MOTHER
OF A STRAY CHILD
E' un maschio, dottoressa.
Esausta, affondando la schiena nell'ampio cuscino e rilassandoti
faticosamente sul lettino umido dell'ambulatorio, riprendi fiato con
difficoltà. Ansimando, mentre gocce di sudore ti imperlano
la fronte e
ti inumidiscono i capelli castani, ti senti improvvisamente
più
leggera, realizzata e fiera di te stessa.
Sei circondata dai volti conosciuti dei giovani apprendisti che ti
hanno accompagnata nelle ultime cinque ore: li guardi uno ad uno,
ringraziandoli tacitamente, ricevendo in cambio una gioiosa profusione
di felicitazioni ed incoraggiamenti.
« ... Posso vederlo?» implori, balbettante, con
voce fievole, mentre
un'impazienza curiosa si impossessa di tutto il tuo essere dolorante.
Tutti loro sembrano annuire all'unisono, senti qualche risposta
affermativa giungere soffocata da una voce femminile.
Allarghi le braccia, con le mani aperte, accogliendo nel tuo abbraccio
il fagotto di spugna viola che un'infermiera ti porge. Ti sembra
leggero come una piuma, fragilissimo, e quando lo stringi a te vieni
per un attimo colta dal panico che possa frantumarsi fra le tue mani
impacciate. Scosti con due dita i lembi dell'asciugamano, muovendoti
con cautela, il cuore che batte ancora a ritmo accelerato a causa dello
sforzo e dell'emozione.
E poi lo vedi per la prima volta, avvoltolato in quel panno umido,
ancora spaesato e confuso dall'aria che di colpo ha iniziato a fluirgli
nei polmoni. Gli hai sentito lanciare un solo urlo stridulo, poco dopo
essere nato; ora è silenzioso, con il volto paonazzo e
gonfio, gli
occhi socchiusi e le minuscole mani serrate in pugni.
Lo riconosci immediatamente, sentendo quel piccolo cuore battere nel
suo petto scosso dal respiro, e sul volto ti si dipinge un sorriso
stanco. Hai sentito dentro di te il palpitare impetuoso di quel cuore
per così tanto tempo, che ora che il tuo ventre è
vuoto ti senti
afferrare da una strana sensazione di nostalgia.
Lasci una carezza sulla fronte liscia di tuo figlio, mentre silenziose
lacrime di felicità iniziano a colarti lungo le guance. La
schiena
dolorante, le gambe indolenzite, le fitte che percepisci lungo tutto il
corpo... Niente di tutto ciò sembra più
affliggerti, ora che senti il
suo corpo minuscolo premuto contro il tuo. Ora che lui è
lì, e respira,
ed è vivo.
Lasci che gli assistenti lo prendano in braccio, dividendoti da lui in
un gesto lento e doloroso. Poi affondi nei cuscini, sprofondando
immediatamente in un sonno ristoratore.
Mio figlio diventerà un uomo bellissimo.
Sono fiera di essere sua madre.
« Mmm, quindi era giusta la mia analisi? E' di sesso
maschile, si?»
Standotene seduta sul letto, con il cuscino a sostenerti la schiena,
osservi in silenzio i movimenti febbrili di tuo marito. Indossa un
camice sgualcito, con una macchia di caffè sul davanti, e da
quando è
entrato nella stanza non ha fatto altro che porre domande,
scartabellare fascicoli, ascoltare le risposte dirette ed immediate
delle infermiere. Gli studi il volto, notando le occhiaie e gli occhi
vispi nonostante l'evidente insonnia che ha turbato le notti precedenti
al parto. Ti infastidisce appena il tic nervoso che gli fa deformare un
angolo della bocca, ad intervalli regolari, e ti mette in agitazione la
sua abitudine di sistemarsi gli occhiali sul naso anche senza che ce ne
sia bisogno, portando alla montatura due dita congiunte.
E soprattutto, ti rattrista che non ti abbia ancora rivolto neppure uno
sguardo.
« Caro...?» bisbigli, mentre il bambino allunga un
braccino per giocare con le ciocche che ti ricadono sul seno.
« Procedete alle analisi subito dopo il prossimo pasto.
Voglio vedere i
dati. Fra tre ore, giusto? Bene, vedete di fare in fretta.»
lui sembra
non sentirti, annotando rapidamente sui fogli, confrontando due
cartelle, mentre le assistenti annuiscono e gli porgono altro
materiale.
Non ti ha sentita, vero? E' sempre un uomo così impegnato,
così serio, così dedito al suo lavoro. Devi solo
alzare la voce.
« Caro, perché non...?»
« ...D'altronde i miei studi non potevano che essere
corretti. Bene,
voi, ricordatevi cosa vi ho detto riguardo il monitoraggio delle ore di
sonno. Voglio che mettiate tutto
per iscritto, chiaro? Battito cardiaco, ritmo respiratorio, ed impulsi
cerebrali. Non tollererò nessuna svista. E poi, ah,
sì...che mi dite
della concentrazione di cellule di Jenova nel suo sangue? Provvedete a
procurarvene un campione entro questa notte, sarò io ad
analizzarlo, personalmente,
sì?»
Lo osservi in silenzio mentre quasi ti dà le spalle ed
inforca
l'uscita, senza averti rivolto neppure una parola. Prendi fiato,
stringendo vostro figlio con maggiore impeto:
« Professor Hojo.»
Lui si volta di scatto, mentre gli occhi neri ed arrossati sembrano
illuminarsi di una minacciosa luce infastidita. Ti guarda per qualche
istante come se neppure fosse in grado di riconoscerti, da sopra la
sottile montatura delle lenti da presbite: poi la bocca contratta gli
si distende in un sorriso stiracchiato.
« Oh, è lei, dottoressa Crescent.»
rileva, con tono formale, rimanendo immobile vicino alla porta
« Come si sente? Bene, sì?»
Ricambi il suo sguardo, incerta, mentre quelle sue domande fin troppo
cortesi ed impersonali ti mettono leggermente in soggezione. Studi i
suoi lineamenti tirati, le ciocche nere che gli ricadono sul volto
scavato e sulle spalle, compatti e pesanti come se non fossero stati
lavati per giorni.
Povero professore, pensi, cercando di
tranquillizzarti, deve essere stata dura anche per lui.
« Sto bene, la ringrazio.» rispondi, con un
sorriso, poi fai un timido
tentativo, abbassando appena la voce, «...perché
non viene a vedere,
professore? Nostro figlio è bellissimo.»
Hojo ti guarda perplesso per qualche istante, quasi non
avesse la più
pallida idea di cosa tu stia dicendo. Poi solleva le sopracciglia e
congiunge le mani dietro la schiena, annuendo:
« Oh, sì. Il bambino.» muove qualche
passo strascicato verso il letto,
affiancandoti lentamente. « Suppongo lei abbia
ragione...faccia
vedere.»
Rinfrancata, gli porgi il neonato, pensando che lui voglia prenderlo in
braccio; ma Hojo si limita a sporgersi appena, dando una rapida
occhiata - quasi annoiata - prima alle sue corte gambe ancora cicciotte
ed arcuate, poi alle mani aperte che tentano giocosamente di toccarlo,
infine ai suoi occhi spalancati e pieni di entusiasmo.
« Noto che ha già aperto gli
occhi.» osserva, di colpo più entusiasta
« Sono di un colore affascinante. E' una buona cosa. Si,
proprio una
buona cosa.» soffoca una strana risatina.
Tu annuisci, raggiante, mentre incontri ancora una volta lo sguardo
divertito del bambino. Ha gli occhi grandi e verdissimi, profondi come
due sorgenti di Lifestream. Non hai mai visto
occhi così fantastici.
« Quale sarà il suo nome, professore?»
domandi d'un tratto, impaziente.
Ancora una volta sembri cogliere Hojo nel bel mezzo di qualche
complesso ragionamento misterioso.
« Cosa, dottoressa? Un nome, dice?» farfuglia,
stralunato « Oh, sì,
direi che potrebbe essere appropriato. Un nome Cetra, si?»
incrocia le
braccia, ignorando i tuoi suggerimenti. «...sì,
professoressa Crescent,
un nome della mitologia Cetra. Un nome, vediamo...» di colpo
solleva
gli occhi, illuminato, scuotendo il capo « Oh,
già. Questo esperimento
ha già un nome.» farfuglia qualcosa che hai
difficoltà a comprendere.
Lo guardi, confusa:
« Come?»
« Il suo nome è Sephiroth.» ti
liquida con un gesto distratto della
mano « Ora mi lasci andare, Lucrecia. Ho del lavoro
importante da
sbrigare. Torni al più presto in laboratorio, si?»
Lo segui con lo sguardo, mormorando una risposta affermativa, fino a
quando non sparisce dietro la porta scorrevole.
Quando ormai sei sola, la stanza inspiegabilmente sembra opprimerti ed
insinuarti il disagio nelle ossa.
Vincent.
E' un pensiero che ti raggela, raggiungendoti all'improvviso,
trafiggendoti le tempie come la punta di una freccia. Una freccia
fredda e insidiosa che ti accusa e ti avvelena di un rimpianto
inconsolabile.
Tu mi avresti stretta a te e avresti sorriso, vero?
Avresti preso nostro figlio fra le braccia, impacciato e
goffo come ogni giovane padre?
Scuoti il capo con violenza, sforzandoti di scacciare quegli
occhi
scarlatti e caldi che ancora oggi continuano ad inseguirti, chiedendoti
per quale motivo tu li abbia respinti.
Abbassi lo sguardo su tuo figlio, trovando conforto nelle sue insolite
iridi verdi e nella sua espressione tranquilla. Gli sorridi, posandogli
un bacio lieve su di una piccola guancia.
Sephiroth, ti amo così tanto.
Sei il mio tesoro più grande.
Durante i primi mesi di gravidanza, Hojo parlava con entusiasmo della
nuova vita che stava rapidamente crescendo dentro di te. Ti veniva a
fare visita molto spesso, non appena trovava un momento libero fra un
incarico e l'altro.
« Come si sente?» domandava, controllandoti il
ritmo del polso « Ha ancora avuto qualche malore?»
Tu scuotevi il capo, la maggior parte delle volte. Dopo che ti eri
sottoposta all'iniezione e le cellule di Jenova ti era entrate in
circolo, il tuo corpo aveva tentato di ribellarsi, in un primo momento.
Ti alzavi nel bel mezzo della notte, precipitandoti al bagno per
rimettere, o scoprivi la mano bagnata di sangue quando la portavi alla
bocca per coprire un colpo di tosse.
Le sue continue attenzioni però avevano la
capacità di tranquillizzarti
e di darti la forza per andare fino in fondo al progetto.
Ma ora che Sephiroth è nato, Hojo ti ignora per la maggior
parte del
tempo. Ti parla solo se strettamente necessario, non ti degna di uno
sguardo quando vi incrociate nei corridoi. Non smette di chiamarti per
cognome, sembra quasi riconoscerti a malapena quando ti vede.
E poi, vuole Sephiroth.
Lo sottopone ad esami continui, sembra che i prelievi di sangue non
siano mai sufficienti. Lo ignora quando piange, però, lo
ignora quando
sta male, lo ignora quando ha fame. Si limita ad analizzare i suoi
cambiamenti d'umore come se fossero dei fenomeni fantastici, delle
manifestazioni da analizzare scientificamente. Come se il pianto di un
bambino non sia altro che il lamento di una cavia sottoposta a delle
iniezioni di cianuro.
Tu ti rinchiudi in te stessa, stringendo Sephiroth nella tua stanza
silenziosa, cullandolo fino a che non si addormenta. Ora che lui
è nato
non riesci ad accettare che venga trattato come una cavia.
Finché puoi
occuparti di tuo figlio, finché nessuno vìola i
momenti in cui puoi
stare con lui, illudendoti che tutto vada alla perfezione, del resto
non ti importa un bel niente. Non ti interessa il progetto, non ti
interessa Hojo che ti ha solo usata, non ti interessa più
nulla.
Vuoi solo stare con la creatura che di più ami al mondo.
La tua culla è vuota.
Dove ti hanno portato, bambino mio?
Ti accasci, le gambe che smettono d'un tratto di sorreggerti, le
ginocchia che premono dolorosamente sul pavimento duro. Ansimi, con le
mani che si rifiutano di abbandonare il merletto che orna i bordi del
bellissimo lettino che hai comprato per Sephiroth. La stoffa soffice
non ti è mai sembrata così ruvida e
così fredda, non ti sei mai accorta
di quanto sia brutta. Di quanto sia pomposa la
decorazione e di quanto stoni con il cuscino bianco e liscio. Vuoto.
Senti un urlo disperato squarciarti la gola, mentre le lacrime amare ti
rigano il volto, impietose, gocciolando dal mento. Afferri il lenzuolo
e tiri, tiri, tiri, fino a squarciarlo. Capovolgi la struttura
dondolante della culla, mandandola a frantumarsi per terra. Affondi le
unghie nel cuscino, strappando brandelli di imbottitura, ignorando le
minuscole schegge che ti si conficcano nei piedi nudi, nelle gambe e
nei palmi delle mani.
Poi osservi il legno spezzato che giace immobile ai tuoi piedi, le
piume soffici abbandonate tutt'attorno a te come un letto gelido di
neve appena caduta, la federa macchiata del sangue che ha iniziato a
colarti dalle ferite.
E fissando tutto ciò che hai fatto, capisci di aver
sbagliato ogni cosa, fin dal primo istante.
Vincent, come ho potuto?
Come ho potuto anche solo pensare che vendere mio figlio alla
scienza potesse essere la cosa giusta da fare?
Eri convinta che il semplice essere una scienziata potesse impedirti di
commettere errori.
Ma anche in questo ti eri sbagliata.
Figlio mio, sei l'unica cosa che mi rimane.
Come ho potuto permettere che ti facessero una cosa simile?
Lui ormai ha dodici anni. Lo incontri per caso a Midgar, dopo essere
stata spostata al Quartier Generale ShinRa perché tu assista
degli
esperimenti sul Mako.
Non hai osato neppure sperare di ritrovarlo lì, dopo tutti
questi anni
durante i quali nessuno si è mai curato di mandarti sua
notizie; lo
osservi mentre ti viene incontro, avanzando a passo deciso.
Le cartelle che avevi in mano scivolano sul pavimento, mentre lo segui
con lo sguardo e lo riconosci immediatamente.
E' cresciuto tanto. Il suo volto perfettamente ovale, la sua carnagione
chiara, ha dei bellissimi capelli argentati che gli lambiscono le
guance, arrivando a sfiorargli le spalle larghe. Tutta la sua figura
sembra brillare di una giovinezza perfetta, incantevole, quasi eterea.
E la sua espressione è così fiera,
così nobile nei suoi lineamenti
ancora imprigionati dall'adolescenza.
Dio, è tuo figlio.
Si accorge del tuo sguardo e lo ricambia, mentre rallenta il passo e
infine si ferma davanti a te, senza smettere di fissarti. E' ancora
così giovane, ma è già diventato
così alto... così alto che le sue
spalle superano le tue di una buona spanna.
Ti accorgi di avere la gola secca e anche se ci sono mille cose che
vorresti dirgli, non sei capace di pronunciare una sola parola. La tua
mente è confusione, felicità, impazienza,
euforia... un complesso ed
intricato gomitolo di emozioni che non riesci a controllare.
Sephiroth rimane imperturbato e silenzioso, immobile e composto come
una statua di granito; ti accorgi appena della divisa azzurra che
indossa, degli stivali spessi, delle massicce protezioni assicurate
alle sue spalle e della cintura di pelle che porta impresso il simbolo
della SOLDIER. Non riesci a distinguere nessuna emozione nei suoi occhi
verdi, non riesci a capire se lui ti abbia riconosciuto oppure no. Vedi
solo un cupo bagliore che ti è nuovo e due lunghe ed
affilate pupille
da rettile.
Sono tua
madre!
Parlami, amore mio!
Sono tua madre!
Una mano ossuta artiglia la spalla di Sephiroth, nella fessura fra il
collo e la spessa spallina di metallo:
« Cosa c'è, Sephiroth? Conosci questa persona?
»
Sposti gli occhi sull'uomo che ha appena parlato, riconoscendo
immediatamente la voce.
Il professor Hojo è invecchiato molto; delle rughe profonde
gli segnano
gli angoli della bocca, la fronte ed i lati degli occhi. Gli basta
concederti una breve occhiata perchè un lampo di
riconoscimento gli
attraversi lo sguardo, e serri la mascella:
« Oh, professoressa Crescent.» ti saluta come se
non avesse mai
condiviso il letto con te, come se tu fossi poco più di una
scienziata
di poco valore « Mi avevano detto che lei sarebbe venuta qui
a Midgar.»
Gli rivolgi un cenno rigido, un'occhiata algida.
Ma poi ti senti accartocciare su te stessa, e capitoli, sconfitta.
« Professore, chi è questa donna?»
Ferita, guardi di nuovo i suoi occhi verdi e perplessi, che ti
studiano, non ti riconoscono, non sanno chi tu sia.
Ed è in quel momento che comprendi.
Quelle iridi che sembrano brillare come la linfa del Pianeta sono gli
occhi che Sephiroth ha ereditato da sua madre.
Sono gli occhi di Jenova.
Ho perso mio figlio.
Ho perso mio figlio.
Ho perso mio figlio.
Ho perso mio figlio.
Cos'altro mi resta, ormai?
(xxx)
Nota
dell'autrice:
Dirge
of Cerberus mi ha fatto
senza dubbio voler male a Lucrecia Crescent. Non fa altro che chiedere
scusa per metà del gioco e sembra quasi che il suo copione
sia composto
interamente di variazioni sul tema di "I'm so sorry".
Ma in
realtà la dottoressa Crescent è prima di tutto
una donna estremamente
coraggiosa - anche se non nego che sia stata abbastanza idiota a
respingere Vincent per Hojo; in secondo luogo, in
Final
Fantasy VII non riesce a tornare al Lifestream a causa dell'amore
immenso che prova per suo figlio, e per questo bisognerebbe almeno
riconoscerle un ammirevole istinto materno.
Ad ogni modo, in DoC, il personaggio di Lucrecia è stato
davvero
gestito male. Hanno messo troppo in risalto il rimpianto per
ciò che ha
fatto a Vinnie, principalmente per giustificare l'aggiunta di Chaos e
Omega e hanno vergognosamente trascurato il fatto che lei sia la vera
madre di Sephiroth - che non so se mi spiego, è lo stracattivo
della saga v_v
Ma torniamo a noi, ed al sano Final Fantasy VII. Cosa resta di una
madre quando le viene strappato suo figlio? Magari Lucrecia
è morta di
dolore, chi lo sa? Di sicuro molta della sua voglia di vivere se
n'è
andata assieme a Sephiroth.
"I wanted to disappear... I couldn't be with
anyone... I wanted to
die... But the Jenova inside me wouldn't let me
die... Lately, I dream a lot of
Sephiroth... My dear, dear child."
Nel gioco afferma di non averlo mai potuto abbracciare neppure una
volta, sin dalla sua nascita ç_ç Ma mi piace
pensare che le cose per
Lucrecia sia andate così, che prima sembrassero perfette
come in un
sogno e poi si siano guastate inesorabilmente.
E per la cronaca, quel Sephiroth di dodici anni sta indossando una
divisa da SOLDIER di Terza Classe. Diventa un Prima ed un eroe decorato
durante la guerra di Wutai, che scoppia più o meno una
decina di anni
prima di FFVII, quindi suppongo intorno al suo diciottesimo compleanno.
Anche se non so quanto servano tutte queste minuzie sull'età
di
Sephiroth, visto che anche la Square fa la vaga, e prima dice "??" e
poi venticinque/trenta.
L'OST di questa deathflash è composta
di ben tre track: "A proposal",
da Dirge of Cerberus (una delle poche musiche che
davvero mi piaccia di quel gioco) per la parte iniziale, "The
Nightmare Begins" da Final
Fantasy VII per la parte centrale, e infine "Melody
of Agony" da Crisis Core.
E detto questo, nasce la campagna "Il professor Hojo non
è morto un numero soddisfacente di volte."
Iscrivetevi numerosi v_v
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