Dal momento che mi si chiede spesso della Signora Giudicelli...
Questa è per voi, dedicata a tutte le seguenti, seguaci,
segutrici delle mie storie. Ricordate mie care: c'è una DIVA
dentro ognuna di noi! ù_ù
Because
DIVA is better!
Ubaldo Piangi si svegliò di soprassalto: aveva fatto un
brutto sogno.
Aveva sognato di essere inseguito in aperta campagna da un enorme geko
con due grossi occhi tondi, giallastri e liquidi come gelatina.
Forse la sera prima aveva mangiato pesante. Anzi, no, improbabile, dal
momento che da un po' si era messo a dieta. O meglio, che da qualche
settimana a questa parte lei aveva deciso di tenerlo a stecchetto.
Ma allora cos'era quel peso che sentiva sullo stomaco?
Il tenore sbatté più volte le palpebre per
abituarsi alla penombra della stanza e vide che in cima al suo pingue
addome se ne stava appollaiato Clementino, il barboncino prediletto
della padrona di casa. Ubaldo guardò la bestiola incerto sul
da farsi, poi allungò una mano come per scrollarselo da
dosso ma un attimo prima che le dita paffute arrivassero a toccare il
fianco del cane questi si svegliò.
Clementino sollevò la testolina che sembrava un batuffolo di
bambagia, mosse le orecchie simili a piumini di cipria e
guardò con i suoi occhietti neri prima il viso del tenore e
poi la sua mano rimasta a mezz'aria. Ubaldo avrebbe giurato che in
fondo a quegli occhi di cucciolo si fossero accese scintille rossastre.
Con un ringhio sommesso simile al rumore di una teiera, Clementino
schiuse il muso mettendo in mostra i piccoli canini che in quel momento
parvero assai più affilati del normale.
Dopo l'incubo del geko
ci mancava giusto il risveglio con il barboncino vampiro!
Pensò Piangi non osando però sospirare per timore
che il movimento della pancia irritasse Clementino e lo istigasse a
mordergli la giugulare che pulsava un po' troppo velocemente, sepolta
sotto un generoso strato di doppio mento.
Qualche minuto dopo la domestica entrò nella stanza e
aprì le tende alle finestre lasciando che il sole di Parigi
allungasse le sue dita fino al baldacchino sormontato da una
composizione di piume di struzzo. La cameriera si dileguò
senza emettere alcun suono sapendo quanto la sua padrona fosse
irritabile appena sveglia.
Carlotta Giudicelli si destò con un aggraziato sbadiglio. In
quello stesso istante Clementino drizzò le orecchie e scese
dalla pancia di Piangi per correre sotto al letto.
Ubaldo si voltò verso la donna, oltre le ampie maniche a
sbuffo della sua camicia da notte emerse un ciuffo di capelli rossi e
poi...
L'uomo soffocò un grido di panico e cadde dal materasso.
Addormentato accanto a lui c'era il geko del suo incubo!
“Mi devo svegliare! Mi devo svegliare!”
mormorò coprendosi gli occhi con la mano
“Sei già sveglio!” gracchiò
il geko emergendo dalle coperte per poi lasciarsi scappare un acuto
risolino di scherno.
Ubaldo tornò a guardare verso il lato opposto del letto. Il
geko lo fissava con quei suoi occhi tondi e gialli e lui era sul punto
di mettersi a urlare. Poco importava se l'urlo di un tenore avrebbe
svegliato l'intero quartiere.
Il geko sbuffò e si passò una mano tra i capelli
spettinati. Piangi sgranò gli occhi: il geko era Carlotta.
Per la precisione, Carlotta con due enormi fette di cetriolo sugli
occhi e il viso coperto da una sostanza oleosa e bianchiccia.
Senza più curarsi di lui, la donna si mise a sedere e
restò per un attimo con i piedi sollevati dal pavimento
mentre da sotto al letto proveniva il rumore di qualcosa che raspava
contro la moquette del tappeto color anguria con ghirigori argentati.
Clementino emerse da sotto al materasso spingendo con il muso un paio
di pantofole di raso bianco decorate da due grossi pon-pon rosa. Il
cagnetto avvicinò le calzature ai piedi della sua padrona
che le indossò con un rapido movimento per poi togliersi le
fette di cetriolo dalle palpebre e pulirsi il viso con un fazzoletto.
Dopo aver riacquistato sembianze vagamente umane, Carlotta si
chinò per prendere il braccio Clementino.
“Buon giorno batuffolino profumato della mamma!- gli disse
strofinando il naso contro il naso contro quello della bestiola che
guaì compiaciuta- hai dormito bene? Ma si che hai dormito
bene, nel lettone della mamma!”
“Io invece ho avuto gli incubi...”
mormorò titubante Ubaldo, che nel frattempo era rimasto a
terra, aggrappato alla trapunta di raso rosa. Carlotta parve non averlo
nemmeno sentito.
“Andiamo a fare colazione!” concluse la donna
avviandosi fuori dalla camera con Clementino tra le braccia.
Ubaldo Piangi si mise in piedi a fatica, indossò la
vestaglia e seguì Carlotta fuori dalla stanza, sperando che
lei non fosse troppo lontana, lui odiava dover percorrere da solo il
corridoio che separava la camera da letto dalle altre stanze della
casa.
Si dia il caso che sulla parete di quel corridoio fossero appese, in
cornici bianche decorate ognuna con un fiorellino di porcellana di
colore diverso, le foto di tutti i defunti cagnolini di Carlotta.
Ubaldo trovava la cosa vagamente inquietante e ogni volta che passava
di lì aveva come la sensazione che le bestiole lo fissassero
da quelle cornici e che i loro occhietti tondi e scuri lo seguissero
mentre si muoveva lungo il corridoio.
Stringendosi nella vestaglia, l'uomo imboccò il corridoio
ripetendo a se stesso che quelle erano solo vecchie foto, che non c'era
nulla di cui aver paura, ma proprio mentre passava sotto alle cornici
udì l'eco di un abbaiare lontano e si ritrovò a
correre a perdifiato fino alla sala da pranzo.
Sicuramente era stato solo l'abbaiare di un cane in strada e lui si era
lasciato suggestionare. Si, era stato solo il verso di un cane
randagio... forse...
Carlotta era seduta a un lato del tavolo mentre il garzone del fioraio
deponeva davanti a lei due grossi mazzi di fiori dai colori sgargianti.
“Oh Ubaldo! Hai visto!- esclamò la donna con la
voce che le si alzava di diverse ottave per la contentezza- Hai visto
il mio pubblico quanto mi ama? Non c'è un giorno che mi
lasci senza fiori!”.
Piangi sorrise. Come ogni mattina il fioraio aveva rispettato l'accordo
preso con il tenore: lui gli avrebbe procurato i biglietti gratis per
gli spettacoli dell'Opèra e il fioraio in cambio avrebbe
fatto recapitare ogni mattina due o tre mazzi di fiori di
“ammiratori anonimi”. Carlotta non avrebbe mai
sospettato di nulla e a lui andava bene così, del resto cosa
può volere di più un uomo se non rendere felice
la donna che ama? Con quei fiori Carlotta era felice e Dio solo sa
quanto il mantenimento dell'autostima della soprano giovasse alla
salute mentale di tutti!
“Non c'è da stupirsene mia cara”
mormorò con tenerezza, una tenerezza che gli accese una
scintilla di calore alla bocca dello stomaco quando il volto di
Carlotta gli sorrise radioso.
Anche quella mattina era cominciata bene. Più o meno...
La domestica arrivò a servire la colazione. Latte e miele e
una fetta di torta per Carlotta e un vassoio di carote lesse e una
tazza di the senza zucchero per Ubaldo.
L'uomo guardò con poco entusiasmo gli ortaggi davanti a
sé.
“Mangia!” gracchiò Carlotta addentando
la sua fetta di torta
“Ma, mia soffice baguettina,- tentò di protestare
Piangi- non ti sembra un po' drastica questa nuova dieta?”
“A mali estremi estremi rimedi, mio adorato panino troppo
lievitato” concluse la donna con uno sguardo che non
ammetteva repliche, tuttavia Ubaldo le lanciò un'occhiata
ancora non troppo convinta.
“E va bene...” sospirò la donna con fare
arrendevole, mentre negli occhi del tenore si accendeva una scintilla
di entusiasmo pensando che finalmente gli sarebbe stato concesso del
cibo degno di tale nome.
“E va bene- fece Carlotta- sai che facciamo? Non zucchero il
mio caffè, così, per solidarietà.
Contento adesso?”
Ubaldo deglutì costernato,
“Si... si... mia splendida tortina glassata, del resto tu sei
già dolce abbastanza”.
In quel momento Clementino guaì e Ubaldo fu certo che quel
suono fosse una vera e propria risata in lingua canina.
Consumarono in silenzio la colazione poi andarono a vestirsi.
Piangi impiegò venti minuti per la toeletta e la vestizione.
Al termine di quei venti minuti l'uomo andò a bussare alla
porta della stanza degli abiti di Carlotta in un rito che si ripeteva
uguale ogni mattina: lei non era mai pronta e lui si sentiva in dovere
di provare a sollecitarla.
L'uomo bussò alla porta della stanza dalla quale proveniva
un rumore simile al ronzio di un alveare: il fruscio della
stoffa e i passi frettolosi delle domestiche che sistemavano vestiti,
acconciavano capelli, preparavano gioielli. Piccole api ronzanti al
servizio dell'ape regina.
Quando la bussata di Ubaldo arrivò a interrompere per un
attimo le operose faccende che si stavano svolgendo al di là
della porta, la cameriera stava giusto tirando fuori dal baule una
stola di velluto color ciclamino, con l'orlo decorato da perline e
piccoli ghirigori in cristallo swarosky.
“Chi è?!” la voce infastidita di
Carlotta fece tremare i vetri alle finestre. La scelta del vestiario
per una DIVA è un'operazione di tale importanza che non
poteva venire disturbata da interventi esterni!
“Mio dolce bocciolo di primavera, si farà tardi,
in teatro ci attendono” disse Ubaldo
“Che aspettino! Cosa vuoi che facciano senza di
me?!” sentenziò la donna
“Ma mio tesoro sberluccicoso, le prove per lo
spettacolo...”.
All'interno della stanza le cameriere si lanciarono uno sguardo
atterrito, Clementino accucciato sul sofà di raso damascato
color confetto drizzò le orecchie boccolose. Carlotta si
alzò di scatto facendo cadere la sedia, lo specchio del
mobile da toeletta davanti al quale era seduto cominciò a
stridere ancora prima che lei cominciasse a parlare.
“Ah! Stai forse insinuando che io, la dea del canto acclamata
da tutta Europa, ho bisogno di fare le prove?!- esclamò- Il
fatto che io vada a provare con quel branco di incapaci è
una gentile concessione che faccio loro perché mia madre mi
ha insegnato a essere generosa con i meno abbienti! Io sono Carlotta
Giudicelli, nel caso non te ne fossi accorto! Io sono la
Diva!”.
L'epica dichiarazione fu seguita dall'abbaiare entusiasta di
Clementino, un suono che parve simile ad un applauso. Nel frattempo le
due cameriere che erano nella camera si erano nascoste dietro l'armadio
sopraffatte dal timore.
Fuori di lì Ubaldo Piangi era corso via per sfuggire al
suono di quella voce adirata che gli impastava il cervello. L'uomo si
era ritrovato appiattito contro la parete del corridoio, contrito per
quello che aveva fatto. Proprio mentre i battiti del suo cuore stavano
cominciando a tornare regolari si accorse di essere fermo proprio sotto
la fila di fotografie di cani. Una di esse si staccò dalla
parete coperta di carta da parati a fiori azzurri e gialli e cadde
proprio in mezzo alla testa di Piangi.
I cani di Carlotta lo odiavano anche da morti!
Intanto, nella camera dei vestiti erano ripresi i lavori delle piccole
api operose.
Una delle domestiche stava allacciando i nastri della sottoveste color
giallo oro (non sia mai detto che la biancheria di una donna speciale
come la Giudicelli fosse di comunissima stoffa bianca come quella dei
comuni mortali!) per poi procedere a stringere il corsetto color pesca
(poco importava se nessuno avrebbe visto quegli indumenti visto che
erano nascosti sotto i vestiti, ma era di vitale importanza che il
colore della sottoveste si abbinasse a quello del corsetto!).
Nel frattempo l'altra cameriera, provvista di mappa, per non perdersi
nei meandri dell'armadio, stava cercando il vestito che la sua padrona
avrebbe voluto indossare. Quello che il sarto aveva chiamato
“veduta di cielo al tramonto”, proprio come se
fosse un quadro, dal momento che gli abiti per la signora Giudicelli
dovevano essere realizzati come vere e proprie opere d'arte.
L'abito in questione era di un rosa sgargiante, ma la gonna era coperta
da uno strato di organza color salmone che faceva assumere alla stoffa
lo stesso colore di un cielo al tramonto.
La parte di sopra del vestito poi era decorata da fiocchi di raso color
avorio al centro dei quali era cucita una grossa perla dalla lucentezza
opaca degli ultimi raggi di sole prima del crepuscolo.
L'orlo della gonna era impreziosito da un pizzo color indaco, proprio
come l'ultimo scampolo di cielo prima che arrivi il blu della sera.
Gli scenografi dell'Opèra avevano tutto da imparare dal
sarto della signora Giudicelli!
“La signora cosa vuole indossare come soprabito?”
chiese la cameriera quando la soprano ebbe indossato il monumentale
vestito,
Carlotta arricciò le labbra con fare incerto e si diresse
verso l'armadio, aprì una delle otto ante del mobile e
davanti a lei si mostrò una distesa di cappe, cappotti e
mantelle dai colori e dai tessuti più svariati. Dopo aver
fissato per dieci minuti buoni il vano dell'armadio, la donna richiuse
l'anta con un gesto stizzito,
“Cielo! Non ho niente da mettermi!”
esclamò, poi disse alla cameriera che si sarebbe
accontentata del cappotto color indaco (che si intonava graziosamente
con l'orlo di pizzo della gonna) ma che quando sarebbe tornata a casa
avrebbe voluto trovare il sarto per commissionargli qualche altro
indumento da poter portare sopra i vestiti.
Carlotta puntò poi l'indice verso il vano di un mobile nel
tacito ordine che le venisse preso il cappello numero 243.
Il cappello numero 243 sembrava una di quelle grosse composizioni di
marzapane che i pasticcieri esibivano nelle vetrine durante il periodo
di Natale. Si trattava di un copricapo con una semicupola di velluto
che andava posta sulla testa, ai lati della semicupola si alzavano due
volte di stoffa rigida coperte di soffici piume che facevano da cornice
a un riquadro di raso decorato con un paesaggio bucolico, mentre la
parte retrostante del cappello era decorata da un gruppo di nastri
bianchi e rosa che scendevano sui capelli. Una piccola opera d'arte
anche quella, così piena di colori di tinte pastello che
poteva intonarsi con qualsiasi abito, in un'omeostasi cromatica di
tutto rispetto.
Dopo essersi spruzzata una generosa dose di profumo all'aroma di
gelsomino, Carlotta fu pronta per concedersi al mondo.
“Ubaldo!
Andiamo!”
*
Quando Carlotta tornò a casa, dopo le prove per il teatro,
trovò il sarto ad attenderla, come aveva ordinato.
“Come vi avevo accennato- disse la donna continuando a
camminare, costringendo il sarto a correrle dietro mentre lei si
toglieva cappello e cappotto e lo lanciava verso le domestiche- la
parola d'ordine per il mio prossimo cappotto dev'essere sobrietà!
Mi occorre qualcosa da poter indossare per la messa della
domenica”
“Si madame, certo madame!- esclamò meccanicamente
il sarto- allora niente volant di raso dorato e merletti rossi per il
collo del cappotto”
“No, santo cielo, qualcosa di più sobrio! MA che
sia originale, non posso certo andare vestita come una donna
comune!”
“No madame, certo madame!”
“Pensavo a qualcosa tipo... PIUME DI CODA DI
PAVONE!”
“Si madame, certo madame”. Stavolta la voce del
sarto fu incrinata da un conato di vomito mentre Carlotta rientrava
nella sua stanza chiudendogli la porta sul naso.
Rimasta sola nella sua camera, la soprano si guardò attorno
con circospezione. Di quella sua infantile abitudine nemmeno i suoi
cagnolini dovevano essere al corrente...
Quando fu sicura di essere completamente sola, la donna si
avvicinò allo scrittoio e, dal doppio fondo segreto di un
cassetto, estrasse un quaderno rilegato in cuoio rosa con sopra
disegnato un usignolo azzurro colorato con pittura smaltata e con due
brillantini applicati al posto degli occhi.
Carlotta sollevò la copertina, scorse le pagine, intinse la
penna nel calamio e cominciò a scrivere.
Caro
Diario,
Oggi
le prove sono andate molto bene. Come al solito, direi!
Alla
fine della mia esibizione il maestro Reyer è scoppiato in
lacrime, sembrava un pianto isterico a dir la verità, ma
quell'uomo è così buffo quando si commuove, e
vedessi, mio caro diario, quanto spesso io riesco a portarlo alla
commozione!
Mi
sento particolarmente felice oggi, per tanti motivi. Non solo per la
buona riuscita delle prove.
Innanzitutto,
il mio caro Ubaldo ha perso qualche centimetro di girovita nell'ultima
settimana. So che non devo esagerare con il farlo dimagrire, dopotutto
a un tenore serve la cassa toracica ampia e tutto il resto, ma sono
certa che con qualche chilo in meno eviterà di stramazzare
affaticato dopo ogni spettacolo, il mio adorato balenottero!
In
secondo luogo, poche cose mi provocano gioia come poter sgridare quella
specie di aringa salata con i ricci come Christine Daae! Oggi l'ho
sorpresa a parlare da sola... con un angelo, così diceva...
le ho detto che invece di star lì a perdere tempo dovrebbe
prendere qualche lezione di canto in modo che quando starnazza non
rischi di far venire giù il lampadario del teatro!
Io
non sono cattiva, caro diario, ma visto che so che quella smorfiosa
aspira a rubarmi il posto, in qualche modo devo pur difendermi.
E
poi, oggi ho avuto la certezza che un mio sospetto è assai
più fondato di quanto credo. Oggi il fondale di scena mi
è di nuovo crollato addosso. Ho inveito contro il direttore
del teatro, contro i macchinisti... e anche contro gli orchestrali, che
non c'entravano niente, ma già che c'ero...
Dicevo,
mi è crollato addosso il fondale di scena mentre stavo
facendo i miei gorgheggi. Quello stormo di oche starnazzanti delle
ballerine ha cominciato a sussurrare “Il fantasma! Il
fantasma... il fanstasma, oddio, oddio il fantasma...”. Ormai
sono certa anche io che ci sia un “fantasma”, che
gli incidenti che mi capitano avvengono per mano sua, ebbene non posso
che concludere che questo famigerato “fantasma” sia
un mio ammiratore segreto, che non ha trovato altro modo per attirare
la mia attenzoine. Oh, caro diario, non è tenero il fatto
che il “fantasma” mi ami?
Del
resto, come potrebbe essere altrimenti!
Ora
ti devo lasciare. Vado ad assicurarmi che Ubaldo non corrompa il cuoco
per farsi allungare a mia insaputa qualche fetta di salame.
Alla
prossima.
Tua
Carlotta
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Note:
Stamane ho dimenticato gli psicofarmaci, e si vede!
Posso dire una cosa? Lo so che è un personaggio che compare,
in totale, cinque minuti in tutta la durata del film, però
una parolina su Ubaldo la devo spendere. Sorvolando la fine infima che
il Maestro gli riserva (ma cosa volete farci, in quel momento Unbaldo
era lì, tra lui e Christine, e il Maestro avrebbe
strangolato anche il diavolo in persona se si fosse trovato in una
simile posizione), la scena di “why so silent...”,
quando il Fantasma si volta, spada alla mano, verso Carlotta e Piangi
si fa avanti mettendosi tra lei e la punta della spada con aria
indignata... non è stato adorabile? Insomma questa era per
la Diva, ma anche il buon Ubaldo si meritava il suo momento di gloria e
ho voluto concederglielo.
PS: sberluccicoso e boccoloso non sono parole corrette in italiano, lo
so... sappiate che lo so XD
PPS: tra stasera e domani aggiorno anche la long-fic promesso!
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