Queste furono le parole di Spagna appena arrivò a casa mia.
Era mattina, il sole
splendeva fuori e gli uccellini cinguettavano felici. Ma a me non
importava molto.
Stavo chiusa in camera, con le tende chiuse, sdraiata nel mio letto a
fissare il muro. Ormai tutti i giorni li passavo così da
quando
ero stata costretta ad abitare in quel postaccio!
Sentì bussare, ero sicura che fosse Antonio. Quel brutto...
Non risposi, tanto sapeva che era aperto e che io non avrei accennato a
parlargli.
Era colpa sua e di quell'olandese se adesso era costretta a stare sotto
il letto di quel mangia pomodori senza poter vedere i suoi cari
figlioli.
Sentii la porta aprirsi e qualcuno entrare gioiosamente urlando:
« ¡
Buenos
dìas, hermana! E ora di alzarsi, dai!
» Ma non mi mossi. Perchè dovevo? Non avevo voglia.
Anzi mi chiesi come mai alcune mattine non tiravo la pistola e gli
avrei sparato.
Ecco perchè Lovino era così irascibile ogni volta!
Il fratellone si avvicinò a me per vedere se ero sveglia, ma
tenevo gli occhi chiusi. Pensavo che non mi avrebbe disturbato ma
all'improvviso una mano mi palpò il seno. Strinsi la mano e
lo
colpii con un bel pugno sulla mascella, per farlo staccare.
Spagna era il solito pervertito! Trovava sempre l'occasione giusta per
palparla. Certo, visto che Lovino era maschio e Belgio non gliela dava
doveva sfruttare la sorella. Tsk...che caffone!
« Sei sveglia, allora! » Esclamò
contento, ma decisi
di nuovo di non rispondere riportando la mano nel letto, come se fossi
morta. Il ragazzo sospirò e mi guardò un
pò
tristemente chiedendomi: « Ma sei ancora arrabbiata per quel
fatto? Dovresti ringraziarmi! Ti stavi impoverendo in un modo
incredibile e non saresti riuscita a controllare tutti quei paesi da
sola! Fare il conquistatore è un lavoro da uomo, sai?
» Lo
ignorai. Era un brutto maschilista, come Olanda! Anche lui la odiava
perchè, essendo una donna, aveva conquistato molti paesi.
« Vattene da qui, sono arrivato
prima io in questo luogo.
»
Mi chiese gentilmente, stando con quella sua stupidissima pipa
in bocca, che non era neanche accessa.
Sbuffaii, guardando in
modo scettico.
« Credi sul
serio che ti lascerei qui da solo a prenderti tutto? Ti sbagli.»
Noi due, eravamo nemici per natura. Io odiavo il fatto che lui arrivava
un minuto dopo di me nei paesi,
lui odiava il fatto che io ero
così brava da essere paragonata a Inghilterra, Francia e
Spagna.
Uscimo le spade, pronti a combattere. Chissà stavolta chi
avrebbe vinto.
Spagna sembrò capire di aver detto la cosa sbagliata.
Andò a prendere una sedia poggiata al muro e la mise vicino
al
mio letto, sedendosi e carezzandomi i capelli corvini che ondeggiavano
lungo il cuscino. Lo faceva anche da piccolo, quando Arabia ci lasciava
liberi e annoiati. Aveva passato un intera vita con il suo fratellone,
ma non era mai riuscito a farselo piacere fino in fondo. Dopotutto si
diceva che i fratelli sono come cani e gatti, no?
« Perchè fai così? »
cominciò a chiedermi. « Qui hai tutto! Non sei
trattata come una schiava, vieni con me ai grandi balli, che se non
ricordo male ti piaciono tanto e ti do la libera cosa di vedere i tuoi
figlioli. » « Ma non difenderli. »
Risposi d'un altro per poi girarmi verso di lui. Era diventata
veramente depressa, mi strinse al cuscino guardandolo con una
espressione piena di ira. « Ho già saputo che
alcune delle mie colonie sono state prese da Olanda e Inghilterra! E tu
non mi ci vuoi mandare, sei un fratello cattivo! » Lo
rimproverai, ma lui continuò a sorridere. « Io lo
faccio per il tuo bene! Ci sono io a difenderle, no? » Fece.
Come minimo lo avrei picchiato ma gli risposi tral sarcastico e
l'irascibile un: « Lo vedo! E lo stai facendo proprio bene!
»
Spagna fece una faccia imbronciata. Sapeva che non sarebbe riuscito a
convincermi facilmente, ma di questo io me ne fregavo altamente.
« Dai, se vuoi spostiamo la capitale a Lisbona! »
Mi propose ma io urlai « No! » Così le
speranze di mio fratello di tenermi su di morale scesero del tutto.
«
Stai bene?
» Mi chiese, sorridendo.
Quel strano tipo dalle sopraciglia strane mi era venuto a salvare
mentre litigavo con mio fratello.
Avevo richiesto la mia indipedenza a Spagna, cosa che mi sembrava
difficile.
Ma quel tipo arrivò all'improvviso e mi aiutò,
come un angelo.
Annuì leggermente,ancora sorpresa.
«
Qual'è
il tuo nome? » Mi chiese.
Risposi: «
Nina.
»
«
Piacere
Nina, il mio nome Arthur.
Ti va se diventiamo amici?»
Avevo ancora mio fratello
davanti, non se ne voleva andare. Sembrava veramente convinto di
riuscire a farmi uscire dalla stanza. Che patetico! Quando capii che
Antonio non aveva più niente da dire mi rigirai dall'altra
parte, dandogli le spalle. Lui sospirò di nuovo e
cercò di inventarsi qualcosa, ma rimaserò
completamente in silenzio. Si sentì bussare alla porta.
Spagna si girò notando che era arrivato il piccolo Lovino
con in mano una lettera. « Ehi brutto bastardo! E' arrivata
una lettera, non riesco a capire cosa c'è scritto!
» Esclamò, sventolandola. L'altro gli fece cenno
di avvicinarsi e questo fece così porgendogliela. Antonio
prese la lettera e guardò il destinatario dicendomi:
« Portogallo, questa lettera è per te. »
Fece porgendomela, ma io non mi mossi tanto. Stavo per dirgli di
porgiarla di lato quando aggiunse: « E' da parte di Olanda.
». Non ci pensai due volte alzarmi e prendere la lettera. La
fissai per qualche istante, aveva ragione proprio lui, era
dell'olandese. Aprii la lettera lentamente, per poi cominciare a
leggerla:
«
Cara
Portogallo,
so cosa stai passando in questo momento.
Penso che sia la stessa cosa che io abbia passato prima di te.
Spero che mia sorella Belgio stia bene, perchè
anche il tuo caro Brasile lo è. Forse non per molto. E' un
ragazzo abbastanza ribelle e ha cercato anche di darmi qualche pugno,
ma sai che è impossibile. Credo proprio che
finirò bene il tuo lavoro. Ti farò rimpiangere
del lavoro che hai lasciato incompleto.»
Non volle finire la lettera, la lasciò cadere nel letto e si
alzò subito. Si tolse subito il vestito marroncino che la
faceva sembrare una vecchia per riprendere i suoi pantaloni e la sua
camicia. Si dimenticò persino di Antonio e Lovino che si
trovavano lì davanti, rossi come pomodori, senza dire una
parola. Chi se ne fregava di quelli? Il suo caro Brasile, una delle sue
colonie più importanti, quasi come un figlio, era in
pericolo e Olanda sapeva quanto avesse toccato un punto dolente per
lei. Si infilò velocemente i pantaloni e la camicia. Poi
prese gli stivali mettendosi anche quelli. Si avvicinò
all'armadio e l'aprì prendendo il cappello e la giacca
viola. Guardò poi Spagna e Sud Italia, che erano rimasti
ancora lì, imbambolati. « Mi dispiace
lasciarvi così, ma ho qualcuno da difendere. »
Uscii dalla stanza per poi uscire un attimo dicendo a Spagna:
« Sto prendendo la tua nave! » per poi sparire
dagli occhi dei due maschi.
Dopo qualche giorno finalmente arrivai, il mare era stato calmo e
riuscii ad arrivare senza problemi.
La prima cosa che feci appena scese a terra fu guardarsi
intorno, sembrava tutto calmo, un pò troppo...
Cominciai a correre verso casa di Brasile. Il mio cuore batteva a
mille, non potevo perdonare che quell'olandese gli avesse fatto
qualcosa.
Arrivai davanti la porta, col fiatone. Non sapeva se bussare o meno.
Appoggiai una mano sulla porta, spingendola un poco, notando che era
aperta. Entrai lentamente socchiudendo la porta dietro di me. Iniziai a
camminare per la casa, ma l'unica cosa che si sentivano erano i miei
tacchi battere sul pavimento. Guardai nelle stanze del primo piano, ma
non vidi nessuno, la casa sembrava veramente vuota. Mi avvicinai alle
scale e cominciai a salirle. Appena arrivai al piano superiore mi
bloccai, notando che la stanza di Brasile era semi aperta. Ricominciai
a camminare ed entrai lentamente nella stanza. Sembrava tutto in
ordine. Il letto non era per niente scombinato e le finestre erano
chiuse e le tende erano aperte. Guardai verso l'armadio. Avevo la
strana sensazione che qualcosa mi stesse guadando da lì
dentro.
Sentii all'improvviso una mano tapparmi la bocca, mentre un altra
bloccarmi la mano dietro la schiena.
Guardai in alto notando un volto familiare. Quei capelli biondi e
quella cicatrice sulla fronte, era lui.
Mi aveva rinchiuso in una trappola.
Si avvicinò al mio orecchio e sussurò:
« Benvenuta Nina, vuoi fare un gioco con me? »
Non ricordo precisamente
quanto tempo passò.
Ma in quel momento desideravo soltanto una cosa:
Che Brasile non avesse sentito tutte le mi urla.