Prima di iniziare, le solite
avvertenze d’obbligo e perché no, pure qualche
spiegazione per mettervi a parte della mia mente: questa storia
rappresenta il prequel - almeno per come lo immagino io - di
“Red Flags and Long Nights“; Vicarious, un termine
inglese - nonché noto titolo di una delle più
belle canzoni dei Tool -, vuol dire “subìto,
sofferto al posto di un altro”.
Si tratta di una lunga
storia autoconclusiva, che ha qualcosa di strano; non vi
dirò cosa, perché francamente non l’ho
ancora capito neppure io, ma spero vi piaccia nonostante tutti i suoi
difetti - di cui sono conscia.
Ogni critica
costruttiva, ogni commento, ogni correzione - ci terrei a rammentare
che non ho più una beta - sarà bene accetto e
anzi, incoraggiato.
Con questo saluto e
ringrazio tutti coloro che leggeranno questa storia.
Un abbraccio,
XxX.SilverLexxy.XxX
VICARIOUSLY:
Parte I:
L‘Enigmista.
I can be your hero, baby. I can
kiss away the pain.
I can stand by you
forever. You. Can Take. My breath away.
Spaventapasseri
non era mai andato d’accordo - più che altro non
aveva mai voluto parlarci - con Edward: l’uomo era un
megalomane narcisista e la sua presenza, irritante nei momenti buoni,
sfociava con facilità nell‘odioso e non era il
solo a pensarlo. Di primo acchito, l’Enigmista risultava
genuinamente antipatico al novanta percento delle persone e spessissimo
gli capitava di scontrarsi con loro.
Colpa dei suoi discorsi complicati ed egocentrici, di quel sarcasmo
denigratorio e della sua maledetta ossessione per gli indovinelli, che
più di una volta erano riusciti a scatenare risse - quelle,
ad Arkham, erano infettive quanto la peste, e come tali andavano
evitate.
Bastava un nonnulla, un boccone che vola fuori dal piatto in sala
mensa, un grido improvviso, una parola sbagliata e la violenza si
allargava a macchia d’olio: le guardie che gridavano,
atterrando pazienti a colpi di manganello, le imprecazioni, gente che
fuggiva o lottava o si ritirava in un angolo a piangere e strapparsi i
capelli, l’allarme prendeva a suonare e le uscite venivano
sigillate.
Nel bel mezzo di questa commozione, non avendo assolutamente il fisico
né l’atteggiamento per gettarsi nella mischia,
Jonathan restava seduto a mangiare o leggere o godersi la scena; Edward
invece, una volta creato il panico, improvvisava sempre un modo per
usare il putiferio a suo vantaggio, e questa era un’altra
cosa detestabile: la sua megalomania era tale, che si riteneva in grado
di poter far tutto, gestire ogni situazione, e se puntualmente aveva
successo, era solo per pura fortuna.
Ma la cosa che riusciva a disgustarlo maggiormente, era
l’attinenza di Nigma al flirt: uomini o donne per lui non
faceva distinzione, da quando aveva fatto il suo primo ingresso ad
Arkham aveva sedotto - e si era lasciato sedurre - con
facilità la parte affascinante del personale nel manicomio,
cosa che a Jonathan dava un sincerissimo voltastomaco per tutta una
serie di motivi.
Voci di corridoio gli attribuivano un interesse romantico perfino nei
confronti del Joker e questo andava a toccare un altro nervo scoperto:
la capacità di stringere amicizie pericolose con una
noncuranza spiazzante.
Perfino i loro passatempi erano diversi: Crane aveva una cultura
classica, amava leggere testi di scienze e letteratura, mentre il
sapere di Edward, coltivato a suon di riviste, internet e giochi - per
non parlare dell‘immenso talento nel mondo del computer e
della tecnologia - era attuale.
Detto ciò, sembrava ovvio che due persone come loro non
sarebbero mai arrivate a parlarsi ed andare d’accordo poi,
sarebbe stato addirittura impensabile.
Nigma ne era convinto, un giorno Arkham sarebbe spontaneamente esploso
vista la quantità di ignoranza che era costretto a contenere
e la cosa lo avrebbe fatto ridere; nei suoi periodi di permanenza
forzata, tentava di divertirsi come poteva, in solitario coi numeri
della settimana enigmistica lasciati lì, a prendere polvere
negli angoli delle sale ricreative, oppure ponendo indovinelli cui
però, solitamente riceveva in risposta più
cazzotti che parole.
Tra le guardie aveva riscosso un certo successo: quegli uomini
passavano molto tempo coi cruciverba e spesso venivano da lui a porre
domande, forse più per vedere se conosceva davvero ogni
risposta e fino a quel momento, non li aveva mai delusi.
Non poteva quindi dire di sentirsi troppo solo, sarebbe stato ridicolo
viste le molte storie sentimentali che riusciva ad imbastire,
dirigendole un po’ come se fossero tanti film: non provava
gusto nel sesso fine a sé stesso, difficilmente si sarebbe
abbandonato ad un atto simile per semplice istinto. Non si riteneva un
egoista, né un animale, né un sessista, infatti
per lui uomini e donne gli erano inferiori in modo paritario e su
questo non aveva mai avuto problemi a farsi una ragione.
Forse l’unica persona in tutto Arkham che riuscisse a
tenergli testa - anche se in modo tutto suo - era il Joker ma con tutto
il tempo che passava tra la macchia e l’isolamento, non
risultava poi tutta questa gran compagnia: l’ammontare delle
sue evasioni era almeno il doppio di quelle di un supercriminale normale.
Poi un giorno aveva tentato, a suo rischio e pericolo, una domandina
facile facile a James Grugno
- che non era il suo vero nome, ma gli si adattava perfettamente -;
inutile dire come fosse andata a finire.
“Cosa ci fa un telecomando a Venezia?”
La risposta era uno scherzoso cambia
i canali!, ma dopo aver bofonchiato qualche stranezza, il
signor Grugno s’era fatto nervoso ed Edward gli aveva
gentilmente offerto la risposta; per qualche motivo però
questa imbestialì l’uomo, che tentò di
colpirlo sulla testa con una sedia. Se c’era qualcosa per cui
Nigma era rinomato - oltre l’intelligenza spaventosa - era la
prontezza con cui poteva evitare colpi micidiali come quello: il pezzo
di mobilia lo mancò, sferzò l’aria ed
andò a rompersi addosso al tizio seduto un posto
più in là, che a sua volta cadde sul vicino,
schizzando fiotti di sangue nei piatti dei più prossimi e
non era davvero un bello spettacolo.
Quello che seguì, Edward lo avrebbe definito come lo decantò Dante,
sette lettere.
Jonathan non aveva idea di cosa - stavolta - Nigma avesse potuto dire
per provocare le ire dell’ennesimo grosso paziente nerboruto:
con la coda dell’occhio aveva colto il movimento di qualcosa
che veniva sollevato in aria - una sedia - che finì col
mancare Edward e schiantarsi sul suo vicino, catapultandolo, con un
guizzo sanguinoso, un posto più in là e
naturalmente, a nessuno faceva piacere una testa insanguinata nel
piatto.
Un attimo dopo, la rissa aveva già coinvolto anche il tavolo
alle loro spalle ed alcune guardie si fecero avanti, altre si
precipitarono a piantonare la porta per impedire le fughe, altre
corsero a prendere in custodia il Joker - nessuno voleva quel clown in
giro, quando scoppiavano i casini -, ma prima di venir trascinato
fuori, fece in tempo ad urlare i suoi più sentiti
complimenti a Nigma.
Jonathan s’accorse di essere rimasto a bocca aperta, la
forchetta a metà strada dal piatto e decise di metterla
giù, tanto quella roba faceva pure schifo; restò
dov’era, incrociò le mani sulle gambe accavallate
ed attese che le guardie ponessero fine a quel nuovo disastro e lo
riaccompagnassero alla sua cella. Farsi trovare buoni buonini durante
una commozione, veniva sempre ricompensato in qualche modo.
Improvvisamente qualcosa di brutto accadde: Crane si ritrovò
per terra, dolorante, qualcuno lo aveva sollevato di forza dalla sedia
e quando alzò lo sguardo, proprio nel punto in cui avrebbe
dovuto esserci lui, vide due uomini che si rotolavano a terra, il
tavolo spezzato in due sotto di loro; avvertì la presenza
del suo salvatore ancora alle sue spalle e si voltò;
riconobbe il volto basito di Nigma, che dopo qualche attimo
abbassò lo sguardo ad incrociare il suo.
“Quanto
ti ho visto male.” Commentò, scuotendo la testa.
“Ma male,
male, male.”
Beh, due tizi che gli si fiondavano addosso con tale forza,
probabilmente gli avrebbero rotto qualche osso, se era proprio
sfortunato anche quello del collo, ma considerato il fatto che quel
pandemonio era scoppiato proprio a causa di Edward, decise che non lo
avrebbe mai ringraziato. Fece per parlare ma l’altro lo prese
per un braccio e si tirò in piedi, aiutandolo a fare
altrettanto, per poi trascinarlo con sé.
Jonathan non si ribellò, curioso di vedere dove volesse
arrivare ma una volta fuori dalla mensa - le guardie che avrebbero
dovuto sorvegliare l’uscita erano rimaste coinvolte nella
rissa - puntò i piedi e con uno strattone si
liberò dalla sua presa.
“Dove credi di andare?” Chiese e Nigma lo
guardò in modo curioso per qualche attimo, ma poi si
riscosse.
“Se permetti, lontano da lì.”
“Lo sai vero, che se non sono le guardie ad accompagnarci
fuori, viene considerato tentativo di evasione?”
“Oh, scusa.” Rispose, incrociando le braccia sul
petto. “Torna pure dentro, allora.”
“Quella faccia cosa sarebbe? Ti rendi conto di essere stato tu a scatenare
quel casino?”
Edward non rispose, si limitò a ghignare, scrutandolo
dall’alto in basso.
“Cosa?”
Chiese Crane, indispettito da quell’espressione molesta.
“È divertente, pensavo fossi un catatonico! Te ne
stavi fermo come un idiota, per quello ti ho aiutato. Se non potevi
parlare davvero, era
meglio.”
Lo disse con tale nonchalance che Jonathan avvertì
l’istinto di picchiarlo; riuscì finalmente a
capire come mai tutti sembravano trovare quell’uomo tanto
irritante, ma mantenne una parvenza di compostezza.
“Aiutato,
certo! Come se non fosse colpa tua ciò che sarebbe potuto
accadermi.”
“A te non capita mai di venir frainteso? Ovviamente, non
l’ho fatto apposta.”
“Allora impara a tenere la bocca chiusa, perché
sai essere davvero irritante, senza
farlo apposta.”
Si voltò per tornare alla mensa, senza dare
all’altro la possibilità di ribattere; era periodo
di campagna elettorale ad Arkham, quindi per un po’, il
manicomio avrebbe assicurato quella massima sicurezza che vantava di
avere da anni, rendendo alquanto improbabile una fuga, almeno per
qualche tempo.
Ala luce di ciò, l’ultima cosa che Jonathan
voleva, era vedersi sottrarre i suoi preziosi libri a causa di quella
corsetta fuori.
Quando a Nigma capitava di incontrare una persona, non era raro che il
suo iperattivo cervello girasse, sul momento, lunghissimi film mentali,
narrando cosa sarebbe stato di loro - a volte, negli anni a venire -;
ovviamente quei giudizi non erano perfetti ed il re degli indovinelli
si vedeva costretto a riadattare le sue infinite trame giorno dopo
giorno, mantenendo però sempre un determinato personaggio
che però, dell‘originale sé stesso,
conservava solo i tratti principali.
Non era un capriccio, né un modo per passare il tempo,
né tanto meno una vera e propria speranza di
felicità: era sempre lui il primo a stufarsi di certe
situazioni, per via dell’inconscia tendenza a cambiare
atteggiamento per assecondare le sue fantasie.
Jonathan Crane non aveva mai attirato la sua attenzione prima, infatti
Edward non sapeva neppure della sua esistenza fino al momento in cui lo
notò, comodamente seduto mentre poco distante un gruppetto
di facinorosi si accapigliava, muovendosi velocemente nella sua
direzione. “Ora si sposterà.”
pensò, ma non accadeva, quindi senza pensarci troppo su, si
precipitò lui stesso a salvargli la vita: con tutta la forza
che aveva lo afferrò e lo trascinò indietro,
proprio un attimo prima che due detenuti travolgessero tutto nel punto
in cui l’altro stava seduto.
Quando i suoi occhi si fermarono sul viso dell’altro, il
primo pensiero che gli attraversò la mente fu: love story.
L’ennesima. Un attimo dopo, aveva già approvato la
teoria secondo la quale quel ragazzo, aveva perso l’uso della
parola in seguito ad un orrendo trauma, ma non aveva mai fatto male a
nessuno.
Tempo pochi secondi ed il suo background fu completo: si trattava di un
ragazzo come tanti, ma un terribile giorno d’Autunno
trovò, rientrando a casa, la sua intera famiglia sterminata,
vista che ovviamente lo gettò in stato catatonico,
impedendogli di difendersi dall’accusa di strage premeditata
che lo spedì dritto ad Arkham. Un giorno però,
nel bel mezzo dell’assurda violenza del manicomio,
arrivò lui, Edward, la sola persona degna di nota in quella
follia.
Quando si rialzò, aiutando il ragazzo a fare lo stesso,
aveva immaginato tutte le scene clou della loro storia: già
si vedeva, commosso, mentre quel dolce ragazzo ricominciava a parlare
per merito suo, in barba a tutti gli psichiatri che,
immaginò, avessero lavorato sul suo caso. Dopo aver
brevemente deriso quegli immaginari dottori, mentre nella
realtà conduceva il giovane fuori dalla mensa, nella sua
immaginazione si vedeva fuggire insieme a lui e risolvere il caso della
morte della sua famiglia - avrebbe fatto tutto lui, ovviamente - per
scagionarlo.
Stava già scegliendo le colonne sonore, quando i suoi sogni
romantici andarono comicamente in frantumi: non solo il ragazzo non era
muto, ma era anche fin troppo maleducato ed irriconoscente e pareva
odiarlo a priori senza una valida ragione. Non era neppure mai stato
innocuo: Joker gli aveva parlato di lui quella sera stessa,
raccontandogli dei suoi precedenti col piccolo chimico.
La verità era che un crollo così totale delle sue
aspettative avrebbe dovuto buttarlo molto più giù
di quanto fosse realmente accaduto. Jonathan aveva gli occhi azzurri,
le labbra piene come quelle che si vedono sulle riviste e dei
lineamenti fin troppo aggraziati per appartenere ad un uomo: crescere
con un aspetto simile non doveva essere stato facile, specie se poi si
sceglieva un mestiere come quello del medico perché, come
disse Joker, diciamolo,
chi mai si metterebbe nelle mani di un dottore così carino,
se avesse un male serio?
Nigma si sentì diviso tra rabbia estrema e
curiosità incondizionata per quel ragazzo che, sempre a
detta del clown, era troppo
bello per essere cattivo, ma che in realtà è
malvagissimo!.
Parte II: Lo
Spaventapasseri.
I would like to say that I knew
that this would happen.
That things would go
this way; but I cannot deceive you.
This was never planned.
I Know tha you’re the Right girl.
But, do you think that I
am the Right man?
Strano ma
vero, Arkham possedeva una biblioteca - certo, non troppo fornita -, e
trattandosi di una struttura ospedaliera vantava molti volumi di
medicina e psichiatria; l’odore che c’era in quel
posto, di carta stampata, di vecchie copertine e di polvere, in un
certo senso riusciva a confortare Crane, che custodiva gelosamente
quei momenti di pace e solitudine - per quanto potevi essere
solo, scortato da due energumeni -: non molta gente coltivava
l’hobby della lettura, lì.
Su una fila di vecchi volumi, notò un titolo intrigante e lo
sfilò con gentilezza.
“Una gallina sta camminando.” Disse una voce vicino
al suo orecchio ed il volume gli scivolò di mano.
“D’un tratto, vede un cartello che vieta il
passaggio e si ferma.” Crane si voltò e storse il
naso, trovandosi davanti Nigma. “La soluzione?”
“Ahm. Le galline non leggono?” Chiese con antipatia
sarcastica al Re degli indovinelli, che scoppiò a ridere.
“Esatto.”
“Tutto qui?”
“Sì. Era
tanto facile, non trovi?”
“E quindi?”
“Nulla. Ma non sei pazzo come dicono se non credi che una
gallina possa leggere.”
“E tu non sei intelligente come credi, se pensi che tutti i
pazzi siano dei cretini…”
“Una calamita attrae il ferro.” iniziò
di nuovo Edward, sporgendosi verso di lui in segno di passione.
“Il legno è un metallo, l’acqua possiede
tre molecole di idrogeno ed una di ossigeno. Il Sole è una
stella, tre di queste affermazioni sono errate. Quali sono quelle
false?”
“Smettila, è un paradosso.” Rispose a
metà tra lo scettico e l’irritato, ma la soluzione
era esatta: l’ultima frase, nel momento in cui diveniva vera,
non poteva più essere inclusa tra le affermazioni errate.
Edward si tirò indietro, raddrizzandosi e mostrandosi in
tutta la sua altezza, che per la prima volta Jonathan notò
essere considerevolmente maggiore della sua; l’istinto, fin
dai tempi della scuola, gli aveva insegnato ad evitare i confronti con
persone tanto più grosse di lui e per un attimo
ammutolì.
Conosceva, certo, il disprezzo di Nigma per la violenza fisica ma
quella reazione fu del tutto inconscia, tanto imprevedibile da non
poterla fermare.
“Non c’è motivo di
arrabbiarsi.” Sorrise Edward, calmo. “Non facevo
nulla di male, pensavo ti facesse piacere avere una conversazione con
qualcuno che ha cervello, per una volta.”
Il suo tono di superiorità, mischiato a quelle parole
tronfie, rinnovarono l’odio che Crane nutriva nei confronti
di quell’uomo: doveva forse sentirsi onorato del fatto che
gli avesse rivolto la parola? Per un attimo la testa di Jonathan si
svuotò, dandogli le palpitazioni tipiche che si sentono
durante una lite, quando non si vede l’ora di rispondere a
tono ma si ha paura di non pensare in tempo ad una risposta abbastanza
efficace.
“Mi farebbe indubbiamente piacere. Per questo che gradirei
che te ne andassi.”
“Che cosa sgarbata da dire.” commentò,
con freddezza. “Chi la costruisce la vende, chi la compra non
la usa, chi la usa non la vede. Cos’è?”
“Una specie di minaccia velata?”
“No.”
“Una bara. Non ci siamo, dovrai impegnarti di più,
se vorrai parlare con me.”
Con uno scatto si chinò a raccogliere il libro che aveva
lasciato cadere poco prima e, per la seconda volta da quando lo
conosceva, si allontanò lasciando Nigma da solo, a sorridere
in modo furbo per chissà quale perverso motivo.
A detta del nuovo medico che gli avevano affibbiato, Edward soffriva di
fobia della noia
che, accompagnata da una galoppante megalomania e da un disturbo
narcisistico, lo aveva spinto a diventare ciò che era,
ovvero - testuali parole - un
uomo capace di indossare abiti verdi e sfidare il vigilante di Gotham
senza mai vergognarsene o anche solo fermarsi a riflettere su fatto che
non ha alcun senso.
Le sfide però erano l’unica cosa capace di farlo
sentire vivo, diverso dalla massa di ignoranti di cui era circondato e
che, per l’appunto, lo rendevano ciò che era,
senza vergogna e certamente senza mai pensare che ciò che
faceva fosse inutile. A tutti quei sedicenti dottori, finiva col
rispondere sempre la stessa cosa: io
sono il Re degli indovinelli, come puoi tu fare
domande a me?
Entrò in biblioteca, l’aria adirata e
sbatté la mano aperta sul tavolo, attirando
l’attenzione dell’unico detenuto presente, la
persona che stava cercando. Crane sobbalzò, completamente
immerso nella lettura come era non lo aveva neppure sentito arrivare.
Alzò lo sguardo - meravigliato e spaventato - su di lui.
“Sparami la tua diagnosi.” Disse Nigma, freddo.
“Spararti che?!”
“Sei uno psichiatra, no? So che muori dalla voglia.”
Il silenzio durò qualche attimo; Edward poteva quasi
vederle, le rotelline che giravano velocissime dietro quella fronte
pallida, mentre Crane si mordicchiava l’interno della bocca,
tormentato; non sapeva se era il caso di dare voce alle sue deduzioni,
ma che non vedesse l’ora di farlo era innegabile. Nigma aveva
appena forato nel suo territorio.
“Megalomane.” Esordì, lentamente, ma
più parlava, più la lingua si scioglieva.
“Hai un bisogno pressante di metterti in discussione, covi
insicurezza; vivi in una realtà curiosamente distorta in cui
gli altri esistono esclusivamente in relazione a te, sospetto una fobia
da abbandono dalla quale ti proteggi escludendo per primo tutti gli
altri, che assolutamente non riesci a concepire come esseri a
sé stanti, hai un’enorme mania di protagonismo
e…”
“Cura consigliata?” Lo interruppe, la sua voce
più alta del solito.
Spaventapasseri ammutolì subito, la sua espressione si fece
strana, abbassò lo sguardo, sbuffò col naso e
tornò a guardarlo negli occhi, serio.
“Forse non lo sai - come d’altronde sembrano
esserselo scordato tutti i dottori qui -, ma la psichiatria,
checché se ne dica, non è come la medicina e non
esiste cura per nessuna turba. Ci si limita a tamponare gli effetti
indesiderati, sopprimendo tutti i comportamenti socialmente scorretti.
Solo un folle
entrerebbe alla facoltà di psichiatria convinto di poter guarire
alcunché.”
Nigma lo stette a sentire, inespressivo, poi si tese in avanti,
chinandosi fin quasi a sfiorare il naso dell’altro col suo.
“Quindi, che faresti con me?”
“Io?” Domandò Crane, e le sue pupille si
dilatarono per un attimo, vista che confuse il Re degli Indovinelli
come poche cose in vita sua. “Inonderei la tua cella di gas
terrorizzante e resterei a guardarti finché
l’ultima briciola di sanità non sparisce. E ne
annoterei ogni dettaglio.”
Scuoteva la testa mentre parlava, senza staccare neppure per un attimo
gli occhi da quelli di Edward, e seppure non suonassero affatto
rassicuranti, quelle parole acquietarono Nigma: per lo meno, Jonathan
non avrebbe mai voluto cambiarlo. A Jonathan, lui andava bene
così com’era. Lentamente, sul suo viso si
aprì un ghigno, avvicinò ancor più il
viso al suo, abbassandosi perché stessero alla stessa
altezza, aprì la bocca per parlare ma una guardia lo
afferrò trascinandolo indietro, convinto che lui e
Spaventapasseri stessero per litigare o chissà che altro; a
quel contatto Edward non sobbalzò, non oppose resistenza,
non staccò mai gli occhi da quelli di Crane,
finché non venne trascinato fuori.
Il loro incontro in biblioteca non fu l’ultimo; il Re degli
indovinelli sembrava - stranamente - aver perso Jonathan in simpatia e
cercava la sua compagnia sempre più spesso. L’ex
psichiatra però, non poteva certo dire che Edward fosse una
persona invadente, per lo più si avvicinava, lanciava due
chiacchiere e non tentava mai di trattenerlo quando decideva di
andarsene.
Da qualche giorno nell’istituto si respirava
un’aria pesante, il Joker era evaso e nessuno riusciva a
capire come.
Probabilmente, il clown aveva deciso di andarsene solo per dispetto,
per dimostrare che quelle nuove e provvisorie misure di sicurezza, per
lui erano una bazzecola ed ovviamente, a nessuno - specialmente alle
guardie - faceva piacere venir giocati in quel modo, figurarsi sotto
campagna elettorale, quindi ancora una volta le cose cambiarono.
Anche ai detenuti modello vennero tolti tutti quei sudati privilegi -
come la possibilità di accedere ai libri -, non importava
quanti sguardi innocenti o per
favore potevi distribuire.
Jonathan dovette ammettere di invidiare l’Enigmista, cui
bastava lanciare qualche indovinello per ritenersi soddisfatto di una
giornata; era convintissimo che l’unico motivo per cui Edward
continuava ad avvicinarsi a lui nonostante le male parole che
continuava a sputargli addosso, era la noia. Ma in quel periodo,
perfino la compagnia di un maniaco simile era preferibile alla
solitudine.
“Perché un uomo tiene a fianco al letto un
bicchiere d’acqua pieno ed un altro vuoto?”
“Per caso la risposta è che non esistono bicchieri
fatti di acqua?” Chiese Crane, con aria stanca.
“No.” Ghignò.
L’ex psichiatra aggrottò le sopracciglia:
“Così quando uno è pieno può
riempire l’altro?”
“Che risposta sarebbe? Potrebbe riempire quello
svuotato!”
“Non so, gli piace cambiare bicchiere ogni tanto? Ha qualche
ossessione compulsiva?”
Lo sguardo che Edward gli rivolse era fulminante, sembrava dire
chiaramente no comment.
“Ti arrendi?”
“Giuro che se è una cavolata, ti soffoco mentre
dormi.”
“Perché quando ha sete beve il bicchiere pieno,
quando non la ha, quello vuoto. Prepara i cuscini, Jonathan.”
“Idiota.” Mormorò, voltandosi
dall’altro lato nel tentativo di nascondere un sorriso.
L’Enigmista ghignò ancora una volta, orgoglioso di
sé stesso: non solo aveva fregato Crane, gli aveva anche
strappato un sorriso; quel giorno, passarono tutto il tempo libero
insieme ed i tentativi di Jonathan di allontanarlo erano davvero poco
convincenti. L’ex psichiatra si ritrovò a pensare
che la compagnia di Edward non fosse poi così male come
aveva immaginato… ogni tanto si sorprendeva a fargli piccole
confidenze, nulla di importante ma ciò non di meno parti del
suo passato: il suo programma preferito da bambino - di cui fu Edward a
ricordargli il titolo -, il fatto che avesse preso la patente solo al
college, la preferenza per la musica classica e l’odio
profondo per gli artisti o gli animali domestici.
Nigma sembrava trovare piacevole
la sua compagnia e di questo, Jonathan non si faceva una ragione viste
le prese in giro e le continue risposte di sufficienza che continuava a
dargli.
Nessuno dei due sembrava fare alcuno sforzo per andare incontro
all’altro, eppure stavano spesso vicini a parlare del
più e del meno senza una ragione precisa. Amici, magari non
sarebbe stato il termine esatto ma era il primo che gli venisse in
mente.
Parte III: Il Joker.
You’re something
beautiful, a contradiction.
I wanna play the game, I
want the friction!
You. Will be. The death
of me…
You. Will squeeze. The
life. Out of me…
“C’è
una cosa che mi sono sempre chiesto, doc.”
Jonathan sobbalzò a quella voce tanto improvvisa alle sue
spalle: non si trattava dei toni sommessi e familiari di Edward quindi,
lentamente, si voltò, stupendosi nel vedere niente meno che
il Joker in piedi, appoggiato coi gomiti contro lo schienale dei divano
ed apparentemente tanto occupato a non guardarlo, che l’ex
psichiatra pensò stesse parlando con qualcun altro.
Come ad intercettare quel pensiero però, Joker
abbassò gli occhi ad incontrare i suoi, poi riprese a
parlare.
“Ahh… non so se hai presente, ma ad un certo punto
della loro vita, le persone…”
si bloccò, come a corto di parole, gli angoli della bocca si
abbassarono in una smorfia di riflessione, per un momento
spalancò le palpebre e le mani si stesero, palmo verso
l’alto “Beh. Iniziano ad interessarsi di robe
cretine, tipo ahh. Ricette di cucina, tovagliolini ricamati,
francobolli ed altre minchiate simili. Tu riesci a
spiegartelo?”
Quegli occhi, ardenti e vuoti allo stesso tempo, inchiodarono quelli di
Jonathan come in un qualche incantesimo terrificante ed era come venire
stretti da mille giri di catene, la cui presa si faceva via via sempre
più stretta, soffocante, mortale. L’unico modo per
liberarsi, era rispondere.
Crane non si scompose: dopo anni passati alla direzione del manicomio,
aveva imparato a mantenere una facciata neutra in ogni situazione,
perfino quelle al di là della fantasia, perfino in quella
situazione lì - che, nella sua mente, si avvicinava di molto
alla peggiore delle crisi.
“Paura di morire senza lasciare nulla al mondo, credo. Si
inizia a collezionare cose, accumulando roba ed elevandola a
cimeli.”
La faccia del clown era pulita, non aveva addosso le solite circensi
pitture di guerra, ma l’effetto di avere una persona simile
al proprio fianco non era meno terrorizzante, e Joker doveva esserne
conscio. Non staccò mai gli occhi da quelli
dell’ex psichiatra, e sebbene non si fosse neppure mai mosso,
Crane ebbe l’impressione che si stesse avvicinando sempre
più.
“E tu, doc? Paura di morire?”
“Saprai quando ne avrò appena mi vedrai
raccogliere tappi di bottiglia, immagino.”
Joker scoppiò a ridere, finalmente distogliendo lo sguardo
dagli occhi azzurri di Jonathan che però continuò
a guardarlo: anche se scosso dalle risa, il clown non chiuse mai
completamente le palpebre, poi con un salto scavalcò il
divano e prese posto al suo fianco. Stranamente, in quel momento gli
sembrò di capire perché lo chiamassero il Principe Clown del
crimine.
“Mi piacciono le tue risposte, doc. Allora, ahh…
iniziamo la seduta?”
Crane chiuse il libro che teneva sulle gambe da circa una settimana - e
che non era riuscito a finire per colpa di Edward -, conscio del fatto
che ignorare il Joker, o fingere di farlo, era una scommessa che a lui
non andava di fare. Mentre il clown si sistemava contro lo schienale,
le gambe allungate davanti a sé e le braccia dietro la
testa, Jonathan intercettò Nigma, che aveva appena fatto il
suo ingresso ed ora li guardava con espressione confusa.
“Beh? Non ti sarai già fatto
riprendere?” Chiese al clown, avvicinandosi con un ghigno
stampato in faccia.
“Preso, sì. A calci, sì. Dal
pipistrello, beato lui e la sua ignoranza.” Fu la risposta
divertita.
Al suo passaggio, Edward poggiò per un attimo la mano sulla
spalla di Spaventapasseri, stringendo brevemente in segno di saluto,
per poi prendere posto e per un momento - con l’Enigmista
alla sua destra ed il Joker a sinistra - Crane ebbe la sensazione di
essere circondato e dovette reprimere un brivido.
“Povero.” Commentò, freddo,
l‘ultimo arrivato. “Ma dimmi, qual è
quell’antichissima invenzione che permette agli uomini di
passare attraverso i muri?” Ed incrociò e braccia
sul petto con un sorriso enigmatico.
“La bomba. O il martello pneumatico.”
“Macché, è la porta.”
Buttò lì Crane e Joker si raddrizzò a
sedere, fissandolo come se fosse pazzo.
“In quel caso, passeresti attraverso la porta, no? Non
devi esserci tutto di testa, tu.”
Edward scoppiò a ridere nella sua maniera sommessa, annuendo
e dondolandosi leggermente avanti e indietro un paio di volte, un
movimento quasi impercettibile.
“Adorabile.” Commentò poi, voltandosi a
guardare entrambi.
Il Joker, checché ne dicesse, sapeva di essere profondamente
ignorante in fatto di empatia: naturalmente però, partendo
dal presupposto che ognuno è ciò che è
- dietro la sua maschera tristemente borghese -, che ogni cosa ha un
proprio posto e che sulle abitudini altrui si poteva sempre fare
affidamento, gli riusciva eccezionalmente facile cambiare, svelare,
spostare e manovrare fino a distruggere quelle deboli illusioni e
ridere quando la gente - della quale apparenza originale non restavano
che le vestigia - scatenava il loro
me stesso più recondito.
Ovviamente anche questo suo credo aveva delle eccezioni; una era
Edward, che lo divertiva e gli chiedeva in cambio pochi sforzi per
andarci d’accordo: bastava pensare “Ah occhei, a
ciascuno le sue ossessioni.” e poi ci si poteva godere quella
piacevole personalità in tutte le sue sfumature,
perché non era da Eddie nascondere un qualsiasi lato di
sé stesso. Si riteneva meraviglioso. Meravigliosamente puro.
Un’altra clamorosa eccezione, era ovviamente Batman:
l’uomo pipistrello e quel da tempo ridondante “Va
bene, mi basta sapere che faresti sempre, comunque il
contrario”. Oh, quanto
lo faceva ridere quella stoicità, quell’impegno
tanto fuori posto, al servizio di una metropoli marcia come Gotham! Se
il vigilante fosse rimasto sempre sé stesso, il clown ne
avrebbe di certo gioito.
Con Crane però era diverso: sentiva - forse per la prima
volta in vita sua - di poterci arrivare.
Joker poteva conoscere un numero infinito di cose ed impararne
altrettante, ma capire era ben diverso: una persona perbene aveva certi
principi, talmente stereotipati che la rendono manovrabile ma che a lui
continuavano puntualmente a risultare insensati e stupidi,
perciò incomprensibili. Qualcosa che non avrebbe mai fatto parte di
lui.
Ma Johnny era fatto di una pasta diversa, una in cui era difficile
affondare le mani ed ancor più difficile da mescolare, ma
proprio per questo - per quell’alone di mistero e per le
mille sfumature indecifrabili eppure vicine, tanto vicine! -, Joker era
convinto che ne valesse
la pena. Di far cosa ancora non lo sapeva di preciso, ma
qualche idea gli sarebbe venuta di certo.
Per il momento, il clown si divertiva a fare il finto tonto.
Il giorno successivo alla loro prima discussione l’ex
psichiatra aveva smesso di parlare con Edward, che naturalmente
brancolava nel buio e si disperava nel tentativo di capirne la ragione;
Joker lo prendeva in giro, suggerendogli motivazioni e soluzioni una
più strampalata dell’altra, ma sapeva
perfettamente che in realtà, la colpa era sua.
Il povero Johnny doveva sentirsi giocato, quasi in trappola ora che la
figura ingombrante del Principe Clown lo aveva preso di mira e,
nonostante il povero Eddie c’entrasse poco e niente con
quella curiosa attrazione, i pessimi presentimenti di Crane dovevano
essere molti e così forti, che su qualcuno doveva pur
riversare cotanta rabbia.
Tutto ciò faceva ridere Joker, ma soprattutto lo lusingava:
trovava davvero carino da parte dello Spaventapasseri - il Sovrano del
terrore -, avere paura di lui.
“Sei ancora arrabbiato con me?” Chiese Nigma, da
qualche parte alla sua destra.
“Ma certo che lo è!” Lo
rimproverò Joker, seduto a sinistra dell’ex
psichiatra, come a volerlo catturare tra due fuochi. “Non
vedi, ce l’ha scritto in faccia.”
“Potrei conoscerne il motivo, finalmente?”
“Qualunque esso sia, sono sicuro che Johnny ha perfettamente
ragione.”
“Vedo che ami rendermi le cose facili Clown,
grazie!”
“Oh, Eddie. Per te questo ed altro.”
Mai in vita sua Jonathan aveva sentito un tale desiderio di ammazzare
qualcuno: era tutta colpa di Edward - lo era e basta! - se
quell’inquietante presenza circense sembrava, da un
po’ di tempo a quella parte, trovarsi ovunque fosse anche
lui; Crane non amava le situazioni difficili, né i rischi
inutili e legare in qualsiasi modo col Joker, non aveva altre
definizioni.
Il Principe Clown era imprevedibile, violento e pernicioso, sempre
pronto a lanciare battute che andavano dall’inquietante - ma
solo nei momenti buoni - al macabro, passando fin troppo spesso per il
pessimo gusto.
Edward aveva parlato di lui ad un tizio simile, aspettandosi cosa, di
preciso? Il risultato era ben visibile al suo fianco e solo ad un
cretino come Nigma poteva sfuggire la gravità di quella
situazione: praticamente ogni giorno ormai, si ritrovava incastrato tra
lui ed il Joker, le loro voci che rimbalzavano da destra a sinistra
come palline da ping pong e non era rassicurante, né
piacevole.
Spaventapasseri aveva osservato bene il clown, nei suoi comportamenti
quotidiani, nelle sue bravate, nei clamorosi attentati alla
sanità mentale ed alle convinzioni dei gothamiti…
e se era mai stato certo di qualcosa, era proprio questa: con lui, non
avrebbe mai voluto avere a che fare. Nel migliore dei casi, una tale
presenza avrebbe distrutto ogni brandello di calma e ordine nella sua
vita e Crane sentiva di non poterselo permettere.
Aveva già commesso troppi errori, dall’alleanza
con Ra’s Al Ghul, all’aver sottovalutato il
Vigilante mascherato, ma se avesse lasciato fare il Joker, anche solo
per un attimo, quello sbaglio sarebbe stato così distruttivo
da non essere neppure lontanamente paragonabile agli altri. Neanche se
messi tutti insieme.
Parte IV: C’era
una volta…
Killed by the husband, drowned
by the ocean, shot by his own son,
She poisoned his tea,
then kissed him goodbye.
That’s my kind
of story: there’s no fun ‘til someone dies.
C’era
una volta, in un luogo chiamato Arkham, il Re degli Indovinelli.
Nessuno ad Arkham era disposto a credere che qualcuno potesse voler
frequentare assiduamente il Re, a meno di avere un rapporto di
più intima natura con lui, per cui era quasi naturale che
prima o poi, sarebbero nate delle voci sullo Spaventapasseri; tutti
conoscevano ormai bene quel sedicente Sovrano e visto che la cosa era possibile, ben
presto divenne legge.
Ad Arkham, una volta, c’era anche il Principe Clown che per
forza di cose - non aveva un bel carattere, il Principe -, era
sorvegliato molto più della maggior parte dei detenuti
quindi certi momenti - il sonno, la doccia, i pasti - li passava
rigorosamente da solo o comunque, con un numero di persone
più ristretto possibile, nel vano tentativo di evitare
qualsiasi tipo di incidente.
Nessuno lo conosceva davvero, neppure la miriade di dottori che lo
avevano avuto in cura fino a quel momento, e tutti erano
dell’erronea convinzione che il Principe desse, ad ogni cosa
o persona indiscriminatamente, un valore pari o almeno molto vicino
allo zero. Non gli avevano mai attribuito un qualche tipo di
possessività o gelosia, perché questo avrebbe
implicato per lui, anche se in linea minore, la capacità di
affezionarsi e di provare sentimenti positivi.
Ad Arkham, uomini e donne vivevano rigorosamente separati e ciascuno
conduceva la sua vita - chi per scelta, chi per forza di cose, chi con
noncuranza totale - come se l’altro sesso praticamente non
esistesse, per cui non era raro prendere sbandate, corteggiare o
cercare contatto con i propri compagni - specie per quei detenuti che
non avevano la fortuna di evadere troppo spesso.
Spaventapasseri - anche lui c’era, una volta, ad Arkham - era
dotato di infinito fascino che, inutile dirlo, gli era valso
più di qualche spasimante tra quelle fila di bifolchi. Con
quelli più aggressivi, si era perfino trovato nella
condizione di dover tirare calci lì dove fa più
male, ma tra grida furiose e rocambolesche fughe, era sempre riuscito a
conservare la sua… solitudine, diciamo.
Manco a dirlo però, la notizia che dopo tanti calci e
rifiuti, Spaventapasseri avesse scelto un amante - il Re degli
Indovinelli - non andò giù a tutti. Specie a
quelli presi a calci.
Tra questi vecchi pretendenti, figurava anche una vecchia conoscenza
del Re - una di cui neppure ricordava -, tale James Grugno, che pieno
di livore, tentò più volte un attacco diretto al
Sovrano; dall’alto dei suoi superiori talenti
però, questi riuscì sempre ad evitare il
massacro. Il Re non aveva idea del perché di
quell’odio aperto ed andava avanti come sempre, nella
convinzione che fosse semplicemente troppo perfetto per non essere
detestato.
Joker aveva sempre riso, delle voci che correvano a proposito della
relazione tra il tanto desiderato Spaventapasseri e
l’altrettanto ottenuto Nigma; sapeva che queste scivolavano
addosso ad uno ed irritavano quanto mai l’altro, pur
trattandosi solamente di pettegolezzi innocui e talvolta spassosissimi.
Le arringhe di Grugno
poi, erano qualcosa di unico: era capace di dare a Eddie i soprannomi
più strani ed offensivi, cimentandosi anche in
credibilissime imitazioni; Joker lo ascoltava con un orecchio solo, non
partecipava mai attivamente a quel dileggio, anche perché
non aveva ancora deciso se stava ridendo con, o di quel poveraccio.
Sinceramente: Grugno
aveva l’aspetto di uno che poteva fermare la carica di un
toro a mani nude - e solo questa differenza di corporatura era
raccapricciante - ed era entrato ad Arkham dopo aver annodato la spina
dorsale di un tizio che gli era passato davanti mentre era in fila alla
posta; dire che la sua intelligenza era scarsa sarebbe stato fargli un
complimento, ed il suo linguaggio sfiorava a malapena un livello da
terza media.
Joker non capiva come, un animale simile, potesse anche solo sperare
che uno come lo Spaventapasseri gli concedesse di toccarlo pure solo
con un dito.
Nigma comunque, nonostante la corporatura esile e la scarsa attitudine
alla violenza, si era guadagnato un certo rispetto; aveva - raramente,
ma in modo molto efficace - già dimostrato di saper essere
pericoloso e fare davvero molto male, quando voleva per cui a parte
qualche risata alle sue spalle in pochi si sarebbero schierati contro
Edward tanto a cuor leggero.
Quella di Grugno
era perciò destinata a restare una guerra solitaria e
nonostante le punzecchiature in proposito, quella sera l’uomo
sembrava alquanto tranquillo. Gli ci volle appena qualche insistenza
perché iniziasse a raccontare in un linguaggio alquanto
povero, ma dai toni fin troppo crudi, come esattamente si fosse in
realtà già preso la sua vendetta.
Joker si voltò a fissarlo, il sorriso gli si gelò
sul volto fino a scomparire, invertendosi completamente: la linea che
le sue labbra disegnavano, in netto contrasto col percorso preso dalle
sue cicatrici.
Gli si stavano davvero piantando in testa quelle immagini, e non
riusciva a trovarle spassose né divertenti: il pensiero -
vivido come se ne fosse stato spettatore - di quel bruto ignorante che
malmenava Crane, che lo costringeva sotto di sé, gli tolse
la vista agli angoli degli occhi, mentre tutto ciò che
restava prese a brillare, accecante come un lampo.
Quando riacquistò infine il controllo di sé lo
stavano trascinando, scalciante ed urlante, alla sua cella mentre un
dottore gli piantava una siringa nel collo. Piano piano, il clown
iniziò a perdere le parole; quando quel fiume incessante
cessò di fluire dalla sua bocca, se ne rese anche conto: non
aveva nemmeno idea di cos‘avesse sbraitato fino a quel
momento.
Erano passate più di due settimane da quando il Joker era
stato sbattuto in isolamento per il brutale assassinio di un compagno
nelle docce: all’arrivo dei medici, del cervello di Grugno non
v’era più traccia. Dopo avergli fatto perdere
l'equilibrio - fin troppo facile in una doccia - ed aver ripetutamente
sbattuto la sua testa contro il muro, il clown aveva calpestato il
magro contenuto di quel cranio finché questo non
scivolò nello scarico e quindi, nella fognatura.
Crane si sentiva contento, sia dell’improvviso decesso che
dell’assenza dell’assassino. Aveva ripreso la sua
vita come al solito - com’era prima di quel chaos, iniziato
quando aveva fatto la conoscenza di Edward -, ed ora si trovava nella
striminzita biblioteca del manicomio, alla ricerca di qualche lettura
interessante. Come era giusto che fosse.
Improvvisamente, si sentì afferrare e manovrare
finché la sua schiena urtò il muro;
alzò lo sguardo e riconobbe l’ultima persona che
si sarebbe aspettato di vedere. Com’era possibile, dopo un
simile show di violenza, che Joker fosse stato liberato
dall’isolamento così presto? Jonathan era senza
parole, lo fissò a bocca aperta per molti momenti. Si
trovavano tra due alte librerie di metallo, l'unica telecamera nella
stanza inquadrava il lato opposto, le guardie avevano l'obbligo di
restar ferme all'ingresso e per di più il clown sembrafa
furioso come poche cose. Ciò non andava bene.
“Quante volte è successo?” Chiese poi il
clown a bruciapelo e Crane strabuzzò gli occhi.
“Successo cosa?”
“Questo!” Insistette, accennando con la testa
all’occhio nero di Crane, ai punti sul labbro inferiore.
Spaventapasseri tacque ancora per un po’; aveva capito dove
quella surreale discussione sarebbe andata a parare, ma non
riuscì a capacitarsene. L'incidente
nelle docce acquistò un significato del tutto diverso, aveva
un senso,
ma il solo pensiero che ne avesse era spiazzante. Spaventapasseri
boccheggiò più volte, prima di riuscire a
formulare una risposta diplomatica.
“Questo,
non significa niente.” Disse, sicuro. “Qualsiasi
cosa tu abbia sentito o immaginato, non mi è mai successo
nulla di simile.”
Ed aveva detto la verità: evidentemente il povero Grugno era morto
per delle fanfaronate fantasiose, che nella realtà - dopo
qualche breve momento in cui aveva creduto di avere la meglio - si
erano concluse con il solito calcio
dove fa più male. Stavolta fu il turno del
clown di boccheggiare, distogliendo gli occhi da quelli di Crane; poi
si passò la lingua sulle labbra, un tic che gli aveva visto
assecondare più volte e tornò a guardarlo, la sua
espressione al tempo stesso sospettosa ed indagatrice, valeva
più di mille parole. Spaventapasseri capì che, se
c’era un momento per attaccare, era proprio quello se voleva
liberarsi dal Joker una volta per sempre.
“Lo so, cosa ti passa per la testa. Con chi ce
l‘hai? Con quel ritardato che ti ha fatto arrabbiare, con me
che ne sono la causa o piuttosto, con te stesso? Scommetto che non hai
la minima idea di cosa ti sia preso, vero?”
Joker tacque per molti attimi ed i suoi occhi - già carichi
d’odio - si riempirono di furia, apparivano annebbiati ma
solo all’ultimo momento Spaventapasseri si accorse del colpo
in arrivo e non riuscì a fare niente. Un calcio
all’altezza dello stomaco gli tolse il respiro, lo costrinse
a piegarsi in avanti, poi un pugno dritto in faccia lo mandò
a terra senza neppure un suono.
Quando iniziò a tossire, del clown già non
v’era più nessuna traccia e nonostante il dolore -
ben peggiore se ti coglie impreparato - sul viso di Spaventapasseri si
aprì un sorriso cattivo e leggermente insanguinato.
Parte V: Always.
I’ve made mistakes,
I’m just a man.
But baby if you give me
just one more try,
We can pack up our old
dreams and our old lives.
Edward si sentiva confuso, sballottato da una situazione
all’altra e non ci capiva niente, neppure facendo mille volte
il punto della situazione - cosa che invece, lo aveva sempre aiutato
fino a quel momento -, per non parlare del fatto che i diretti
interessati si rifiutavano di aprire bocca.
Con Crane andava d’accordo, almeno all’inizio,
prima che l’ex psichiatra iniziasse di punto in bianco a non
parlargli. Era anche convinto di essersi avvicinato alla
riappacificazione, la presenza di Joker al loro fianco durante quegli
altrimenti monologhi gli dava fiducia; col clown era sempre andato
d’accordo, ricambiava abbondantemente le sue simpatie dentro
e fuori da Arkham, a volte anche in modo alquanto fisico, ma pure lui
aveva preso a rivolgergli a malapena la parola.
Gli era arrivata la voce dell’omicidio da lui perpetrato con
barbara violenza nelle docce, e per quanto ai suoi occhi
un’azione simile risultasse deprecabile, in fondo quello era
Joker. Cose simili accadevano con una facilità estrema
attorno a lui. Era rimasto sconvolto alla notizia ma ben presto gli era
passata e non vedeva l’ora di rivedere il compagno fuori
dall’isolamento.
Quando un paio di settimane dopo lo lasciarono interagire nuovamente
coi suoi compagni però, lo trovò estremamente
irritato; aveva smesso di parlare con lui e con Crane e passava la
maggior parte del tempo da solo, nella sua cella, a fare cosa non ne
aveva idea. Spaventapasseri in compenso, riprese a parlargli quel
minimo indispensabile, che però aumentava piano piano,
sempre più.
Si sentiva, in quei giorni, a metà tra il soddisfatto e il
depresso, per cui decise che era ora di andarsene da lì,
evadere.
Come se nulla fosse, si lasciò scivolare su uno dei divani
coperti di plastica della sala ricreativa, nel posto a fianco a quello
di Jonathan e lentamente, gli sfilò di mano il libro che
stava leggendo. L’ex psichiatra alzò lo sguardo su
di lui, la sua espressione minacciosa grandemente attenuata dai lividi
- ormai praticamente sbiaditi - sul suo viso, che lo rendevano molto
simile ad un panda. Ma solo da un lato. Un panda a metà.
“Volevi qualcosa?” Domandò infine, di
fronte al sorrisino divertito di Nigma.
“Volevo chiederti se mi hai perdonato alla fine, o
no.”
Jonathan si lasciò sfuggire un breve verso denigratorio.
“Sì. Ora và tutto bene.”
“E non hai intenzione di spiegarmi il motivo di quel
trattamento?”
“Ma tu non eri il Re degli indovinelli, una volta?”
“Ma tu non eri
il Re degli indovinelli, una volta?” Gli fece il
verso, incrociando le braccia sul petto.
“Oh certo, molto maturo!”
“Perché smettere di parlare a qualcuno senza
spiegarne il motivo, dovrebbe esserlo.”
“Non importa più, davvero. Era tutto
qua?” Chiese, alzando gli occhi al cielo.
“No. A breve, ho intenzione di andarmene.”
mormorò, e Jonathan si voltò a guardarlo.
“Dai sempre tutto per scontato, vero?” Chiese,
denigratorio.
“Non lo faccio. Semplicemente non puoi non allearti con me,
sono l’unica persona intelligente che conosci.”
“Certo.” Ed alzò ancora una volta gli
occhi al cielo.
“Allora?” Domandò Edward, mentre passava
un braccio dietro lo schienale, attorno alle spalle dell’ex
psichiatra.
“Quando?”
“Non lo so ancora. Forse domani. Ci stai?”
“Hai un piano?”
Il Re degli indovinelli lo guardò con espressione delusa.
Con chi credeva di avere a che fare?
“Allora va bene.” annuì Jonathan e si
voltò ancora, trovando il viso di Nigma vicinissimo al suo,
nessun accenno a spostarsi, così non lo fece neppure lui,
non gli avrebbe dato questa soddisfazione. Non era con una maledetta
quindicenne che stava avendo a che fare, e glielo avrebbe fatto capire
una volta per tutte.
“No.” Disse, scuotendo appena la testa.
“No?” Chiese Edward, confuso.
“Non succederà mai niente tra noi due,
Ed.”
Il Re degli indovinelli sorrise ampiamente, si tirò indietro
ed alzò le spalle. “Valeva la pena tentare.
Edward sapeva che il loro tempo era limitato - era stato proprio lui a
ragguagliare lo Spaventapasseri sull’urgenza della situazione
-, dovevano assolutamente guadagnare l’uscita prima che
l’allarme giungesse sulla terra ferma e quindi a Batman, ma
perdio correva da quella che sembrava un’eternità
e non ce la faceva più: era un dannatissimo pigiabottoni
lui, un uomo di cervello, non d’azione. Di certo poi, alzare
lo sguardo e vedere che Jonathan lo aveva ormai superato di molti metri
senza neppure avere il fiatone non aiutava: chi diavolo era,
l’uomo bionico?! Immaginò che
quell’invidiabile resistenza nella corsa venisse da un
tormentato passato di fughe, ma prima che la sua mente si lanciasse in
un nuovo ed interminabile film mentale, scosse la testa e si
fermò.
“Occhei basta, pausa!” Urlò, irritato,
con tutta la voce che gli era rimasta.
Non sentiva quasi più le gambe, le ginocchia avevano preso a
tremare; tentando di riprendere fiato, si piegò in avanti,
portò una mano sul fianco dove la milza pulsava
dolorosamente già da un po’; serrò gli
occhi e quando li riaprì un attimo dopo, Jonathan lo aveva
raggiunto e si guardava intorno con urgenza.
“Eri stato tu a dire che non c’era tempo da
perdere!”
“Oh beh, scusami
Terminator, se io non ho il fisico per rincorrere le
macchine.”
Una risata alta e breve li raggiunse, ed entrambi si voltarono nella
direzione da cui proveniva.
“Sei rimasto l’unico, parrebbe.”
Nigma strabuzzò gli occhi: la vista di Joker lo aveva colto
del tutto alla sprovvista, non aveva la più pallida idea di
cosa ci facesse laggiù con loro, e con un aspetto tanto
calmo e tranquillo per giunta. Lanciò uno sguardo a Crane e
gli sembrò più turbato, che stupito.
Raddrizzandosi sulle gambe, il respiro leggermente più
regolare, squadrò il clown da capo a piedi.
“Che ci fai qui?”
“Che ci faccio io?
Che ci fate voi,
piuttosto. Ahh… se stavate fuggendo, devo dirlo, non
avvertirmi è stato molto scortese da parte vostra. Ma, non.
Fa. Niente. Sono di buon umore e per di più, ho anche il mezzo.”
Ammiccò, sollevando e riabbassando velocemente le
sopracciglia mentre faceva tintinnare un mazzo di chiavi davanti alla
faccia.
“E quelle si può sapere dove le hai
prese?!” Domandò Edward, al limite della
disperazione.
“Una guardia tanto gentile me le ha prestate.”
roteò gli occhi con aria innocente, mentre si avvicinava.
“Anche se fosse, non ci è di aiuto.”
Esclamò Jonathan, il tono secco e contrito. “Come
capiresti qual è l‘auto?”
“Beh.” Joker alzò le spalle, poi tese il
braccio sopra la testa e premette un bottoncino sulla chiave; il rumore
per lo scatto delle sicure li fece voltare tutti insieme, giusto in
tempo per vedere l’allegro scoppiettare delle luci di
emergenza di una Rover scura. “E’
quella.” Annuì il clown, convinto. “Ahh.
Quanto tempo è che non guidi una macchina, Johnny?”
Nigma dovette soffocare una risata, guadagnandosi così uno
sguardo polverizzante da Crane; una cosa era certa, per come era fatto,
Spaventapasseri non avrebbe mai fatto passare liscia
un’umiliazione simile, né a lui né
tanto meno a Joker. Ma in fondo, ad Edward non importava: era contento
di essere praticamente fuori da quel manicomio, per giunta in compagnia
dei suoi due folli preferiti e nessuna vendetta avrebbe mai demolito
quell’euforia.
“Beh, andiamo?” Domandò allora il Re
degli indovinelli.
“Ah, prima mi escludete da un’evasione e poi
pretendete di farvi salvare? Non credo proprio.”
Ed in quel preciso istante, il rumore di una potentissima sirena
riempì l’aria e tutti si guardarono intorno: il
parcheggio aveva iniziato a risplendere di rosso, per via
dell’allarme visivo e dopo qualche attimo, Spaventapasseri
fece un verso di disprezzo.
“Anche tu sei qui, e di certo non ci hai mai messo a parte
dei tuoi piani.” Disse, acido, praticamente sputando quelle
parole.
Joker lo fissò per un po‘, poi fece altrettanto
con Nigma ed alla fine annuì. “Occccccheeeei.
Andiamo, allora.”
C’erano una volta, ad Arkham, il Re degli Indovinelli, il
Principe Clown, ed il Sovrano della paura.
Il trio aveva, dopo tante peripezie, finalmente abbandonato Arkham, e
ora si dirigevano, a cavallo di una Rover che non gli apparteneva,
verso ancora ignote mete e anche se non si poteva dire fossero tutti
felici e contenti… c’era una volta, Gohtam.
Gotham era la capitale di molti vizi, della sporcizia e della
disonestà. E si stendeva ai loro piedi.
***
Ed in ultimo,
ci terrei a precisare che questa storia altro non è che un
regalo di Natale anticipato ed inaspettato per Sychophantwhore, sperando che le
piaccia naturalmente.
Ci stavo lavorano da mesi, ed alla fine mi sono decisa a riprenderla in
mano.
Avrei potuto postare alla vigilia, ma non so se potrò
esserci, quindi meglio anticipare che ritardare. Questo, sorvolando
sull'impazienza e l'euforia in cui verso alla fine di parti simili,
mettendomi fretta ;).
Din, don, dan, merry Christmas!
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