VI
– Di gioia e dolore
Perché
è così che ti frega la vita. Ti piglia quando hai
ancora l'anima
addormentata e ti semina dentro un'immagine, o un odore, o un suono
che poi non te lo togli più. E quella lì era la
felicità. Lo
scopri dopo, quando è troppo tardi.
A.
Baricco
Monica
recava in una mano un mazzo di fiori, mentre nell'altra stringeva la
mano del piccolo Michele. Erano passati sei anni ma sembrava solo
ieri che si odiavano. Odio, che poi si era trasformato in amore
–
e, accanto a lei, la prova tangibile di ciò.
Sulle
ciglia il principio di una lacrima: stentava a trattenerle, anche
dopo tanti anni; il bambino la stava guardando, piuttosto rattristito
invero, ma con un'innocenza ed una sensibilità propria solo
dei
bambini.
«Mamma,
non trovi che mi somigli?»
La
bocca della verità, i bambini. Monica a quel punto
faticò a
trattenere un singhiozzo, si abbassò all'altezza del piccolo
e gli
diede in mano i fiori che aveva appena comprato.
«Michele,
è il tuo papà. Si chiama proprio come te,
sai?»
Gli
disse, ben sapendo che suo figlio non aveva ancora imparato a
leggere.
Monica
l'aveva portato per la prima volta con sé: voleva fargli
conoscere
il genitore, voleva fargli conoscere la sofferenza e la gioia di
avere un padre e di averlo perso.
«Mamma...»
Mormorò
il bambino, posando i fiori sulla tomba del padre.
Poi,
si abbracciarono: entrambi, in quel momento, sembrarono aver
avvertito qualcosa... Forse
una mano, che li aveva appena
sfiorati con dolcezza.
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