9° CAPITOLO
“E’ pertanto, questa corte condanna l’imputata a una pena di venticinque anni
da scontare…”
Il resto delle parole non contava per Asuna.
Le bastarono le prime parole per sentirsi un peso sul cuore.
Però, stranamente, molto leggero.
Inoltre, niente lacrime.
Asuna mantenne la sua dignità.
Gli agenti la ammanettarono e la accompagnarono verso l’uscita, mentre Obata
si accostò.
“Non si preoccupi” le sussurrò “Faremo ricorrere in appello. Non ci resterà a
lungo in carcere, glielo prometto”.
Asuna non disse nulla e si limitò a rispondere accennando un inchino.
Siccome i giornalisti, tenuti lontano dal processo, assediavano ora
l’ingresso del tribunale, e dal momento che era compito di Obata affrontarli,
Asuna fu fatta passare per una porta secondaria, che sbucava in un corridoio di
servizio.
L’unica sorpresa Asuna la ebbe quando vide la madre di Negi, accompagnata da
un uomo che Asuna non conosceva, che l’aspettava.
Soichiro Yagami fece un cenno ai due poliziotti, che si fermarono.
“Il signor Yagami mi ha informata. Non è finita qui” disse la donna ad Asuna.
“Assolutamente” rispose con decisione la ragazza. “E Negi?”
“Ho preferito che restasse a casa. Temevo si agitasse troppo. E lui ha
accettato, anche se a malincuore”.
“Ha fatto bene. Meglio evitargli lo stress a questa età”.
Fu il turno dei due agenti di fare un cenno a Yagami, che annuì.
Asuna fu portata via.
La madre di Negi tirò fuori un fazzoletto per asciugarsi una lacrima.
Yagami le mise una mano sulla spalla. “Non si preoccupi, signora. Sono sicuro
che tutto si risolverà”.
“Lo spero. Per Asuna. E per mio figlio. Soffrirebbe troppo, altrimenti”.
“La capisco. Sa, anch’io ho un figlio, di cui vado molto fiero”.
Obata, dopo aver comunicato il verdetto alla stampa, liquidò rapidamente
quest’ultima e tornò nel suo ufficio.
E grande fu la sua sorpresa quando vi trovò una ragazza, giovane, con folti
capelli rossi e una borsetta voluminosa, ricoperta di cristalli scintillanti, in
mano.
“Chi è lei?” domandò Obata.
“Salve” esordì la ragazza andando a stringergli la mano “Mi scusi se sono
entrata. Mi chiamo Ayana Sasagawa, e sono un’aspirante giornalista”.
“Giornalista? E cosa vuole da me?”
“Sto realizzando una tesi sul funzionamento della magistratura nel nostro
paese. E avevo pensato di chiedere a un vero avvocato cosa ne pensasse, e cosa
sapesse dei meccanismi interni della burocrazia”.
“Sono lusingato. E lei ha scelto me?”
“Certo, il famoso avvocato Teru Obata, figlio del grande giudice Masamuni
Obata. Lei è diventato avvocato molto rapidamente, svettando tra tutti per
l’impegno, la preparazione e la grande dedizione alla causa della giustizia. Chi
meglio di lei potrebbe aiutarmi?”
Obata rimase in imbarazzo. “Be, a me piacerebbe aiutarla, ma sono molto
indaffarato. Proprio adesso sono uscito da un processo.”
Sasagawa cominciò a guardare in giro, notando le varie foto di Obata con
l’illustre genitore: iniziavano da quando l’avvocato era un bambino di cinque
anni arrivando fino alla laurea con lode.
Una carriera grande all’insegna di un’illustre tradizione familiare.
“Mi scusi” riprese la giovane “non voglio essere seccante, ma più vedo la sua
storia, più mi rendo conto che lei è la persona adatta per la mia ricerca. Le
assicuro che non c’è fretta. E non intendo neppure assillarla con domande
dirette”.
Sasagawa mise la mano sulla cornice di un grande quadro raffigurante Masamuni
Obata.
“E allora” disse Obata prendendo la mano di Sasagawa e abbassandola
gentilmente “Come intende farsi aiutare?”
“Lasciandole un questionario. Può riempirlo tra una settimana, lunedì
prossimo verrò a ritirarlo. E le assicuro che sarà anonimo, quindi non dovrà
temere che lo utilizzi per scopi malevoli”.
Obata sembrò rifletterci sopra, mentre Sasagawa ricominciò a guardarsi
intorno e sembrò molto interessata al quadro di Obata senior.
Pose la mano sulla tela, come a saggiarne il tipo di pittura.
“Ci sto!” esclamò all’improvviso Obata facendo sobbalzare Sasagawa. “Adesso
per favore, può lasciarmi solo? Ho altre questioni da svolgere”.
“Certamente” rispose raggiante Sasagawa tirando fuori dalla borsa alcuni
fogli.
“Ecco il questionario. Posso trovarlo completato lunedì?”.
“Sicuro” la tranquillizzò Obata.
Si strinsero la mano e Obata fece uscire educatamente la ragazza.
Una volta fuori, la ragazza entrò in un ascensore vuoto.
Prese il cellulare quando le porte si chiusero. “Sono io. Allora, hai
scoperto niente dal piccolo tour virtuale che ti ho fatto fare? Ah si? Bene,
felice di esserti stata d’aiuto, L. Se hai bisogno di altro, Kazumi Asakura,
giornalista paladina della giustizia, è sempre disponibile!”
La ragazza chiuse la minuscola telecamera digitale il cui obbiettivo era
mimetizzato tra le pietre della borsetta.
Il pomeriggio Negi si recò da L.
Aveva immaginato di trovarlo seduto, a suo modo, sulla sedia e intento a
mangiare dolci.
E ci azzeccò.
L scrutava i monitor con in bocca ben due leccalecca.
“Asuna è stata condannata. Me l’ha detto la mamma” esordì Negi.
“Lo so, il telegiornale l’ha annunciato. Fortuna che non hanno fatto nomi”
rispose L togliendosi i leccalecca.
“Già, fortuna” ripeté Negi.
Che solo allora si accorse di una cosa: possibile che in tutti quei giorni
non fosse trapelato niente di niente alla stampa?
La cosa l’aveva trovata normale all’inizio, ma dopo tutto quel tempo, e anche
dopo la fine del rapido processo, possibile che il nome e il volto di Asuna non
fossero mai trapelati?
A meno che…
“L, non è che tu…”
L lo guardò sfoderando di nuovo un dolce, innocente e rassicurante sorriso.
Negi sgranò gli occhi: “Ma come hai fatto? Cioè, sin dall’inizio…”
“Diciamo che qualcuno, sapendo a cosa m’interesso, mi tiene la stampa fuori
da piedi”.
“E non posso sapere chi è, giusto?”
“Esatto. Non sentirti offeso, non è questione di fiducia ma di prudenza. Meno
sai di me, più sarai al sicuro”.
“Capisco. Comunque per il caso… io non mi sono fatto prendere dalla
disperazione perché ho fiducia nelle tue indagini. Però, mi spieghi perché hai
voluto sapere se quell’Obata mi conosceva?”
“Saprai tutto a suo tempo. Adesso non possiamo agire, dovremo attendere
stasera. Sarà il momento decisivo. E il giorno dopo, potremo scagionare Asuna”.
“Non vedo l’ora!”
Il giorno dopo, finita la scuola, Negi si recò rapidamente da L.
Aveva un’espressione quasi ansiosa.
Era il giorno in cui Asuna sarebbe stata condotta al penitenziario.
Però non ci sarebbe rimasta a lungo, perché L l’avrebbe scagionata.
Quel grande, incredibile e anche ben organizzato detective, doveva farcela
sicuramente.
Quale verità avrebbe svelato dietro la morte di Takamichi e della povera
Konoka?
Poteva solo immaginarlo.
Raggiunto l’appartamento di L, salì rapidamente le scale.
“L, allora?” domandò entrando con slancio.
“Oh cavolo, mi sa che ho sbagliato tutto!” esclamò L dando le spalle a Negi.
Che rimase di sasso.
“Co-come?!”
Quella sera, Obata rientrò a casa abbastanza presto per i suoi orari.
In fondo aveva avuto meno da fare rispetto al solito.
Gli venne in mente che avrebbe potuto anche compilare quel questionario che
gli aveva lasciato Sasagawa.
Parcheggiò la macchina nel sotterraneo del suo condominio.
Sceso dal veicolo, guardò l’orologio.
“Fermo là, bastardo!”
Udendo quella voce, Obata trasalì.
Si girò e vide, quasi nell’ombra, sul ciglio di una porta che dava su un
corridoio buio, una piccola figura.
Ne intravedeva vagamente la capigliatura ma non il volto.
Dall’altezza sembrava un ragazzino.
“Tu… tu chi sei?”
“Non ha importanza!” rispose l’altro.
Chiaramente un ragazzino, anzi, una ragazzina, a giudicare dalla voce.
Anche i capelli sembravano troppo folti per essere di un maschio.
“E allora chi sei! E che diavolo ci fai qui?!” gridò Obata iniziando ad
andarle incontro.
L’estranea tirò fuori quella che sembrava una piccola pistola.
E sparò un colpo che s’infranse contro una colonna di cemento vicina
all’avvocato.
Quest’ultimo rimase senza fiato. “Sei… sei armata?!”
“Si. E ne ho una proprio per te. Maledetto bastardo! Tu e quella dannata
Takada!”
Obata sorrise. “Senti, ragazzina, sono sicuro che di qualunque cosa si
tratti, non c’è bisogno di ricorrere alla violenza. E poi, vorresti davvero
macchiarti di un omicidio alla tua età? Suvvia”.
“Non prendermi in giro. Guarda che so tutto! Tutto! Avevo riposto la mia
speranza nelle persone sbagliate! Ma ora so tutto. Konoka, la povera Konoka, che
tu hai ucciso, maledetto bastardo, aveva lasciato una confessione. Credevi di
averla fatta sparire, vero? E invece prima ne aveva scritta un’altra, ancora più
precisa. Dove accusa Takada, la tua amante, di averla raggirata, organizzando il
finto scherzo che in realtà consisteva in uno stupro dell’amica di Konoka. Aveva
anche scoperto il tuo coinvolgimento. Ma ora è finita”.
La ragazzina tirò fuori una busta. “Qui c’è tutto. Però non mi basta. Voglio
che confessi di aver ucciso Konoka!”
“Che cosa?! Perché mai…”
Nella pistola, un altro colpo fu messo in canna. “Vuoi vedere che te lo ficco
in quella testaccia?! Tanto la legge non potrà essere troppo severa con una
della mia età. Dovresti saperlo! Sempre ammesso che mi becchino”
Obata, chiaramente innervosito, aveva cominciato a sudare.
“E va bene! Maledetta mocciosa! Si, l’ho confesso, ho ucciso io Konoka Konoe!”
“Bene, allora penso che adesso dovrai fare un bel discorsetto alla polizia”.
La ragazzina fece cadere la busta, tirò fuori un cellulare e cominciò a
digitare il numero.
Obata non era molto lontano e approfittò di quella distrazione per saltarle
addosso.
Essendo un adulto, non ebbe problemi a disarmarla.
“Dannata mocciosa! Muori!” esclamò l’avvocato sparandole.
La nuova vittima dell’avvocato si accasciò al suolo, restando in parte
nell’ombra, mentre una pozza di sangue cominciò a scorrere sotto di lei.
Obata prese la busta.
“Stupida idiota! Mi hai fatto uccidere ancora. Adesso dovrò pure far sparire
il tuo corpo. Ma prima vediamo cosa aveva scoperto quella dannata Konoka”.
L’uomo aprì la busta e prese il foglio al suo interno.
Fatto questo, restò senza parole.
Perché su quel foglio non c’era un messaggio, ma la parola, scritta con
ideogrammi di grandi dimensioni, ‘FREGATO!’.
“No!” esclamò Obata.
“E invece si” disse qualcuno apparendo come dal nulla dietro di lui.
Era vestito da poliziotto, ma ad attirare l’attenzione erano la folta
capigliatura nera e gli spessi occhiali, anch'essi neri.
“Agente, non è come pensa lei…” azzardò l’avvocato.
Un tentativo di difesa che cessò subito quando si accorse che quel poliziotto
aveva in mano una piccola telecamera.
“Mi dispiace, signor Obata. Per lei è finita. Ha ucciso a sangue freddo una
ragazzina, dopo averla disarmata. Quindi non può nemmeno invocare la legittima
difesa. E poi, le sue ultime frasi. Ha detto che deve far sparire il corpo. E
che ha dovuto uccidere ancora. Immagino che la prima volta si trattasse di
Konoka Konoe, dico bene? Quindi non può neppure dire che quella di prima era una
falsa confessione per salvarsi la vita”.
Digrignando i denti, Obata sparò contro il poliziotto.
E non successe niente.
“C-cosa?!”
“E’ caricata a salve. Il primo proiettile era in realtà una micro carica
attaccata alla colonna. Mentre il secondo era una pallottola caricata con
liquido rosso” spiegò impassibile l’agente.
“Liquido rosso?! Allora…”
Detto fatto, il cadavere della seconda vittima si rimise in piedi e si
rifugiò completamente nel buio.
E Obata sentì chiaramente una risatina di scherno provenire dall’ombra.
L’avvocato guardò prima dov’era la finta morta, poi il poliziotto.
“MALEDETTI!!” gridò lanciandosi contro quest’ultimo.
Che lo stese con un ampio calcio circolare in pieno viso.
Obata stramazzò al suolo.
L’agente lo ammanettò e si sincerò che fosse svenuto.
“Tutto a posto” annunciò.
Negi uscì dal corridoio buio.
Si tolse una parrucca e un congegno applicato alla gola, per camuffare la sua
voce.
“Per fortuna. Niente male quest’apparecchio. Come il tuo calcio”.
“E’ un colpo di copoeira. Me l’ha insegnata un’amica” spiegò L.
“Riservi sempre delle sorprese. Adesso capisco perché mi hai chiesto se Obata
mi conosceva. Cosi non potrà fare alcun collegamento tra me e la misteriosa
ragazzina che l’ha incastrato stasera. Comunque lascia che ti dia un consiglio.
La prossima volta che hai un cliente, e quest’ultimo viene da te per conoscere
gli ultimi sviluppi, tu non gridare che hai sbagliato tutto. Cioè, solo perché
hai comprato una confezione di leccalecca alla fragola anziché al cioccolato, mi
gridi cosi? Alle persone fai venire un colpo!”
“Fa fi fufto affa fafofa efa fueffo fhe fofefo”.
L aveva di nuovo i leccalecca in bocca.
Negi fece per dire qualcosa, poi rinunciò.
“Adesso è il momento di andare. Prima che a casa si accorgano che te la sei
svignata” riprese L parlando normalmente.
“Hai ragione. Ci vediamo domani” disse Negi correndo via sotto lo sguardo del detective.
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