1. Prologo
Un incubo. Un brutto sogno dal quale
non riusciva a svegliarsi. Doveva per forza essere così.
Maya cercava in tutti i modi di
convincere se stessa che quello che le stava accadendo non fosse reale, ma
solamente un brutto scherzo della sua immaginazione, mentre, accovacciata in un
angolo di quella buia ed umida prigione, piangeva in silenzio, senza riuscire a
fermarsi.
Poco distante, Suiko, Korin e Kongo,
le tre armature catturate da Arago, giacevano immobili, in un sonno dal quale
lei non era in grado di destarle. Ci aveva provato a lungo, ma a nulla erano
valsi i suoi sforzi. Con molta probabilità il loro destino comune era quello di
rimanere confinati in quella tetra oscurità per l’eternità.
«Mamma… papà…» singhiozzava, mentre
continuava a maledirsi per essere voluta tornare a tutti i costi in Giappone.
Se fosse rimasta a casa, sicuramente
starebbe ancora vivendo la sua tranquilla e monotona vita, che rimpiangeva per
la prima volta.
Sentiva ancora su di sé l’odore acre
dello zolfo che bruciava nella brace della sala del trono, non riusciva a
togliersi dalla testa la fastidiosa litania che gli spiriti del male avevano
continuato a ripetere, mentre lei giaceva, nuda ed inerme, al centro di un
pentacolo; ma, peggio ancora, non riusciva ad abbandonarla la sensazione di
aver perso per sempre una parte importante della propria anima. Si sentiva
incompleta, e questo la terrorizzava più della prigionia.
Cosa le stava succedendo? Perché
provava tanta paura? Che fine aveva fatto tutto il coraggio che fino ad allora
era riuscita farla andare avanti in quella dura lotta? Era come sparito nel
nulla, senza lasciare traccia.
Improvvisamente sentì il tepore di una
mano sulla sua spalla ed una voce amica che cercava di rassicurarla.
«Maya, non piangere più. Sono venuto
per portarti via.»
Touma era finalmente arrivato.
Senza esitazione la ragazza si
avvinghiò a lui, continuando a piangere, mentre il samurai, inizialmente
sorpreso, la strinse dolcemente a sé, cercando di calmarla, per nulla
preoccupato da quello strano comportamento.
Shin, Xiu e Seiji, finalmente liberi,
assistevano alla scena senza dire una parola, preparandosi all’ultima e
decisiva battaglia.