È come una marea
E’ la vigilia
di un giorno importante. Il preludio di un arresto eccellente: Misa Amane.
Eppure, non
sembrerebbe…
La silhouette
nera di un uomo, immobile nella sua fissità, è raggomitolata in una posizione
eccentrica.
Come ogni
sera.
Come ogni
notte, in quelle ultime settimane, in cui l’unico interlocutore capace di
reggere il passo della mente geniale è l’intelligenza artificiale di un
computer.
La stanza è
vuota di collaboratori inutili.
Tutto è
silenzio e buio, intorno alla luce azzurrina dei monitor sempre accesi.
Il lezzo di
tecnologia, di carta, di paura e di adrenalina impregna le pareti della camera
priva di ogni mobile superfluo.
Nell’animo
del detective, nel guscio inaccessibile nascosto nel suo petto, tutto è
tumulto, come di piazza gremita di sobillatori pronti alla sommossa.
Una ridda di
pensieri veloci, abbaglianti come intuizioni, ancestrali come sussurri
d’istinto, dilagano in lui, come l’arrotolarsi delle acque, che si espandono
incontenibilmente, fatalmente, dalle mattine ai tramonti.
Il giovane ha
l’impressione di soffocare: ha bisogno d'una boccata d'aria pulita.
Scalzo, conta
con la mente i passi che lo separano dall’ascensore, gustando quel freddo
contatto con il marmo nero, usato capricciosamente senza parsimonia per
pavimentare tutto il quartier generale.
Quel marmo è
gelido, gelido come lui non riesce ad essere… non in quel momento.
La meta della
sua fuga è un terrazzo senza telecamere.
Si sente erodere
dentro dalle sensazioni impietose dettate dal suo ruolo di detective: un
turbinare incosciente
dell’immaginazione, un mulinare di sensazioni fisiche.
Come una marea, la sua acribia analitica
vaglia fatti,
orme di dialoghi, tracce di movimenti, ricostruisce intere scene,
espandendosi, simile allo schiudersi di una rosa immensa. Non v’è scampo alla sua spietata
ricostruzione. La sua mente si insinua nelle intenzioni celate d’ogni gesto, come una mano ardita sotto una veste, simile all’acqua che va avanzando sulle spiagge.
La Verità è
palese ai suoi occhi d’ebano scuro.
Il silenzio,
il buio della notte, l'aria fresca non gli giovano.
Si affaccia alla balaustra del terrazzo e guarda il
vuoto sottostante come un suicida che osservi, affascinato, il vorticare
mugghiante delle onde cupe dall'alto d'una scogliera. Una sensazione di
vertigine lo coglie.
Uno scatto
fiero del capo per sottrarsi alle lusinghe di quella vista. Ma barcolla
all'indietro, fino a perdere l'equilibrio e trovarsi seduto con le spalle
contro un muro. Il pensiero di quanto dovrà compiere il giorno dopo lo assale.
Non vorrebbe.
Si interroga sul motivo di tale titubanza che, come gli assassini, silenziosa è giunta ad infettargli il sangue, velenosa, implacabile, sinistra, come una vena spezzata o come il cuore del mare,
in una irradiazione tremante e mostruosa.
La sua mente potente
comincia a sfilacciarsi dinanzi la verità del suo desiderio che è doloroso,
patetico, sbagliato, eppure forte, violento, disperato,
come le urla dei condannati a morte
dentro le celle, come la vendetta dei sicari e delle gole sgozzate
delle loro vittime.
E lui cede, vacilla,
annaspa, come in balia delle onde che modellano, erodono, frastagliano le coste
più rocciose penetrando ovunque come le idee, le sensazioni carnali, le voglie
torbide. Ebbene, l'uomo quasi non se ne accorge, eppure la sua mano serra la
maglia morbida sul petto, stringendola all'altezza del cuore.
Il respiro è
affannato, come chi fatichi a star dietro al vento.
Un gesto
rabbioso e l’indumento vola via, strappato con rabbia dalla pelle che ha
bisogno di sentire la frescura della notte, come la fronte febbricitante brami
un panno bagnato.
Ma non basta a dargli sollievo.
La voglia di lei, la brama del suo corpo di creta
bianca e mobile, la smania della sua pelle candida, il desiderio di
baciare la sua
bocca, i suoi seni, le mani sono
come droga che gli annebbi i sensi.
Non si avvede
della propria mano che, seguendo un inudibile comando, gli sbottona i jeans
logori e che, prepotente, si stringe attorno al suo sesso, pompandolo senza
dolcezza. Non ascolta i suoi stessi gemiti levarsi cupi nell’aria, come voli
d’avvoltoi terribili sulla preda prossima alla fine. Non si accorge di muovere
i lombi per darsi più piacere, parendo un ballerino di ancestrale e rabbiosa
bravura.
No. Lui è
perso dietro alla propria, personalissima dannazione: tenerezza di dolore e dolore d’impossibile, lo trafigge e lo sbrana,
fuggendo al controllo della ragione scolpita nel cuore della notte, riflessa
nell’inquietudine dei suoi occhi allucinati.
La dannazione muove la
carne.
Lei, Misa, incisa nei legni del bosco dai coltelli delle mani di L. Lei, il suo piacere unito a quello dell’uomo. Lei, gli occhi suoi neri. Lei, il suo cuore,
farfalla insanguinata, che con le due antenne d’istinto l’aveva toccato!
Non s’avvede
di nulla, l’uomo, mentre grida rauco il proprio piacere.
Si accorgerà dopo
delle dita e del proprio ventre sporchi di eros candido, quando una pioggia
sottile e fredda prenderà a ferirgli la pelle: gocce fitte come milioni di
piccoli aghi, sottili e crudeli.
Crudeli come
saranno i suoi gesti futuri.
Crudeli come
solo la giustizia sa essere.
Note
d’autore.
L’idea di
pubblicare queste righe non è stata frutto della mia volontà, ma dovete
incolparne, scherzosamente, quel piccolo demonio di Redseapearl,
che mi ha letteralmente obbligata!
Ho ceduto al
desiderio di dimostrarle tutta la mia amicizia, più che al suo “ricatto”, così,
ufficialmente, dedico questa “variazione sul tema” a colei che mi ha regalato
affetto e sostegno nei momenti bui, allegria esplosiva ed una parola buona ogni
volta che ne ho avuto bisogno, per non parlare dei mille viaggi meravigliosi
racchiusi nelle sue storie! Per te, Amica mia!
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