Come promesso ecco il seguito del mio primo racconto su
Orlando Bloom; la storia dell’altra ff si evolve. Spero che vi piaccia come l’altra
e che la commentiate con altrettanto entusiasmo!
Approfitto per salutare e ringraziare tutte le
lettrici e commentatrici delle mie storie, un bacione a tutte!
Naturalmente, tutto quello che
leggerete è scritto con il massimo rispetto per Orlando Bloom, il suo lavoro e
la sua vita privata. Questa è un opera di pura fantasia, che serve solo per
avvicinare ognuna di noi all'oggetto dei nostri sogni. Chiedo scusa a tutti
coloro che non la pensassero così.
Divertitevi
Sara
1. Tagli e suture
Lo squillo del telefono era insistente e diabolico,
penetrava i timpani in modo insopportabile; dalle tende accostate filtrava,
timida, la luce del primo mattino. La ragazza allungò una mano fuori della
trapunta, afferrando il ricevitore, ma l'unica cosa che avrebbe voluto fare era
far volare l'apparecchio giù dalla finestra, come in quel film di Almodovar...
"Pronto..." Biascicò con voce impastata e
stanca, tenendo ancora la testa sotto la coperta.
"Vieni alla finestra." Le ordinò una voce
calma.
"Orlando?"
Improvviso, come un pugno inaspettato, le tornò alla
mente il ricordo della discussione del giorno prima. Dopo quasi due mesi di
assidua frequentazione e amicizia, si era decisa a confessargli di averlo
"osservato" a lungo, tramite le sue finestre che si trovavano proprio
di fronte a quelle della casa di lui, giovane, bellissimo e famoso attore;
Orlando l'aveva presa malissimo, si era offeso, poi incazzato, aveva urlato e
poi se n'era andato sbattendo la porta. E lei aveva creduto che la loro
amicizia fosse finita lì; ma ora era al telefono...
"Vieni alla finestra." Ripeté il ragazzo.
Evie si alzò dal letto barcollante, reggendo il
cordless con la destra, poi si avvicinò alla finestra e scostò le tende. Lo
vide subito, in piedi dietro ai vetri di casa sua, col telefono appoggiato
all'orecchio. Si guardarono.
"Che vuoi?" Gli chiese la ragazza, con tono
supplicante.
"Hai i capelli dritti da un lato..." Le
disse, indicandola; lei, con un gesto sofferto, si schiacciò i capelli.
"Dall'altro lato..." Evie roteò gli occhi, poi li abbassò su di lui.
"Ascolta." Gli disse. "Ieri è stata
una giornata veramente di merda, prima quell’orribile discussione con te, al
lavoro andava tutto storto, alla fine mi sono tagliata una mano, ho passato tre
ore al pronto soccorso e mi hanno messo quattro punti, perciò tu puoi buttarmi
giù la casa a cannonate, uccidermi i canarini, spaccarmi la testa con un maglio
se vuoi, ma ti prego, fallo domani..." Affermò, tutto d'un fiato, con tono
rassegnato, supplichevole e stanco, poi riagganciò il telefono e chiuse
velocemente la tenda.
Orlando rimase immobile, allibito, con il braccio
alzato e la cornetta appoggiata all'orecchio; non ritentò di chiamarla.
L'orologio da muro della famiglia Addams suonò le
dieci; Evie era in cucina, cercando di prepararsi la colazione, ma con una mano
sola non era facile. Suonò il campanello; lei roteò gli occhi, sistemandosi sui
fianchi la troppo grande felpa di Topolino, poi si avvicinò alla porta.
Aprì e spalancò gli occhi; Orlando era di fronte a
lei, con espressione vagamente colpevole, le braccia rilasciate lungo i
fianchi.
"Che fai qui?" Gli domandò sorpresa la
ragazza; lui abbassò gli occhi sulla sua mano fasciata.
"Allora ti sei fatta male davvero." Disse
poi.
"Hm, sì." Rispose Evie, annuendo e
abbassando gli occhi. "Cosa vuoi?" Gli chiese poi. Lui alzò il
braccio destro, mostrando una busta di carta bianca. "Che cos'è?"
"Croissant, freschi, caldi, alla
marmellata..." Confessò il ragazzo.
"Di cianuro?" Ribatté sarcastica lei,
aggrottando le sopracciglia; Orlando fece un mezzo sorriso beffardo.
"Di albicocche, sono rimasto sul classico."
Replicò poi.
"Entra." Lo invitò allora lei, scostandosi
per farlo passare; lo seguì con gli occhi, mentre, tenendo i bordi della busta
coi denti, si toglieva la giacca. "Hai forse deciso di perdonarmi?"
Domandò la ragazza, con lieve timore; lui la guardò indeciso.
"Beh... non lo so, ancora... però, mi dispiaceva
per stamattina..." Rispose titubante.
"Ti va un cappuccino?" Lo interruppe lei;
era meglio se cambiava discorso, e il sorriso che le fece Orlando le fece
capire che la pensava allo stesso modo.
"Sì." Annuì il ragazzo. "Ti do una
mano?" Aggiunse poi, seguendola in cucina.
Pochi minuti dopo erano seduti sul divano, coi loro
cappuccini ed i croissant; era bello fare colazione con lui, temeva che non
sarebbe più successo. Orlando riusciva puntualmente a sorprenderla...
La luce di una bella mattina di sole arrivava sui
suoi capelli, facendogli prendere dei riflessi dorati, e i suoi occhi
sembravano più chiari, illuminati a quel modo; non riusciva a non
meravigliarsi, di come la sua bellezza spuntava nei momenti più imprevisti.
Orlando l'imprevedibile, in ogni senso.
Lui le lanciò un'occhiata fintamente distratta; era
proprio bella, seduta con le gambe incrociate sul divano e quella buffa felpa
di Topolino e i pantaloni del pigiama. I capelli chiari, lunghi e lisci, le
scendevano sulle spalle, la frangetta era un po' spettinata; il suo viso dolce
era un po' pallido, stanco, ma delizioso, con quelle fossette che le venivano
sorridendo.
"Allora..." Orlando interruppe il silenzio,
posando la sua tazza e pulendosi il labbro superiore con la lingua. "Com'è
successo?" Le chiese, indicando col capo la sua mano sinistra fasciata.
"Toglievo la spina ad un branzino e mi è
sfuggito il coltello..." Spiegò Evie. "Imprevisti del
mestiere..."
"Prendi qualcosa?" Continuò lui, spostando
continuamente gli occhi dal suo viso alla mano ferita; sembrava un po'
preoccupato, e questo le fece piacere.
"Certo." Annuì Evie. "L'antibiotico e
gli antidolorifici, ma non insieme, sennò entro in coma." Gli spiegò;
Orlando sorrise, divertito dal suo tono.
Si guardarono per un po'; cioè, lui la guardava,
mentre lei preferiva evitare i suoi occhi, vagando sulla fasciatura, sulla
decorazione del cuscino, sul bordo della sua felpa.
"Hai qualche impegno, domani sera?" Le
chiese infine, fissandola.
"Perché? Hai in mente un piano per punirmi del
mio peccato?" Replicò lei; Orlando fece un sorriso acido e retorico.
"Volevo solo che venissi in un posto con
me." Ribatté poi.
"Beh, normalmente ti direi che lavoro, ma il mio
capo mi ha dato un paio di giorni, per i punti..." Rispose infine la
ragazza. "Dove mi vuoi portare?"
"Ad un vernissage." Disse lui.
"Chi espone?" S'informò Evie, incuriosita.
"Un mio amico..." Rispose Orlando, con un
gesto vago, spostando gli occhi.
Non era mai stata ad un evento simile; lei lavorava
in un ristorante di lusso, le sue entrate le permettevano un'esistenza agiata,
ma non era una che amava la bella vita, perciò non aveva mai frequentato posti
chic come le inaugurazioni di mostre di pittura. Si figurò in mezzo ad un sacco
di persone con vestiti firmati, che bevevano champagne, atteggiandosi a
intellettuali; sembrava una scena di Sex and the City...
"Devo vestirmi elegante?" Domandò al
ragazzo; lui tornò a guardarla.
"Beh, un po'..." Le rispose, sfiorandole
una spalla con la mano, che teneva allungata sulla spalliera del divano. Evie
adorava quei gesti, che lui faceva sembrare sempre così casuali, ma aveva la
sensazione non lo fossero per niente; gli sorrise.
"Va bene, vengo." Accettò infine; Orlando
si sporse verso di lei e le diede un leggero bacio sulla guancia, poi si alzò.
"Ora devo andare." Le disse, riprendendo la
giacca. "Passo a prenderti io, domani sera alle sette, ok?" Aggiunse
poi; attese che Evie gli annuisse con le sopracciglia aggrottate, poi sorrise e
se ne andò, salutandola con la mano.
Imprevedibile Orlando, si diceva. Solo il giorno
prima l'aveva trattata, con ragione, a pesci in faccia, e ora era il più
tenero, dolce e premuroso dei ragazzi. Un giorno avrebbe rinunciato a capirci
qualcosa, con lui.
Il trillo del campanello la sorprese, mentre si
sistemava l'elastico delle autoreggenti; corse in soggiorno scalza, per aprire
la porta. Era lui.
"Ciao, vieni!" Ma Orlando rimase nel vano
della porta. "Mi metto le scarpe..."
Il ragazzo la seguì con gli occhi, mentre si dirigeva
di nuovo in camera; chiuse distrattamente la porta, perché, anche se lei era
sparita dalla sua vista, non riusciva a guardare altro che dalla sua parte, in
trepida attesa che la visione si ripresentasse.
Evie tornò quasi subito, sorridente e splendida.
Indossava un tubino con scollo quadrato e spalline sottili che, come colore,
cangiava dal rosa al grigio; sopra aveva un corto golfino grigio perla con
pagliette argentate. I capelli raccolti semplicemente in uno chignon basso,
fermato da una mollettina brillante. Completavano il tutto un paio di orecchini
con piccolo brillantino pendente ed i decolté argentati, aperti dietro, che
aveva ai piedi. Semplice, elegante, favolosa; Orlando era senza parole.
"Cosa c'è?" Gli domandò lei, accorgendosi
della sua espressione leggermente assente.
"Sei bellissima..." Riuscì a dire lui, dopo
essersi riscosso; la ragazza gongolò per un attimo: che soddisfazione
sentirselo dire da uno come lui...
"Ma la fasciatura..." Commentò infine,
sollevando la mano ferita.
"Non si nota per niente, tranquilla." La
rassicurò Orlando con un dolce sorriso, che Evie corrispose. "Ti prendo il
cappotto?" Le chiese poi; lei annuì.
Erano in macchina, un’elegante berlina con autista, e
si dirigevano velocemente verso il luogo dell'evento. Evie lo aveva
rimproverato di aver preso l'autista, adducendo che potevano benissimo andare
con la metro; Orlando aveva replicato che, in certi posti, non si arriva a
piedi, ne guidando. Lei aveva sbuffato, lamentandosi del suo atteggiamento da
star.
"Ci siamo." Annunciò garbatamente
l'autista, interrompendo la discussione via interfono; Evie diede un'occhiata
fuori.
Era assiepata un sacco di gente, fotografi e
teleoperatori, giornalisti; la ragazza sgranò gli occhi, poi guardò Orlando con
espressione sorpresa.
"Cos'è tutta questa gente? Giornalisti per un
semplice vernissage?" Gli domandò preoccupata.
"Non è proprio un semplice vernissage..."
Rispose lui, alzando le sopracciglia e indicandole un cartellone fuori; Evie lo
guardò, sotto il titolo della mostra c'era scritto, a chiare lettere: espone
Viggo Mortensen.
"Che significa?!" Sbottò la ragazza,
reggendosi la mano fasciata.
"Ti ho detto che esponeva un mio amico."
Affermò noncurante Orlando.
"Che vuol dire? E' la tua vendetta per averti
spiato, sbattermi sui tabloid, additata come la tua nuova conquista?!"
Replicò offesa Evie.
"Dai, tranquilla..." La rassicurò lui,
prendendole la mano sana. "Togliti il cappotto, attraverserai la fossa dei
leoni con me, e voglio che vedano quanto sei bella." Aggiunse con un
sorriso malizioso; lei si arrese, davanti a quella adorabile faccia da
schiaffi.
Scesero dalla macchina sotto un diluvio di flash;
Evie si sentiva tremendamente in imbarazzo, inadeguata, non sapeva dove
guardare, sperava solo di non inciampare. Sentì la mano di Orlando posarsi
delicatamente sulla sua schiena e spingerla piano in avanti; cominciò a
camminare, girando il capo verso di lui.
Il ragazzo sembrava completamente suo agio,
sorrideva, salutava, era favoloso; indossava camicia bianca, giacca nera da
smoking e jeans sdruciti, un insieme al limite dell'azzardato, ma che su di lui
faceva la sua gran bella figura. La sua naturalezza la rassicurò un po'.
"Signor Bloom, questa è la sua nuova
fidanzata?" Chiese un tizio, indicando la ragazza e parlandone come se
fosse un paio di scarpe.
Per tutta risposta, Orlando sorrise maliziosamente al
reporter, poi si abbassò e baciò con tenerezza la guancia di Evie, lei spalancò
gli occhi sbalordita; i flash si attivarono violenti.
"Si può sapere che ti è saltato in testa?!"
Esclamò la ragazza, una volta entrati nel locale. "Domani sarò sulle
copertine dei giornali scandalistici di mezzo mondo!"
"Guarda che ci sono ragazze che pagherebbero per
essere al tuo posto, e a te dispiace?" Replicò lui, divertito.
"Sì!" Rispose secca Evie. "Sei un
infame..."
"E tu una spiona." Ribatté Orlando con un
sorrisetto compiaciuto.
"In casa mia, almeno, non c'è mai stata la fila
per vedere il tuo culo dalla finestra, se lo vuoi sapere." Affermò la
ragazza indispettita, ma abbassando la voce.
"Oh, dai..."
"Ciao Orlando!" Una voce di donna
l'interruppe; si girarono verso l'elegante bionda che gli andava incontro. (non
ho idea se la moglie di Viggo sia bionda, né come si chiami, o se attualmente
ne abbia una, perdonate. N.d.Sara).
"Ciao!" Rispose Orlando tranquillamente
affabile; si abbracciarono. "La mia amica Evie..." Le presentò la
ragazza. "La moglie dell'artista." Fece altrettanto con la bionda.
"Piacere." Disse Evie, porgendole la mano.
"Piacere mio." Rispose l'altra,
stringendogliela con un sorriso, poi si rivolse al ragazzo. "Viggo ti
aspetta dentro, io ricevo gli altri ospiti." Orlando annuì, prendendo Evie
per mano e entrando nella mostra.
La ragazza si diede un'occhiata intorno, c'era già
diversa gente. Vide subito un paio di cose interessanti; non poteva definirsi
una vera esperta, ma la pittura le era sempre piaciuta, trovava che aveva molto
in comune con l'alta cucina.
Un uomo biondo dai penetranti occhi azzurri si staccò
da un gruppetto di persone, per accoglierli sorridendo; Orlando si avvicinò a
lui con un grosso sorriso, si abbracciarono.
"Come stai?" Gli chiese allegramente il
ragazzo.
"Bene, e tu?" Rispose l'uomo, con voce
pacata e tranquilla.
Evie lo trovò un po' diverso, al naturale, rispetto a
come lo aveva visto nel film, mai avrebbe detto che sotto il moro e tenebroso
cavaliere ci fosse un biondo nordico di quel tipo; però, doveva ammettere che,
comunque, era un gran bell'uomo.
"La mia amica Evie." Gli presentò la
ragazza, lei gli sorrise.
"Salve, amica Evie." Le disse in modo
pacato, stringendole la mano. "Io sono l'amico Viggo." Lei rise
sommessamente.
"Sembra proprio bella questa mostra, non vedo
l'ora di dare un'occhiata." Affermò poi la ragazza.
"Prego." La invitò lui con un gesto elegante;
lei gli sorrise e fece per allontanarsi.
"Ti prendo qualcosa da bere?" Le domandò
Orlando, prima che fosse troppo lontana.
"Hm, sì, ma niente di alcolico, sai con le
medicine." Rispose Evie, ricordandogli la sua mano ferita; lui annuì,
accennando un 'ok'.
"Evie?" Gli fece Viggo, quando la ragazza
fu sparita tra la gente; Orlando lo guardò con espressione interrogativa.
"Che fine a fatto Greta?" Aggiunse con un sorrisino allusivo.
"Grethel." Precisò acido il ragazzo,
avvicinandosi al bancone del bar. "E' tornata in Olanda, tra i tulipani, a
mangiare il formaggio con la buccia rossa..." Viggo lo osservò, con
sguardo retorico.
"Edamer." Mormorò poi.
"Sì, quello..." Confermò noncurante
Orlando, sventolando la mano. "Comunque..." Si girò verso l'amico.
"Evie è solo un'amica."
"Ho perso il conto delle volte in cui me lo hai
detto..." Commentò l'altro, senza perdere il tono calmo e sommesso della
sua voce. "Devi cambiare frase..." Se lo avesse detto un'altro, si
sarebbe offeso, ma Viggo riusciva a dire certe cose senza sarcasmo, e questo
smontava Orlando da qualsiasi reazione.
Più tardi, quando Evie si fu complimentata con
l'artista, sia per i quadri che per le fotografie, decisero di andare a cena
insieme; la ragazza riuscì a strappare un tavolo per quattro a Bruno, il maitre
del Lounge, ristorante chic dove la ragazza lavorava come chef, sempre pieno
come un uovo.
Durante la cena, per altro ottima come sempre,
Orlando ebbe modo di stupirsi della cultura sfoggiata da Evie; non era da tutti
sostenere una conversazione con Viggo, lui era capace di partire dalla forma di
un bicchiere e arrivare alla Bibbia, passando per i filosofi greci e la
mitologia celtica. E lei gli andava dietro. Per la prima volta quella sera, il
ragazzo si accorse di non avere il controllo della situazione, e si sentì a
disagio. Scoprì, però, poco dopo, il grande sogno della ragazza: aprire un
ristorante suo. Viggo si offrì subito come socio, e apprendista cuoco.
"Per allargare i miei orizzonti." Aveva commentato; sì, come se ne avesse
bisogno, più larghi di così?
Fu una bella serata, tutto considerato; più di una
volta, Orlando si era ritrovato a fissare il viso di Evie, mentre lei parlava
con l'amico, e sorrideva, annuiva. Era bellissima, e lui non poteva fare a meno
di guardarla. Sì, avrebbe dovuto essere ancora arrabbiato con lei, ma si era
accorto di non riuscirci, si era reso conto che, in fondo, non gli dispiaceva
poi così tanto che lei lo avesse spiato. Ma, soprattutto, non gli dispiaceva di
essere diventato suo amico... Amico, beh, almeno per ora...
Quando si lasciarono, davanti all'albergo di Viggo,
l'amico trattenne Orlando, mentre Evie risaliva in macchina.
"Dammi retta..." Gli sussurrò, indicando la
ragazza con un cenno del capo. "Tienitela stretta." Gli consigliò
poi, allontanandosi con un sorriso bonario; poi strinse alla vita la moglie ed
entrò nell'hotel, salutandolo con la mano.
Orlando passò il viaggio a rimuginare su quelle
parole, lanciando ogni tanto un'occhiata alla bella ragazza col cappotto nero
seduta al suo fianco, che gli rispondeva con un sorriso.
CONTINUA...