crazy town
-Autore: Rota/Rota23
-Titolo: Crazy Town
– Il valore della mia vita
-Fandom: Black Cat
-Personaggi: Creed
Disckens
-Genere: Introspettivo,
Song fic, Leggermente Nonsense
-Rating: Giallo
-Avvertimenti: One shot,
What if…?, Missing Moment
-Note autore: Quello che
vorrei riprendere è il momento in cui Creed comincia a
odiare il mondo che lo circonda, a trasformare ogni sentimento in odio
puro. Quindi, la mia voleva essere un’analisi psicologica del
fanciullo che era stato fino a essere l’uomo descritto nel
fumetto.
Crazy
Town
Il
valore della mia vita
City's breakin' down on a
camel's back.
They just have to go
'cuz they dont know when
So all of you fill the
streets it's appealing to see.
You wont get out the
county, 'cos you're bad and free
You've got a new horizon
it's ephemeral style.
Melancholy town where we
never smile
I wanna hear is the message beep.
My dreams, they gotta
catch me, 'cos I don’t get sleep, no.(*)
Batteva una pioggia scrosciante sulla città, offuscando di
tetro grigio ogni cosa – il freddo pungente penetrava lento e
inesorabile fin nelle ossa, facendo tremare i corpi dentro le viscere.
Un passo lento scandiva lo scorrere cadenzato dei secondi, dove il
suono della suola consunta delle scarpe sull’asfalto bagnato
pareva l’unico compagno degno di nota. Tra le mani lembi
chiari di vestiti zuppi, nello sguardo perso solo la strada calpestata
con indifferenza e rassegnazione.
Creed non voleva sentire più nulla. Neppure le dita sottili
attorno alle braccia, strette in un abbraccio che non era riuscito a
trattenere alcun calore.
Dai ciuffi scomposti dei capelli – dal naso e dal mento
– cadevano aritmicamente piccole lacrime di acqua dolce.
Intorno, tutta la città pareva rintanata dietro le porte
chiuse delle case, ben nascosta da serrande e ante di legno sulle
finestre.
Poco più che silenzio nelle orecchie.
La spalla sinistra faceva male, il piede destro zoppicava appena. Non
aveva niente dentro lo stomaco se non la saliva che aveva ingerito ogni
cinque minuti, cercando di dimenticare da quanti giorni non lo riempiva
con altro.
Da quando quei poliziotti l’avevano scovato tra i rifiuti non
aveva più toccato cibo.
Le occhiaie erano nere, come la sporcizia sotto le unghie e quella
sulla la pelle tremula.
L’ultima volta che aveva visto sua madre s’era
ritrovato con una puzza di alcool appiccicata sulla testa e con lacrime
troppo calde a rigargli il viso – terribile, una cosa
terribile.
Era forse quel ricordo
ad avergli tenuto gli occhi aperti, anche quando un giaciglio
d’occasione si era presentato disponibile? La
crudeltà che con la ragione si poteva scacciare in un
angolo, con l’incoscienza veniva fuori prepotentemente.
Creed non voleva
più dormire, neanche un istante.
Dondolava appena il corpo, avanti e indietro, poggiando gli arti
doloranti e scivolando sempre più in là
– trascinandosi come un peso morto.
Qualche timido passante gli camminò imparte, portando via un
poco di freddo con sé e dei grandi ombrelli scuri. Qualche
parola però volò lo stesso: come occhi freddi che
non conoscevano pietà, riconobbero in quel mucchio di
fragili ossa un’occasione per rendere meno opaca la propria
infima piccolezza.
Era semplice umanità.
Creed poteva anche far finta di non sentire, di concentrarsi su quel
sassolino tutto spigoli che gli era entrato nella scarpa e ad ogni
singolo passo gli faceva male e gli graffiava la pelle. Le sue spalle,
dopotutto, tremavano già per il freddo – nessuno
si sarebbe accorto di quanto le smuoveva da dentro.
Delusione.
Si chiamava
così, ora? Quel misto di tristezza e
rassegnazione che curvava la testa e la faceva ciondolare smorta sul
petto magro.
In una città folle, in mezzo ad una congrega di pazzi
sembrava che l’unico vero peccato fosse agire secondo ragione.
Era da folli pretendere un poco di considerazione – allora
forse bisognava esigerla a suon di pugni?
Era da folli credere di contare sulle persone di cui ci si circondava
– allora forse si doveva imparare a vivere da sé
il prima possibile per non venire schiacciati dalle corse affannose
degli altri?
Era da folli camminare strisciando contro i muri e cercare di
nascondersi in un’ombra che invadeva tutto per non dover
sostenere gli sguardi di chi odiava il semplice sospiro delle persone
indesiderate – allora forse bisognava far diventare cieche e
sorde quelle medesime persone con una forza che incuteva timore e
rispetto?
Anche alzare al cielo il viso e vederci bellissimo e splendente un sole
non pareva più possibile.
Perché invece
stavano lassù le nuvole grigie, nient’altro che un
mare informe e inconsistente di nulla?Non era il posto della luce
abbagliante, quello?
La risposta più banale al tutto era il comprendere
l’inutilità devastante dell’esistenza
terrena.
La pioggia cominciò a battere più forte sulla sua
schiena, il vento si sollevò portando con sé
qualche foglia e una scatola di cartone bagnato presa da
chissà quale luogo.
Creed si fermò, alzando appena lo sguardo.
Non c’era nessuno.
Sospirò, riprendendo il proprio cammino e arrancando avanti
– quel piede non smetteva di fargli male.
Passò davanti ad un vicolo, intravedendo per qualche istante
dei cassonetti di metallo dai quali fuoriusciva spazzatura. Un cane,
quando lo sentì, gli ringhiò contro, sancendo il
territorio e la proprietà mostrando i denti bianchi.
Fu una semplice parentesi tra le gocce di pioggia, come il calore
pacifico di una finestra illuminata – chiusa – e lo
stridio acuto della ruota di un carretto di legno, al di là
della strada.
Dopo qualche passo, però, il piede di Creed non resse
più, facendo d’un tratto collidere dolorosamente
il giovane viso con l’asfalto di pietra.
Il ragazzo si rannicchiò, portandosi le mani alla testa
pulsante.
Sarebbe stato più semplice lasciarsi morire di stenti.
Come uno straccio abbandonato per strada dopo l’ennesimo
utilizzo, sarebbe stato forse più veloce per lui neanche
desiderare quella cosa assurda chiamata vita.
Forse, sarebbe stato addirittura più generoso da parte sua.
Diventare concime per vermi e quindi adempire al proprio compito ultimo.
Ma la logica di un bambino è una logica deviata,
così come è deviata la logica del disperato che
scorge in lontananza un’ancora alla quale aggrapparsi
– più forte è la disperazione,
più forte sarà la presa delle dita smorte.
Si allunga prima timidamente la mano; poi, quando si vede che la
distanza si accorcia sempre più, ci si protende con maggior
impeto, affannandosi a rendere nulli i centimetri di distacco. Pian
piano, così, la meta si fa vicina e desiderata.
Creed si guardò attorno, con gli occhi ancora velati di
malinconia. La pioggia gli cadeva sul volto, rendendo difficile ogni
azione.
Lo vide, il grigiore
imperante. La vide, la tristezza che incrostava ogni
superficie di quella città zozza. Vide tutto quello e per la
prima volta ne rimase disgustato – quasi a sentirsi troppo
pulito in un marciume generalizzato. Era una sensazione nuova, che
attanagliava il cuore ferito e lo rendeva quasi rabbioso.
Allora, si scoprì egoista come la donna che lo aveva messo
al mondo, come il più vile dei vermi che, seppur
agonizzante, osava alzare la testa e guardare il suo carnefice.
Come il formicolio che prende gli arti tenuti a lungo immobili,
serpeggiò la rabbia lungo tutto il corpo e colorò
lentamente lo sguardo chiaro, mentre una nuova forza piegava i muscoli
e drizzava ancora il giovane – un sorriso strano
curvò allora le labbra pallide.
Riprese a camminare, senza più zoppicare.
Promise a sé
stesso di dare un significato a quell’esistenza buttata per
caso, a quell’esistenza che nessuno si degnava di raccogliere.
Il valore della sua vita l’avrebbe deciso lui –
così come il valore di ognuno di quei vermi che gli
camminavano di fianco.
Pretendendo quello che nessuno gli aveva dato.
Ottenendo quanto nessuno osava neppure sognare.
Tutto, tutto per lui. Tutto nelle sue mani avide. Tutto a sua
disposizione.
Attenendosi semplicemente alle regole del mondo che lo aveva accolto
così crudelmente nel proprio abbraccio freddo, Creed avrebbe
fatto sua la morale di una realtà che non condivideva
– l’avrebbe cambiata, a modo suo e secondo il suo
desiderio.
Le sue mani sarebbe state capaci di questo, la sua volontà
non avrebbe vacillato neanche un solo istante.
Niente, nella realtà che in quel momento era, valeva la pena
di un poco di pietà e di un poco di commiserazione.
E se magari avesse trovato due
occhi così simili ai suoi, allora avrebbe
goduto di una felicità immortale. Ma se anche
così non fosse stato, andava bene lo stesso.
Il mondo sarebbe stato cambiato da lui, solamente da lui.
Da Creed Disckens.
Sì, questo era il solo compito degno del nuovo Dio.
E intanto la pioggia aveva cessato di cadere, lasciando che qualche
timido raggio di sole filtrasse tra nuvole bianche.
(*)Feel good Inc., Gorillaz
Questa storia ha
partecipato al contest indetto sul forum di EFP da elos.gordon e
SaliceMcMay "Vedo, sento, scrivo - Immagini, musica, storie",
classificandosi decima.
No, non credo che questa
storia sia una schifezza. Nella maniera più assoluta.
Volevo analizzare il
personaggio di Creed, per una volta, dacché il manga che lo
vede come personaggio mi è sempre piaciuto molto. Ero
consapevole del fatto che, non avendo dimestichezza col personaggio,
avrei incontrato notevoli difficoltà. Ebbene, non me ne
pento nella maniera più assoluta.
Questo è, per
me, un buonissimo lavoro. Date le premesse, non posso che essere
orgogliosa di me stessa <3
Volevo ringraziare le
giudici per aver valutato questa mia storia. Se ho partecipato al
Contest da loro indetto, era per aver il LORO giudizio, spassionato e
sincero. L'ho avuto e ora ne sono incredibilmente felice.
Grazie, grazie di cuore.
Per tutto <3<3
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