Passeggio per Hyde Park con
l’iPod nelle orecchie. Un po’ di Elton John ci sta
sempre, specie la vigilia di Natale.
La temperatura
è intorno ai -5°C, ci sono luci dappertutto e un
gruppo di bambini sta cantando. Non li sento, quindi decido di spegnere
l’iPod e fermarmi ad ascoltarli. Sono davvero bravi,
accidenti! Se solo fossi diventato un produttore, come avevo previsto
tanti anni fa, avrei potuto farne anche qualcosa. Ma che sto dicendo?
La mia vita è perfetta così
com’è, inutile rivangare il passato, specie quel genere di
ricordi. Mi metto ad ascoltare la canzone, ora. Neanche a dirlo, la
riconosco.
Ovviamente penso a Lui, il mio bambino
per eccellenza, che tanti anni fa mi cantò questa stessa
canzone alla vigilia di Natale. Ricordo di essere rimasto ad ascoltarlo
rapito, e poi di averlo spinto a registrarla, perché era
semplicemente troppo bella.
Cristo, se non ci
fosse stato lui
a quest’ora non so dove sarei. O, meglio specificare, non lo
so in senso metaforico,
perché credo che con questo freddo credo che sarei stato
volentieri a casa, ma a casa c’è lui, e mi ha
intimato di non tornare prima delle 8. Nano malefico, vuole un marito
congelato? Oh, che bello anche solo poter pensare alla parola marito. Il primo
Natale da sposati, che sogno. Questo contribuisce a scaldarmi un
pochino, sia dentro che fuori.
Però fa lo
stesso freddo, accidenti! E sono ancora solo le 7 e un quarto. Credo
che se non mi infilo in un negozio diventerò indistinguibile
da un blocco di ghiaccio. E poi arriva
l’illuminazione.
Prendo la macchina e
parto alla volta di Camden Town, perché (quasi dimenticavo)
il regalo per lui
non l’ho ancora trovato. Lo so, sono pessimo, ma volevo
qualcosa di perfetto e ancora non mi è capitato di trovare
niente alla sua altezza.
In un quarto
d’ora ci sono: ora figuriamoci se trovo un parcheggio, la
vigilia di Natale.
Dopo aver fatto una
decina di giri, una famigliola carica di sacchetti prende la macchina e
se ne va, lasciandomi il posto. Dio
grazie. E credo che il più piccolo mi
riconosca, perché lo vedo di sfuggita appiccicarsi al
finestrino e leggo “Gary” sulle sue labbra. Gli
sorrido e, finalmente, riesco a parcheggiare. Un’ondata di
gelo mi penetra nelle ossa appena lascio la mia calda BMW, ma ne vale
la pena: Camden Town è sempre un’esperienza.
Giro per i banchetti
illuminati e saluto con lo sguardo i venditori, evidentemente sorpresi
di vedermi passeggiare tranquillamente per il mercato. Qualcuno, di
tanto in tanto, mi ferma e mi chiede un autografo, che io concedo
insieme a un grande sorriso e gli auguri di buon Natale. Ho un freddo
cane e il ciuffo sta andando in ibernazione, ma sono schifosamente
felice.
Eppure, appena arrivo
davanti al negozio di strumenti musicali da cui vado da anni, capisco
che mi manca ancora una cosa, quella che può rendere il mio
Natale perfetto: quel meraviglioso pedale Ibanez arancione del
’69 esposto in vetrina. Dipinto
a mano.
Irrompo nel negozio
come un fulmine e sparo la mia richiesta tutto d’un fiato,
ancora prima di venir salutato dal commesso o ricevere occhiate di
stupore dagli altri clienti del negozio.
Barry, il padrone,
scoppia a ridere. Mi porge il pedale, che io afferro con foga
maniacale, rigirandolo tra le mani e ammirandolo in tutta la sua
bellezza. Oh, guardatelo, non è perfetto?
«Carissimo,
lo sapevo che un pezzo come questo non sarebbe potuto mancare nella sua
collezione!» considera, contento.
«Oh no,
Barry, assolutamente. Tu sì che mi conosci!»
ribatto, felice come un bambino a Natale. Un momento, ma io lo sono.
Ok, leviamo il “come”.
«Me lo dia,
glielo incarto. Scatola originale, eh!» mi dice, facendomi
l’occhiolino con aria complice. «Ritengo comunque
lecito dirle che è parte di un set di tre, ma
sfortunatamente gli altri tre sono stati venduti stamattina.»
Che COSA? Come hanno
osato?! Il mio umore estatico è leggermente rovinato.
«Fa niente,
mi farò bastare questo.» dico, rassegnato.
E poi i miei occhi si
posano su un’altro pezzo d’epoca.
«Q-quello
è..» comincio, interrotto immediatamente da Barry.
«..il basso
di Paul McCartney, usato da lui in concerto nell’ultimo tour
USA? Sì, lui!» esclama, ridendo sotto i baffi
mentre mi incarta il pedale.
Oddio, quel basso
sarebbe perfetto per Markie. Non voglio sapere quanto costa, lo deve
avere. Sì, è il mio bambino e lo vizio quanto
voglio, capito?
«Anche
quello, grazie!» dico a Barry, il cui viso si illumina. Non
credo che abbia mai fatto tanti affari in una giornata sola.
«Benissimo,
Mr. Barlow!»
Che bello, sono
contento, contentissimo. Pago e gli stringo la mano augurandogli buon
Natale.
«Anche a
lei, signore, e saluti la
signora, mi
raccomando!»
La signora. Questa
gliela devo raccontare, povero ciccino mio. Rido tra me e raggiungo in
velocità la macchina: finalmente sono le 8 meno 5,
è lecito tornare a casa! Appena sono comodamente seduto e ho
le chiappe riscaldate, metto in moto e compongo il numero di Mark.
«Amore!»
«Patatino,
dove sei?» mi risponde, la voce squillante e gioiosa.
«Quasi a
casa, piccolo. Hai finito?»
«Sì,
e ti sto aspettando!»
«Allora
farò meglio a sbrigarmi! Ti amo scemo.» lo saluto.
Arrivo a casa in due
minuti, tanto sono trepidante. Metto la macchina in garage e lascio i
miei acquisti dentro, li verrò a prendere dopo. Suono il
campanello e lui mi apre, col viso illuminato dalla contentezza e un
cappello da Babbo Natale in testa.
Il mio piccolo adora il Natale.
«Buonasera,
bellissimo uomo..» mormora, prima di catturare le mie labbra
in un dolce bacio. Dio, mi era mancato.
«Ciao
dolcezza!» esclamo. «E ora posso sapere
perché hai mandato il tuo bellissimo e bravissimo consorte
in giro con questo freddo la vigilia di Natale?» gli chiedo,
alzando un sopracciglio e baciandolo ancora, mentre mi libero del
cappotto e della sciarpa.
«È
una sorpresa, scemo! Chiudi gli occhi» mi intima, prendendomi
per i fianchi da dietro e guidandomi.
«Ecco, ora
puoi aprirli!»
Davanti a me
c’è il salone, tutto decorato. Il fuoco
è acceso, scoppietta. Ha messo caramelle dappertutto, e
sotto l’albero ci sono due pacchetti rossi col nastro dorato.
Rimango a bocca aperta e mi volto verso di lui: è raggiante.
«No, non
dire nulla! Vieni, non è finita.» dice,
trascinandomi in sala da pranzo. Qui c’è la tavola
apparecchiata per due, con la tovaglia rossa. I piatti sono decorati
con petali di rose rosse e due candele sono accese. Perfetto.
«Oh Markie,
è tutto bellissimo!» gli dico, intenerito da
morire. In effetti credo di emanare cuoricini da tutti i pori.
«Hai visto
che ne valeva la pena?» dice, sorridendo e facendosi baciare
di nuovo. Ne avrò mai abbastanza di baciarlo? No, non credo.
«Hai
ragione, piccolo, perdona la mia poca fiducia..» mi scuso.
Lui mi squadra dalla
testa ai piedi, e poi dice:
«Sei facile
da sorprendere, per questo ti ho sposato!» dice, scoppiando a
ridere e scappando in salone: sa che lo rincorrerò.
«Che
cos’hai detto, nanetto?» gli dico, cominciando a
rincorrerlo. Lo atterro sul divano e comincio a fargli il solletico
finché lui, stremato, non mi implora di smettere. Allora lo
faccio sedere sulle mie gambe e gli accarezzo la schiena.
«Allora,
solo per quello mi hai sposato?» sussurro, a pochi centimetri
dalle sue labbra.
«No, mister
Barlow, ti ho sposato perché ti amo da
impazzire..» mormora lui di rimando, baciandomi.
«Ti amo
anch’io, piccolo mio..» rispondo, sorridendogli.
E poi, come impazzito,
si inginocchia ai miei piedi e inizia a dare di matto.
«Amore?
Amore? Amore? Apriamo i regali? Ti preeeego!!!» implora, con
la voce e l’atteggiamento di un bambino ruffiano. Lo adoro
quando fa così.
«Tesoro, ma
sei impazzito? I regali si aprono a mezzanotte!» rido io,
posandogli un bacio in fronte.
Un lampo gli
attraversa gli occhi, come quando ha un’idea geniale per il
testo di una canzone. Mi sorride, furbo, e armeggia con
l’orologio da polso che gli ho regalato al suo compleanno.
Poi, tutto contento, se lo toglie e me lo mostra. Oddio non ci posso
credere: l’ha mandato avanti, e segna mezzanotte.
Incorreggibile, piccolo mostro.
Scoppio a ridere e
cedo, anche grazie agli occhioni che mi sta facendo, assolutamente irresistibili.
«Però
amore li apri prima tu» mi fa, porgendomi i tre pacchetti,
con aria estatica.
Si siede vicino a me e
mi osserva scartare il primo, trepidante. Ed ecco che mi ritrovo tra le
mani la scatola originale di un pedale della serie di quello che ho
comprato poco fa. Non
ci posso credere. Per la seconda volta in pochissimo tempo
rimango a bocca aperta e, tra un bacio e l’altro,
lo ringrazio.
«Di nulla,
tesoro, lo so quanto ti piacciono! Ma apri il secondo, dai!»
In un attimo la carta
vola via e penso di poter avere un mancamento, perché
stringo tra le mani il pezzo mancante della mia collezione Ibanez,
iniziata e completata in un giorno solo. IO AMO
QUEST’UOMO. Sempre di più.
«Oh mio Dio,
Markie! Grazie!» esplodo, gettandogli le braccia al collo e
poi baciandolo su tutta la faccia. Sono troppo felice.
«Ehi, ehi,
ehi, frena, tigre! Volevo dirti che in realtà è
una collezione da tre, ma purtroppo il maledetto commesso non ha voluto
vendermi il terzo pedale. Bastardo.
Mi spiace amore mio!» fa, con una faccina afflitta che mi fa
sciogliere sul posto.
«Cucciolo,
che dolce che sei. Tranquillo!» rispondo, posandogli un bacio
in fronte. «Scendo a prendere il tuo regalo, ok? Arrivo tra
pochissimo!»
Faccio in un lampo letteralmente: sono
di ritorno in meno di un minuto. Nascondo per quanto possibile la
custodia del basso dietro di me e gli dico di chiudere gli occhi.
Appena lo fa, glielo poso sulle ginocchia, con sopra la scatola del
pedale. Devo dargli questa soddisfazione, dopotutto.
Apre gli occhi e li
posa subito sulla scatola. Gli brillano gli occhi.
«Oh amore,
ma l’hai preso tu!!! Come sono contento!» esclama,
guardandomi e sorridendo.
«Certo che
l’ho preso io, e ho anche maledetto mentalmente chi avesse
comprato gli altri due!» rido. «Come potevo sapere
di aver sposato una persona così perfetta,
dopotutto?» gli dico, avvicinandomi per baciarlo.
«Ssh, tu lo
sapevi già, ingrato! Fammi aprire il mio regalo,
ora» mi intima, ridendo sotto i baffi.
Apre la custodia in un
attimo e, appena mette a fuoco lo strumento e ogni meraviglioso graffio
su di esso, gli cede la mascella e mi guarda sbalordito.
«Io.. Tu..
Dove..?» farfuglia, passandoci sopra le mani, incredulo.
Mi viene da ridere, ma
so che per lui è un colpo grosso.
«Sempre a
Camden Town, nello stesso negozio!» dichiaro, fiero di me
stesso.
«Io.. Gary,
amore, grazie infinite!!» grida, gettandomi le braccia al
collo e baciandomi con rinnovata foga.
La serata trascorre
velocemente, tra una cena meravigliosa preparata da lui e coccole
davanti al camino. Poi, quando il fuoco si spegne finalmente noto che,
intanto, fuori dalla finestra ha iniziato a nevicare.
«Markie,
guarda, la neve!» gli sussurro, lasciandogli un bacio tra i
capelli profumati di fiori.
Lui si alza e mi
prende per mano, portandomi davanti alla finestra. Appoggia i gomiti al
davanzale come gli ho visto fare tante volte, e guarda la neve cadere.
Io lo abbraccio da dietro e lo bacio piano sulla nuca, tra i capelli o
sulle guance. E poi, improvvisamente, sento la sua voce, delicata e
profonda, cantare una nota melodia:
I’m
dreaming of a white Christmas,
just
like the ones I used to know
where
the tree tops glisten
and
children listen to hear
sleigh
bells in the snow.
I’m
dreaming of a white Christmas,
with
every Christmas card I write.
May
your days be merry and bright
and
may all your Christmases be white.
«Buon
Natale, piccolo mio..» dico, sulla sua pelle.
«Buon
Natale, Gary.» sussurra lui di rimando, baciandomi.
NdA
Beh, che dire? Fluff, fluff, fluff, come se piovesse! XD
Buon Natale a tutte le mie socie Barlowen, vi amo. Davvero. :D
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