Giorno 3
GIORNO 2
NOTTE
Carlos Sanchez aprì
gli occhi. L’orologio sul polso del programmatore sdraiato al suo fianco
segnava le 2:18.
Dormivano ancora
tutti e nell’oscurità che pian piano si diradava si accorse che il convoglio
non era provvisto di bagno.
<< Mierda
>> imprecò sottovoce e si diresse alla porta, facendo attenzione a dove
metteva i piedi per non svegliare nessuno. Aprì la porta con un leggero cigolio
e uscì finalmente.
La notte aveva
portato con se un’aria calda e umida che aveva creato una fitta nebbia che
avvolgeva ogni cosa, dando alla giungla un’aria decisamente spettrale. Mentre
si allontanava un po’ dal camper cercava di non fare caso ai fruscii e ai
richiami che echeggiavano intorno a lui.
Si avvicinò ad un
albero, si sbottonò i pantaloni e sentì un ringhio sordo provenire dalla
direzione opposta a quella dalla quale era venuto. Rimase fermo.
Lui non si
considerava un tipo pauroso, anzi, avrebbe detto il contrario. Aveva fatto
molte volte parapendio e bungee jumping, cosa non da tutti, e poi non era
rimasto molto impressionato alla vista del gigantesco animale che distruggeva
l’aereo… e poi per atterrare su quell’isola serviva fegato da vendere! Ma in
quel momento era come se il cuore gli fosse rimasto incastrato all’altezza del
pomo d’Adamo. Lo sentiva battere contro le strette pareti della carotide e la
tensione gli faceva pulsare la testa.
Molto lentamente si
riabbottonò la patta, continuando ad ascoltare il terrificante verso.
Stava li, vicino
all’albero con gli occhi talmente sbarrati che gli facevano male.
Qualcosa si mosse
tra la nebbia, una testa corta ovale, con due corna ricurve sopra ai piccoli
occhi gialli infossati e una bocca piena di denti aguzzi, ondeggiava a circa 4 metri di altezza. Poi
uscì il corpo, come se avesse attraversato una cascata d’acqua. Le braccia
cortissime artigliavano l’aria calda, mentre la bestia si guardava intorno.
Carlos era arrivato
al culmine dell’angoscia e, mentre sentiva una macchia calda allargarsi nei
pantaloni, decise di tentare la fuga verso il camper.
Mosse il piede
dietro di se, facendo frusciare lievemente le foglie di felce. Il dinosauro non
sembrò accorgersene ma avanzò un po’, diretto verso l’albero alla sinistra del
pilota. Fece un altro paio di passi, approfittando del rumore causato dai passi
dell’animale. Urtò un sasso con il piede, scivolò.
Il rumore che fecero
i sassi nello spostarsi non era molto forte, ma a Carlos sembrò come se
qualcuno avesse sparato un colpo di fucile nella notte silenziosa. La caviglia
gli faceva male, trattenne un’imprecazione. Tornò a guardare la reazione
dell’animale.
Si pietrificò.
Il dinosauro teneva
i suoi piccoli occhi gialli puntanti su di lui mentre fiutava l’aria: l’aveva
individuato.
Era molto vicino.
Sanchez riusciva a vedere il colore rossastro della pelle, che era coperta di
scaglie e punte. Aveva visto un disegno di quell’animale sul libro di un
ragazzo del gruppo, gli pareva si chiamasse Carnotauro, qualcosa del genere.
Ma non aveva più
molta importanza. Sentiva il fiato caldo, umido e nauseabondo del predatore
toccargli la pelle. Era talmente vicino che poteva contare i suoi denti
affilati e lunghi come i coltelli di un macellaio.
Si alzò e si mise a
correre, sforzandosi di non cadere trascinandosi dietro la gamba ferita.
Il carnotauro non se
lo aspettava. Con un ruggito scartò in avanti, raggiungendo il pilota con due
falcate delle possenti zampe.
Carlos si senti
sollevare dalla gamba ferita e in quel momento fu come se una tagliola si
chiudesse sull’arto.
La bestia continuò a
correre, finché non arrivò sulle rive di un piccolo
ruscello nella giungla, illuminato dalla chiara luce della luna.
Il pilota era da
ormai venti minuti appeso a testa in giù, e penzolava dalla bocca del carnivoro.
La gamba era diventata ormai insensibile e il suo stesso sangue gli colava
sulla faccia.
Stava per svenire.
Inaspettatamente la
testa del carnotauro fece un brusco scatto all’indietro.
La gamba si staccò
dal resto del corpo che venne catapultato sull’erba umida.
Urlò dal dolore.
Appena il dinosauro finì di masticare la gamba si girò e fece un minaccioso
ruggito di risposta. Carlos vide i resti della sua Timberland sinistra
incastrati tra i denti affilati.
Il carnotauro si
avvicinò, e senza esitare iniziò a mangiargli anche l’altra gamba.
Carlos vomitò e svenne.
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