True Colors
{Liz e Justin;}
» And I'll see your true colors
Shining through
I see your true colors
And that's why I love you
So don't be afraid to let them show
Your true colors
True colors are beautiful,
Like a rainbow. «
True Colors.
L’indecisione porterà il mondo alla rovina, di
questo ne ero certa.
Al momento, l’unica a rischiare la pelle ero io.
«Ma non riesco a decidermi!», esclamai sull’orlo di
una crisi di nervi acuta.
Mi fermai a riflettere, portando l’indice e il
pollice all’altezza del mento e sfregandolo leggermente. Avevo bisogno di tempo
per poter prendere una decisione così importante, non poteva portarmi fretta
con quegli occhi inquisitori!
Uno sbuffo mi arrivò dritto all’orecchio e mi trovai
a socchiudere gli occhi, leggermente irritata.
Mi voltai di scatto e gli puntai l’indice contro,
mentre lui se ne stava disteso sul divano con una lattina di birra tra le mani.
«Anziché tracannare birra, perché non ti rendi utile
e mi aiuti?», sbottai tra i denti.
Io ero alle prese con una delle decisioni più
importanti della giornata e lui se ne stava comodo ed indifferente sul divano?
Gli occhi mi caddero sulle due scatole che reggevo
tra le mani.
Palline argentate o palline dorate?
Con il rosso andrebbero bene entrambe, no? Non
dovrebbe esserci questo grande contrasto. Ma il problema non era affatto
l’abbinamento: il problema erano proprio i colori!
«Sei proprio uno stronzo», brontolai, accasciandomi
sulla sedia e fissando l’albero di Natale, ancora spoglio, che giaceva
nell’angolo del salotto.
Non capivo perché non si dimostrasse partecipe, il
Natale era una festività così adorabile! E poi mi sembrava di essere stata chiara: lo adoravo.
Udii la sua risata che non fece altro che alimentare
il nervosismo che mi scorreva nelle vene. Se non avessi tenuto alla sua pelle e
alla salute delle mie palline, gliele avrei tirate dietro una ad una, così
avremmo visto quanta voglia di ridere avrebbe avuto poi!
«Le palline rosse credi che possano soffrire di
solitudine?»
Ecco il solito commentino sarcastico. Avrei
preferito che non ci fosse in casa, così almeno avrei potuto prendere una
decisione in santa pace.
Agitai le scatole contenenti le palline con
espressione contrita.
«Non mi piace l’albero monocolore! E non mi piace
neanche che tu mi prenda in giro in un momento critico come questo. Sei pregato
di lasciarmi in pace».
Per tutta risposta, pensò bene di sdraiarsi e
portare le mani dietro la testa. Aveva ancora quel sorrisino compiaciuto sulle
labbra, gliel’avrei fatto scomparire a suon di morsi se non fosse stato per il
mio nervosismo cronico.
«Justin!», ormai ero arrivata al limite.
Non si mosse neanche di un millimetro, come neanche
il sorriso vittorioso che sosteneva sulla sua faccia da schiaffi.
«D’accordo, sai cosa ti dico? Le appenderemo tutte».
Presi la mia decisione e mi alzai dalla sedia con un
balzo, mi avvicinai all’albero e cominciai ad appendere le prime palline rosse,
affiancando di tanto in tanto le palline argentate.
D’improvviso sentii le sue labbra premere contro il
mio collo.
Rabbrividii all’istante e strinsi la presa attorno
al gancio della pallina per non farla cascare dalle dita tremanti.
«Com’è laboriosa la mia Liz», sussurrò con quella
voce talmente perfetta da farmi disconnettere il cervello per più di un
secondo.
Sapevo cosa stava facendo, il suo era un sabotagio
in piena regola!
Ne ebbi la conferma quando prese a baciarmi la nuca
e le sue mani si poggiarono sui miei fianchi, facendo attutire la mia schiena
contro il suo petto.
Dio, il suo petto. Non potevo immaginarmelo.
Non farlo Liz,
non cedere! È proprio quello che vuole!
Possibile che in casa dovessi difendermi dal
Diavolo? Ormai Justin poteva anche farsi conficcare un’aureola in testa, nei
panni d’innocentino non ci sarebbe mai stato bene.
La sua mano prese a tastarmi il fianco, facendo
scivolare le dita con non-chalance sul mio ventre e un brivido mi scosse la
colonna vertebrale. Ero certa che l’avesse notato, potevo percepire il suo
sorriso compiaciuto nonostante continuasse a baciarmi il collo.
Sarei caduta da un momento all’altro, me lo sentivo.
«Justin, se non sono gradite, le tue azioni vengono
prese come molestie, lo sai?»
Decisi di dimostrarmi glaciale ed impenetrabile,
almeno all’esterno. Non gliel’avrei dimostrato per niente al mondo, ma quella
vicinanza mi stava facendo sciogliere senza bisogno di accendere il camino.
A volte ero proprio ingenua, mi convincevo delle mie
stesse balle.
Justin conosceva il mio corpo a memoria, sapeva
tastare i miei punti deboli ed impossessarsene come se nulla fosse, e proprio
in quel momento lo dimostrò.
Con un gesto rapido, sentii attutire il mio
fondoschiena contro la patta dei suoi jeans e sussultai rischiando di far
cascare per terra la pallina d’argento. Se avessi potuto guardarlo negli occhi,
l’avrei fulminato.
«Non le chiamerei molestie allora, perchè sono
gradite eccome».
Le sue labbra presero a mordermi il lobo
dell’orecchio e mancò poco che mi accasciassi completamente contro il suo
corpo.
Non avre dovuto concedergli l’onore di conoscermi
così a fondo!
Chiusi gli occhi mentre una tempesta ormonale mi
sconvolgeva. Respirai a fondo, anche se le mani di Justin non mi aiutavano
affatto, anzi, stavano proprio attentando alla mia lucidità.
Salirono rapide lungo il ventre per poter
raggiungere il petto, prese a carezzarmi con gesti lenti e decisi di reagire,
rossa in viso sia per la calura che per la rabbia che mi era montata dentro.
Mi voltai senza l’ombra di stabilità e gli puntai
contro l’indice.
«Smettila! Smettila di sabotarmi l’albero! Lo stai
facendo apposta! E non negarlo, sei così maligno che se avessi potuto mi
avresti fatto rompere tutte le palline con la forza del pensiero!»
Ecco, adesso cominciavo a sparlare tanto che mi
uscivano cazzate a non finire dalla bocca, ma non doveva dettare sempre legge,
non era detto che il suo volere corrispondeva al mio.
Avevo una priorità in quel momento: l’albero di
Natale.
Era già il 24 Dicembre, mattina inoltrata, l’avevo
buttato giù dal letto nel vero senso della parola per potergli mostrare i miei
acquisti, ne ero stata così orgogliosa, siccome ero uscita di casa alle otto
per poter entrare per prima nel negozio all’angolo, ma Justin non si era smosso
neanche di un centimetro, anzi, mi aveva guardato con fare inquisitorio ed era
scoppiato in una sonora risata, tornando a mettersi le coperte fino su la testa
e fingendo di ronfare beatamente durante la mia sfuriata clamorosa.
Dopo una mezzora abbondante che mi ero rintanata
davanti all’albero, era uscito di tutto punto dalla camera da letto ed era
avanzato in soli boxer per poter raggiungere la cucina, la sua era sembrata più
una sfilata provocatoria in realtà, ma non l’avevo guardato per niente. Okay,
una sbirciatina con la coda dell’occhio, non potevo privarmi di una visione del
genere, sarebbe stato ipocrita e anche egoista nei confronti dell’intero mondo
femminile che in quel momento ( e ne mai) non potevano vederlo.
Aveva capito di dover agire in modo diverso e si era
piazzato sul divano in soli jeans con l’intento di distrarmi e di punzecchiarmi
con la sua apatica presenza.
Preferivo quando faceva lo stronzo a voce anzichè in
silenzio.
Per tutta risposta, Justin mi guardò negli occhi e
si portò una mano alle labbra.
Eccolo il melodrammatico.
«Pensi che io
abbia mai potuto fare una cosa del genere? Ma Liz! Mi credi così cattivo? Siamo
tutti più buoni a Natale, lo è anche il Grinch! Pensi che io sia peggiore di
lui? Mi stai paragonando al Grinch?»,
scosse il capo con fare teatrale e indietreggiò, sedendosi sulla sedia dove
poco prima io stessa avevo avuto una crisi di nervi.
«No, il Grinch potrebbe offendersi», replicai
asciutta, tornando a trafficare con le palline e sentendolo ridacchiare sotto
ai baffi.
«Se io fossi stato il Grinch, tu chi saresti stata?
La mia Cindy Lou? O Marta? Oppure il sindaco? Mmh…»
Lo fissai con la coda dell’occhio, se aveva così
voglia di prendermi in giro non aveva proprio capito la gravità della
situazione.
«Il cane», tagliai corto con un sibilo contrito.
Scoppiò a ridere e lo sentii nuovamente alle mie
spalle, solo che stavolta mi tolse la pallina da mano e si sporse per guardarmi
in faccia.
«Posso appenderla io oppure mi stacchi il braccio a
morsi?», domandò con sguardo illuminato, alzando poi la mano e appendendo la
pallina su un ramo dell’albero.
Mi stava assecondando, che bello!
Mi fermai a guardarlo, i miei occhi incrociarono i
suoi e per un attimo quasi dimenticai cosa stessimo facendo. Mi capitava spesso
in realtà, anche durante le cose più importanti, o magari durante i litigi più
accesi. I suoi occhi erano speciali.
Mi sporsi quasi ipnotizzata e lo baciai, le sue
labbra erano così morbide che fui tentata di giocarci per l’intera giornata,
non mi sarei di certo annoiata, ma non potevo, non potevamo.
Terminai di baciarlo proprio quando tentò di
infilarne la lingua e gli schioccai un’occhiataccia.
«Tu le appendi male, faccio da sola».
«JUSTIN!»
La voce mi uscì fin troppo elevata.
Vidi Justin saltare dal divano e ciò che restava
della birra colare lungo il tappeto. Decisi di far passare quel gesto
inosservato, non era stata colpa sua, ma neanche mia, s’intende.
Si era appisolato, chissà da quanto tempo ero alle
prese con l’albero di Natale, magari l’ora di pranzo era anche passata da un
pezzo e non me n’ero accorta.
Questa me l’avrebbe fatta pagare, ne ero certa.
Sbattè le palpebre e cercò di capire dove si
trovasse. Stava sognando per caso? L’avevo interrotto? Che bello.
Mi andai a sedere al suo fianco e lo guardai
emozionata.
«Liz…», disse con una punta di fastidio,
evidentemente il sogno era davvero interessante.
Gli portai un dito alle labbra per intimargli di fare
silenzio e, spostandomi quanto bastava, gli mostrai ciò che era diventato il
mio orgoglio: avevamo un salotto perfetto, proprio come avevo sempre desiderato
di avere fin da bambina, quando, nelle vacanze natalizie, in TV trasmettevano
film in tema e le case erano addobbate alla perfezione.
Il caminetto fiammeggiava, l’albero ne rifletteva il
colore rossastro e i vari addobbi sparsi qui e lì rendevano il tutto
impeccabile.
Sorrisi compiaciuta e mi voltai verso un Justin
indifferente.
Lo stava facendo apposta, voleva irritarmi.
E ci stava riuscendo in pieno.
Era il nostro primo Natale! In tutto e per tutto!
Come poteva farmi questo?
«Non dici nulla?», domandai senza poter nascondere
una punta d’ira.
Justin si passò una mano tra i capelli e fece
spallucce, tornando a stendersi e portandosi le braccia dietro la testa.
«Mi hai detto di stare zitto», si giustificò con
noncuranza.
Oh sì, certo, adesso ascoltava cosa gli dicevo. Ma
che bravo!
«Se ti dicessi di buttarti dalla finestra lo
faresti?», replicai piccata, ormai il sistema nervoso si era preso la giornata
libera.
«Dovrei riflettere sui pro e i contro».
Socchiuse gli occhi come a voler davvero riflettere,
quando potevo sentire perfettamente il suo unico neurone che rideva, malefico,
aspettando che il mio proclamasse guerra.
«Mentre tu rifletti, io cerco un neurologo, magari
può regalarti un neurone-compagno per natale, così non si sente troppo solo il
tuo».
Mi alzai dal divano ma non feci in tempo ad
allontanarmi che mi afferrò per i fianchi e mi fece cascare di nuovo sui
cuscini.
Mi voltai furiosa mentre la sua presa si faceva più
salda ad ogni mio tentativo di svincolarmi.
«A lui piace la solitudine, a me no», disse
sfoderando un sorriso beffardo, prendendo a solleticarmi la pancia.
Non resistetti più.
Cominciai a ridere con le lacrime agli occhi, sapeva
perfettamente quanto fossi suscettibile al solletico e non mancava una santa
volta che dovesse approfittarsi delle mie debolezze!
«Non…Non saresti restato…solo!», presi ad annaspare
per quanto ridessi, non riuscivo neanche a respirare come si deve e, per non
trovarmi poi senza vita, decise di concedermi una tregua.
Sprofondai con la testa tra i cuscini e mi portai
una mano all’altezza del cuore che batteva all’impazzata per quanto mi fossi
agitata.
Lo guardai truce non appena mi ripresi e mi portai
un cuscino sullo stomaco per proteggermi in caso di un ennesimo attacco nemico.
«Saresti rimasto con un alberello degno di un
applauso da platea, con il caminetto acceso e con il tappeto che puzza di birra
adesso per colpa tua», spiegai con calma, agitando la mano per indicare i punti
elencati.
Justin si finse sorpreso, perché sapevo che era a
conoscenza di tutto, anche della birra! Magari quella no, ma ero stata tanto
gentile da renderlo informato.
Sorrise appena, tentando di avvicinarsi di nuovo, ma
quasi balzai sul posto e gli lanciai un cuscino in faccia.
«Non t’avvicinare! Chi non apprezza ciò che faccio
non è degno neanche di parlarmi, di respirarmi vicino e di pensare soltanto di
potermi mettere un dito addosso!»
Quando volevo essere drammatica, sapevo farlo per
bene.
Justin scoppiò a ridere e si passò il cuscino dietro
la testa.
«Oh grazie tesoro, era proprio questo che volevo in
realtà, non mi sarei mai immaginato che sapessi leggermi nella testa», disse
indicandosi il cuscino e strinsi le dita attorno al mio per non dargli uno
schiaffone.
«Tu sei sadico. Sei la persona più sadica che io
conosca. E sei dannatamente orgoglioso e rompi palle! Cosa ti costa almeno
farmi capire che ti sei reso conto dell’albero finito? O magari del trenino con
Babbo Natale sul caminetto? Oppure delle candele sul marmo della finestra? No!
Ah, ho anche dimenticato: sei maledettamente stronzo».
Mi imbronciai, portando le braccia al petto assieme
alle ginocchia, e presi a dondolarmi, ma non tardò a rispondermi.
«Siamo in vena di complimenti? Che gentile che sei,
amore, anche io ti amo tanto».
Sarcasmo contro sarcasmo.
Inutile dire come in quel momento sentii la voglia
di balzare giù e correre in strada, potendo percepire lì il clima natalizio, la
gente che passeggiava avvolta da sciarpa e guanti, le luci che lampeggiavano
nella sera, i negozi addobbati di dolciumi natalizi e i finti Babbo Natale che
cantavano per strada le tipiche canzoncine da farti sorridere anche nei momenti
meno adatti.
Ero così sovrappensiero, immaginandomi quello
scenario, che non mi resi conto di ciò che Justin fece: mi prese tra le braccia
e mi fece sedere tra le sue gambe, portando le braccia ad avvolgere il mio
ventre e facendomi poggiare la schiena contro il suo petto.
Portai la testa all’indietro, poggiandola sulla sua
spalla e lo fissai mentre si chinava per darmi un bacio sulla fronte.
Tra le sue braccia la rabbia si affievoliva,
scomparendo del tutto. Odiavo quell’effetto, un effetto che, per altro, poteva avere
soltanto lui su di me.
Mi tenne stretta tra le sue braccia e capii che,
anche senza albero o senza le candele sul davanzale, quello sarebbe stato il
Natale più bello della mia vita, perché, se Justin era con me, valeva la pena
di rinunciare a tutto.
«Se mi avessi permesso di aiutarti, quell’albero
sarebbe stato ancora più bello di come già è», sussurrò al mio orecchio e
socchiusi gli occhi, portando le mie mani sulle sue e carezzandogliele.
«Eri tu ad essere troppo pigro per abbandonare
chissà quale sogno», lo rimbeccai voltando leggermente la testa per sfregare la
fronte contro il suo collo.
Sentii le sue labbra cercare le mie, ma non mi
baciò.
Aprii gli occhi per capire il perché e mi imbattei
nel classico sorrisino strafottente che sfoggiava in tante occasioni.
«Ora che mi ci fai pensare, non è stato affatto
carino il modo in cui mi hai strappato via da quel sogno…Dovresti rimediare».
Il suo tono caldo mi incendiò tutte le cellule del
corpo, rimasi a fissare le sue labbra muoversi come ipnotizzata, quando poi i
miei neuroni compresero ciò che disse e mi trovai a sbattere le palpebre più
spesso del dovuto.
«Che sogno era?», domandai perplessa, ma anche
divertita.
I modi in cui giocavamo mi piacevano alla follia, lui mi piaceva alla follia in realtà.
Era soltanto un mese che condividevamo lo stesso
tetto, un mese dopo un anno e mezzo
d’agonia. Ne erano successe di cose, piacevoli o spiacevoli che fossero le
ricordavamo tutte, perché, se non fosse stato per loro, non ci saremmo mai
trovati qui, insieme, a godere della presenza l’una dell’altro.
Prese a
baciarmi il collo con una lentezza esasperante, stetti quasi per implorarlo di
smetterla, quando parlò.
«Potrei dimostrartelo, così magari lo continuiamo
insieme», quella voce così roca mi fece rabbrividire.
Notai i suoi occhi liquidi nei miei e mi sporsi per
potermi appropriare delle sue labbra invitanti, quando mi scansò e mi sorrise
divertito.
«Peccato che tu non sia Jessica Alba», scosse il
capo e mi offrì uno sguardo di pietà, sprofondando nel divano e trascinandomi
con sé.
Afferrai il cuscino e glielo premetti in faccia.
Jessica Alba?
«Spiegami una cosa: mentre io mi aprivo il mazzo per
addobbare il nostro albero di Natale,
tu ti sei concesso un incontro ravvicinato con Jessica Alba?», domandai piccata senza neanche la forza di
censurare la voglia che avevo di portare quell’attrice nel baratro.
Per tutta
risposta fece il vago e mi strofinò il pugno sulla testa, facendomi balzare.
«Justin! Non deviare! Abbi almeno il coraggio di
ammetterlo!», mi opposi tirandomi su a sedere per poterlo guardare in faccia.
«D’accordo…Magari non era proprio Jessica Alba…Però
era castana…»
Continuai a fissarlo nella maniera peggiore
possibile. Preferivo che fosse stata Jessica Alba, almeno avevo qualcuno contro
cui fare riti woodoo.
«Castana?», mi portai una mano al mento, cominciando
a riflettere quale altra attrice potessero aver mirato i suoi neuroni perversi.
Magari un’attrice di PlayBoy?
Annuì alla mia domanda retorica, dopodiché,
vedendomi troppo presa dal ragionare, scoppiò a ridere e mi attirò a sé per
potermi baciare.
«Dimenticavo di darti l’indizio più importante: ce
l’ho qua davanti a me», soffiò riprendendo a baciarmi.
Presi a maledirmi per non averci pensato subito. Si
divertiva così tanto nell’istigare la mia gelosia? Perché, che ormai io
soffrissi di una gelosia cronica era scontato, ma se ci marciava in quel modo
non mi aiutava di certo!
Presi a baciarlo con desiderio, avevo delle vampate
di calore assurde che non riuscivo a gestire, nonostante fosse pieno inverno e
fuori stesse diluviando a non finire.
Mi strinsi tra le sue braccia, presa da una
sensazione troppo grande che mi avvolse il petto.
Justin mi strinse a sé senza dire o fare null’altro.
Mi resi conto che quella sensazione altro non era
che felicità.
Ero felice, con Justin, grazie a Justin, per Justin.
Ed ero felice perché sapevo che non avrei desiderato
nient’altro a Natale se non stare con lui, ma il mio era un desiderio che
sarebbe durato anche oltre il Natale, oltre l’Epifania o il compleanno.
Avrei voluto Justin con me per sempre.
«Hai già pensato cosa chiedere a Babbo Natale?», mi
scimmiottò passandomi una mano tra i capelli.
Che stronzo che era, mi copiava anche le battute. Se
non fosse stata per quella scemenza con la quale me ne ero uscita la sera
prima, adesso non avrebbe trovato un altro pretesto per prendermi in giro.
«Non ho niente da chiedergli», me ne uscii con
sincerità.
Sentii le braccia di Justin stringermi maggiormente
e mi persi nell’aspirare il profumo della sua pelle, con il viso schiacciato
sul suo petto.
«Non mi dimostrerò egoista, per cui prenderò il tuo
esempio. Avrei tanto voluto chiedergli una Porsche o magari uno yacht da
portare alle Hawaii, o semplicemente l’elisir di eterna giovinezza, ma, siccome
a Natale siamo tutti più buoni, lascerò che Babbo Natale salti il camino di
questa casa e porti gioia e amore altrove».
Scoppiai a ridere di cuore, lasciandogli piccoli
baci sul torace.
«Noi li abbiamo già», dissi alzando poi la testa per
poterlo guardare negli occhi.
Mi stupì, perché non ironizzò.
Si limitò ad aprirsi in un sorriso complice, si
chinò e mi baciò.
Assaporai le sue labbra come se fosse stata la prima
volta, il calore delle sue braccia mi raggiunse anche il cuore, mi sentivo così
priva di difese al suo fianco, non avevo bisogno di montar su nessuna
protezione.
Justin aveva il mio cuore ed ero consapevole di
avere io il suo, cosa che a volte ancora mi provocava stupore.
«Quindi, io sarei il tuo regalo di Natale?», domandò
poi, ridestandomi dai miei pensieri.
Feci vagare gli occhi, soltanto per poter ritardare
una risposta, quando poi affrontai i suoi e mi trovai a sorridere.
«Già…»
Ci guardammo negli occhi trattenendo quasi il
respiro, quando poi mi prese tra le braccia e si alzò. Portai le mani dietro il
suo collo e scoppiai a ridere per la sua espressione maliziosa.
«Devi ancora scartarmi!», mi punzecchiò baciandomi
il collo, poiché, per ridere, avevo gettato il capo all’indietro.
«Ma non è ancora Natale», ribattei con un barlume
d’eccitazione negli occhi.
Le nostre pupille tornarono ad incastrarsi e un
brivido mi scosse l’intero corpo.
«Ma tu sei speciale, hai ricevuto un regalo
speciale. È giusto che almeno lo provi, metti che sia difettoso? Cosa che non
credo ovviamente, ma tentar non nuoce», sussurrò con voce calda mandandomi in
tilt.
Presi il suo viso tra le mani e avvicinai le mie
labbra alle sue.
Non avrei mai potuto sostituire Justin con nessun
altro.
Lui non era il mio regalo per Natale, era un regalo
per la mia intera esistenza.
Lo baciai con dolcezza, una dolcezza che poche volte
sbucava fuori, ma che c’era e ci sarebbe sempre stata per lui.
«Per il bene della scienza, allora», mormorai con il
fiato corto, i suoi baci avevano sempre un effetto disastroso sul mio
autocontrollo.
Mi guardò come se avessi appena detto chissà quale
eresia.
«No, per il bene mio e tuo», rispose senza ironia,
notai le sue pupille dilatate e accecate dal desiderio.
Mi trovai a sorridere pensando che stavamo
diventando due malati, due dipendenti, l’uno dall’altro.
«Allora non voglio aspettare più: andiamo a scartare
il mio regalo», soffiai sulle sue labbra stringendomi al suo corpo e perdendomi
in un bacio da far girare la testa, mentre avanzavamo verso la camera da letto.
Ero certa che non avrei trovato nulla di difettoso
nel mio regalo, anzi, probabilmente sarebbe stato lui a trovarmi qualche
difetto un giorno, un difetto che avrebbe potuto allontanarlo da me.
Ma avrei fatto di tutto per non dargliene modo.
Justin era la chiave per la felicità, la mia felicità, e avrei fatto in modo di
essere anch’io la sua.
Si è tutti più buoni a Natale, no?
Lo sarei stata anch’io.
E non solo a Natale.
The End.
Angolo
dell’autrice*
Questa
one-shot la scrissi tempo fa, è ispirata ad una coppia di un gioco di ruolo di
cui completamente invaghita e, nonostante avessi deciso di non postarla all’epoca,
mi sono ricreduta rileggendola questa mattina – si vede che non avevo niente da
fare, eh?u.u -.
Credo
sia normale se si capisce poco e niente, come ho detto è ripresa da un gioco di
ruolo quindi non conoscendo la storia, credo sia piuttosto scontato.
Ma
siamo vicini al Natale e mi è venuta voglia di pubblicarla, mi auguro piaccia
*-* Ringrazio Fè per l’immagine meravigliosa, ringrazio i soggetti dell’immagine
(Alex, mon amour *-*, e Leighton *-*) e dedico questa shot alla mia donnins
<3
Un
bacione!
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