Amava suo marito,
e credeva che lui sbagliasse a
comportarsi così.
Amava suo marito,
e proprio per questo pensava che, a
volte, era meglio tacere.
Quando Tohma era uscito da casa, quella mattina, lei
aveva capito benissimo che sarebbe rientrato tardi. Le avrebbe raccontato d'aver
avuto un imprevisto alla NG, d'aver dovuto contrattare l'incisione di un disco
con un gruppo promettente; d'aver dovuto placare l'ira di un cantante
particolarmente ambizioso che non sapeva rimanere al suo posto e lasciare che
gli altri facessero il proprio lavoro; le avrebbe detto che, semplicemente,
aveva avuto documenti da firmare e pratiche da sbrigare. E per questo, per
questo era tornato tardi.
Lei avrebbe annuito con un sorriso, si sarebbe
avvicinata a dargli un bacio e avrebbe finto di credergli. Anche se sapeva
benissimo che mentiva. Anche se sapeva benissimo che lui ne era
consapevole.
Tohma era suo marito e lei lo amava. E anche lui amava lei. Lo
sentiva, lo vedeva. Nei suoi occhi, quando la guardava. Nelle sue parole, quando
chiacchieravano. Nei suoi gesti, quando le sfiorava il braccio, in pubblico, e
lei lo sentiva vicino. Quando, a casa, la tirava a sé e la baciava con
leggerezza, sorridendole poi.
Ma c'era anche Eiri, e lei lo sapeva. In
realtà, anche se le doleva ammetterlo, l'aveva sempre saputo. Da quando li aveva
visti insieme per la prima volta, dopo che aveva presentato Tohma alla propria
famiglia, aveva capito che tra i due c'era un'intesa che andava al di là
dell'amicizia.
All'inizio sembrava che fosse così per entrambi. Per quanti
anni era durata? Sei, sette? Tohma le diceva che sarebbe uscito, che sarebbe
andato a cercare qualcosa d'interessante per il proprio lavoro. Un cantante, un
gruppo, un manager, un chitarrista, un'idea per una nuova campagna
pubblicitaria. Ma andava da Eiri.
Quando tornava, i suoi vestiti avevano
l'odore del fumo delle sigarette.
Quando tornava, la sua pelle aveva l'odore
della pelle di Eiri.
Non sapeva spiegarsi come avesse capito che era così, ma
ne era certa. Nonostante questo, non aveva mai affrontato l'argomento con il
marito. Lo guardava uscire, sapendo che andava da lui, sapendo che non era la
sola, che c'era qualcun altro di altrettanto importante – o forse più importante
ancora – di lei, ma taceva.
Perché amava suo marito, e credeva che lui
sbagliasse a comportarsi così.
Amava suo marito, e proprio per questo motivo
pensava che, a volte, era meglio tacere.
Perché Eiri, a un certo punto, si
sarebbe tirato indietro. L'avrebbe respinto, e Tohma, forse, non avrebbe retto.
E lei non riusciva a pensare di poter dare un dispiacere al marito, sapendo che,
ben presto, non sarebbe stato in condizione di affrontarlo. Aspettava il momento
in cui lui sarebbe crollato, rivelandole tutto quello che era accaduto in quegli
anni, a fingere di crederla all'oscuro di tutto. Si sarebbe seduto sul divano
con le gambe divaricate e i gomiti poggiati sulle ginocchia. Le mani alte,
strette davanti alla fronte. La sua voce avrebbe tremato, avrebbe ammesso le
proprie colpe e avrebbe taciuto. E lei, forse, sarebbe stata in grado di
consolarlo, nonostante quello che le aveva fatto. Perché sapeva che, dovendo
scegliere, Tohma avrebbe scelto lei.
Così come Eiri, entro poco, avrebbe
scelto Shuichi.
* * *
Mika sapeva dove era stato suo marito.
Sentiva
l'odore della sua colpa,
sentiva le menzogne nella sua voce.
Vedeva il
dolore dei suoi occhi e pensava che forse,
a volte, era meglio
tacere.
Quando sentì la porta di casa aprirsi si affrettò a
raggiungere il marito nell'atrio.
«Dove sei stato?» gli domandò. Forse le
avrebbe detto la verità, forse avrebbe ammesso il proprio peccato. Dentro di sé,
Mika sapeva benissimo che non l'avrebbe fatto. Ma lo sperava. Per poter aver un
motivo per urlargli il proprio rancore, per mostrargli la propria sofferenza. E
lasciare che lui affogasse nella sua.
«Ho avuto degli impegni a lavoro.»
L'ennesima menzogna, l'ennesimo, inutile tentativo di tenerla all'oscuro. Di
farle capire che non voleva parlarne, nonostante sapesse che lei sapeva. Come
avrebbe potuto ignorarlo, dopotutto?
Mika sapeva dov'era stato suo marito.
Sentiva l'odore della sua colpa, sentiva le menzogne nella sua voce. Vedeva il
dolore nei suoi occhi e pensava che forse, a volte, era meglio tacere.
Ma era
difficile. Era innaturale, sbagliato.
Annuì, cercando di combattere contro il
folle desiderio di urlargli che non poteva tenerle nascosto quel tradimento, che
non poteva crederla così stupida, che doveva smettere di ingannare entrambi.
Doveva scegliere, e doveva farlo subito.
Si allontanò verso il salotto,
sperando che Tohma la seguisse. Che la facesse sentire importante.
Quando lui
la raggiunse le sfiorò la schiena con la mano. Un segno di resa. Una domanda di
perdono.
A Mika bastò guardarlo negli occhi per capire, e nonostante questo
non riusciva a far allentare il nodo che le stringeva lo stomaco. Non avrebbe
mai più lavato abiti che sapevano di fumo. Non avrebbe dormito accanto a un uomo
la cui pelle aveva l'odore di quella del fratello.
Lo sguardo che Tohma le
rivolse era sofferente, ma non c'era una richiesta d'aiuto nei suoi movimenti.
Avrebbe affrontato da solo il proprio dolore, e, una volta che si fosse
ripreso, avrebbe lasciato che sua moglie fosse l'unica che potesse permettersi
di amare.