Princess of Pain
-
Escape -
Capitolo 1
A shadow of
a man
I'm
nothing less
I am
holding on, still holding on...
And
every now and then life begins again
I am
holding on, still holding on...
I'm not like you
Your
faceless lies
Your
weak, dead heart
Your
black, dead eyes
I'll
make it through, but not this time
Your
hope is gone, and so is mine...
Buio.
Inondava la casa dappertutto.
Lo sentivo dietro di me, davanti a me.
Mi avvolgeva.
Come il dolore.
Dolore in quel momento, dolore sempre.
Sentivo anche qualcosa di bagnato sul viso.
Lacrime.
Live,
Fight
Crawl back inside
Non piangevo spesso. Non ci ero abituata.
Eppure, quella volta non riuscivo a trattenermi.
Eris mi aveva picchiato in modo troppo crudele.
Sick,
Blind
Love
left behind
Non riuscivo a scagliare
bene quella lancia
Eris mi prese il braccio
Afferrò la
lancia
Colpì il mio
braccio
Non voleva smettere.
And
I won't live,
your
weak wicked lie
Avevo dei lividi molto
grandi, ora. E per un bel po' di giorni non avrei potuto più
lanciare nulla. Mi faceva male quel dannato braccio, quasi non riuscivo
a muoverlo.
Non volevo piangere. Nemmeno davanti a Eris.
Quando vide quelle
lacrime, buttò a terra la lancia. Mi urlò che non
ero
degna di essere chiamata Ashura, che non potevo in alcun modo
permettermi di piangere.
Mi mandò via, non voleva più vedermi.
E ora ero qui, nella mia stanza. Dalla finestra si poteva vedere il
palazzo dove mi allenavo.
Lo odiavo.
Dodici anni di allenamenti, senza sosta.
A un anno assistevo a quelli dei miei genitori.
A due anni finalmente capivo cos'erano le armi.
A tre facevo arti marziali.
E ora, a tredici anni, mi allenavo undici ore al giorno.
La mia vita non era come quella delle mie coetanee.
You
pull me in,
I'm
one step behind
Mi chiamavo Daruma Ashura.
Odiavo il mio nome. Significa "bambola".
Infatti io ero solo una marionetta.
La mia famiglia non
aveva un vero e proprio cognome. "Ashura" è quello che
adottavano tutti quelli come noi, sin dalla nascita.
E per "quelli come
noi", io intendo i clan di Arashi Ashura. Il demone più
potente
di tutti, ma soprattutto il più terribile e temuto.
Arashi aveva il corpo da donna, ma non possedeva nulla di umano.
Tantomeno il cuore.
Iniziava tutto centinaia di anni fa.
Sette sacerdotesse, le
Signore della Luce, intrappolarono dentro di loro il Potere Hi, quello
del Sole. Un potere straordinario, a quanto mi insegnarono. L'intento
delle sacerdotesse era di custodirlo al fine di impedire ai
malintenzionati di impossessarsene. Perché se fosse caduto
nelle
mani sbagliate, sarebbero stati guai.
In particolar modo, se
i demoni più potenti avessero potuto usufruire dell'Hi,
avrebbero spadroneggiato ovunque. E uno di questi demoni era Arashi.
Le Signore della Luce sconfissero molti demoni, anche i più
potenti.
Ma Arashi no.
Prima di morire, le
sacerdotesse fecero un rito. In questo modo, una volta defunte, il
Potere Hi si sarebbe liberato dal loro corpo, per poi reincarnarsi in
quello di altre sette donne, trasformandole in semi-umane e conferendo
loro una potenza straordinaria. E alla loro morte, il potere Hi si
sarebbe nuovamente stabilito in altre sette giovani, in un ciclo
continuo.
Perché l'Hi non muore mai.
Così, ogni
cento anni, sette ragazze acquisivano un potere enorme, continuando a
proteggerlo e a combattere contro chi voleva impossessarsene.
E Arashi ci ha sempre provato.
Ogni cento anni, ha sempre aspettato le nuove reincarnazioni, per
ucciderle.
Perché chi
riusciva ad ammazzare anche solo una delle sette reincarnazioni, si
appropriava di una parte dell'Hi, diventando sempre più
potente.
E chi le assassinava
tutte e sette, riceveva l'intero potere, diventando imbattibile. Ma
ucciderle era un'impresa quasi impossibile, perfino per Arashi.
Ci ha tentato per
centinaia di anni. Ha combattuto con dozzine di reincarnazioni, ma non
le ha mai battute. Ognuna di loro ha fatto in tempo a morire di morte
naturale, lasciando Arashi a mani vuote.
Finché non si organizzò in modo diverso.
Trecento anni fa,
infatti, riuscì a unire la maggior parte dei demoni del
mondo,
creando una società intricata, composta da centinaia di
creature
maligne, distribuite in tutta la terra.
Tutto ciò era
in suo comando. Ogni demone pendeva dalle sue labbra, ma in
realtà tutti loro miravano a ricevere l'Hi, una volta uccise
le
reincarnazioni.
Gli umani tremavano al
sol pensiero di Arashi e della sua potenza. Ma Arashi non controllava
anche loro, perché erano difesi costantemente dalle
reincarnazioni attuali delle Signore della Luce e dai loro
collaboratori, dei saggi e dei maestri molto potenti.
Eppure, non tutte le persone sono buone.
Molte famiglie di umani si allearono ad Arashi, in particolar modo
malviventi.
Inutile dire che ora, la società di Arashi comprendeva clan
di demoni e anche di persone comuni.
Ma molti di loro non avevano ancora capito di essere l'ultima ruota del
carro, in tutta la società Ashura.
Secondo Arashi, gli
umani dovevano provocare scompiglio tra le città, attirando
l'attenzione delle reincarnazioni, che sarebbero giunte a riportare
l'ordine. A quel punto, qualche demone doveva cercare di ucciderle.
Spesso e volentieri, i
demoni andavano anche a caccia di queste donne, ma non potevano
attaccare la loro sede: il potere dell'Hi era utilizzato anche per
difendere il territorio dove vivevano le reincarnazioni. Nemmeno Arashi
poteva avvicinarsi, senza un livello adeguato di potere - che ancora
non era riuscita a possedere.
In tutto questo, le
famiglie di umani alleati ad Arashi non dovevano fare altro che
condurre una vita malfamata, completamente sotto il controllo dei
demoni.
E i miei parenti non erano da meno.
Ognuno di noi era
destinato a seguire un'infanzia - se così si può
chiamare
- di duro allenamento, sotto la supervisione di demoni spesso troppo
severi.
E a vent'anni, si iniziava a uccidere.
Superata quella soglia
d'età, i giovani Ashura si recavano in missione nelle
città, per rapinare, gestire affari illegali, ma soprattutto
per
ammazzare persone innocenti.
Agli occhi di molti, quest'attività rappresentava una
consuetudine, un divertimento quotidiano.
D'altronde, eravamo tutti abituati a questo.
Uccidere.
Show
me where it hurts
And
I will make it worse
C'era solo odio.
L'amore non si accompagnava bene al nome Ashura.
Nessuno di noi riceveva affetto.
Are
you holding on? Keep holding on
I miei genitori mi educarono a rigare dritto, picchiandomi.
Se da piccola piangevo, loro non si facevano impietosire.
E a tre anni, quando
nelle mie giornate era più presente la mia allenatrice Eris
piuttosto che loro, ho capito che la mia vita era impregnata di
qualcosa di amaro, di triste.
La mia vita era in mano di Arashi.
Dilated eyes shine for one last time
Are you holding on? Keep holding on
Daruma Ashura.
La sua marionetta.
You're
not like me
Your
faceless lies
Non avevo neanche la
possibilità di conoscere ragazzi della mia età:
vivevo da
sempre in un palazzo situato su una piccola isola, assieme ai miei
genitori e i miei nonni. Ma non stavo quasi mai coi miei parenti.
La nostra casa era circondata da quelle di molti demoni, che ci
tenevano sotto controllo.
E in particolar modo, Eris. Lei era la più terribile.
Your
weak, dead heart
Your
black, dead eyes
Sono sempre stata vittima delle sue terribili punizioni, spesso
ingiuste, spesso troppo crudeli.
Eris mi torturava.
I'll
break you in,
and
let this die
Mi sottoponeva ad esercizi che erano alla portata di un demone. E io
ero solo una semplice bambina.
Ogni giorno, per undici ore, dovevo maneggiare armi e combattere contro
di lei.
Ogni giorno, Eris, sotto ordine di Arashi, mi addestrava ad essere
spietata.
Ogni giorno, mi insegnava a uccidere.
Ma io non volevo.
Your
hope is gone
And
so is mine
E ora ero in camera mia, a piangere come una stupida.
Come una che non sa ribellarsi.
O meglio, che non può
ribellarsi.
I'm
becoming a monster,
Just like YOU
E in quel momento, la
cosa migliore da fare era rimanere in quella stanza buia, in silenzio,
mentre mi passavo due dita sopra il livido più gonfio.
L'oscurità mi
impediva di vederlo. Tanto meglio, perché evitavo di
guardare
anche quella camera malinconica che mi circondava.
Assomigliava tanto a una prigione.
After
it all
you'll
try to break me too
Non c'era molto,
lì intorno. Solo due letti, un piccolo armadio e qualche
scaffale impolverato, il tutto attorniato da quattro pareti grigie e
sudice. Era presente un'unica finestra, da cui si poteva vedere il mare
che circondava la mia isola, e poco lontano si scorgeva la terraferma:
Moon, la città dove il mio clan compieva le sue subdole
missioni. In quel momento, non potevo vedere nulla di tutto quel
panorama: una pesante tenda impediva a ogni singolo raggio di luce di
filtrare.
Per il resto, nella mia camera erano due le cose che più
saltavano all'occhio.
Una la odiavo, l'altra l'amavo.
La prima: un quadro. Vecchio, sporco, cupo.
Raffigurava un uomo,
lo sguardo severo e terrificante, illuminato dalla macabra
consapevolezza di essere una persona temuta, rispettata dai suoi simili
e soprattutto, macchiata di numerosi crimini.
Era il mio bisnonno.
Dire che quel dipinto
mi incuteva terrore era poco. I miei genitori l'avevano appeso proprio
davanti ai due letti: secondo loro, quando mi addormentavo, l'ultima
cosa che dovevo vedere erano quegli occhi gelidi.
Ma io dormivo a pancia in giù.
L'altro oggetto era decisamente meglio.
Una katana.
Bella, luminosa e potente.
Hito no Shi, questo era il suo nome.
Non l'avevo mai toccata in vita mia, ma l'amavo profondamente.
E il motivo di questo mio affetto per un'arma era molto semplice.
Apparteneva a lui.
La persona che più adoravo in tutta la mia vita, e quella
che amo ancora adesso.
Mio fratello.
Hidari Ashura.
Il mio unico affetto, la ragione che mi spingeva a continuare a vivere.
Era la mia speranza.
Hidari mi trasmetteva quella tenerezza che mi faceva amare la vita,
nonostante tutto.
Mi aveva sempre regalato tanto affetto, sin da quando avevo iniziato a
imparare a camminare.
Quando ci allenavamo insieme, era lui che mi aiutava ad alzarmi se
cadevo, impedendo a Eris di punirmi per la mia debolezza.
Quando io sbagliavo qualcosa, lui si assumeva le mie colpe.
E quando piangevo, lui mi asciugava le lacrime.
Ma in quegli ultimi anni era cambiato tutto.
Hidari aveva compiuto vent'anni già da un pezzo.
E da più di un anno, era obbligato a uccidere.
Andava per le città con i nostri genitori e vari demoni,
organizzando diversi attentati.
Inutile dire che Hidari non voleva fare niente di tutto ciò.
Inutile dire che era
colui che uccideva meno innocenti di tutti gli altri, ma se lo avessero
scoperto avrebbe potuto rischiare grosso.
Inutile dire che
Hidari piangeva ogni notte, prima di addormentarsi, perché
nel
buio rivedeva i volti senza vita dei cadaveri di decine di creature
umane.
Falling
forever,
chasing
dreams
Mio fratello mi diceva
sempre di meritarsi l'Inferno, e nient'altro. Ma ogni volta aggiungeva
che la sua soddisfazione, quando brucerà tra le fiamme,
sarà quella di sentire le urla disumane emesse da coloro che
si
sono macchiati del suo medesimo reato.
E io la pensavo come lui.
I
brought you to life
so
I can hear you scream
Hidari era un ribelle. Voleva trovare una soluzione a quel travaglio,
per me e per lui.
Non si dava pace.
La sua incredibile
sensibilità gli faceva capire che la vita era importante,
che
nessuno poteva rubarla a qualcun altro. E lui sapeva che doveva
scampare al più presto da quell'ambiente, dove questi valori
non
erano rispettati.
E sempre la sua enorme sensibilità lo induceva a non
uccidere i nostri familiari.
Diceva di non averne diritto, perché era compito di qualcun
altro, lassù, che avrebbe fatto giustizia.
Hidari voleva scampare a quel supplizio in un altro modo.
Ma ancora non aveva capito come.
And
I won't live
your
weak wicked lie
In quel momento, il
pensiero di mio fratello era l'unico che poteva farmi trovare un po' di
serenità, tra quelle mura ghiacciate. E avrei continuato a
sfiorare quei lividi pensando a lui, se non avessi sentito
improvvisamente dei passi avvicinarsi alla porta.
Cavolo.
Balzai in piedi, impietrita dal terrore.
Se chi stava per entrare era Eris, potevo considerarmi finita.
Non potevo
nascondermi: quella demone mi avrebbe di certo trovata, avendo dei
sensi molto sviluppati. Ma non potevo nemmeno fuggire,
perché
non c'era un'altra porta. Tantomeno sarei stata in grado di buttarmi
dalla finestra senza morire o farmi male, visto che ero al terzo piano.
Fantastico.
Non mi restava che asciugarmi alla meglio le lacrime, sopprimendo il
dolore che ancora voleva uscire dal mio corpo.
I passi si facevano
sempre più vicini. Ormai era sicuro che la persona dietro la
porta voleva entrare nella mia stanza. Mi sedetti sul mio letto,
cercando di fare finta di nulla.
Finalmente, la porta si aprì.
Una figura di uomo,
alto e snello, comparve all'ingresso. Alla sua vista, i miei occhi si
illuminarono di gioia: una sensazione istintiva, che non potevo evitare
di provare, ogni volta che lo guardavo.
Hidari stava entrando.
Malgrado il dolore che
ancora mi perseguitava, gli sorrisi immediatamente. Ma allo stesso
tempo, nascosi le braccia dietro la schiena: Hidari non sapeva che Eris
mi aveva punito, e se fosse venuto a conoscenza del modo esagerato con
cui mi aveva picchiata, avrebbe potuto reagire in modo troppo impulsivo.
E questo era un rischio che non poteva correre, per il suo bene.
- Ehi, Hime mia! Non pensavo di trovarti qui!
Il tono del mio
adorato fratello, con quella sua voce non troppo profonda, era
straordinariamente sereno. Era normale per lui: ogni volta che parlava
con me, si sforzava sempre di apparire felice, anche se non lo era. E
il motivo lo potevo intuire.
Hidari cercava di
trasmettermi quella tranquillità, quella illusione che mi
avrebbe concesso di provare a vivere in un mondo che non era poi
così triste e drammatico come sembrava. Il più
delle
volte ci riusciva, ma l'effetto dei suoi sforzi s'interrompeva nel
momento stesso in cui mio fratello si allontanava da me.
Però, quando mi
chiamava in quel modo...adoravo quel soprannome che mi aveva dato.
Anzi, ormai era diventato il mio vero nome. Hime, Principessa. Ero la
sua principessa, il suo piccolo tesoro. Il mio cuore si riempiva di
gioia solamente sentendo che Hidari mi chiamava in quel modo. Nessun
altro conosceva quel mio nome. Era come una sorta di parola segreta che
solo io e lui condividevamo.
- Hidari! Che bello vederti!
Nelle mie parole, non
potevo trattenere la felicità che provavo di fronte al mio
fratellone. Senza pensarci troppo, lo abbracciai per qualche secondo,
ma subito dopo ritirai di nuovo le braccia dietro la schiena, per
evitare che si accorgesse dei lividi. Hidari non ci fece caso, forse
perché troppo intento ad accarezzarmi la testa spettinata.
Lo osservai,
guardandolo negli occhi. Lui continuava a sorridermi, nascondendo con
grande abilità lo sforzo immane che gli costava.
E nulla era più bello di mio fratello, quando assumeva
quell'espressione serena.
Hidari era un giovane
stupendo, a mio parere. Tutto il contrario di me: io, coi miei tredici
anni, ero una ragazzina pallidissima, dalla corporatura incredibilmente
magra e poco sviluppata. Il mio viso era scarno e i miei occhi, di un
nero intenso, non si illuminavano mai. Solo i miei capelli, corti che a
mala pena arrivavano alle spalle, erano di un rosso non molto scuro; ma
non avevo il tempo di curarli: rimanevano sempre spettinati,
conferendomi un aspetto più maschile che femminile.
Nell'insieme, ero convinta di essere una ragazza il cui aspetto,
prevalentemente nero e rosa pallido (senza contare i miei vestiti, che
difficilmente non erano neri, grigi o viola scuro), comunicava solo
malinconia.
Hidari era diverso. Il
suo volto era magro ma incredibilmente affascinante, circondato da dei
capelli castani e continuamente in disordine, la cui frangia lunga e
spettinata copriva parte degli occhi. E forse era meglio
così,
perché erano proprio i suoi occhi a tradire la finta
espressione
di felicità che cercava di assumere.
Lo sguardo del mio
amato fratello era perennemente triste e malinconico, ma poteva
capitare che i suoi occhi castano chiaro brillassero di una luce
ribelle, coraggiosa.
Per il resto, Hidari
aveva un corpo magro ma muscoloso, a prova della sua grande forza. Era
molto alto, a dispetto della mia statura minuscola: gli arrivavo poco
sopra l'ombelico.
- Vedo che sei
particolarmente contenta di vedermi, vero Hime? Ma come mai sei in
camera tua? Pensavo che a quest'ora ti stessi ancora allenando...
Oh no. Non mi ero preparata una scusa per questa domanda.
- Eh, vedi... -
risposi, tentando di non guardarlo negli occhi (non ero brava a
mentire, specialmente a lui) - Eris ha detto che voleva allenarsi da
sola, così ha deciso di mandarmi via...
Che scusa idiota.
Hidari sapeva perfettamente che i demoni si allenavano sempre la notte,
dal momento che pochi di loro avevano bisogno di dormire. Inoltre, Eris
tendeva sempre a prolungare le ore di allenamento con me, e non di
concludere prima.
- Davvero? E perché questa decisione improvvisa?
Era chiarissimo che Hidari sospettasse già qualcosa. Prese a
osservarmi con aria indagatrice e io entrai nel panico.
- N-non lo so perché... - balbettai - Ha detto che la facevo
innervosire e mi ha cacciato...
Quella scusa era in
parte vera, ma la mia voce tremante e insicura fece capire a mio
fratello che nascondevo qualcosa. E proprio in quel momento il suo
sguardo si spostò verso le mie braccia, ancora nascoste
dietro
la schiena.
- Hime, fammi vedere le braccia. - disse, con tono grave e preoccupato.
Inutile continuare a
fingere. Hidari avrebbe scoperto i lividi, ma speravo con tutto il
cuore che non si sarebbe arrabbiato, reagendo in modo troppo impulsivo
verso Eris e mettendo a rischio la sua salute.
Lentamente, portai le
braccia davanti a me. Mio fratello, vedendo quelle numerose botte,
iniziò a tremare dalla collera. Le sue mani si raccolsero
formando dei pugni, e dai muscoli contratti delle braccia erano
chiaramente visibili le vene. Io abbassai gli occhi, incapace di dire
qualcosa. Hidari, invece, continuava a guardare le mie braccia,
cercando di controllare l'ira improvvisa che lo assaliva.
Sapevo che non mi
avrebbe mai fatto del male. Ma se il mio adorato fratello avesse
provato a scaricare quella rabbia contro Eris, l'avrebbe pagata cara:
la sua forza non eguagliava quella di un demone così
potente. E
la stessa Eris non si sarebbe fatta problemi a ucciderlo...e questo non
doveva accadere. Non concepivo nemmeno un'idea simile.
Ma Hidari non riusciva a reprimere quella collera.
- Eris... - mormorò - ti ha fatto questo?
Non potevo mentire, era evidente quale fosse la mia risposta.
Così annuii, ma tentai di calmarlo.
- Ti prego, Hidari...lascia perdere...non le permetterò
più di picchiarmi così...
Fu allora che distolse lo sguardo dalle mie braccia, che avevo riposto
lungo i fianchi.
- No, Hime. Nessuno può farti questo. Deve pagarla...
I suoi pugni si
strinsero talmente forte che le vene parevano quasi scoppiare. Ma io
dovevo impedirgli di compiere qualche gesto sfrontato, dovevo calmarlo
e farlo rimanere qui.
- Hidari, ti prego, fallo per me...lascia perdere...
Mio fratello rimaneva impassibile.
- Non posso lasciargliela passare, Hime.
D'un tratto,
aprì una mano e mi accarezzò uno dei lividi. Io
rimasi
immobile, agitata. Riuscivo a intravedere i suoi occhi: ora
trasmettevano un'enorme tristezza.
Subito dopo, mio fratello mi guardò, ormai deciso a
vendicarsi.
- Hidari, rimani qui, non fare nulla di impulsivo... - mormorai,
implorandolo.
- Non posso. Ora devo andare, sorellina. Tu rimani qui e cerca di
riposarti.
E detto questo, mi baciò sulla fronte e uscì
dalla stanza, con passo deciso.
You
pull me in,
I'm
one step behind
I'm
one step behind
I'm one step behind
*** Spazio dell'autrice ***
Allora,
intanto un grande GRAZIE a tutti coloro che, anche per un attimo, hanno
letto questa storia. Grazie mille, spero vi sia piaciuta! Riconosco che
questo primo capitolo possa essere un po' pesante e noioso, forse
troppo lungo, ma spero comunque che trasmetta qualcosa. Ci tengo
moltissimo a questa storia, quindi siate clementi! ^^''
La canzone che ho usato per questo capitolo è "Crawl" dei
Breaking Benjamin, vi consiglio di ascoltarla. =)
Vi chiedo ancora una volta di recensire, se potete =) Ve ne
sarò molto grata. :)
Cercherò di pubblicare un capitolo ogni settimana o poco
più e spero che, a poco a poco, qualcuno di voi si possa
appassionare a questa storia! =) Ah, il secondo capitolo non
sarà così lungo, quindi non preoccupatevi! ;-)
Grazie ancora a tutti voi!! =)
Valerie
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