Salve a tutti. ^^
Quello che vi apprestate a leggere è il sequel di
Doppelgaenger .
Chi non la conosce, o non
l’ha
letta può farne anche a meno naturalmente, ma la lettura di
questa roba risulterà
un po’ difficoltosa.
Lettore avvertito! (Ma
quanto
sarò paracula? :D )
Rispondo qui alle recensioni
di Seven Steps. ;)
@Andriw9214:
beh, considerando che la sezione di HP ha un pubblico prevalentemente
femminile
sì, mi considero onorata ad avere un ospite maschio in
questi lidi ^^ Siete
specie protetta! :P
Sì, su Al ci hai
preso, perché
quando ti capita un trauma come quello che ha subito lui (rapimento,
omicidi,
una persona che ami che forse è morta o dispersa)
inevitabilmente non rimani lo
stesso, ma qualcosa ti segna. Harry e Ginny… beh, sono
genitori molto
progressisti, per come li dipinge la Row… speriamo che lo
siano anche qui
allora! XD Beh, e poi resta sempre Lils. :P Grazie per i complimenti,
davvero!
@Simomart: E
lo so… in effetti ce la volevo mettere, ma poi sarebbe
venuto un papiro. Farò qualche
accenno in questi capitoli comunque, ci puoi giurare. Non
lascerò nulla al
caso! Avevo pensato ad un racconto breve Rose/Sy e penso proprio che lo
scriverò, prima o poi. ^^ Con Vic accetto il punto, in
effetti forse è un po’
affrettato, ma calcolando che la voglio inserire anche in seguito, ci
doveva
essere un retroterra. Thanks!
@LyhyEllesmere:
Ciao, non preoccuparti, come si dice, meglio tardi che mai! XD Grazie
mille per
i complimenti, mi fai arrossire! ^^ Beh, diciamo che Lils ha
già detto che
obbligherà il futuro marito a usare anche il suo cognome.
È una brava ragazza,
lei. XD Grazie mille per la fiducia alla Ted/James…
spandiamo nell’aria questo
fantastico pairing!
@Tinax86:
Vero, vero… ma come scoprirai, sono maledettamente
logorroica! Grazie per la
recensione! Tom volevo metterne di più, ma poi altro che due
capitoli! XD
@Agathe: Essì,
era una robina semplice semplice, per una sfida fatta con
un’amica. ^^ Harry e
le sue reazioni saranno descritte, no te preoccupe… non
lascerei mai un momento
simile nel dimenticatoio! :D Sy non è adorabile,
l’uomo dei cactus? XD Al è un
po’… come dire… traumatizzato dal
tutto. In fondo è un cosino sensibile, lui.
:P Lo dice anche la Row!
@Trixina: Trixina! Quanto ti adoro!
XD Ci sei sempre, e grazie, grazie davvero! Ehehe, Nonna Dromeda
rulez… se non
ci fossero le nonne! Ci saranno reazioni da parte di Harry e Gin,
promesso! ^^
@Nicky_Iron:
Non preoccuparti, capisco benissimo! Dannati esami! Grazie per i
complimenti e
Nonna Andromeda ringrazia (Ah, certo, è modellata sulla mia
di nonna xD) La
scena di Ron che mi hai prospettato mi ha fatto morire dal
ridere… certo che
metto un accenno, sia mai!
****
Cos’è un
ricordo?
Qualcosa
che hai, o qualcosa che hai perso per sempre?
(Woody
Allen)
L’incedere degli stivali
di
cuoio sul lastricato del cortile centrale del castello era sgradevole,
come se
scoppi di incantesimi accompagnassero l’incedere del ragazzo.
La notte lo accoglieva tra
le
sue braccia, confondendolo tra le ombre. Meno prosaicamente, era
interamente
vestito di nero e il mantello che gli copriva la schiena e una buona
porzione
di spalla era interrotto solo dal sottile filo d’argento che
si agganciava agli
alamari.
Il ragazzo salì
le scale e
dopo corridoi che a lui erano sempre sembrati tutti uguali,
benchè nessuno gli
avesse mai chiesto un parere in merito, arrivò finalmente a
destinazione.
“Caro
nipote… Finalmente qui.
È stato lungo il viaggio?” Si informò
una voce. La stanza era grande e il
ragazzo non capì immediatamente dove si trovava
l’uomo che aveva parlato.
Lo individuò poi
accanto al
fuoco, mentre con l’attizzatoio spostava accuratamente le
braci.
“Privo di
incomodi, zio.” Rispose
neutro: del resto quelli erano convenevoli. Non gli interessava sapere
delle
sue peripezie per giungere alla sua dimora estiva senza farsi scoprire
o sospettare.
“Molto
bene…” L’uomo posò
l’attizzatoio sulla mensola del camino. Fissava le fiamme. Il
solito, pensò il
ragazzo con una smorfia rassegnata. Era raro infatti che lo guardasse
in viso.
I suoi lineamenti non appartenevano alla casata da cui era stato
allevato e
cresciuto e suo zio era decisamente il tipo a cui davano fastidio certi
particolari.
Non bastava essere un
purosangue, per lui. La macchia che proveniva dalla famiglia di suo
padre lo marchiava
a fuoco, rendendolo poco più che un lacchè.
Serrò le labbra.
No, non un
lacchè. Uno
strumento, né più né meno utile di
quell’attizzatoio.
Istintivamente
chinò la testa,
lasciando che i capelli lunghi fino alle spalle gli coprissero
parzialmente il
viso. Cancellò ogni espressione e attese ordini. Era quello
che suo zio voleva
e lui non voleva indisporlo.
“Saprai della
morte di
Johannes.”
Il ragazzo ci mise un attimo a fare mente locale.
Del
resto ha avuto dozzine di soprannomi e decine di
identità in tutto il globo terraqueo, magico e
non…
Permettimi qualche incertezza. Era il suo vero nome, questo?
“Intende John Doe,
zio?”
“Chi altri? Gli avevo affidato l’incarico
più importante della sua vita e si è
fatto uccidere… da due ragazzini e una vecchia gloria di
guerra.” Calcò con
rabbia la parola e il ragazzo istintivamente aspettò lo
scatto d’ira che ne
sarebbe conseguito.
Per sua fortuna stavolta non
arrivò.
Ci fu un lungo silenzio
interrotto solo dallo scoppio delle braci nel camino.
“Voglio rendere
questo posto
il quartier generale dell’organizzazione, a tutti gli
effetti.” Esordì poi il
mago più anziano. “Il castello della nostra
famiglia non è più sicuro, dopo il
fallimento di quell’idiota. Voglio che sia tu ad occuparti
del trasloco.”
Il ragazzo annuì.
Era stupito:
l’aveva richiamato da San Pietroburgo… per quello?
Ora che Johannes è morto posso
aspirare
al suo posto di galoppino? Esaltante.
“Sören.”
Lo richiamò. Fu come
una frustrata; sentì la sua schiena irrigidirsi mentre il
terrore gli seccava
la gola.
Era ridicolo: aveva quasi
vent'anni e ancora si comportava come un bambino terrorizzato.
“Certo.”
Rispose però, con
prontezza istintiva. “Me ne occuperò di
persona.”
“Molto bene.” Suo zio aveva gli occhi freddi come
il Mar Baltico. Stavolta però
lo stavano guardando, cosa più unica che rara. In tutta la
sua vita aveva avuto
quei dardi trafitti addosso solo un paio di volte.
Non che ci tenesse
particolarmente comunque.
“Quando
tornerai… potrei aver
ancora bisogno di te.” Aggiunse, a sorpresa.
“Un incarico per l’organizzazione?”
Sperò.
L’uomo
accennò un sorriso.
“Forse Sören, forse. Se ti comporterai
bene… Anche se non ho mai avuto il
motivo per lamentarmi di te.” Si avvicinò e il
ragazzo rimase immobile, in
attesa. Sentì la mano dell’uomo posarglisi sulla
spalla. Aveva il peso di un
macigno.
“Mi sei fedele,
non è così?”
Gli chiese con gentilezza. Non era un uomo gentile, ma aveva la
mirabile dote
di riuscire a sembrarlo. “Ho fatto molto per te.”
“Vivo nella tua benevolenza, zio. Sono il tuo servo
fedele.” Lo aveva recitato
così tante volte che ormai gli sembrava il salmodiare di una
preghiera babbana.
Del resto, potevi forse dire
dire qualcosa di diverso a Alberich Von Hohenheim?
****
30
Luglio 2023
Germania
Settentrionale.
La cittadina di
Putgarten¹
contava poco più che settecento anime, uomo più
uomo meno, secondo le stime dell’ufficio
statistico di Hannover.
Putgarten era un villaggio
tenacemente
ancorato alle scogliere calcaree di Rügen²,
l’isola più grande dell’intera
Germania.
Gli abitanti si ripartivano,
equamente e senza invidie, il magro spettro di lavori disponibili:
caccia,
pesca e artigianato. Il turismo era poco ma anche per quello
c’era qualche
famiglia disposta a mettere su un banchetto con chincaglierie tipiche.
Il sindaco, Erich Heinemann,
quella
mattina passeggiava per la via principale, il giornale sotto braccio,
diretto
verso il municipio: poteva vantare la conoscenza di ogni singola anima
nei
dintorni. Dava del tu al postino e si informava quotidianamente della
salute traballante
del fornaio. E quel giorno ripeté la sua routine oliata e
quieta, finché non si
dovette fermare a riflettere su un’idea.
Gli capitava, di tanto in
tanto, di fermarsi in mezzo alla strada per riflettere. Gli piaceva
credersi un
po’ come Socrate, in quella novella… di cui non
ricordava né titolo né morale.
Era una cittadina
tranquilla,
la sua: i turisti solitamente si fermavano poche ore per scattare
qualche foto
o mangiare un boccone. Poi si spostavano verso Kap Arkona, punta
dell’isola
rinomata per essere stata tratteggiata dal pennello immortale di
Friederich³.
Nulla turbava
l’alternarsi
delle stagioni: le nascite, i matrimoni, gli amori e i dolori erano
poco più di
un increspatura nella superficie liscia delle cose.
Questo prima che Cordula la
Pazza portasse in paese Il Ragazzo.
Cordula – non ne
ricordava mai
il cognome – era la tipica vecchia da folklore locale:
bislacca, con una
fattoria lontana dalle strade battute e in odore di stregoneria. La
conoscevano
tutti al villaggio e a parte terrorizzare i bambini era una figlia di
Rügen,
come tutti loro.
Il Ragazzo invece non era un
sano tedesco dalla carnagione rosea e la zazzera bionda, ma era un
giovane pallido,
alto e dai capelli scuri come una
notte senza luna. E straniero, perdi più. Inglese, sosteneva
Hilde la maestra.
La sua epifania aveva tenuto
impegnate le bocche delle comari per mesi. Era arrivato durante un
dicembre
particolarmente gelido, in cui il mare gonfiava tempeste pericolose, ma
solo
verso Marzo, quando l’ultima gelata era passata, aveva fatto
la sua prima comparsa.
Erich ricordava quel giorno:
tirava
una brezza gradevole, insolita per quel periodo dell’anno e
tutti, persino il vecchio
libraio Karl, avevano seguito l’incedere zoppicante di
Cordula accompagnata dal
Ragazzo. All’epoca aveva fatto una certa impressione
perché palesemente
emaciato, allampanato, chiuso in un cappotto che serviva solo a
sottolineare la
sconfitta di qualche malattia a lungo termine.
E un viso…
Il buon sindaco non era un
fisionomista, ma poteva essere certo, anche a distanza di mesi, di aver
pensato
che l’infelicità avrebbe dovuto avere quella
faccia nelle mani di un fotografo.
Adesso era Luglio, i primi
turisti erano arrivati e ripartiti, eppure le voci
sull’inglese ancora non si
erano quietate.
Sua figlia gli aveva
spiegato,
ridendo come la sciocchina che era, il motivo di
quell’attenzione a getto
continuo.
“Papà,
è misterioso! Nessuno sa da dove venga o perché
abbia deciso di fermarsi qui, dove non c’è un bel
niente! E poi vive da Cordula
… Lei dice che è un suo nipote, ma chi le crede?
No, c’è sicuramente qualcosa
di più.”
Era un bel mistero quel ragazzo, spuntato dal nulla e senza un
apparente
passato da sviscerare. Era come un sottile spillo nella sua coscienza
di
giudizioso amministratore locale.
Non che infrangesse le leggi
o
tenesse un comportamento atto a turbare la quiete pubblica, certo.
Era anzi, rispetto ai suoi
coetanei, giudizioso: lavorava al negozio della sua ospite, i cui
intrugli a
base di alghe andavano a ruba trai turisti creduloni. Raramente usciva
in paese
da solo, né dava confidenza, ma fermato era sempre cortese e
pieno di riguardo.
Inoltre non si ubriacava, né faceva gare di
velocità in macchina sul ponte
dello Stralsund, cosa per cui erano tristemente noti i ragazzi della
zona,
compreso – ma lui non aveva mai dato credito a quella voci -
suo figlio.
Un caro e bravo ragazzo,
commentavano benevoli le donne.
Ma era… strano. Non tanto nel suo aspetto, quanto
nel modo in cui si era
insinuato – sì, era quella la parola giusta, insinuato – nella vita del
villaggio.
Era riuscito a farsi
ordinare
all’edicola alcuni quotidiani inglesi, che leggeva poi in
negozio. Era anche un
cliente affezionato della vecchia coppia che gestiva l’unica
libreria della
zona. All’emporio era rinomato e preso bonariamente in giro
per la sua continua
richiesta di pile alcaline e candele. Come le due cose si sposassero,
non era
mai riuscito a capirlo.
Tutti erano affascinati dal
giovane straniero, inutile negarlo. La sua presenza non era ingombrante
o
rumorosa, ma era quieta, come un’ombra innocua ma tenace.
Ma rimaneva un’ombra.
La pausa di riflessione era
finita. La campana della chiesa batterono otto rintocchi: era ora che
cominciasse anche la sua giornata.
Dedicò un ultimo
pensiero al
ragazzo. Si rese conto, perplesso, di non ricordare il suo nome.
****
Ian le piaceva.
Meike Wollin aveva solo
dieci
anni, un paio di denti da latte in meno, ma due certezze.
La prima era che era diversa. Diversa dai suoi coetanei, si
intende. Diversa da tutti gli abitanti di Putgarten a dire il vero. A
nessuno
di loro apparivano oggetti tra le
mani, dopo che li aveva cercati tanto a lungo. A nessuno di loro il
mare
evitava di bagnare le scarpe nuove quando camminava sulla spiaggia con
la
nonna.
E la seconda era che Ian
Morris, Il Ragazzo Misterioso, come lo chiamavano noiosamente
tutti, le piaceva.
Primo, perché era
bello.
Quando lei e nonna Cordula l’avevano ritrovato svenuto sulla
spiaggia, nove
mesi prima, era stata sicura che
fosse stato il mare a mandarglielo. Un principe tutto per lei, come
raccontavano le fiabe.
E poi c’era un
segreto
importante e bellissimo. Ian era come lei. Anche lui era speciale.
Anche lui
era capace di far sparire e riapparire oggetti o muovere le cose solo
volendolo.
Era molto forte in quello.
Così forte che lei e la nonna la prima volta si erano
spaventate, visto che
aveva fatto
esplodere la tazza di brodo
che gli avevano portato per pranzo.
Si era spaventato anche lui,
a
dirla tutta. Aveva fissato i cocci sparsi tutti attorno al letto e il
brodo che
bagnava le lenzuola e le aveva guardate. Meike ricordava
l’espressione dei suoi
occhi, grandissimi sul viso magro. Era spaventato più di
loro. Aveva detto
qualcosa in inglese, che sua nonna aveva tradotto per lei come
‘Che mi sta
succedendo?’
Allora la nonna, che sapeva
molte cose anche se tutti le davano della pazza, aveva fatto in modo
che non
succedesse più.
Certo, non sapeva come, ma
in
fondo non le importava.
Rifletté un
po’, tormentandosi
una ciocca di capelli, mentre si dirigeva verso il negozio della nonna,
come
tutte le mattine d’estate.
Era stato male, Ian. Quando
l’avevano trovato, a dicembre, era molto malato ed era stato
ben tre mesi a letto, debole come
un
bambino, incapace persino di alzarsi per andare in bagno da solo.
La nonna, che era buona e per niente pazza, l’aveva
accudito… e
aveva dato una mano anche lei, naturalmente.
I primi mesi non erano stati
facili: Ian non capiva la loro lingua e dormiva moltissimo, tanto che
erano
passate settimane prima che dicesse loro come si chiamava e da dove
veniva.
Poi grazie alle pozioni della nonna – si
chiamavano
così, ma non doveva dirlo in giro –aveva ripreso
peso e forze. Aveva anche
imparato molto in fretta la loro lingua, perché sapeva
ascoltare. Aveva passato
intere giornate, steso a letto o sulla poltrona accanto al fuoco se si
sentiva
più in forze, ad ascoltarle.
Ian era bello e gentile,
come
un vero principe e quando era stato capace di alzarsi in piedi aveva
subito
detto di volersi sdebitare. Aveva un modo di dire le cose per cui
neanche una
brontolona come sua nonna riusciva a opporsi. Così aveva
cominciato a lavorare
alla fattoria e a fare da commesso al loro negozio.
Meike era sempre affascinata
dai due modi in cui lavorava. Il primo era quello normale: aiutava la
nonna a
preparare i prodotti, sorrideva – a casa non sorrideva mai -
e serviva i
clienti. Il secondo, nella fattoria, invece era quello speciale.
Ian usava la magia. Non come
lei, che faceva solo un sacco di pasticci, la sapeva usare veramente. Aveva preso la bacchetta -
altra cosa di cui non si
doveva parlare fuori dalla famiglia – di suo padre e la
sapeva usare molto
bene.
I primi tempi
però non era
stato così. Ian aveva problemi a controllarsi e faceva
sempre esplodere le
cose.
Si arrabbiava tantissimo
quando succedeva e la nonna le diceva sempre di andarsene a giocare in
spiaggia
a quel punto. Quando tornava per cena era di nuovo tutto a posto.
Ma erano passati quei tempi,
e
ora Ian stava bene.
La bambina, trecce bionde,
un
sacco di lentiggini e un k-way azzurro, varcò la soglia del
piccolo negozio,
interamente costruito in legno, sulla piazza del villaggio. Un
campanello
trillò argentino e il ragazzo dietro al bancone
alzò lo sguardo dal libro che
stava leggendo.
“Ciao
Ian!”
A Meike piacevano moltissimo
gli occhi di Ian. Erano dello stesso colore del mare,
dell’oceano. Stesso,
identico, neanche glieli avesse rubati.
Il ragazzo chiuse il libro,
sorridendole. “Ciao Meike. La nonna?”
“Sta lavorando al forno, poi viene.” Si sedette sul
bancone, arrampicandosi con
agilità. “Che stavi leggendo?”
“Thomas Mann. Il
dottor
Faust.” Recitò distratto, prima di regalarle un
sorriso alla sua espressione perplessa.
“È un libro molto lungo. E noioso.”
La bambina arricciò il naso, in un’esplosione di
lentiggini, che facevano a
pugni con i capelli color paglia. “Allora perché
lo leggi?”
“Perché mi piacciono le cose lunghe e noiose, mi
pare ovvio.” Ribatté,
facendola ridere.
Ian si soffiava spesso il
ciuffo via dalla fronte, perché aveva i capelli lunghi, fin
sotto alle
orecchie. Più lunghi di come li tenevano Arno e i suoi
amici. Erano scurissimi
e lucidi, come le piume di un corvo.
“Ho visto dei
turisti, giù
alla spiaggia. Forse verranno qua!”
“Bene.”
Non era facile parlare con Ian. Non che non rispondesse alle domande,
ma
neanche iniziava un discorso. Ma Meike aveva dieci anni ed era piena di argomenti.
“Non sei
contento?”
“No, non
direi…” Ian si
confidava con lei. Non tantissimo, ma qualcosa sì. Lo
riteneva un grande
privilegio, considerando che non dava confidenza a nessuno.
“Ma dai, i turisti
sono
divertenti! Hanno degli accenti così buffi e ti chiedo delle
cose troppo
assurde!” Gli diede una botta sul braccio, coperto da uno dei
vecchi maglioni
di suo padre. Era ancora magro come un osso, anche se la nonna ce la
metteva
tutta per farlo mangiare. “Non ti piacciono
davvero?”
“Non mi piacciono le persone in generale
…” Fece una pausa. “Non è che
sono
antisociale, è che non sopporto le
persone⁴…” Recitò lentamente. Sembrava
lo
traducesse dall’inglese.
E poi fece quell’espressione:
Ian la
mostrava spesso quando gli capitava di parlare con dei turisti inglesi
come lui
o quando stava troppo a lungo da solo.
Tendeva le labbra in una
smorfia
sottilissima e corrugava le sopracciglia. Ricordava, diceva la nonna, e
doveva
fargli piuttosto male.
Ian non parlava mai di
quello
che aveva fatto o dove aveva vissuto prima di arrivare a
Rügen. Era come se fosse
nato dalla schiuma del mare. Come se in realtà un passato
non ce l’avesse.
“Stai
bene?” Gli chiedeva
sempre a quel punto.
Ian allora le sorrideva e
scuoteva
la testa. Lo fece anche quella volta.
“Certo
Meike.”
“È buffa quella frase che hai detto. Quella sugli
anti… antisociali.”
“L’ho tradotta bene?” Era una domanda
retorica. Sapeva che l’altro era
perfettamente consapevole di parlare un ottimo tedesco.
“Eh, credo di sì… ma io non lo
capisco!” Si concentrò però,
perché voleva
davvero capirla. “È ironica?”
“Sì,
è ironica…” Confermò,
raccogliendo con un dito la polvere sul bancone “Ironia
inglese, non pretendo
che tu la capisca.”
“L’hai inventata tu?”
“No, ma me la diceva sempre…”
E poi a volte smetteva di
parlare. Non concludeva le frasi e a quel punto niente da fare,
bisognava
cambiare argomento.
Fortunatamente quella volta
entrarono dei turisti e cavarla di impaccio. Guardò
così Ian servire una
famiglia americana, illustrando loro le proprietà benefiche
degli estratti di
alghe marine.
Doveva avercelo un passato
però:
lo avevano tutti e lei non era così scema da credere sul serio alla fiaba della sirenetta,
nata dalla spuma del mare.
Le sarebbe piaciuto, certo,
perché nelle fiabe nessuno l’avrebbe presa in giro
perché era nipote di Cordula
la Pazza, suo padre non sarebbe morto di malattia e sua mamma
l’avrebbe ancora
voluta, anche se era strana.
Ma le fiabe non erano vere e
quindi Ian doveva aver avuto una
famiglia, degli amici e forse una casa da qualche parte.
E
non è che se lo è dimenticato, anche se fa finta
di
sì.
Ma era una riflessione
troppo
grande per lei e se la scrollò subito di dosso, per ridere
delle difficoltà
evidenti di Ian con la turista americana.
Ian intercettò il
suo sguardo
e si produsse in un’ombra di sorriso: era gentile con tutti,
ma con lei era perlomeno,
diceva burbera la nonna, sembrava sincero.
Forse perché era
una bambina,
o forse perché gli aveva detto, facendola arrossire per la
prima volta in vita
sua, che aveva dei bellissimi occhi verdi.
Era come avere un fratello
maggiore ed era una bella sensazione.
La madre di famiglia
finalmente radunò i figli ed uscì dal negozio,
carica di buste.
“Al, sta fermo!” Urlò, visto che la
sentirono fin dentro, mentre agguantava il
più riottoso dei figli.
A quel punto successe una
cosa
strana. Ian stava mettendo via il resto e diventò tutto
rigido. Gli caddero di
mano gli spiccioli, ma neanche se ne accorse. E la luce della lampadina
sul
soffitto cominciò a tremolare.
E Meike sapeva bene cosa
volesse dire.
Cacchio!
Cacchio!
C’era
sempre la nonna, di solito,
quando ad Ian aveva una delle sue crisi. Era a causa della sua magia,
le aveva
spiegato una volta; Ian era stato molto malato, quasi vicino a morire e
la magia
che gli scorreva nelle vene, perché lo sapeva anche lei che
era nel sangue, era
diventata instabile come la sua salute. Si stava rimettendo solo adesso
infatti.
“Ian…?”
Lo chiamò un po’ impaurita.
La lampadina continuava a emettere luce ad intermittenza.
Dov’era la nonna?
Forse richiamato dalla sua
voce il ragazzo si riscosse. Batté le palpebre e si
affrettò a recuperare il
resto caduto sotto il tavolino.
“Scusami…” Gli sentì dire:
aveva la voce lontana, piatta, come se venisse dal
fondo di un pozzo. Non aveva colore né calore. “Ti
sei spaventata?”
“No, per niente!” Mentì. “Ma
che ti è successo?”
Scosse la testa. Ma non le sorrise stavolta. “Niente, va
tutto bene.”
Meike Wollin, la nipote di
Cordula La Pazza, aveva tre certezze nella vita.
La prima era di essere
speciale. Una strega, come Ian era un mago.
La seconda che Ian le
piaceva.
E la terza che Ian era un
grande, grandissimo bugiardo.
****
Note:
La canzone (perché c’è sempre una
canzone) del capitolo è
questa
1.Putgarten:
Esiste davvero. È un paesino a ridosso della scogliera.
Qui
per
maggior informazioni. Poche eh. XD
2. Rügen:
l’isola più grande della Germania. Si affaccia sul
Mar
Baltico ed è famosa come luogo turistico e balneare.
Qui maggiori informazioni e foto.
3. Pittore tedesco.
Questo dipinto rappresenta le scogliere calcaree
della zona. Solo di
solito non c’è tutta quella luce, fidatevi.
4. Citazione presa da Queer
as
Folk. E che Al ha ripreso alla festa di Halloween in DP, sì.
Allora non sapevo
che fosse di Justin, perdonatemi per non aver messo la citazione. T_T
Precisazioni: Tutte le immagini usate,
linkate e manipolate non
appartengono a me, ma le ho trovate sul web o su DeviantArt.
Chiunque le
rivendicasse, è pregato di inviarmi un pm, sia se voglia che
le ritiri, sia che
voglia essere creditato. Thanks ^^
Le canzoni, frasi e
varie
citazioni non appartengono a me, ma a chi le ha ideate.
E per finire, l'impianto dell'intera storia, luoghi, personaggi etc
appartengono a mamma Row, Dio l'abbia in Gloria.
Considero questa
storia una
sorta di ‘tributo’ alla sua opera, niente
più che il lavoro di una fan.
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