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Introduzione
La storia è nata
per il concorso Picta! Fanfictions 2010,
che richiedeva una narrazione lunga non più di diecimila parole; per pura
ossessività, ho voluto scriverla di diecimila esatte. Certo, Word considera due vocaboli separati da
un apostrofo come uno solo, ma nemmeno io sono così maniacale da mettermi a contarli
uno per uno. O perlomeno non lo sono ancora.
La narrazione
inizia ai tempi dei Malandrini, e segue la vita di SiriusBlack.
CHIASSO
La prima volta che la vide fu il giorno in cui apprese della
natura di Remus, perciò forse la associò, per sintesi
o per antitesi, a quel guazzabuglio di oscurità che si contorceva fuori e
dentro di lui.
Perché lui era un Black, ed era
stato marchiato sin dalla nascita di un segno indelebile che sentiva bruciare
sotto la pelle, quando tutto il resto del mondo dormiva e lui non poteva
chiudere gli occhi, nel timore di svegliarsi in un incubo o nella realtà e
ritrovarsi solo, come tutti i dannati membri della sua famiglia erano sempre
stati per scelta e per ostentazione, e forse ancor più di loro, perché lui non
aveva nemmeno più quell’identità di sangue da condividere con loro, perché lui
aveva preso una strada che l’aveva reso un reietto ai loro occhi, ed in fondo,
dietro le pupille, anche ai suoi. Perché lui se l’era poi costruita da solo,
un’identità, una che non aveva niente a che fare col sangue ma che avrebbe
potuto un giorno reclamare in pagamento il suo, una che lo aveva portato a non
essere più un Black e a non essere più solo, una che
gli aveva infine fatto scovare degli spiriti affini. E quando aveva imparato che
uno di loro soggiaceva ad una crudele dannazione che lo stava distruggendo,
fisicamente e mentalmente, allora era corso a perdifiato per uscire a sputare
la sua collera contro al cielo, ed in quella folle rotta aveva travolto lei.
E poi lei aveva travolto lui.
- Maledetto imbecille! Non vi insegnano a guardare dove
camminate, nella vostra Casa? O sei tu, che sei così pieno di te stesso da
tenere sempre il naso troppo in alto per controllare dove metti i piedi? Guarda
che disastro…
Libri, quaderni, fogli su fogli di appunti vergati con una
calligrafia minuscola e fitta erano disseminati in terra, senza alcun ordine,
mentre, a giudicare dalla numerazione scritta a mano in un angolo di ogni
pagina sciolta, dovevano averne prima seguito uno estremamente metodico.
Senza che ne comprendesse davvero il motivo, Sirius sentì l’ira sgonfiarsi dentro di lui, mentre
osservava divertito quella ragazzina piccola e ossuta china a terra a
trafficare agitata e a borbottare ipotesi di oscuri malefici nei suoi
confronti. Naturalmente, non gli venne nemmeno in mente di aiutarla a
raccogliere ciò che le aveva fatto cadere. Prima di tutto perché era uso a
negare qualunque colpa e qualunque coinvolgimento in situazioni disdicevoli sin
da quando era arrivato ad Hogwarts, stringendo
amicizia con quel trio con cui aveva collezionato talmente tante infrazioni da
mettere a dura prova la fantasia degli insegnanti nell’infliggere punizioni; e
poi perché probabilmente, se le avesse dato una mano, quel cipiglio così buffo
e incollerito che spiccava sul volto di lei avrebbe smesso di rallegrarlo tanto
da fugare per un istante le ombre della sua angoscia. Così si limitò a
contemplarla curioso e per una volta sereno, le mani in tasca e l’espressione
scanzonata che aveva già fatto sospirare più di una fanciulla.
Ma gli unici sospiri emessi dalla fanciulla china al suolo
erano rivolti alle sue sudate carte, che tentava di riassemblare
con una cura ed una diligenza tale da fargli senz’ombra di dubbio indovinare la
sua Casa di smistamento.
- Corvonero?
Lei non alzò nemmeno lo sguardo, limitandosi a sibilare:
- Considerando che abbiamo in comune più di una lezione da
almeno un anno, la tua domanda è davvero indice di un’acuta capacità di
osservazione.
Sirius aggrottò le sopracciglia, perplesso.
Non ricordava di averla mai notata, ma era pur vero che secondo la sua
filosofia spiccia erano le ragazze, quelle a cui spettava l’incombenza di farsi
notare da lui, qualora lo desiderassero; inoltre quella giovane non aveva
propriamente un aspetto appariscente: ricci scuri raccolti frettolosamente,
fronte alta sul naso dritto, semplicità e sobrietà in tutto, dal modo compunto
di portare la divisa ai risibili accessori, consistenti solo in una piuma
infilata nella chioma e un cordino di cuoio legato al polso. Magari, sotto
quell’aria da passerotto in procinto di spiccare il volo, si nascondeva anche
una ragazza niente male, ma di sicuro sarebbe stato necessario scavare a fondo,
per tirarla fuori. Non che lui avesse la voglia o il tempo o il bisogno di
mettersi a scavare, se non si contavano le molte volte in cui si era messo nei
pasticci sin quasi a scavarsi la fossa da solo, rischiando di risparmiare
quell’onere al suo premuroso ramo genealogico.
- E tu invece mi hai osservato molto? – chiese, sfoggiando la
sua migliore faccia da schiaffi.
Il fremito di nervoso quasi impercettibile che le scosse le
spalle lo fece per un istante temere che forse, quella volta, la sua faccia
avrebbe in effetti potuto attirare proprio degli schiaffi.
- Proprio per niente – rispose invece con sdegnoso
disinteresse lei - Ma chi non ti conosce, Black?
- Perché sono così affascinante? – domandò vanesio e
irriverente.
- Perché sei così chiassoso
– rispose infine la Corvonero, alzando verso di lui
due iridi chiarissime ed un poco sprezzanti.
Sirius rimase così stupito da
quell’affermazione da aprire e chiudere la bocca un paio di volte, prima di
ritrovare la loquela. L’avevano chiamato in molti modi, la maggior parte dei
quali decisamente poco garbati e certamente molto fantasiosi, ma ‘chiassoso’ mai.
- Chiassoso? –
sbottò infatti.
Lei gli mantenne fermo addosso quello sguardo d’un azzurro
quasi finto, limpido come la sofferenza, solcato da pagliuzze iridescenti.
Aveva occhi grandi ed intensi, del colore dei torrenti montani, pensò Sirius, accogliendo questa muta osservazione con
disappunto: non era da lui far caso agli occhi di una donna, a meno che questa
non avesse incomprensibilmente deciso di cavarseli dalle orbite e ficcarseli
tra le tette.
- Chiassoso, per
l’appunto. Tu e i tuoi amici siete sempre in giro a bighellonare o a combinare
guai, e non che mi interessi, ma sarebbe davvero molto, molto carino se poteste
farlo in silenzio. E invece fate continuamente un gran chiasso, quando uscite
di nascosto, quando fate scoppiare qualche calderone, quando venite a
gironzolare in biblioteca fingendo di saper leggere, quando ve la prendete con
un povero malcapitato, persino quando… quando fate la corte a qualcuna, ecco.
Sirius non riuscì a non scoppiare a ridere,
all’espressione ‘fare la corte a
qualcuna’, che gli suonava così antiquata ed inappropriata a ciò che in
effetti faceva lui, e lei assunse un’espressione ancora più ostile.
- Questo ti diverte? Guarda che non siamo tutti qui per
scherzare, sai? C’è anche gente seriamente interessata a studiare, e di tutte
le ore che abbiamo insieme le uniche che sono riuscita a seguire con
tranquillità sono quelle in cui per fortuna tu eri in punizione!
- Perché sono chiassoso…
- ripeté sorridendo lui.
Quella ragazza lo faceva davvero sentire ilare come gli era
capitato raramente di sentirsi e come non credeva avrebbe di certo potuto
sentirsi in quel momento. E d’improvviso, colto dalla strana sensazione della
sua mascella tirata in uno dei rarissimi sorrisi sinceri di tutta la sua
esistenza, si rese conto dell’assenza di qualcosa, dentro di lui: quel tormento
sottile che lo accompagnava continuamente, quel senso di estraneità, quel
silenzio opprimente che cercava sempre di riempire di rumori per non sentirsene
spaventato. Che cercava di riempire di chiasso.
Fece un passo indietro, quasi spaventato da quella folgorazione. Era vero, era chiassoso. E lo era per non ascoltare i
sussurri che gli corrodevano il petto come soffi d’acido, quando tutto taceva e
non c’era più niente e nessuno a distrarlo da se stesso. Lo era per schiacciare
sotto il frastuono più alto che riuscisse a creare quella voce che gli diceva
che lui non avrebbe mai avuto una vera famiglia, perché aveva rinnegato la sua
e perché quella che stava cercando di costruirsi ora era solo un castello di
carta che sarebbe caduto al primo sbuffo di vento dell’età adulta. I suoi amici
si sarebbero fatti una vita, si sarebbero fatti la loro, di famiglia – e a giudicare dall’ostinazione con cui James
tallonava Lily Evans e dall’ostinazione ancora maggiore con cui lei lo
rifiutava, probabilmente questo sarebbe avvenuto presto, per il suo migliore
amico –, e avrebbero allora iniziato a considerarlo solo un pesante incomodo
ossessivo ed asfissiante, e lui sarebbe stato di nuovo solo. Perché lui non
sarebbe mai stato in grado di costruirli, rapporti familiari maturi e
ortodossi, perché lui riusciva a creare dei legami solo così, in mezzo al chiasso. Perché il silenzio
era uno specchio che gli rifletteva l’immagine di qualcuno che nessuno,
vedendolo davvero, avrebbe mai voluto amare.
Si riscosse dai suoi pensieri quando nel suo campo visivo
riapparve la ragazza, che si stava rialzando con le braccia piene delle
scartoffie e dei tomi raccattati. I capelli erano sfuggiti dal fermaglio improvvisato
con la piuma ed ora le ricadevano sulle spalle spettinati, vaporosi ed umidi di
sudore per la piccola fatica appena intrapresa per colpa sua.
- Oh, per carità, smetti di chiedermi scusa, il tuo sincero
pentimento mi sta davvero commuovendo – sbottò caustica.
- Come ti chiami? – le chiese, sorprendendo sia se stesso che
lei.
- A che pro dirtelo, se te lo scorderesti tra un minuto?
- Perché ci sono molti nomi femminili nel mio carnet? – le domandò mellifluo,
riproponendo il suo solito cliché da
seduttore.
Lei roteò gli occhi con evidente insofferenza, poi gli voltò
lesta le spalle, rispondendogli mentre già se ne andava:
- No. Perché non mi sembri uno in grado di trattenere un
pensiero, un nome o un qualunque vocabolo nel cervello per più di pochi
secondi.
E fu solo diverso tempo dopo che la schiena della ragazza fu
scomparsa totalmente alla sua vista, svoltando un angolo, che Sirius si rese conto di essere rimasto fermo, solo,
sorridente ed in silenzio fino ad allora, senza aver sentito la necessità di
sbraitare, strepitare, inveire o fare alcun tipo di chiasso.
**********
La prima volta che lei gli fece calare le braghe fu il giorno
in cui lui e gli altri Malandrini decisero di divenire Animagi per tenere compagnia a Remus durante le notti di luna piena, e rimanere in
biancheria intima davanti a lei non fu piacevole come si era inspiegabilmente e
troppo spesso immaginato.
Sirius aveva dato fondo a tutte le sue
credenziali da bullo, per ottenere ragguagli su quella giovane dalla risposta
pronta, ed era riuscito innanzitutto a scoprire la sua identità. Buffo che lei
si chiamasse Felis, che gli avevano detto significava
‘gatto’, in latino, e che traesse il
nome da una costellazione obsoleta, che aveva appunto secondo il suo scopritore
la forma di un gatto, mentre lui, Sirius, prendeva il
suo da una costellazione a forma di cane. Cane
e gatto. Perfetto. Sarebbe stato davvero comico se di cognome avesse fatto
White, invece faceva Coke, che Sirius aveva imparato
significare anche una bibita, nel mondo Babbano da
cui lei proveniva – e per un istante, aveva persino immaginato come sarebbe
stato bersela, quella Corvonero, ritrovandosi
perplesso a leccarsi le labbra -, ma che per lui indicava semplicemente il
carbone dei suoi capelli. Nero, come il Black che era lui. Opposti in qualcosa, uguali in
qualcos’altro. E chissà, si era persino chiesto, se un giorno quel carbone,
sepolto sotto tutti quei libri e sotto la pressione del silenzio in cui lei li
leggeva, si sarebbe trasformato in diamante. Certo, avrebbe di nuovo dovuto
avere la voglia di mettersi a scavare, per scoprirlo, e aveva già ampiamente
convenuto con se stesso che questa non era proprio un’occupazione in cui
valesse la pena indulgere. D’altronde, ancora una volta, non era da lui far
caso a qualunque diamante si nascondesse in una donna, a meno che questa non
avesse incomprensibilmente deciso di infilarselo in mezzo alle gambe.
Poi, sicuramente per ammazzare la noia, Sirius
aveva iniziato a fare ulteriori ricerche – la maggior parte delle quali erano
passate sul corpo di qualche Corvonero del primo anno
–, e aveva accumulato una serie di informazioni di cui, in realtà, non sapeva
bene cosa fare: che le piaceva mangiare il pane col burro e lo zucchero; che
apprezzava la pioggia lieve ma aveva paura dei temporali violenti; che quando
non era in biblioteca era in camera sua, a studiare seduta per terra e con la
schiena appoggiata al letto; che amava, neanche a dirlo, soprattutto i luoghi
silenziosi. E poi molti altri particolari che invece aveva ottenuto
osservandola, senza nemmeno rendersene conto: il modo in cui continuava a farsi
e disfarsi quel concio disastroso con la piuma, quando non riusciva a venire a
capo di una pagina; le macchie di inchiostro che spesso si accumulavano sui
suoi polpastrelli e che Felis non si prendeva nemmeno
la briga di ripulire; il gonfiore sempre stropicciato del suo mantello, in cui
lei continuava a stipare oggetti magici e pergamene di ogni tipo; e infine il
fatto che sembrava quasi che fosse il silenzio stesso a circondarla docile ed
ubbidiente, come se gli alunni, i fantasmi e persino i muri della scuola
tacessero al suo passaggio, per permetterle di continuare a ripassare
mentalmente anche mentre camminava. Ed una cosa che l’aveva davvero stupito era
constatare come quel silenzio che l’abbracciava non avesse nulla,
dell’oppressione e della tenebra che invece soffocavano lui. Perciò si era
ritrovato spesso a cercare affamato l’aura di afonia che lei emanava, che
spegneva in lui il bisogno di chiasso e gli concedeva preziosi attimi di
tregua, prima che il buco nero della sua vita tornasse a risucchiarlo. Perciò
le era stato appiccicato per settimane, tempestandola di scherzi idioti e
frecciatine tormentose, e godendo come un ebete dell’indignazione che lei
cercava invano di mascherare con l’indifferenza. Felis
non gli aveva mai più parlato, da quel loro primo scontro, sebbene lui avesse
profuso tutte le sue più malefiche energie nell’intento di strapparle una
rispostaccia; non che lui l’avesse vista parlare spesso con qualcun altro, in
effetti. Di tutte le volte in cui l’aveva spiata o fatta spiare, quella in cui Felis aveva usato più parole era stata la prima volta in
cui si era scontrata con lui. Lei era
silenziosa almeno quanto lui era chiassoso.
Fino a quel giorno, in cui forse avrebbe dovuto intuire che
ciò che stava per fare era un tantino azzardato, ma era euforico per il piano
escogitato con i suoi amici e aveva sentito la voglia inaspettata di
condividere quell’entusiasmo con lei. A
modo suo, ovviamente.
- Ehi, Coke – le urlò scorgendola in un corridoio, in mezzo a
molti alunni -, tra un po’ ci sarà l’uscita ad Hogsmeade.
Tu con chi vieni, col libro di Aritmanzia?
Una risata corale seguì quella battutaccia, ma lei non diede
nemmeno l’impressione di averlo sentito, e continuò a camminare dritta verso di
lui.
- Sul serio, Coke: non credi sia il momento di mostrare le
mutande a qualcuno?
Ma non fece in tempo a sfoderare la bacchetta per denudarla,
come era nelle sue intenzioni fare per imbarazzarla – e forse anche per un
altro motivo che aveva molto meno a che fare con la sua mente dispettosa e
molto più coi suoi lombi -, che lei compì un movimento col polso e lui scorse
l’arma magica della ragazza spuntare appena dallo strano braccialetto di corda
che vi era legato. Avvezzo a fare tempestivamente il punto delle situazioni più
inattese, comprese subito che lei doveva avere imparato a lanciare incantesimi
in quel modo, con la punta della bacchetta fissata al suo avambraccio che le
sfiorava appena il palmo, in modo da non dover nemmeno perdere tempo ad
estrarre. Ebbe giusto il tempo di ammirarne l’abilità e l’inventiva – una Corvonero che rendeva davvero onore alla sua Casa -, prima
che lei lo colpisse.
- Expelliarmus
– pronunciò serafica.
E lui si ritrovò a terra.
- Evanesco
– continuò con voce sempre più soave.
E lui si ritrovò senza pantaloni.
- Eccoti esaudito, Black – commentò
placida, superandolo senza guardarlo – Contento tu… Anche se dubito ci sia
ancora qualcuna in tutta Hogwarts che non abbia visto
le tue mutande.
Lui stava ancora cercando di riprendersi dallo stordimento
provocatogli dall’Incantesimo di Disarmo quando,
tra le risate generali, lei gli comunicò, prima di sparire dalla sua vista:
- Io ad Hogsmeade ci vado col mio
ragazzo. Tu con quale dei tuoi tre ragazzi ci vai?
E nemmeno tutto il chiasso che gli altri studenti facevano
intorno a lui bastò a fugare il malessere che lo invase all’idea che lei avesse
un ragazzo.
**********
La prima volta che la baciò fu il giorno in cui riuscì
finalmente a trasformarsi in un animale, e ci riuscì grazie a lei.
Erano anni che si allenavano, e James era infine riuscito a
divenire un cervo, ma lui non aveva ancora conseguito alcun risultato, fino a
quel pomeriggio in cui, dopo averla come al solito infastidita in biblioteca,
sedendosi al suo fianco, soffiandole nelle orecchie e tirandole in
continuazione piccole palline di carta nei capelli, la vide far su le sue cose,
alzarsi dal tavolo e andare sorridente incontro al suo ragazzo, che l’attendeva
sull’uscio. Distolse velocemente e sgradevolmente lo sguardo, e scorrendolo sul
posto che lei aveva occupato, scorse un libro apparentemente dimenticato. Pensò
di prenderlo e usarlo come strumento di ricatto, poiché era chiaro, che a lei
interessassero più i libri delle persone – forse perché i libri erano
silenziosi e non chiassosi -, ma gli bastò guardare la copertina, per capire
che quel volume era stato lasciato lì intenzionalmente, e la pergamena che vi
trovò dentro, con riferimenti alle pagine giuste e annotazioni esplicative, gli
confermò che lei lo aveva trovato appositamente per lui. E il sorriso che gli
illuminò il volto, al pensiero che forse c’era una persona che le interessava
più dei libri – una persona chiassosa che
le interessava più dei libri silenziosi -, era così genuino e perciò così
innaturale in lui – che lo sfoggiava per la seconda volta da quando la
conosceva – che diversi alunni si allontanarono in fretta dalla biblioteca,
allarmati.
Si rifugiò in camera sua, chiudendola con un Colloportus per
assicurarsi che non entrassero i suoi compagni di stanza, e lesse famelico
quelle righe e quegli appunti che gli chiarirono finalmente come trasformarsi.
Non seppe mai spiegarsi perché non avesse coinvolto anche i suoi amici, in
quell’ulteriore tentativo: forse temeva che lei gli avesse giocato uno scherzo,
e che seguendo le indicazioni di quel tomo gli sarebbero comparse orrende
pustole sul viso, o forse, molto più probabilmente, voleva solo tenersi per sé
quel piccolo segreto che, nella sua testa, lo legava a lei. Ad ogni modo riuscì
finalmente nello scopo, e guardandosi allo specchio dopo quella difficoltosa e
sfibrante prima metamorfosi scoprì con un terzo vero sorriso, interiore questa
volta, che l’animale in cui si era trasformato era, ovviamente, un grosso cane
nero. Cane e gatto, ancora una volta.
Per questo la prima persona a cui pensò di dirlo fu lei. Per questo, e per
gratitudine. Non per altro.
Ma forse non fu per quello e nemmeno per gratitudine che,
trovandola dopo lunga ricerca nel parco, intenta a studiare sotto un albero,
l’afferrò per le spalle, la trasse in piedi e la baciò. Lei serrò forte le
labbra e lo spinse via.
- Ma sei scemo? No, non rispondermi, era una domanda
retorica. È ovvio che sei scemo.
- Ce l’ho fatta!
Ebbro di gioia, Sirius fu comunque
abbastanza lucido da distinguere il lampo di comprensione e di orgoglio che
passò negli occhi della ragazza.
- Non so di cosa stai parlando – mentì -, perché, se lo
sapessi, e questo fosse qualcosa di chiassoso ed irregolare, come tutto ciò che
ti riguarda, potrei essere accusata di complicità.
Lui non si sentì minimamente smontato dall’apparente mancanza
di entusiasmo di Felis, di cui si era perfettamente
immaginato la reazione. Aveva passato troppo tempo ad osservarla, per non
indovinarne ogni emozione prima ancora che lei sapesse di provarla.
- Come lo sapevi? – le chiese invece, dal momento che il
progetto dei Malandrini era un segreto per chiunque.
- Io ti vedo – rispose lei, con una sincerità che disarmò Sirius come neppure la più astuta delle panzane avrebbe
fatto, una sincerità semplice e totale di cui lei non parve affatto
imbarazzata, benché comportasse un’ammissione di coinvolgimento nei suoi
confronti, una sincerità davanti alla quale Sirius
poteva solo restare in silenzio.
Senza tuttavia sentirsene sopraffatto. Non quanto era
sopraffatto da quella sincerità, perlomeno.
- Merlino, Black – riprese Felis esasperata -, ma si può essere più tonti? No, non
rispondermi, anche questa era una domanda retorica. Supponiamo che un certo
stupido e borioso ragazzo abbia passato anni a sedersi di fianco ad una certa
brillante e paziente ragazza ad ogni lezione e ad ogni ora che lei trascorreva
in biblioteca. Supponiamo poi che lui in questi ultimi mesi abbia consultato
sempre lo stesso tipo di libri, riguardanti un certo argomento in particolare,
e che, essendo stupido e borioso, non si sia premunito di nascondersi mentre lo
faceva, benché quell’argomento comportasse qualcosa di proibito. Sempre
proseguendo con le supposizioni, sarebbe ovvio che la ragazza, essendo appunto
brillante e paziente, abbia capito cosa lui stava cercando di fare,
probabilmente con quei bislacchi dei suoi compagni di bravate, e abbia intuito,
dopo tutto questo tempo, che non sarebbe arrivato da nessuna parte, senza un
aiuto, perché lui è…
- Stupido e borioso, l’hai già detto – sorrise Sirius.
- E non dimenticare chiassoso – sorrise anche lei.
Lui la guardò intensamente, pensando che anche lei doveva
aver passato parecchio tempo ad osservarlo e forse allora anche lei poteva
indovinare ogni sua emozione prima ancora che lui sapesse di provarla. Come in
quel momento, in cui stava alzando una mano verso la guancia di Felis, senza nemmeno accorgersi di cosa stava facendo, per
poi attorcigliarsi un suo boccolo ribelle attorno al dito. Lei aveva capelli
selvaggi ed indomiti, che le allacciavano il collo, si attardavano sulla
schiena, scivolavano davanti agli occhi, si infilavano nel colletto, si
insinuavano ovunque, appena potevano sfuggire dalla stretta coercitiva di
quella piuma che, forse, era stata messa lì solo per assicurare a quella chioma
viva come un cielo notturno che prima o poi sarebbe stata libera di volarci, in
quel cielo, col passerotto a cui apparteneva. Qualcosa si inquietò, dentro Sirius, rilevando che non era da lui far caso ai capelli di
una donna, a meno che questa non avesse incomprensibilmente deciso di
strapparseli per ricamarci ad uncinetto un perizoma da stringere tra le
chiappe.
- Perché mi hai aiutato? – le chiese, cercando di non
soffermarsi troppo sull’immagine delle sue chiappe.
- Non ce l’avresti mai fatta da solo – replicò
tranquillamente Felis.
- E perché la cosa dovrebbe riguardarti?
- Perché credo che la dedizione vada premiata, e non ti ho
mai visto così impegnato in qualcosa da quando ti conosco.
- In realtà – le sussurrò lui sulle labbra – mi hai visto
altrettanto impegnato almeno in un’altra cosa…
Lei spalancò gli occhi, mentre lui la spingeva indietro,
appoggiandola al tronco. Le avvicinò la bocca all’orecchio e le sussurrò come
ulteriore dimostrazione di impegno tutto ciò che sapeva di lei, dal pane col
burro e zucchero al suo mantello stracolmo, ma non disse nulla del suo
silenzio, perché non voleva guastarlo col chiasso delle sue parole. Il
messaggio comunque era chiaro.
Anche lui la vedeva.
- Non vuoi premiare anche questa mia altra dedizione? – le
domandò infine, presagendo le obiezioni che lei avrebbe mosso e pronto a
demolirle.
- Io sto con…
- No.
- Tu stai con…
- No.
Felis chiuse gli occhi e sospirò.
- E allora no.
- E allora sì – concluse lui, vittorioso.
E questa volta lei rispose silenziosamente e
appassionatamente alle labbra di Sirius, che
pretendevano tutti i premi arretrati per quei lunghi mesi di antipatico,
improbabile e chiassoso corteggiamento.
**********
La prima volta che fecero l’amore fu la notte in cui comparve
la prima luna piena da quando erano divenuti Animagi, e i Malandrini uscirono per accompagnare Remus
alla Stamberga Strillante.
Sirius rientrò alle prime luci dell’alba,
più in fretta degli altri, in cerca di lei, senza sapere bene perché. Sapeva
solo che quella notte l’aveva squarciato interiormente, e che non c’era nessuno
con cui potesse in quel momento lasciare uscire il chiasso che non riusciva più
a tenere dentro, tranne lei.
Temeva che avrebbe dovuto attendere il risveglio della
scuola, per vederla, certo di non riuscire a risolvere, soprattutto nello stato
in cui versava, uno di quei grattacapi che mettevano alla prova chiunque
volesse entrare al dormitorio di Corvonero e che
l’avevano sempre fatto desistere dal farle gradite o sgradite sorprese, temeva
che in ogni caso non avrebbe potuto entrare in camera sua, dove riposavano
anche le sue compagne, dal momento che la loro storia era ignota al resto degli
studenti.
Da quel loro primo bacio se ne erano susseguiti molti altri,
e presto i baci erano divenuti carezze tremanti, azzardi impauriti, scoperte
reciproche, risvegli di carne e sospiri che si erano consumati in angoli
appartati, sgabuzzini polverosi, aule in disuso. Lei aveva lasciato il suo
ragazzo, con delicatezza – anche troppa, secondo Sirius,
che l’aveva osservata con fastidio abbracciarlo gentilmente -, lui aveva smesso
le sue frequentazioni senza una parola di spiegazione. Nemmeno ai Malandrini.
Senza che si fossero messi d’accordo, avevano entrambi taciuto al mondo e forse
anche a loro stessi la natura della loro nuova relazione, limitandosi a
definirla con i gesti piuttosto che con i vocaboli, tracciandone i confini come
percorsi di bocca e di mano sui rispettivi corpi.
C’erano sempre state poche parole, tra di loro, e i loro
abboccamenti si erano quasi sempre consumati in un silenzio, in cui l’unica
forma di comunicazione era data dalla commistione dei loro respiri e del loro
sudore. Si erano incontrati il più delle volte istintivamente, casualmente o
causalmente, senza darsi davvero appuntamento, senza accordarsi con la voce,
quando potevano farlo con gli occhi, ma adesso che stava rientrando snervato in
un modo che non riteneva possibile, adesso che sentiva che quella notte l’aveva
cambiato per sempre e non sapeva come sfogare ciò che provava, adesso che
sapeva di avere bisogno di lei, si disperava all’idea di non riuscire a vederla
sino all’indomani.
Ma Felis era là, ai piedi delle
scale che portavano al dormitorio di Grifondoro,
mezza nascosta nell’ombra, appoggiata alla parete, e si torturava le labbra coi
denti e il mantello con le mani, nervosa e allerta, pronta a fuggire se
qualcuno l’avesse trovata là dove non doveva stare. Eppure era proprio là che
doveva stare, pensò Sirius stringendola al petto,
pochi secondi dopo che lei gli si era lanciata addosso, per stritolarlo in
quella morsa che esprimeva tutta la sua preoccupazione e il suo sollievo.
Era proprio là che doveva stare: tra
le sue braccia.
- Come lo sapevi? – le chiese con voce rotta, per la seconda
volta.
Perché lui non le aveva mai accennato al motivo per cui aveva
imparato a trasformarsi e mai avrebbe potuto farlo: quello era un segreto dei
Malandrini e tale doveva restare, per preservare Remus,
certo, ma anche loro, che stavano agendo al di fuori della legge magica, e
infine anche chi ne fosse venuto a conoscenza, che avrebbe potuto essere accusato
di collusione, o ritrovarsi in pericolo, in caso di eccessiva curiosità. Eppure
lei lo sapeva, se era lì ad attenderlo, e forse aveva anche come al solito
indovinato ogni sua emozione prima ancora che lui sapesse di provarla.
- Io ti vedo – rispose lei, per la seconda volta.
E ancora la sincerità di Felis lo
debellò definitivamente, spezzò gli argini che lui aveva imposto alle sue
emozioni e lo costrinse a liberare tutto ciò che stava sentendo e a ricordare
ciò che aveva cercato di accantonare in un angolino remoto del suo cervello.
Aveva creduto di vivere una delle solite pazze ed esaltanti avventure dei
Malandrini, mentre si intrufolavano nel passaggio sotto al Platano Picchiatore
e si preparavano alla loro prima trasferta comune nel mondo degli animali, e
per qualche minuto, mentre si guardavano tutti e quattro, il cervo, il cane, il
topo e l’uomo, per qualche minuto era stato davvero così, e Sirius
era stato davvero euforico e felice e parte di una famiglia. Ma poi Remus aveva iniziato la trasformazione, e mentre affondava
il volto tra i capelli di FelisSirius
rivisse quei momenti terribili: lo strazio del corpo di Remus
che mutava in modo così violento, il rumore delle ossa e dei nervi che si
tendevano e contorcevano senza che il suo amico potesse controllarli in alcun
modo, lo spegnersi della sua mente che pian piano scivolava nel buio della
bestialità, la disperazione nel suo sguardo quando aveva compreso che l’istante
dopo non sarebbe più stato in sé, e poi quella cosa che avevano di fronte, che non
era più Remus, che era invece il peggior nemico di Remus, la sua prigione e la sua maledizione, la sua
diversità che nessun incantesimo avrebbe potuto spezzare od eguagliare, una
condanna da scontare per un crimine che non aveva potuto nemmeno compiere prima
di essere morso da bambino. E infine le urla. Quelle urla di odio snaturato, di
ferocia animalesca, di sete di violenza, spinta al punto da poter divenire
autolesionismo, se loro non fossero riusciti a trattenerlo e distrarlo. Tutta
una notte trascorsa a tenerlo il più possibile sotto controllo, ad impedire che
devastasse se stesso e loro come devastava quella casa che da allora sarebbe
stata creduta stregata, a salvarlo da quel fuoco che gli divampava nelle
viscere e che era stato di sicuro acceso all’inferno. Un inferno che ora Sirius portava anche nel suo animo, e che avrebbe rivissuto
ad ogni notte di luna piena, finché avesse avuto fiato in gola e sangue nelle
vene, finché avesse potuto combattere per la sua famiglia, finché avesse potuto
sopportare quel chiasso disumano che nulla aveva a che fare col suo modo di
combattere il silenzio.
Non si accorse di averla stretta troppo, non si accorse di
averla baciata rudemente, non si accorse di averle morso il collo finché riaprì
gli occhi e la vide respirare a fatica nella sua stretta, la bocca gonfia e
arrossata, un livido vicino alla spalla e gli occhi umidi, mentre tuttavia
continuava ad accarezzargli la nuca senza lamentarsi per il trattamento a cui
era stata sottoposta.
- Vuoi parlarne? – gli domandò dolcemente.
E Sirius comprese che lei sapeva
anche questo, sapeva cos’era successo, probabilmente l’aveva saputo da sempre,
come sarebbe andata, perché era più intelligente di lui, che si buttava nelle
cose senza un minimo di riflessione, perché era una Corvonero,
perché era Felis, perché era lei, e allora si era preparata a consolarlo e ad ascoltarlo e a
rivestire di blandizie e rassicurazioni il suo cuore scarnificato.
- No – rispose con un sussurro d’implorazione – Non voglio parlare.
La guardò come non aveva mai fatto, o come non le aveva mai
permesso di scorgere che lui la guardasse già da tempo, e lei capì cosa le
stesse chiedendo e lui vide le sue pupille dilatarsi e il suo volto impallidire
e poi avvampare, ma nessuna espressione mostrò la lotta interiore che lei forse
stava combattendo, e di cui Sirius conobbe solamente
l’esito, quando Felis si alzò in punta di piedi per
baciarlo in segno di assenso.
In seguito, avrebbe ricordato per sempre quella folle corsa
in cerca di una stanza vuota dentro cui chiudersi e dalla quale chiudere fuori
il resto del mondo, la fretta selvaggia con cui l’aveva spogliata, il lampo di
timore che era passato negli occhi di lei davanti a tutta quella foga, il modo
in cui lui si era dovuto frenare, poggiandole la fronte tra i seni ed
inspirando forte l’odore della sua pelle, l’attenzione con cui l’aveva deposta
al suolo, sui loro mantelli stesi come un lenzuolo improvvisato, la lentezza
con cui poi l’aveva esplorata, osservata, ascoltata, assaporata: un ricordo di
lei a cancellare ogni ricordo di Remus, un’immagine
di lei a coprire ogni immagine di quella notte, un gemito di lei ad attutire
ogni grido di quell’esperienza, il gusto di lei a levargli dalla bocca il
sapore acre della sofferenza.
Lei sapeva di burro e di zucchero, come il suo companatico
preferito, e stavolta Sirius nemmeno provò a
pensarlo, che non era da lui far caso al sapore di una donna, perché ormai si
era rassegnato al fatto che nulla, di quello che pensava e provava e faceva e
diceva con Felis, era da lui.
Lei non era da lui, con i suoi capelli spettinati, la sua
finta banalità, la sua fragile minutezza, la sua pedante responsabilità, il suo
sereno silenzio, e non solo e non tanto perché non era sicuramente il tipo di
ragazza con cui lui si era sollazzato in passato, ma perché fu con autentica
afflizione e una certa percentuale di umiliazione che Sirius
comprese che lei era troppo per lui,
ma che chissà come e chissà perché ora gli si stava concedendo. Alla fine lo
aveva saputo con certezza: lei lo era davvero, un diamante cristallizzato dal
carbone. Ma per fortuna di Sirius, era un diamante
nero, Black, come lui. E magari lui era la pressione
che l’aveva fatta cristallizzare, con tutto il chiasso che le aveva riversato
addosso, e allora poteva vantare una certa partecipazione in quel processo
naturale e prevedibile, o semplicemente rifulgere di luce riflessa e pretendere
un po’ di quella pregevolezza e perfezione anche per sé.
Le ultime cose che lei si lasciò togliere, dopo essersi
giudiziosamente fatta un incantesimo cautelativo al ventre, furono la bacchetta
e quello strano cordoncino che teneva l’arma ancorata al suo avambraccio, e che
fino a quel giorno le aveva sempre concesso la vittoria in ogni tenzone con
tutti, facendole scagliare per prima ogni magia. Ma ora voleva essere lui, a
vincere, ora che in seguito a quella notte si sentiva un perdente, come mai gli
era capitato, ma che lì, su di lei, si sentiva un vincente, come mai gli era
capitato, e lei glielo concesse con un mugugno di resa e disappunto, facendogli
intendere che mai nessuno prima d’allora le aveva levato quel bracciale.
E poi la vide, finalmente e totalmente nuda e disarmata sotto
di lui, come forse l’aveva desiderata avere sin dal primo istante, e quella
visione e quella consapevolezza gli fecero quasi friggere il cervello e lo
stomaco.
- Sono il primo? – ebbe la coscienza di informarsi, mentre le
allargava le ginocchia.
Lei scosse il capo in senso negativo e lui fremette di
collera, al pensiero che qualcuno l’avesse già avuta, e di sollievo insieme, al
pensiero che non le avrebbe fatto alcun male.
Poi fremette solo di lei, mentre la prendeva più in
profondità di quanto il suo corpo potesse arrivare e la scuoteva come nessuna
spinta avrebbe mai fatto e si univa a lei molto più indissolubilmente delle
loro membra aggrovigliate. E in ognuna delle oscillazioni che li videro
intrecciati, in ognuno degli amplessi che li accompagnarono sino al sorgere del
sole, Sirius purificò non solo quella notte ma tutta
la sua vita, mentre lei gli lavava via da ogni punto della pelle che riusciva a
toccare e leccare il peccato di essere quello che era. Quello che, da allora, non sarebbe stato mai più.
Quando, riscattato e rinato, si abbandonò sul suo petto, lei
gli prese una mano e se la portò all’altezza del cuore.
- Sei il primo, qui
– gli bisbigliò con quella sincerità a cui lui non si sarebbe mai abituato.
E Sirius si addormentò sorridendo,
nonostante il silenzio.
**********
La prima e ultima volta che litigarono fu il giorno in cui
lasciarono Hogwarts, dopo aver dato gli ultimi esami.
Non che non avessero animatamente discusso anche in
precedenza, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto di quella loro improbabile
eppure diuturna storia, ma solo perché quella era sempre stata la maniera in
cui avevano costruito il loro rapporto, fatto di schermaglie sorrise,
battibecchi sfidati, scaramucce intime. E tanti, tanti modi chiassosi e
silenziosi di fare la pace.
Ma mai, mai si erano spinti al punto da litigare davvero,
forse perché sapevano entrambi che il loro equilibrio era qualcosa di delicato
ed etereo, come tutte le cose davvero importanti della vita, e che avrebbe
potuto non resistere ad un assalto diretto. E che avrebbe potuto non resistere
alla realtà che stava andando loro incontro come un tornado di proporzioni
devastanti.
- Così è questo, ciò che hai da offrirmi? – gli chiese con le
palpebre sbarrate.
Sirius ci aveva messo giorni, per trovare
il coraggio di proporglielo, e si era aspettato un’accoglienza calorosa,
un’accettazione immediata, magari anche un po’ di sesso bollente per
festeggiare. Non quello sguardo allucinato e quella domanda posta in modo
angosciato, che gli fecero temere per un attimo che lei volesse schiantarlo.
Invece Felis chiuse gli occhi, e a lui parve di
vederla vibrare come scossa da qualcosa di insopportabile, prima che li
riaprisse e riacquisisse una compostezza rigida e glaciale che lo spaventò più
di qualunque bacchetta.
- In questo caso ti ringrazio, ma declino la tua offerta –
aggiunse lei con una voce che non aveva quasi nulla di umano.
- Non capisco, perché non vuoi venire a vivere da me?
Sul volto di Felis spuntò un mezzo
sorriso che lui giudicò la cosa meno allegra che avesse mai visto in vita sua.
- Da me. Non con me. Perché non potrei mai vivere con te, vero?
- E che differenza c’è? – domandò con una voce acuta dal
riverbero stranito e sciocco.
Perché la sua incomprensione saliva di pari passo con la pena
che le vedeva dipingersi sul viso, e di cui intuiva essere la causa senza
capirne il motivo.
- La differenza che c’è tra avere una relazione e vedersi di
nascosto dal resto del mondo.
- Ne abbiamo già parlato, lo sai che sto solo cercando di
proteggerti da quelle che potrebbero essere le vendette della mia famiglia, e
ora poi che entrerò definitivamente nell’Ordine della Fenice…
Se qualcuno nella sua affettuosa dinastia, che già
probabilmente intesseva fitte trame per annientarlo, avesse scoperto quel suo
punto debole femminile, non avrebbe esitato ad usarlo contro di lui,
soprattutto perché Felis era di origini Babbane.
- Ordine in cui non vuoi che entri anch’io.
- Perché non voglio che rischi la tua vita!
- Svegliati, Sirius, sono nata Babbana, se Voldemort dovesse
avere la meglio non ce l’avrò nemmeno più, una vita! No, tu non vuoi solo che
io condivida la tua, di vita, e in fondo una parte di me l’ha sempre saputo,
fin da quando sono scesa a patti con me stessa, rispondendo al tuo primo bacio.
Aveva affrontato ogni genere di violazione del codice
scolastico, di scontro con la sua famiglia, di pozione e di incantesimo usati
con poca cautela, ogni genere di pericolo insomma, ma per la prima volta nella
sua vita Sirius ebbe davvero paura, per quelle parole
che avevano insinuato in lui un dubbio atroce.
- Stai dicendo che ne sei pentita? Che rimpiangi quello che
c’è stato?
Quel sospetto lo stava facendo a pezzi dall’interno, tuttavia
proferì quell’interrogativo con una calma magistralmente simulata, perché anche
dopo tutte le volte in cui lei l’aveva accolto tra le sue braccia,
sciogliendogli via la pena e lo sconforto, anche dopo tutte le volte in cui lei
l’aveva compreso e prevenuto senza nemmeno bisogno di porgli domande, anche
dopo tutte le volte in cui lei gli aveva dimostrato in mille modi quanto lo
amava, benché non se lo fossero mai detti, anche dopo tutto questo non era ancora
pronto a mostrarle la stessa spaventosa sincerità che lei aveva sempre usato
con lui.
Felis lo guardò come se stesse pensando
proprio questo, e scelse di non rispondergli, mormorando invece, con amarezza,
la sua ultima recriminazione:
- Non hai nemmeno detto di noi ai tuoi amici, in tutto questo
tempo. Forse nemmeno con loro, sei in grado di condividere la tua vita.
Sirius chiuse la bocca, preso in
contropiede. Come poteva dirle che non ne aveva parlato coi Malandrini solo per
custodire dentro di sé quell’unico assaggio di vera felicità che aveva avuto da
quando era nato, quell’unico, piccolo e grandissimo frammento soltanto bello e
soltanto suo di tutta la sua
esistenza?
- E ora te ne esci con questa storia del venire a vivere
nella casa che ti ha lasciato tuo nonno. E come lo spiegheresti agli altri?
- Non c’è bisogno che lo sappiano – ribatté, con l’ovvietà
degli stolti - Possiamo farti uscire di nascosto se qualcuno viene a trovarmi o
inventare una scusa per…
Comprese di stare dicendo la cosa sbagliata quando la vide
indietreggiare con le mani sul ventre, come se avesse ricevuto un pugno in
pieno stomaco, mentre gli occhi le si inumidivano. Non che fino ad allora gli
fosse sembrato di aver detto alcunché di giusto.
- Capisco – mormorò atona – Non vado bene come tua ragazza o
come tua compagna in battaglia, ma vado benissimo per scaldarti il letto. È
questo che sono stata, sino ad oggi? Una scopata come le altre?
Non seppe mai se le parole che pronunciò dopo fossero state
generate dalla rabbia che gli causava il fatto che lei potesse pensare questo,
dal terrore di perderla che lo stava agguantando o, semplicemente, dalla sua
stupidità.
- Mi sembra che tu sia stata perlomeno molte scopate, non
credi?
Un secondo dopo avrebbe voluto rimangiarsi tutto,
inginocchiarsi al suo cospetto e dichiararle tutti i sentimenti che non era mai
riuscito a dirle esplicitamente. Ma era
un secondo troppo tardi.
Perché lei era già uscita da quella stanza, lanciandogli un PetrificusTotalus
perché non potesse seguirla, e lui conosceva bene lo sguardo che gli aveva
rivolto prima di andarsene, perché l’aveva visto mille volte, sui volti dei
suoi famigliari: uno sguardo di biasimo e delusione. Ma se in loro era
espressione dell’odio che gli riversavano addosso, in lei era espressione
dell’amore che gli aveva donato con tutta se stessa e che ora avrebbe sepolto
in un angolo silenzioso del suo cuore.
**********
L’ultima volta che fecero l’amore fu il giorno in cui James e
Lily vennero uccisi, proprio mentre James
e Lily venivano uccisi.
Quando quell’ultimo maledetto pomeriggio ad Hogwarts qualcuno era venuto ad annullare l’Incantesimo delle Pastoie che lo teneva
immobilizzato, Sirius era corso a cercarla per tutta
la scuola, ma lei aveva già fatto i bagagli ed era sparita. E quando aveva
finalmente trovato il coraggio di presentarsi a casa sua, pochi giorni dopo, i
genitori di Felis gli avevano detto che era partita,
e si erano dimostrati spiacenti di non sapere dove fosse, sostenendo che la
loro ignoranza del mondo magico li aveva sempre tenuti all’oscuro delle
decisioni della figlia. Sirius, che durante la sua
poco onorevole carriera scolastica aveva fatto della menzogna un’arte, sapeva
riconoscere una bugia quando qualcuno la stava ancora formulando nella sua
mente, e aveva ampiamente capito che i genitori della ragazza erano
perfettamente al corrente di tutte le decisioni di Felis,
compresa quella di non rivederlo mai più. Aveva per un attimo accarezzato
l’idea di provare a strappare loro la verità con la magia, ma aveva compreso
che, se aveva ancora una minima possibilità di essere perdonato, questo
l’avrebbe definitivamente polverizzata, così se n’era tornato a casa con la
coda tra le gambe, pensiero che l’aveva fatto mestamente sorridere per
l’allusione al cane in cui sapeva tramutarsi. Un cane a cui mancava dannatamente il suo gatto.
Nei mesi successivi aveva cercato febbrilmente di scoprire
dove fosse, ma pareva che lei fosse sempre un passo avanti a lui nel cancellare
le sue tracce e nello spostarsi appena lui scovava il suo nascondiglio. Intanto
la minaccia di Voldemort si faceva sempre più
incombente, e lui aveva avuto sempre meno tempo per indagare su di lei e sempre
meno voglia di rischiare di coinvolgerla in quella guerra, nonostante non si
sentisse abbastanza altruista da lasciarla andare per sempre pur di saperla al
sicuro, e nonostante l’unico posto in cui volesse vederla al sicuro fosse tra
le sue braccia.
Aveva considerato giorno dopo giorno, mese dopo mese, il male
che doveva averle fatto, tacendo a tutti la loro storia, estromettendola da ciò
che faceva coi Malandrini, separando insomma le sue due famiglie, le sue due
vite, come se ci fossero due Sirius; e forse c’erano,
ma erano uno per le persone che amava e uno per il resto del mondo, e non c’era
dubbio che lei fosse tra le persone che amava, e allora avrebbe dovuto
lasciarla entrare davvero, nella sua vita e nel suo cuore, così come lei aveva
fatto con lui. Infine aveva inteso perché lei avesse letto la sua proposta come
un’offesa: lui l’aveva trattata da amante
e non da amata, aveva limitato i loro
rapporti alle lenzuola, negando a lei e a se stesso la possibilità di vedersi
alla luce del sole perché questo lo liberava dal doversi mettere in gioco a
tutti gli effetti. Perché in realtà era lui, che paventava che lei lo vedesse
alla luce del sole e lo trovasse insignificante e inutile. Come un pezzo di
carbone, ma di quel carbone da cui non si sarebbe mai cristallizzato alcun
diamante.
L’aveva fatta sentire di poco valore,
solo perché ci si sentiva lui.
E se Felis provava per lui ciò che Sirius provava per lei, allora la delusione nel constatare
che lui non intendeva cambiare le cose fuori da Hogwarts
doveva averla annientata, almeno quanto lui era annientato dall’idea di dover
vivere senza lei.
Poi di lei erano scomparsi tutti gli indizi, e Sirius aveva compreso che doveva essersi accorta di quanto
lui fosse vicino a trovarla e doveva aver cambiato nome e identità. Aveva
rivisto mentalmente tutte le volte in cui gli era apparsa amareggiata e delusa
eppure aveva continuato a stare con lui, in quel modo insufficiente che lui le
imponeva, cedendo continuamente agli impedimenti che lui andava enumerando per
convincerla a farsi bastare quello che le dava, e ora pensava che forse lei
continuava a scappare con tanta ostinazione perché temeva che se l’avesse
rivisto gli avrebbe nuovamente ceduto, ma Felis non
sapeva che Sirius non voleva più alcun cedimento da
parte sua, voleva solo lei, voleva essere lui a cederle e a cedersi del tutto,
e se solo fosse riuscito a dirglielo o a farglielo sapere, se solo fosse
riuscito a contattarla in qualche modo… Aveva mandato gufi su gufi, agli
indirizzi in cui aveva scoperto che lei era stata, ma ancora nessuno era
riuscito a raggiungerla. In quei biglietti, aveva scritto una semplice frase,
l’unica che lei avrebbe letto immediatamente come la più esplicita delle
dichiarazioni: ‘Vieni a vivere con me’.
E poi c’erano stati il matrimonio di James e Lily, la nascita
di Harry, la profezia che designava il piccolo come il bersaglio privilegiato
di Voldemort, l’Incanto
Fidelius, e Felis era
sempre rimasta al primo posto nei suoi pensieri ma non nei suoi doveri, che
erano divenuti quelli di proteggere la sua famiglia di Malandrini. In tutto
quel tempo, Sirius aveva celato al resto del mondo la
sua sofferenza, e soltanto lei avrebbe capito quanto fosse immensa, notando
come fosse ormai sempre più incapace di restare in silenzio anche solo un
minuto, e come riempisse ogni anfratto fuori e dentro di lui con tutto il
chiasso di cui era capace.
E poi venne quella notte, in cui lei si presentò alla sua
porta, con uno dei suoi biglietti tra le mani.
Quando Sirius aprì l’uscio, l’unica
cosa che lo trattenne dal buttarlesi addosso fu il
sospetto che fosse un’allucinazione: in quegli anni l’aveva sognata talmente
tante volte e con una tale intensità e verosimiglianza da risentire al
risveglio il sapore dei suoi baci e l’odore della sua pelle, e non era la prima
volta che quelle immagini oniriche si confondevano con la realtà. Poi scorse le
differenze in lei, date dal tempo trascorso, e comprese che non avrebbe mai
potuto immaginare come il suo viso si fosse affilato nella crescita, come le
sue forme si fossero riempite e arrotondate, come avesse tagliato i capelli
all’altezza della nuca, come avesse imparato a truccarsi, come i suoi occhi
fossero divenuti ancora più profondi. E
allora le si buttò addosso.
La imprigionò tra le sue braccia, cercandole prima le labbra
e poi baciandola ovunque potesse arrivare, maledisse i vestiti che gli
impedivano di sentire di nuovo la consistenza delle sue membra sotto i
polpastrelli, represse un singhiozzo tra i suoi crini e uno spasmo sul suo
petto.
- Niente di niente – gli disse lei, nei pochi secondi che le
sue labbra le lasciarono per respirare – Non rimpiango niente di niente.
Non fu facile, ricordarsi che erano ancora in mezzo alla
strada e trovare la forza di tirarla dentro, spogliarla con le mani invece che
con la bacchetta, cercare un letto invece di prenderla contro al muro o sul
pavimento, ma per nulla al mondo Sirius avrebbe
rinunciato a strapparla dagli occhi di tutti e pretenderla solo per i suoi,
godersi ogni singolo centimetro di epidermide che andava scoprendo, offrirle
tutta la morbidezza di cui disponeva, nei luoghi e nelle carezze e nei baci e
nelle spinte.
- Lo dirò a tutti – le disse con le parole e coi gesti,
amandola come non aveva mai fatto – Lo urlerò al mondo intero, a squarciagola.
Lei lo strinse maggiormente tra le sue gambe, ricevendolo più
a fondo.
- Sei sempre stato chiassoso – ansimò sorridendogli sulle
labbra.
**********
L’ultima volta che la baciò fu il giorno in cui lei morì, lo
stesso giorno di James e Lily, poco dopo che avevano fatto l’amore per l’ultima
volta, poco dopo che James e Lily erano morti.
- Devi dirglielo proprio adesso? – gli chiese Felis, coprendosi il seno con il lenzuolo.
- Ho aspettato anche troppo – le rispose, mentre si rivestiva
– Non rifarò gli stessi errori e voglio dimostrartelo subito: non ho intenzione
di trascorrere più un solo minuto senza che tutto il mondo sappia di noi.
- Io speravo che non volessi trascorrere più un solo minuto
senza di me… - gli sussurrò languida, lasciando di nuovo scivolare giù il
tessuto che celava la sua nudità.
Sirius tentennò un attimo, con i pantaloni
ancora aperti, a dorso nudo: averla lì, calda nel suo letto, dopo tutte le
volte che l’aveva vagheggiata in quel modo, abbandonata e pronta per lui, era
una tentazione immensa, ma alla fine scosse il capo e controllò con una certa
difficoltà la reazione eccitata del suo inguine. Non voleva averla solo
fisicamente, la voleva interamente e per tutti i giorni a venire, e se questo
significava sacrificare il resto di quella notte era disposto a farlo. Era disposto a sacrificare qualunque cosa,
per lei.
- Non mi tentare, è scorretto da parte tua – le disse
infilandosi la maglia – Sai che finirei per cedere e sai che non è questo che
vuoi nemmeno tu.
Lei rise cristallina, ricadendo sul cuscino da cui si era
alzata per guardarlo, con dipinta sul volto un’espressione quasi più
soddisfatta di quella che aveva avuto dopo il loro ultimo amplesso, e allora
lui capì.
- Era una prova, vero? Volevi vedere se faccio sul serio.
- Non ti arrabbiare – gli mormorò dolcemente come ammissione
– Pensa solo che costa anche a me, lasciarti andare via adesso.
- Sei una piccola manipolatrice.
- Tu torna in fretta, e ti prometto che ti manipolerò abbastanza da farmi
perdonare.
- Tu non hai nulla da farti perdonare – le disse chinandosi a
baciarle una spalla.
- Nemmeno tu – rispose serenamente lei.
Sirius aggrottò le sopracciglia, pensando a
come si era comportato con lei, ma quando incrociò il suo sguardo lindo e
comprensivo intuì che Felis non stava parlando solo
della loro storia o del loro litigio, ma di tutto il peso di essere se stesso
che lui aveva sempre portato sulle spalle come un delitto da espiare, e di cui
ora lei lo stava alleggerendo con l’autorità che le garantiva il fatto di
amarlo. Perché lei lo amava. Lo vedeva,
per quello che era, e lo amava. Non gliel’aveva detto, ma gliel’aveva
dimostrato. E amandolo, l’aveva liberato.
Perché era stato lui, quello che aveva sempre rimpianto
tutto, nella vita: ciò che era e ciò che non era, ciò che aveva e ciò che non
aveva, ciò che faceva e ciò che non faceva. Tutto
tranne lei. Non avrebbe mai rimpianto di essersi innamorato di lei.
- Con chi cominci? – gli chiese, abbandonando di malavoglia
le sue carezze.
- Con Peter. Anche perché ultimamente è stato strano e voglio
andare a vedere come sta. Poi passerò da Remus, e
infine da James e Lily e domani, se vuoi, lo farò pubblicare su tutti i
giornali del mondo magico e scenderò in strada a gridarlo a tutti.
- Non ti sembra troppo chiassoso perfino per te? – rise di
nuovo Felis.
Lui si chinò a baciarla, assaporando le sue labbra soffici e
radiose.
- Dovresti saperlo: niente è mai troppo chiassoso, per me.
**********
L’ultima volta che la vide fu quello stesso giorno, meno di
un’ora dopo.
Era fuggito dalla dimora vuota di Peter con l’orrenda
consapevolezza che si faceva strada nelle sue ossa, aveva visto la devastazione
nella casa dei suoi più cari amici ed ora stava fronteggiando il traditore, in
mezzo alla strada.
Pochi minuti prima era l’uomo più felice del mondo, ora si
sentiva il più disgraziato: Felis gli aveva appena
rimesso colpe che non gli appartenevano ed ora sapeva che la morte di James e
Lily sarebbe invece stata sempre colpa sua: era stato lui a proporre Peter come
custode dell’Incanto Fidelius,
lui aveva creduto di sviare Voldemort consegnandogli
invece la vita dei suoi amici.
Non c’era più nulla da dire, nulla da fare: ormai si trattava
della sua vita o di quella di Peter. In quel momento alzò gli occhi e la vide.
In mezzo alla folla, con i vestiti e i capelli in disordine, che lo guardava
terrorizzata. Doveva aver sentito la notizia per radio, o doveva essere stata
avvisata, dal momento che tutto il mondo magico sapeva di certo cosa fosse
successo e stava accorrendo. Ma lei era arrivata tra i primi, e ora tendeva
verso di lui il braccio, disperata, con un’espressione mortificata.
Sirius le guardò la mano vuota, il polso
vuoto, e capì.
Non aveva il cordoncino, perché lui gliel’aveva levato mentre
facevano l’amore, come aveva sempre fatto durante i loro amplessi, nonostante
le rimostranze di lei, bramoso di sentirla totalmente nuda e disarmata sotto di
lui.
Non aveva la bacchetta.
E ancora una volta, era colpa sua.
Ma l’ultima cosa che vide, mentre l’incantesimo conflagrava
tutto intorno a lui, furono i suoi occhi azzurri che lo proscioglievano anche
di quello e le sue labbra che mimavano tre parole.
Niente di niente.
Lei non rimpiangeva niente di niente.
Si parlò di una dozzina di Babbani
morti quel giorno. Lei aveva cambiato nome, per non farsi trovare da lui
durante quegli anni, e nessuno la riconobbe. Era sempre stata abbastanza in
disparte, anche ad Hogwarts, e molto silenziosa: i
discorsi più lunghi e chiassosi li aveva fatti solo con lui. I suoi genitori Babbani piansero la scomparsa di una figlia con un funerale
Babbano, senza conoscere mai la verità. Nessuno seppe
mai nulla di lei, e lui non lo disse.
Si portò quel segreto ad Azkaban.
In seguito, gli avrebbero chiesto come aveva fatto a
resistere ai Dissennatori, e lui avrebbe spiegato che
non c’era felicità nei suoi pensieri da strappargli via.
E in effetti non gli dava alcuna felicità ripensare a
quell’ultimo amplesso caldo e setoso e a quell’ultimo bacio accennato e a
quelle ultime parole scherzose, dal momento che non avrebbe mai più potuto
rivivere nulla di tutto questo con lei, perché lei era morta. Ma non avrebbe mai rimpianto di essersi
innamorato di lei.
Perché ogni istante che visse in quelle prigioni, l’ultimo
sguardo e le ultime parole di assoluzione di Felis lo
salvarono dall’orrore del silenzio.
**********
Soltanto due continuavano a
combattere, a quel che pareva ignari del nuovo arrivo. Harry vide Sirius schivare il fiotto di luce rossa di Bellatrix e deriderla.
- Avanti, puoi fare di meglio! – le
gridò, la voce echeggiante nella vastissima sala.
Il secondo getto luminoso lo colpì in
pieno petto.
La risata non gli si era ancora
spenta sul viso, ma il colpo gli fece sgranare gli occhi.
Senza rendersene conto, Harry lasciò
andare Neville. Saltò ai piedi della gradinata ed estrasse la bacchetta, mentre
anche Silente si voltava verso la piattaforma.
Sirius parve impiegare un’eternità a
toccare terra: il suo corpo si piegò con grazia e cadde all’indietro oltre il
velo logoro appeso all’arco.
Harry colse un misto di paura e
stupore sul suo volto sciupato, un tempo così attraente, mentre varcava
l’antica soglia e spariva dietro il velo, che per un momento ondeggiò come
scosso da un forte vento, poi ricadde immobile.
(Harry Potter
e l’Ordine della Fenice, pagg. 746 – 747)
- Sei in ritardo – lo rimproverò appena lo vide.
Lui alzò gli occhi fin dove teoricamente avrebbe dovuto
esserci il cielo.
- Scusami, se non sono morto prima – disse sarcastico.
- Per questa volta ti scuso – rispose lei, portando le mani
ai fianchi in atteggiamento saccente – Ma non farci troppo l’abitudine.
- Con te, tesoro - ribatté costringendola a lasciarsi
abbracciare -, non ho mai fatto l’abitudine nemmeno a respirare.
Felis cedette subito alla sua stretta,
appoggiando il viso sul suo torace, e solo allora lui aggiunse:
- Non senza di te, perlomeno.
Stettero così per un tempo indefinibile, cullandosi a
vicenda, in quel nulla che però era così pieno di loro.
- Dove siamo? – domandò Sirius, la
bocca immersa nei suoi capelli.
- Lassù, laggiù… - rispose vaga lei – Ha importanza?
- È solo un sogno? L’ultima illusione di un uomo morente?
- Forse – gli mormorò dolcemente – Ha importanza?
- No – concesse gioioso lui – In effetti non ce l’ha. Non se
posso fare questo.
La baciò come la prima volta, con una foga adolescenziale che
cancellò in lui tutti quegli anni di dolore e distacco e solitudine, e gli
azzerò i sensi facendo sparire tutto ciò che non fosse lei. Non che ci fosse
altro intorno a loro, effettivamente, ma con quel bacio non ci fu più altro
nemmeno dentrodi lui.
- E quindi – riprese staccandosi lento da quelle labbra
agognate -, quali sono le regole, qui?
Lei scoppiò a ridergli in faccia.
- Lo chiedi solo per poterle infrangere tutte?
Lui alzò un sopracciglio, in parte fintamente offeso, in
parte sinceramente divertito.
- Nessuna regola – continuò Felis,
col sorriso ancora sulle labbra – Puoi essere tutto quello che vuoi, dovunque
vuoi e comunque vuoi. Puoi fare tutto quello che vuoi.
- E tu che hai fatto, sinora?
- Ho aspettato te – ammise trasparente.
E come sempre, c’era nella sua sincerità la capacità di
sconfiggerlo come nessuna frottola avrebbe mai fatto, e di disarmarlo e
atterrarlo come il più potente degli incantesimi.
Il vuoto intorno a loro iniziò a tremolare, colori e forme e
linee corsero loro incontro, vorticarono allegre per poi ricomporsi alle loro
spalle in un letto spazioso ed invitante.
- Cosa avresti intenzione di fare? – chiese Felis con vago tono di rimprovero.
- Mi sembra evidente – rise lui, prendendola in braccio e
scaraventandola sul letto – Quello che ho sempre fatto in vita. Non trovi che
ci sia troppo silenzio?
I vestiti scomparvero in un soffio, mentre lei gli apriva le
membra ed il cuore. Ritrovarono immediatamente la complicità e l’affiatamento,
si perlustrarono riconoscendosi nel corpo e nell’anima, ripercorsero con
sicurezza le strade della pelle e dei nervi, e poi, quando venne il momento,
lei gli prese il volto tra le mani, fissandolo con un amore che lui non si
sarebbe mai sognato di poter meritare.
- E va bene, Sirius – gli respirò
sulla bocca, accogliendolo in sé – Facciamo chiasso.
Oh, lo avrebbero fatto, pensò lui iniziando a muoversi in lei
e con lei, avrebbero fatto un tale chiasso da riempire il silenzio che regnava
lassù o laggiù ed anche dentro di lui, e l’avrebbero fatto in eterno e lui non
avrebbe mai più temuto l’assenza di rumore.
Perché ora lo che la sentiva scalciare furiosa, fremendo per
tamburellarle il suo amore, bussando violenta per uscirgli dal petto, dagli
occhi e dalla gola e prostrarsi ai piedi di Felis,
sapeva che era quello, il chiasso che aveva cercato per tutta la sua esistenza,
l’unico in grado di non farlo sentire mai più solo, in vita ed in morte sua,
l’unico che non avrebbe mai rimpianto.
Di carne e di carta è stata revisionata e pubblicata. La
trovate su Amazon qui e su Goodreadsqui.
Ad esso va ad
aggiungersi il mio nuovo libro, totalmente inedito, Trentatré. Lo trovate su Amazon qui
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Grazie
A mio marito, che sa spegnere col suo silenzio il chiasso dei miei
pensieri
A tutti quelli della Picta! Comics
che hanno avuto l’idea di questo concorso, spingendomi a mettere per iscritto
una trama che mi frullava in testa già da tempo
A SiriusBlack, che
per mesi mi ha chiesto di raccontare questa storia, prima lusingandomi e poi
minacciandomi con la bacchetta, e non sto parlando dell’arma magica
A Edith Piaf, il Passerotto, che ha perduto il suo grande amore e ha
ispirato gli amori degli altri, che ha dato l’aspetto a Felis
e la cui voce mi ha accompagnato durante la stesura di queste pagine
A tutti voi, che vi dimostrate sempre pronti a leggere qualunque follia
passi per la mia mente bacata, che mi avete sempre seguito su efp, su Facebook, sul blog, per
mail, per messaggio
Citazioni: Le ‘sudate carte’ vengono da A
Silvia, di Leopardi; ‘Passerotto’
era appunto il soprannome di Edith Piaf, da cui ho davvero tratto l’aspetto di Felis e la cui canzone Non,
je ne regretterien mi ha ispirato tutta la one-shot
e mi ha fornito la battuta ‘Niente di
niente. Non rimpiango niente di niente’; tra le costellazioni
obsolete quella del Gatto (Felis) venne così
nominata da JérômeLalande
nel 1805, mentre oggi ricade nella costellazione dell’Idra; tutta la parte in
corsivo ‘Soltanto due… ricadde immobile’
viene, come esplicitamente scritto, da Harry
Potter e l’Ordine della Fenice; l’opzione ‘lassù o laggiù’ è una citazione da una mia altra storia, il Canto di Natale di DracoMalfoy.