Game Over
Aprì
gli occhi di scatto e proprio in quel momento ricordò di respirare. Ansimava,
intorno a lei regnava un silenzio sovrannaturale, finto, quasi a volerla
schernire con indifferenza.
“Dove
sono finita?” sussurrò nervosamente, e guardandosi intorno la sua risposta fu
un urlo rabbioso e disperato. Sapeva fin troppo bene dove era stata portata,
rapita, chiusa in putrido bagno aspettando una beffarda condanna.
“No,
no… non ci credo… no…” ripeteva e ripeteva, quei no più continuava a invocarli, più perdevano la loro efficacia, la
nausea della sua sconfitta si faceva sempre più sentire e la sua lucidità,
freddezza che da sempre la caratterizzavano la abbandonarono all’istante. Poco
distante da lei vide un vecchio mangianastri, con su scritto “Play
me”, tremando e
gemendo lo prese e a fatica premette il
tasto d’ accensione.
Sperò
fino all’ultimo istante di non riconoscere quella voce: “Probabilmente avrai
capito dove sei stata portata, Dottoressa Long. Parteciperai ad un mio gioco e
sarai tu, solo tu a decretarne la vittoria o meno. Capirò così se sei in grado
di apprezzare fino in fondo il dono della vita, tu che hai lasciato morire una
tua allieva e hai spinto sull’orlo dello squilibrio altri , solo per sfamare
perversioni personali, solo per soddisfare
il tuo unico desiderio di superiorità
agli occhi di più deboli. Tu che hai sciupato così tante vite sarai
responsabile per i prossimi 3 minuti della salvaguardia della tua. Potrai
vincere il gioco trovando 2 chiavi che apriranno le due serrature della porta
alla tua destra, altrimenti gli ovuli di acido che riempiono le tue viscere ti
consumeranno. Cercale nei ricordi, nella sofferenza della povera Cherry Grant…”
. Il registratore si fermò.
Cherry.
Mediocre studentessa.
Cherry.
Il piatto preferito della professoressa Long; non chiedeva altro che le lacrime
di quella povera ragazza, già disturbata da vari lutti familiari. Adorava il rossore del suo viso che implorava
indifferenza, tanto che il suo continuo piangere le aveva portato via la
ragione, che l’aveva spinta a compiere un gesto tanto estremo. La donna non
versò una parola di conforto a nessuno degli amici o dei parenti della giovane,
quasi soddisfatta di aver raggiunto un traguardo desiderato da molto.
Posò
automaticamente lo sguardo su due grosse cicatrici comparse su tutti e due gli
avambracci e gridò inorridita. Quei profondi tagli le riportarono alla mente la
vasta pozza vermiglia sopra la quale ritrovarono Cherry, nel bagno del liceo,
dopo l’ennesima crisi disperata. Ricordò tutto, violentemente. I biondi capelli
macchiati di un rosso intenso e gli occhi socchiusi, in pace, come a mostrare
serenità, contrapposti al viso pallido e provato, che aveva ormai da mesi.
Un
ticchettio la fece voltare. Un timer era a poca distanza da lei. 2:59 Il
gioco abbia inizio.
Vicino
al registratore vide delle lame da barbiere, sudice e arrugginite, poste lì non
a caso. Avidamente ne afferrò una, ma non appena la avvicinò al primo sfregio
capì di non riuscirci. “Lasciami
andare!! Non ce la faccio!!”. Le sue grida tornarono a lei, rimbombando sulle
pareti. Riprovò e incise leggermente il
braccio sinistro.
…2:36
Il
ticchettio del timer le dava alla testa. Provò più a fondo e ora si che un
abbondante flusso di sangue andava a bagnare la lama tremante, che pungeva e
maciullava sempre di più la carne fino a far trasparire un oggetto metallico
che a tratti spariva alla vista coperto da fiotti rossastri che continuavano a
scorrere. Strappò la chiave urlando istericamente e si sentì svenire, ma non
poteva permetterselo. Aveva ancora
1:10… 1:09… 1:08… 1:07… 1:06…
Prese
la lama con la mano sinistra ma questa le cadde a terra… era stato troppo il
sangue perso e la mano cominciava a formicolare e a tingersi di un inquietante
blu. “Sto perdendo la mano!! E’ la fine… Dio… non ci riesco!!” ripeteva, ma la
mano perdeva sensibilità e tutto quello che riusciva a fare era graffiare
appena la cicatrice destra.
…O:56
Spaziò
con lo sguardo, era un latrina spoglia, vuota, senza ulteriori aiuti che
potessero salvarla. Ma se lo aspettava, era solo la follia del momento che le
faceva sperare in un finale alternativo… Quindi continuò a graffiare e a
lasciar cadere la lama, graffiare e
riprenderla da terra in un ciclo continuo e senza speranze.
0:09… 0:08… 0:07… 0:06 … 0:05
Avvertiva
il gonfiore spropositato del suo ventre più del sangue che a questo punto in
quantità diverse fluiva via dagli avambracci. Sentiva in sé la morte più del
tragico momento in cui il ticchettio cessò.
0:00
Avvertì
l’ odore della fine mescolato a sangue e fumi acidi che lentamente le
divoravano l’addome, lasciandola inerte, incapace di piangere tanto era
trafitta dal dolore, in un lurido bagno con il suo rimorso leggero e
impalpabile, come il fumo che la lasciava morire…