio.
Tuttavia, mentre se ne stava appollaiato sul vecchio tavolo di formica
della cucina, un cacciavite a stella in mano, gli occhiali sbilenchi
sul naso sottile e il bocchino della pipa stretto fra i denti,
continuava a fissare con espressione afflitta l'informe catafalco di
legno dinanzi a sé, somigliante piuttosto ad una qualche
assurda
opera d'arte contemporanea che ad un seggiolone, e non poteva fare a
meno di domandarsi se, in questo benedetto migliore fra i mondi
possibili, l'Ikea avesse davvero assunto uno psicolabile come
progettista.
Già, perché lui restava l'incontrastato detentore
del titolo di Attila
del fai da te,
dotato dell'innato talento di fracassare anche ciò che le
aziende vendevano come indistruttibile o a prova di idiota, ma era un
dato altrettanto incontrovertibile che la mente di chiunque avesse
realizzato quel diabolico arnese non fosse del tutto lucida.
Infatti,
nessuna persona con un briciolo di raziocinio ben funzionante avrebbe
costruito un mobile in cui i listelli di legno erano più
lunghi
dello spazio che dovevano occupare, i vani delle viti più
piccoli e stretti delle viti stesse e, questo era il tocco
dell'artista, il libretto di istruzioni allegato era scritto in lingue
sconosciute a chi non fosse nato e cresciuto nel territorio compreso
fra la Papua Nuova Guinea e le isole dell'arcipelago malese. A
ciò si aggiungeva il fatto che vi aveva sudato sopra sette
camicie, proverbiali e non, per un intero pomeriggio, senza che il
malefico oggetto offrisse la benché minima collaborazione
alle
operazioni di montaggio o mostrasse una seppur vaga affinità
con
l'immagine riportata sulla scatola.
A sua parziale consolazione, solo
l'aver rimandato un'esaltante sessione di correzione dell'ultimo
compito in classe di quelle capre bipedi dei suoi allievi, che, a voler
essere brutalmente sinceri, andava considerata comunque una perdita di
tempo.
Non poteva neppure concedersi la soddisfazione, un po' meschina, ma pur
sempre catartica, di incolpare qualcun altro per averlo cacciato in
quella situazione frustrante.
Se non fosse stato un inguaribile e
smidollato romantico, avrebbe opposto un fermo rifiuto a quella
proposta di Elettra, all'apparenza innocua, quando lei gli aveva
indicato la fotografia del medesimo modello, montato alla perfezione,
sulle pagine di un catalogo di arredi per l'infanzia, accompagnando
alla richiesta un dolce sorriso radioso cui il giovane marito non era
in grado di negare alcunché.
Mai che si facesse un qualche cenno a simili insidie della vita
coniugale, durante i corsi prematrimoniali, si ritrovò a
pensare, incurvando le labbra in un ghigno agrodolce.
Questo poteva
forse accadere, nel migliore dei mondi possibili?
Si strinse nelle spalle esili, dopo aver deciso che era
troppo melodrammatico scomodare la teodicea per un seggiolone sghembo e
bitorzoluto, mosso da una volontà propria e nient'affatto
corrispondente alle aspettative dell'ignaro acquirente.
Quindi, trasse
una profonda boccata dalla pipa, assaporando a fondo, sulla punta della
lingua, l'aroma dolce del tabacco e stupendosi, come la prima volta,
del benefico effetto calmante che esercitava sui suoi nervi
sollecitati.
Infine, diede uno scrollone esplorativo al risultato del
proprio operato, il quale emise un cigolio lancinante, quasi il
sinistro presagio di un imminente, rovinoso crollo, ma, con sconfinato
sollievo del professore, rimase integro.
In quel preciso attimo, la sua personale apocalisse ebbe inizio.
Accanto alla porta-finestra socchiusa, nello spazio esiguo fra
la lavastoviglie e la parete, il piccolo box colorato fu dapprima
scosso da un lieve tremito, strappando un paio di note languide della
ninna-nanna di Brahms al carillon a forma di alveare che vi dondolava
sopra.
Poi, venne il grido.
Repentino.
Incessante.
Disumano.
Fa'
pure il filosofo, ma
in tutta la tua filosofia resta pur sempre un uomo,
sosteneva uno degli aforismi di Hume.
Pertanto Renato, trapassato da
parte a parte da un autentico brivido di terrore, si
domandò,
molto umanamente, in base a quale sconosciuta legge universale sua
figlia Nausicaa, addormentatasi poche ore prima come bimba adorabile e
mansueta, si fosse svegliata trasformata in un mostriciattolo paonazzo
e rabbioso che emetteva terrificanti strida ultraterrene.
Per qualche
secondo, il professore valutò addirittura l'allettante
opzione
di obbedire all'istinto sconsiderato del maschio comune, il quale gli
stava sussurrando, alla stregua di un'irresistibile Lamia, di fare una
metaforica linguaccia alle sue responsabilità di padre e
darsela
a gambe, prima di dover fronteggiare l'irreparabile.
Magari, dal piano
superiore, Ottavio avrebbe udito il pianto della nipote e sarebbe sceso
ad accudirla al suo posto...
Alla sua inflessibile serietà bastò un momento,
quello in
cui il giovane realizzò che aveva promesso ad Elettra di
badare
a Nausicaa proprio perché lei e il cognato erano andati a
teatro
insieme, per intimargli in tono imperioso e tutt'altro che amichevole
di restare.
Quindi, richiuse alla bell'e meglio la cassetta degli
attrezzi, si raddrizzò gli occhiali con una manata
sbrigativa,
fece scivolare la pipa in tasca e si chinò oltre il bordo
del
box per prendere fra le braccia la figlioletta.
Incurante del fatto che
quest'ultima continuasse a strillargli a squarciagola a pochi
centimetri dall'orecchio sinistro, pregiudicando per sempre il corretto
funzionamento della sua membrana timpanica, Renato prese ad armeggiare
con tutte le ante e i cassetti presenti nella stanza, alla ricerca di
qualsiasi oggetto potesse essere usato per riscaldare un omogeneizzato,
finché una sorte benevola ad intermittenza gli mise dinanzi
un
pentolino ammaccato e dal fondo bruciacchiato.
Il giovane lo riempì d'acqua, vi
immerse il barattolo e, tenendo costantemente d'occhio il fornello
acceso, si mise a cullare Nausicaa, nell'ostinato, disperato tentativo
di calmarla.
"Su, su, non piangere: sono io, sono il tuo papà... Adesso
mangiamo la pappa..." ripeté, in un'imitazione poco convinta
e
molto ridicola di ciò che Elettra faceva ogni giorno, da sei
mesi a quella parte, come se fossero i gesti e le parole più
naturali del mondo. Se fosse sopravvissuto a quell'arduo
cimento, doveva ricordarsi di chiederle se fosse
un'abilità connaturata da millenni al genere femminile o,
con
maggior probabilità, era solo lui ad essere un vero
incapace.
Comunque, quello stentato espediente sortì l'effetto
sperato:
rassicurata dal suono familiare della sua voce, la bambina smise almeno
di frignare, ma i suoi lineamenti paffuti rimasero contratti in una
smorfia torva, quasi che ritenesse il padre colpevole di qualche
imperdonabile affronto alla propria persona. Quest'ultimo non vi
prestò molta attenzione, impegnato piuttosto a controllare
lo
stato del pasto della figlia.
Dopo aver frugato nel cassetto delle
stoviglie lì accanto, recuperò un cucchiaino, lo
intinse
nella pappetta molliccia, di uno scialbo color ocra annacquato, e se lo
portò alla bocca, così da assicurarsi che non
fosse
né troppo fredda, né troppo calda.
Tutto ciò che apprese fu che era solo troppo disgustosa.
Serrando i denti a viva forza per reprimere l'istintiva reazione di
precipitarsi sul vaschetta del lavello e vomitare anche il pranzo di
nozze di sette anni prima, spostò alternativamente uno
sguardo
attonito dal cucchiaio alla pentola, come se avesse appena scoperto che
non si trattava di due banali oggetti da cucina, ma di pericolosissimi
aspidi sotto mentite spoglie.
Non riusciva davvero a capacitarsi del fatto
che un bambino potesse essere ghiotto di una letale poltiglia vischiosa
dal sapore di mascarpone marcito.
Nausicaa dovette trovare alquanto
esilarante il colorito verdognolo del padre e la sua aria di totale
repulsione, poiché si lasciò sfuggire un urletto
gioioso
e sottolineò la propria contentezza battendo le manine tozze
l'una contro l'altra.
Beh, almeno un lato positivo, in quel subdolo
tentativo di avvelenamento, c'era.
"E'... E' pronto!" balbettò il professore, prima di
sistemare la
figlioletta sul seggiolone futurista, non senza un residuo di
perplessità, e versare l'obbrobrioso pastone in un piattino
su
cui Titti, più giallo e sgargiante del solito, sembrava
occhieggiare nella sua direzione in un cameratesco cenno di
incoraggiamento.
Esalando un flebile sospiro fra sé, Renato
osò sperare che il peggio fosse ormai passato...
Illuso.
Infatti, non appena ebbe finito di soffiare su di un abbondante
cucchiaiata di mistura al presunto tacchino, si sporse in avanti per
imboccare Nausicaa, la quale, per tutta risposta, si
irrigidì
come morta contro lo schienale, serrò drammaticamente le
labbra
carnose e voltò la testa dalla parte opposta, ammantata di
tutta la
sprezzante alterigia possibile per una bambina di soli sei mesi.
Troppo
logoro nel corpo, nella mente e nello spirito anche solo per pensare di
arrabbiarsi, Renato si bloccò con il cucchiaio a mezz'aria,
scoccò alla figlia uno sguardo carico di simulata
indifferenza e
sentenziò, placido: "D'accordo, posso aspettare quanto vuoi,
mio
piccolo fiore di cactus."
Secondo copione, si frappose fra loro un'interminabile pausa di
inazione, durante la quale la bimba si limitò a sbuffare,
guardandosi bene dall'aprire la bocca anche solo per una momentanea
distrazione.
Intanto, il professore contava e ricontava in maniera quasi
ossessiva, fingendo di trovarli degni di interesse, i simboli
stilizzati sulla legenda per il funzionamento del forno, il cui
orologio gli fornì una lezione assai proficua su quanto
potessero essere effettivamente lunghi due minuti.
In quello sfibrante
lasso di tempo, si vide scorrere dinanzi agli occhi vivide immagini del
proprio brillante passato universitario, trascorso ad inseguire gli
eccelsi saggi d'altri tempi sui sentieri contorti delle loro
arzigogolate elucubrazioni. Eppure, nessuno di quei formidabili
intellettuali, che discettavano dell'infinità del cosmo,
dell'esistenza o meno di un inconoscibile Architetto celeste, delle
cause e degli effetti che facevano progredire il mondo verso una
precisa finalità, si era premurato di insegnare a lui,
apprendista padre di modeste speranze, un modo efficace per convincere
una mocciosetta riottosa ad aprire la bocca e mangiare, senza ulteriori
capricci.
La mocciosetta in questione, nel frattempo, non aveva smesso di opporre
una pervicace resistenza passiva ad ogni approccio benevolo del
genitore, dimenandosi nell'angusto quadrato del
seggiolone, con la chiara intenzione di voler evadere da
quell'odiata prigione di legno.
Mentre agitava braccia e gambe
grassocce in maniera scomposta, le sue piccole dita ad artiglio si
chiusero attorno agli occhiali del padre, oggetto che da sempre
costituiva per lei una fonte di grande fascino, e glieli sfilarono dal
naso con insospettata rapidità, per poi lasciarli cadere, in
un
tonfo attutito e una marea di schizzi, proprio al centro del piattino.
"Questo non si fa, Nausicaa!" la sgridò il professore,
aggrottando le sopracciglia scure in un'espressione che avrebbe voluto
risultare severa, ma che, in realtà, era solo il vano
tentativo
di un miope di distinguere qualcosa di più di una qualche
sagoma
sfocata ed ondeggiante.
Quindi, avvicinò il volto al piatto
quasi fino a sfiorarlo con la punta del naso, tastò alla
cieca
la superficie tutt'attorno e, rassegnato, tuffò una mano
nell'omogeneizzato tiepido per recuperare i propri preziosi occhiali.
Fu un'imprudenza madornale: credendo si trattasse di un nuovo gioco, il
quale ricevette peraltro il suo istantaneo apprezzamento, Nausicaa
afferrò il bordo del piattino, in un miagolio estasiato, per
poi
rovesciarlo con disinvolta noncuranza dritto sulla testa del padre, il
quale si ritrovò con quell'insolito copricapo inclinato
sulle
ventitré ed il suo brodoso contenuto che gli inzuppava la
corta
zazzera di capelli neri, colando in rivoli vischiosi sulla faccia, sui
vestiti e persino dentro il colletto della camicia.
Evitò di domandarsi se sciagure di tale portata si
sarebbero davvero verificate, nel migliore dei mondi possibili: sarebbe
stato quantomeno ironico, oltre che decisamente sconfortante.
Inoltre,
sotto la pressione delle spinte continue della bambina, il seggiolone
aveva ripreso ad emettere inquietanti scricchiolii minacciosi...
"Ciao, caro, sono tornata."
Dire che il saluto della moglie lo fece trasalire sarebbe un garbato
eufemismo.
All'udire la sua voce, Renato si svegliò di
soprassalto, sobbalzando sulla sedia, la matita copiativa
ruzzolò sul pavimento, gli occhiali rimbalzarono con un
rumore
sordo sul tavolo di formica, la pipa rotolò accanto ad essi,
sparpagliando qualche brandello di tabacco fuori dalla caldaia, e
alcuni fogli protocollo dei compiti in classe, punteggiati di
correzioni rosse e blu, presero a svolazzare crepitando tutt'attorno
alla stregua di candidi gabbiani cartacei, finché lo stesso
professore, recuperato un minimo di autocontrollo, non li risospinse
nel mucchio per mezzo di un energico colpo di mano.
"Va tutto bene?" indagò Ottavio, in piedi nel vano della
porta
accanto alla sorella, prima che lo sguardo gli cadesse sulla pila dei
temi.
Allora, storse la bocca in una smorfietta a metà fra il
canzonatorio e il comprensivo, aggiungendo: "Oh, capisco: beh, non
stento a credere che tu ti sia addormentato; è
già
abbastanza che non ti siano stati fatali."
"Sbagli ad avere una pessima opinione dei miei allievi, come mi
sbagliavo anch'io, del resto.
Le loro produzioni possono risultare
molto istruttive: ad esempio, tu lo sapevi che la Giovane
Italia
è una pizzeria d'asporto di Lomello?
Oltre che il giornale fondato da Giuseppe Mazzini, ovviamente."
Non del tutto sicuro di essere sveglio, il professore prese tempo con
quella battutina sarcastica, mentre si stropicciava gli occhi e alzava
lo sguardo verso la porta-finestra, solo per essere abbagliato dal
riverbero del sole che tramontava dietro il tetto del palazzo di
fronte. Comunque, riuscì a vedere ciò che gli
interessava: l'angolo fra il muro e la lavastoviglie era ancora vuoto,
nessun box gremito di pelouche
ad occuparlo, nessun seggiolone
autocosciente progettato dal paziente di una clinica d'igiene mentale,
né tantomeno una marmocchia urlante di nome Nausicaa.
La sua marmocchia urlante di nome Nausicaa.
Al ricordo del sogno
tragicomico, un languore sconosciuto gli punzecchiò le
pareti
dello stomaco: visto e considerato l'orario, si affrettò ad
imputarlo alla fame.
"Uhm, davvero interessante" ironizzò di rimando il cognato,
"Ne
riparliamo a cena, ok?", quindi si congedò schioccando un
bacio
sonoro sulla fronte di Elettra e si diresse verso le scale che
conducevano al suo appartamento, al piano superiore.
Un attimo prima che sparisse dalla loro visuale, a Renato parve di
intercettare un suo fugace cenno d'intesa all'indirizzo della sorella,
ma non vi diede molto peso.
Vivendo in loro compagnia, aveva avuto modo
di imparare che i gemelli Castellani, spesso, si scambiavano taciti
segnali di quel genere, alla stregua del linguaggio segreto di un mondo
noto a loro due soltanto. Per quanto ne fosse affascinato, si era
ormai rassegnato a restarne escluso; a prescindere da
ciò, aleggiava ancora qualcosa di non detto fra
loro, in
quella
cucina.
Renato aveva la netta, sgradevole sensazione di aver
dimenticato un dettaglio o una notizia di capitale importanza, ma, per
quanto si scervellasse, corrugando vivacemente le sopracciglia
nell'imitazione mal riuscita di un'aria cogitabonda, non era proprio in
grado di ricordare di cosa si trattasse.
"Com'era lo spettacolo?" s'informò allora, almeno per
cercare di
stabilire confini più netti fra il sogno di poco prima e la
realtà.
Per tutta risposta, la moglie lo squadrò ad occhi
sgranati, un'eloquente espressione interrogativa che le illuminava le
iridi azzurro chiaro: "Quale spettacolo? Non dirmi
che... te ne sei dimenticato, vero?".
Scosse la testa, rassegnata: "Ah,
sei davvero incorreggibile!"
Ecco, se fino a qualche secondo prima aveva nutrito la flebile speranza
di potersi raccapezzare in quell'inestricabile groviglio di
verità dei fatti e finzione onirica, adesso non poteva che
dirsi
del tutto disorientato. Quindi, tanto per sentirsi ancora
più
sciocco, balbettò, esitante: "Dimenticato... di che cosa?"
Dal canto proprio, la ragazza si trincerò dietro un sorriso
enigmatico, mentre insinuava, in tono svagato: "Piuttosto, dovrei
essere gelosa?"
A volte, parlare con Elettra aveva sul professore il medesimo effetto
straniante che gli suscitavano le sticomitie paradossali di una
commedia di Ionesco, dal momento che le risposte date coincidevano
assai poco, o nient'affatto, con le domande poste, come in quel caso.
Pertanto, scelse di glissare con una battuta di spirito, anche se non
suonava molto convincente: "Se ti riferisci al fatto che trascorro
più tempo con i compiti dei miei detestabili allievi che con
te,
giuro solennemente di far un gran falò di quelle cartacce e
di
ballarvi attorno una danza tribale africana.
Sono sicuro che gioverebbe
sia alla spocchia smisurata di quelle zucche vuote, sia alla mia ulcera
a lutto."
"E' un proposito molto romantico, caro, ma non è quello a
cui
stavo pensando" proseguì la moglie, ridacchiando, prima di
buttar lì, con sconcertante naturalezza: "Io parlavo di
Nausicaa: deve essere una persona davvero importante per te, visto che
ripetevi il suo nome nel sonno, poco fa..."
Il volto abitualmente roseo del marito assunse in una manciata di
secondi l'intera gamma di colorazioni possibili per i pigmenti della
pelle umana, dall'imbarazzo purpureo al pallore cadaverico, mentre lui
capitolava, abbassando gli occhi sulle fughe grigiastre delle
piastrelle e torcendosi le mani con palpabile nervosismo: "Era solo uno
strano sogno... E, comunque, si trattava di nostra figlia...
La figlia
che avremo un giorno, intendo."
"Ma che buffa coincidenza!" osservò Elettra, incuriosita,
quindi
gli strinse il mento sbarbato fra pollice e indice e gli
sollevò
gentilmente la testa per poter incrociare il suo sguardo:
"E, dimmi un po', hai già in mente anche un nome da
maschietto?
Perché, dopotutto, il dottore dice che è ancora
presto
per esserne sicuri..."
Silenzio, fiato mozzo e il battito cardiaco più lungo della
sua intera esistenza.
Solo la scarica di adrenalina che sfrecciò da un nervo
all'altro
del suo corpo tremante gli permise di restare in piedi, senza franare,
esterrefatto e privo di sensi, fra le braccia della moglie, la quale,
ad ogni modo, lo avrebbe preso in giro finché
morte non vi
separi
per quel deliquio da eroina tragica.
Intanto, le poche sinapsi
ancora funzionanti dopo quell'inattesa, stordente rivelazione gli
restituirono l'immagine di un episodio, allora privo di una valida
motivazione apparente, in cui Ottavio riferiva loro che
aveva ottenuto un permesso d'uscita anticipato dal direttore della
banca, di certo per accompagnare la gemella dal ginecologo, a sua
insaputa.
Il cognato era perfettamente al corrente della situazione e,
come di consueto, si era guardato bene dallo spifferare
alcunché.
"Io... Io un giorno o l'altro lo uccido, quel... Quel dannato carbonaro
da strapazzo di tuo fratello!" squittì il professore, non
appena
si ritenne in grado di articolare una qualche frase di senso compiuto,
all'infuori di brontolii incomprensibili e smozzicati.
Elettra
tentò di placare i suoi risibili propositi bellicosi,
obiettando: "Sì, e poi dove la troviamo una tata che lavora
gratis nei fine settimana, genio?"
"Diventerò
padre..."
Renato non si sentiva così
beatamente ebbro da quando, ancora scapolo e campanilista, aveva
trascorso la notte claudicando solitario in piazza Duomo e cantando 29
Settembre,
fra i
singhiozzi della sbornia, all'indirizzo di uno stormo di piccioni
impauriti, dopo essersi scolato una bottiglia di manzanilla
ghiacciato per dimostrare ad un collega sivigliano che gli italiani
sanno reggere l'alcol di gran lunga meglio degli spagnoli.
Neppure la
tensione paralizzante del giorno del matrimonio era stata capace di
instupidirlo a tal punto, quanto l'apprendere che, entro nove mesi,
avrebbe vezzeggiato, ninnato, accudito un tenero e amorevole
frugoletto...
Frugoletto che avrebbe pianto inspiegabilmente per
nottate intere, che lo avrebbe inzuppato di immonde pappette fin nei
punti più impensati del suo corpo, che avrebbe ridotto in
finissimi frantumi qualsiasi oggetto e/o suppellettile fragile
nell'arco di alcuni chilometri, e chissà che altro ancora...
Attese l'ondata devastante di panico dell'ignoto, il maremoto
angosciante dell'ansia da prestazione, ma, con sua titubante sorpresa,
non accadde nulla.
Forse il fatidico evento era ancora troppo lontano,
o forse era così ingenuamente felice da non riuscire a
concepire
neppure l'idea dei lati negativi della vicenda, i quali, lo sapeva, ci
sarebbero stati.
Si sentiva animato da un'insospettata
temerarietà, una sorta di baldanzosa avventatezza, molto
lontana
dal suo carattere timido e un po' remissivo, era pronto ad affrontare a
viso aperto qualsiasi traversia il futuro avesse in serbo per lui.
Sì, era decisamente come essere ubriachi.
Ad un tratto, una chioma di capelli lisci rosso tiziano fece capolino
dietro lo stipite della porta, oltre la curva morbida della spalla di
Elettra, poi una voce maschile ben nota commentò, in tono
falsamente lamentoso: "D'accordo, la scenetta di sublime amore
coniugale è stata davvero toccante, però mi preme
rammentarvi che qui c'è qualcuno che sta morendo di fame!"
"Tu
quoque Brute?
Fa'
silenzio, congiurato dei miei stivali!" gli brontolò contro
il
professore, più allegro che adirato, mentre si faceva da
parte
per osservare il quotidiano siparietto dei gemelli che si contendevano
l'onere e l'onore di preparare la cena, benché fossero l'uno
più delinquenziale dell'altra in campo culinario.
"Ci credo che
le bistecche ai ferri finiscono sempre per ridursi a tizzoni ardenti
del tutto immangiabili: tu ti ostini ad accendere la cappa e non ti
accorgi che stanno per bruciare!"
"Non accetto consigli da uno che riesce a trasformare delle innocue
uova sode in armi di distruzione di massa!"
"Levatevi di torno, tutti e due: tu, perché non devi
stancarti
troppo, e tu, perché mi infastidisci" li ammonì
entrambi,
per nulla toccato dalle loro proteste sommesse.
Innanzitutto, aveva
intenzione di consumare un pasto decente, almeno quella sera; inoltre,
aveva il bisogno viscerale di tenere a bada la frenesia gioiosa che si
era impadronita di lui, impegnandosi in una qualsivoglia
attività manuale.
Era stato troppo duro con il buon vecchio Leibniz, durante il proprio
sogno premonitore, rifletté, mentre trafficava tra il
frigorifero e i fornelli, senza smettere di osservare di sottecchi
Elettra, con il canonico sguardo acquoso dell'innamorato ebete.
Forse
quello in cui viveva non era il migliore dei mondi possibili, ma, tutto
considerato, non era neanche poi così male.
FINE
Ed ora, miei prodi lettori, la tortura quotidiana... Le dolenti note!
1) Gottfried Wilhelm von Leibniz, filosofo e matematico del XVII
secolo. Una delle sue più celebri asserzioni, dileggiata da
Voltaire nell'opera qui citata in calce alla storia, sostiene che Dio,
nella sua infinita bontà, avrebbe potuto creare per l'uomo
solo
il migliore dei mondi possibili.
2) L'Ikea... Vabbè, non fatemi perdere tempo, su,
ché lo sapete!
3) Dicesi teodicea
quell'insieme di teorie filosofiche che mirano a giustificare e/o
spiegare la presenza del Male nel mondo.
4) David Hume, filosofo illuminista scozzese del XVIII secolo;
è
considerato uno dei maggiori esponenti della corrente empiristica
britannica, le cui basi poggiano sulla convinzione che la conoscenza
umana possa procedere unicamente dai sensi e dall'esperienza.
5) La Lamia è un mostro notturno della mitologia greca, che
si
dice attirasse a sé gli uomini con voce melodiosa e
sembianze
sensuali per poi succhiar loro il sangue.
Erano anche considerate
responsabili dei rapimenti e delle uccisioni dei bambini in fasce.
6) Lomello è un piccolo centro medievale dell'Oltrepo, in
provincia di Pavia, la città in cui è ambientato
questo
racconto.
7) Eugene Ionesco è un drammaturgo francese di origine
rumena,
le cui produzioni teatrali sono rinomate per l'effetto di straniante
incoerenza delle loro battute; lo stesso autore ha dichiarato che molti
dialoghi fra i personaggi sono stati realizzati assemblando frasi
tratte da un manuale di traduzione dal francese all'inglese per
principianti.
8) 29 Settembre,
brano
musicale scritto dalla coppia Mogol-Battisti ed interpretato
dall'Equipe 84.
Io amo questa canzone: ascoltatela, ed anche voi
l'amerete come me, ne sono certa.
9) Il manzanilla
è un
vino liquoroso (sherry fino) prodotto nell'area meridionale della
Spagna (Andalusia).
Il suo centro di produzione più rinomato
è la città di Sanlùcar de Barrameda,
nella
provincia di Cadice: l'esposizione delle uve in maturazione ai venti
marini viene considerata molto importante per ottenere il miglior aroma
di questa bevanda.
Spero di non aver dimenticato nulla.
Approfitto di questo spazio per ringraziare i giudici di "Contest The
Kitchen", Annaf85 e Tamaki The King, per la solerzia e la
pazienza,
nonché per avermi giustamente penalizzata a causa di alcuni
orrori grammaticali, sfuggiti ai miei occhiacci astigmatici.
Così,
è la volta buona che smetto di andare a far l'editor
rompiscatole nelle recensioni agli altri e vado a seppellirmi per la
vergogna da qualche parte...
I miei sentiti complimenti anche alle colleghe podiste e alle altre
partecipanti.
Alla prossima!
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