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Prologo
Guardava il paesaggio fuori dal finestrino scorrere sempre più
velocemente, senza vedere realmente ciò che aveva davanti.
Era assurdo quello che gli era successo, assurdo il fatto che
avesse dovuto accettare quell'imposizione a 19 anni.
Suo padre l'aveva avuta vinta alla fine, aveva giocato su dei
sentimenti che credeva sopiti sotto la facciata da “menefreghista”: compassione
e, non lo avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura davanti ad altri, amore.
Perché era inutile e sciocco credere di non provare affetto per sua madre.
Affetto, mischiato ad odio per quella madre che se n'era andata quando era
ancora piccolo. Quella madre che non vedeva più da sei anni, che si faceva
sentire sempre più raramente e solo in occasioni particolari.
-Daniel, ti prego.- La voce di suo padre uscì
smorzata; gli costava molto tutto quello, gli costava molto, tutto sommato,
separarsi dal suo unico figlio per qualche mese.
-Fallo per me, per lei.- Proseguì distogliendo un
attimo lo sguardo dalla strada per puntarlo sul ragazzo.
Daniel scosse la testa, sorridendo amaramente; i capelli castani
ondeggiarono lievemente a quel movimento.
Non capiva. Nessuno capiva come si sentiva. Deluso, amareggiato,
incazzato. Incazzato con lei per il suo non esserci mai stata,
incazzato con se stesso per averla scostata e allontanata sempre di più dalla
sua vita e incazzato con quella...cosa che ora rischiava di
portargli via un pezzo della sua vita, un pezzo che lui aveva cercato di
rinnegare con tutte le sue forze ma che c'era. C'era e si faceva dannatamente
sentire.
Non si dissero più niente per tutto il resto del viaggio, fino
all'arrivo. Un arrivo che Daniel volle considerare solo come un punto di
partenza; non vedeva già l'ora di andarsene di lì, di tornarsene nella topaia
schifosa che era l'appartamento di suo padre, di tornarsene alla sua vita di
sempre.
Suo padre lo abbandonò su quel vialetto senza
dire niente, accennando appena un saluto con la mano. Non c'era molto da dire,
non si erano mai detti molto. La conversazione più lunga l'avevano avuta appena
una settimana prima, quando lui l'aveva convinto ad andare a casa della madre
per alcuni mesi. Per quanto tempo si sarebbe dilungata la sua permanenza non si
sapeva, dipendeva tutto dalle condizioni di sua madre.
Imprecò un paio di volte fra i denti prima di trovare il coraggio
di suonare al campanello.
In quei pochi secondi di attesa, si accorse di essere ansioso come
non lo era da tempo. Il suo cervello valutò l'ipotesi di scappare; se sua madre
fosse stata diversa da come la ricordava, più spenta a causa
della malattia, non avrebbe saputo cosa fare, come reagire. A dire il vero non
sapeva comunque come reagire, cosa dire...dopo tutto quel tempo...
Ad aprire la porta fu proprio lei: era come la
ricordava, pensò Daniel con un certo sollievo. Solo un po' dimagrita, ma sempre
con quel sorriso...materno dipinto in faccia.
-Daniel...- Mormorò con occhi lucidi, prima di correre ad
abbracciarlo con forza. Una forza che un corpo così magro non sembrava essere
in grado di generare.
Lui non si mosse, rimase impassibile davanti a quello che gli
sembrava solo un chiaro gesto d'apparenza, di facciata. Non era mai stata una
vera madre, non aveva mai azzardato nemmeno una carezza per quanto ricordava.
Solo botte. E parole cattive, più taglienti di una lama.
Maledetto il giorno in cui sei nato, ti odio!
Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo; ancora si chiedeva
che cosa diavolo ci facesse lì.
Dopo aver adempito al suo “compito” di madre, si spostò di lato
per farlo entrare, tutta entusiasta di mostrargli la casa.
Nessuno osò sfiorare l'argomento “tumore”, né lei, né tantomeno
Daniel.
-Le valigie lasciale pure qui, voglio prima mostrarti una cosa.-
Il ragazzo la guardò incerto, chiedendosi che cosa potesse rendere
la madre così radiosa. La sua presenza forse? Ne dubitava. Ricordava di averla
vista sempre e comunque indifferente. La seguì con lo sguardo mentre si
avvicinava al camino e prendeva un portafoto.
-Ecco, questo è Richard. È un uomo meraviglioso Dan, sono sicura
che andrete d'amore e d'accordo.-
Perché glielo stava dicendo con tutto quel trasporto? Cosa gliene
importava a lui?
Daniel prese in mano la foto, giusto per non lasciarla cadere in
terra, non perché realmente interessato a vedere l'uomo che faceva brillare gli
occhi di sua madre.
Tanto poi tradirai pure lui, come hai fatto con papà, pensò con cattiveria.
-E questa...- Sua madre esitò, sorridendogli maliziosa nel
porgergli un'altra foto, -È Judith, sua figlia.- Sembrava ancora più
elettrizzata se possibile.
Dan scrollò le spalle e, dopo aver depositato l'altra foto, prese
ad osservare quella fra le mani della madre.
Non vi prestò nemmeno troppa cura nell'esaminare la ragazzina
dall'aria perfetta raffigurata, solo il vestito bianco e confettoso che
indossava lo aveva disgustato ancor prima di arrivare al viso.
Si limitò ad annuire, mordendosi il labbro per risparmiarsi
qualche battuta stronza, degna di lui.
Un fidanzato perfetto. Una figlia femmina perfetta.
Sua madre aveva tutto quello che aveva sempre desiderato, constatò stringendo
le mani a pugno. Di nuovo si chiese che diavolo ci fosse andato a fare lui lì.
Il ragazzo ribelle e strano che a soli diciannove anni aveva deciso di andare a
lavorare senza laurearsi in qualche college prestigioso, di sicuro stonava in
quella casa.
-Vieni, ti faccio vedere la tua stanza.- Quel silenzio doveva
essere diventato parecchio imbarazzante per la donna, che non sapendo bene che
cosa stesse passando per la testa del figlio, cambiò argomento.
Daniel la seguì, neanche troppo interessato a vedere la stanza dove
si sarebbe rinchiuso ed isolato in quei mesi. Perché una cosa era certa: non
avrebbe mai assecondato quella stronzata, non avrebbe mai giocato alla
famigliola felice con quei tizi, non ne aveva nessuna voglia.
Sua madre si arrestò titubante, davanti ad una porta dove la
scritta “Non disturbare” spiccava sfacciata. La aprì con un gesto veloce ma
debole, tanto che la porta non si spalancò del tutto.
-Questa sarebbe la camera di Jude.- La donna aggrottò la fronte,
chinando il capo di lato, -Purtroppo non abbiamo una camera per gli ospiti. Lei
dormirà in camera con noi durante la tua permanenza qui.- Spiegò tutto d'un
fiato, stupendo sempre di più il ragazzo che non riusciva a credere a quello
che sentiva. Gli avrebbero lasciato la camera della figlioletta perfetta? A
lui? L'avrebbero sfrattata dalla sua stanza...per lui? Immaginava di dover
dormire sul divano o in uno stanzino più simile ad una specie di soffitta, di
certo non in una camera munita di tutti i comfort possibili. Televisione, Pc,
stereo. Certo, era tutto decisamente troppo femminile per i
suoi gusti, ma avrebbe anche potuto sopportare il rosa in cambio di una
televisione al plasma e di un pc d'ultima generazione.
-E alla tipa sta bene?- Non riuscii a fermare il sopracciglio, che
si alzò e confermò lo scetticismo presente nella voce. Troppo strano che la Barbie avesse acconsentito
a lasciargli la sua stanza così.
-A Jude?- Sua madre calcò non poco il nome della ragazza, -Certo
che sì. Te l'ho detto, è una ragazza d'oro e...-
-Sé sé.- Fece scocciato, interrompendola con un gesto brusco della
mano.
-Le tue cose te le porterà su Richard, se vuoi riposare adesso...-
Quella frase lo fece scattare come un felino contro la sua preda,
-Assolutamente no.- Sibilò gelido, uscendo dalla stanza con l'intento di
prendere da solo le sue valigie. Non voleva nessun favore da parte di
quell'uomo.
Le afferrò con stizza, risalendo rabbioso le scale ed ignorando i
richiami flebili di sua madre.
-Dan...-
La ignorò di nuovo, richiudendosi con un gesto secco la porta della
stanza alle sue spalle. Appoggiò le sue cose vicino al letto e vi si sdraiò
sopra esausto. Storse il naso non appena si accorse di quell'odore
così...nauseante che aleggiava nella stanza. Cazzo, i suoi vestiti avrebbero
assorbito quella puzza di...fragola e...qualcosa di dolce non ancora definito.
-Ceniamo alle sette,- Riprese sua madre da dietro la porta, dopo
un sospiro rassegnato, -Cerca di essere puntuale, per favore.-
Per favore. Gli chiedeva pure per favore! Con quel tono da povera madre
maltrattata e ferita! Avrebbe voluto mandarla più che volentieri in un posto,
ma si morse la lingua e rimase zitto, voltandosi dall'altra parte senza dire
nulla.
Non si accorse che, pian piano, stanco e provato dal viaggio, finì
per addormentarsi.
Una macchina bianca si fermò appena due ore dopo davanti allo
stesso vialetto. Al suo interno erano ben visibili due sagome: una più
imponente, robusta e marcata; l'altra più esile, fine e delicata.
-Per Delia è molto importante.- Ribadì con voce autoritaria
l'uomo, spegnendo il motore e restando in silenzo, in attesa di sentire una
risposta che non tardò ad arrivare.
-Papà...- La voce, nonostante il tono basso, era decisa, pulita e
seria. -Lo so che è importante per te la felicità di Delia e lo è anche per me,
credimi.- Posò la sua piccola mano su quella del padre, ancora appoggiata al
volante, -Specie in questi mesi.- Quella stessa voce, perse un po' della sua
sicurezza e si incrinò. -Ma...- Sospirò, cercando di non far trapelare il suo
disappunto in modo troppo brusco, -Non sono d'accordo con questa vostra
decisione. Io ho bisogno della mia stanza per tutto. Ci sono tutte le mie cose
lì! E dove potrò studiare poi? Lo sai che ho bisogno di un posto tranquillo
dove concentrarmi!- La ragazza riprese fiato e si spostò i lunghi e ricci
capelli neri irritata: si era ripromessa di non aggredire troppo il padre, non
dopo tutto quello che stava passando, ma non era proprio riuscita a
trattenersi.
-Questo è l'anno del diploma...- Piagnucolò poi, in tono quasi
implorante.
-Lo so cucciola, lo so. Ma Delia ci tiene. Lo sai, è un suo
desiderio. Vuole trascorrere del tempo con suo figlio e noi non possiamo essere
così crudeli da impedirglielo.- L'uomo scese dalla macchina, seguito dalla
figlia, e si avviò a grande falcate verso la sua abitazione.
-Sì, ma non c'era alcun bisogno di dargli la mia stanza!- Sbottò
ancora una volta lei, odiando il fatto che uno stupido, puzzolente e
cavernicolo maschio avrebbe intaccato la sua preziosa e piccola dimora
personale.
-Non puoi mica lasciarlo dormire sul divano. È questo il tuo
concetto di ospitalità? È così che vuoi trattare il figlio della mia donna?- La
guardò con rimprovero, prima di infilare la chiave nella serratura della porta.
-No, ma...- Sbuffò, incrociando le braccia al petto contrita. Le
avrebbe dato fastidio la presenza di una ragazza estranea in camera sua,
figuriamoci di un ragazzo! Chissà quali porcate avrebbe potuto fare in camera
sua, sul suo letto!
-È solo per poco.- La voce del padre si addolcì, insieme ai lineamenti del suo
viso.
Avrebbe voluto ribattere con un acido “Lo spero”, ma se lo avesse
detto, avrebbe involontariamente augurato una possibile e veloce morte alla
povera Delia, a cui lei comunque teneva molto. E quello, ne era certa, avrebbe
ucciso di rimando anche suo padre. Sarebbe uscito distrutto da tutta quella
faccenda.
Doveva rassegnarsi al fatto che quell'essere malefico mandato
dall'Inferno come punizione per qualche stronzata che doveva aver fatto,
avrebbe vissuto con loro fino...alla morte o alla guarigione di Delia.
Note dell'autrice
Non so che cosa mi stesse passando per la
testa mentre scrivevo questa cosa. Ho talmente tante altre
cose da scrivere, non ho proprio tempo per questa...eppure non sono riuscita ad
impedirmi di farlo, in quel momento l'ispirazione mi è venuta e non ho saputo
chiuderle la porta in faccia...
Ci tengo a precisare che non
trascurerò nessuna storia per questa. Probabilmente
questa la continuerò a scuola sul quaderno o nei momenti in cui il mio pc non è
a portata di mano.
Questa storia potrà sembrare scontata,
banale, monotona e simile alle altre che ho scritto, lo so. Però...era da un
po' di tempo che volevo provare a scrivere qualcosa del genere -non solo in
terza persona-; mi è arrivata più di una critica riguardo i sentimenti della
protagonista di Kidnapped by Love (altra mia storia per chi non la conoscesse),
mi han detto che i suoi sentimenti ed il suo modo di agire non sembrano reali e
coerenti. Ebbene, con questa storia ci riprovo a scrivere qualcosa di reale.
Non sarà semplice descrivere i sentimenti di Daniel, non sarà semplice
descrivere un qualcosa che non ho mai vissuto grazie al cielo e che si distacca
completamente dalla mia vita. Non sarà come descrivere la sofferenza in amore
di Alice (Tra l'odio e l'amore), non sarà come descrivere la paura di Allison
dopo essere stata rapita (Kidnapped)...si tratterà di descrivere la rabbia ed
il dolore di un figlio. La storia non ruota attorno alla madre però, questa è
una storia d'amore.
Non vi spaventate quindi! Ci saranno
litigi, scene comiche/demenziali e -più avanti- romantiche fra Dan e Jude,
dopotutto, questa è una storia romantica. Anche se sarà dura
far combaciare questi due! xD
Non so ogni quanto riuscirò ad aggiornare,
non molto spesso purtroppo...spero solo che vi possa piacere ed interessare :)
Grazie a chiunque abbia letto e a chiunque commenterà =)
Un bacione grande! Bec
PS: Ci tengo tantissimo a ringraziare
Sharon (vampistrella) per aver trovato un titolo perfetto a questa storia!
Grazie mille carissima! :)
Altre mie storie:
Tra l'odio e
l'amore c'è la distanza di una bacio
Kidnapped by
love
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