L'ispirazione per I Belong To
You è morta, sepolta ormai e nell'attesa che resuciti -spero
il prima possibile- pubblico questa shot.
La dedico alla mia Lilla, che l'ha letta ieri sera . Ti voglio bene
♥
Le luci di Dicembre
Camminava.
Camminava leggero, trasportato da un soffio di vento tra quegli alberi
ormai
spogli e secchi, avvolto in un pesante impermeabile scuro. La sigaretta
che teneva
tra le dita bruciava lenta; da quella prendeva solamente qualche
boccata, più
della metà andava sprecata, ma lui sembrava non curarsene.
Faceva
freddo quel tardo pomeriggio di Dicembre, molto più degli
altri giorni, e
ancora non sapeva per quale motivo aveva deciso di accettare
l’invito
-soprattutto dopo quello che era successo- e di uscire di casa con quel
gelo.
Vide un
panchina libera, che stranamente non era ricoperta da cumuli di neve
come le altre
che aveva passato pocanzi. Buttò a terra la sigaretta e si
sedette, in attesa. Sarebbe
arrivato da un momento all’altro e lui, torturandosi le mani
-primo sintomo
d’ansia-, iniziò a percepire un cambiamento nel
suo modo di respirare,
diventato accelerato e faticoso –secondo sintomo
d’ansia. Come gli era saltato
in mente di accettare d’incontrarlo? Si stava maledicendo per
averlo fatto. Oh,
se ne stava dicendo di cotte e di crude in quella sua mente contorta.
Ad un
tratto pensò di andarsene. Tanto, chi lo avrebbe visto? Chi
avrebbe saputo che
era stato lì? Nessuno. E niente gli impediva di alzarsi e
scomparire nel nulla
per altri e altri giorni ancora.
Lo avrebbe
cercato di nuovo, questo lo sapeva ma in quel momento aveva paura e
l’unica
cosa che gli sembrava giusta fare era alzarsi e darsela a gambe levate.
E così fece. Si alzò e con passo alquanto
tranquillo si diresse verso il
cancello d’uscita del parco. Qualche secondo dopo era sparito
nella nebbia,
accendendosi un’altra sigaretta che, molto probabilmente,
sarebbe andata
consumandosi da sola.
Giusto un
attimo dopo, dalla parte opposta del parco entrò un altro
uomo. Aveva un passo
affrettato e si dirigeva proprio verso quella panchina che era appena
stata
lasciata libera. Una semplice giacca di pelle scura e un paio di
Converse
bianche sembravano più un abbigliamento per
l’autunno che per una giornata
d’inverno fredda come quella.
In fretta
e furia arrivò e si sedette. Sfregò le mani
l’una contro l’altra e ci soffio
sopra, sperando di riscaldarle almeno un minimo. Si era dimenticato i
guanti
quel pomeriggio, e stava imprecando mentalmente come pochi.
Aspettò
diversi quarti d’ora seduto su quella panchina, sperando di
veder arrivare la
persona che desiderava ma quando il tempo passato era diventato troppo
e
nessuno si era ancora fatto vedere, congelato e sì, anche
arrabbiato, decise di
fare quello che avrebbe dovuto fare giorni e giorni prima: andare a
casa sua. E se se non si fosse
deciso ad
aprirgli la porta, l’avrebbe sfondata senza farsi troppi
problemi.
Uscì dal parco e fermò un taxi,
all’interno del quale poté ritrovare un
po’ di
calore.
Pochi minuti
dopo era sotto quella casa. Salì le scale che portavano
all’ingresso e bussò
alla porta una, due, infinite volte finché una voce flebile
si decise a
rispondere. “Chi accidenti è?”
“Apri la
porta” Rispose il ragazzo ancora fuori dall’uscio.
Silenzio.
“Ti ho
detto apri la porta, Matt” Disse ancora, tentando di
mantenere la calma.
Niente.
Non un rumore. Solo il respiro affannato del ragazzo che, poco dopo,
preso da
un impeto di rabbia si mise a picchiare pugni alla porta più
forte che poteva.
“Apri questa cazzo di porta! Non fare il bambino! Lo sai
benissimo anche tu che
prima o poi dovrai affrontarla questa situazione!”
Gridò.
D’un
tratto smise di picchiare e si afflosciò contro la porta.
“Matt…” Sussurrò.
“Ti
prego, apri questa dannata porta”
Si sentì
un sospiro provenire dall’interno dell’abitazione e
subito dopo il rumore delle
chiavi rigirate nella serratura, la maniglia si abbassò ma
la porta non si
aprì. Si udirono solamente dei passi allontanarsi.
Il ragazzo entrò subito, e l’odore di sigaretta
appena spenta si fece strada
nelle sue narici. Si diresse in salotto, nel camino la legna bruciava
lenta, il
televisore era acceso su un canale sconosciuto, Matthew stava
rannicchiato sul
divano coi capelli corvini completamente arruffati, e lo guardava con
la coda
dell’occhio.
“Ciao…”
Bisbigliò Matthew. “Che cosa ci fai qui?”
“Che cosa
ci faccio qui?!” Sbottò l’amico.
“Che cosa non
ci fai tu là!” Continuò indicando un
punto indefinito fuori dalla finestra,
riferendosi al parco dove si sarebbero dovuti incontrare qualche ora
prima.
Matt
deglutì. “Ci sono venuto” Ammise.
“E perché
non ci sei rimasto, allora?”
“Lo sai…”
Rispose in un sussurro.
Il ragazzo
si sedette affianco a lui. “Se mai ne parliamo, mai
sistemeremo questa
situazione” Disse cercando lo sguardo di Matthew che,
debolmente, acconsentì
d’accordo con lui.
Rimasero
in silenzio per qualche minuto, solo il rumore dei loro respiri.
“Se mai
parli, mai sistemeremo questa situazione” Disse Matthew
facendo il verso
all’amico. Non voleva essere proprio lui a iniziare quella
dannata conversazione;
d’altronde se fosse stato per lui nemmeno si sarebbero
incontrati.
“Perché
sei sparito?” Iniziò allora l’altro.
“Lo sai
meglio di me” Rispose Matt scuotendo la testa.
“E se io
ti dicessi che non lo so?”
“Oh, Dominic! Per favore…” Lo
supplicò il moro.
“Io non ho
ancora capito perché sei sparito così”
Spiegò Dominic.
“Cristo,
Dom! Non ci vuole un genio per capirlo; ho fatto il mio casino, la mia
figura
di merda, come cazzo vuoi chiamarla e ho preferito non farmi vedere
più. Punto.
Fine della storia”
Dominic
strabuzzò gli occhi e si passò, leggermente
frustrato, una mano tra i capelli
d’oro.
“Hai fatto tutto tu, Matt” Commentò poi.
“E cosa avrei dovuto fare, scusa?” Chiese irritato
l’altro.
Dom alzò
un sopracciglio. “Aspettare una mia reazione? Vedere
cos’avrei potuto fare o
dire, magari? No. Niente. Ti sei volatilizzato e non ti sei
più fatto vedere
per giorni e giorni. E’ troppo difficile per il signor
Bellamy aspettare” Disse
con un tono di rimprovero.
“Si, è
difficile…” Sussurrò Matthew.
“Ed è difficile anche cercare di reggere il tuo
sguardo ora, Dom”
Il biondo
si addolcì immediatamente. “Perché non
sai aspettare?” Domandò avvicinando il
suo corpo a quello dell’amico, che venne scosso da un
brivido. “Perché?”
Matthew accennò un sorriso. “Se tu fossi stato al
mio posto cos’avresti fatto?
Sii sincero” Disse.
Dominic ridacchiò.
“Oh, Matt…ma io ci sono già al tuo
posto” Rispose, e fece quello che, diversi
giorni prima, Matthew aveva fatto con lui, seppur in maniera differente.
Si sporse
verso di lui, gli prese il mento tra pollice ed indice e
posò le sue labbra su
quelle di Matt, senza troppa esitazione. Di primo impatto Matthew si
irrigidì,
ma appena Dom socchiuse le labbra, i fiati si fecero uno e il bacio
più
appassionato, si lasciò andare, si lasciò
trasportare da quella nuova e
bellissima sensazione…
Le mani di
Dominic vagavano tra i capelli scuri di Matt, quelle di Matt sul corpo
di
Dominic che si era lasciato scivolare sul divano e sdraiato, aveva
guidato il
moro sopra di lui.
Appena Matthew si allontanò quel poco per riprendere fiato,
Dom non perse tempo
per parlare. “Doveva essere questo il nostro primo
bacio” Mormorò sotto gli
occhi dell’amico. “Spero imparerai ad
aspettare” Aggiunse in un soffio.
“Aah, non
credo Howard. Non credo” Rispose Matthew ridacchiando e
riprendendo a baciarlo,
con ancora più foga di prima, dimostrando che per lui, di
aspettare, non se ne
parlava proprio.
Il calore
delle loro risate, dei sorrisi e di quei
baci fin troppo aspettati, riempivano i loro cuori e quella
stanza, mentre ormai,
fuori, la sera era calata e le luci, le luci di Dicembre illuminavano
quel loro
primo passo verso il vero inizio di
quella vita insieme, che sì, all’inizio sarebbe
potuta sembrare strana, un po’
scapestrata ma che alla fine, con quel passo decisivo -e nonostante
tutto-, si
sarebbe rivelata uno splendido diamante, la miglior vita in assoluto.
La loro vita insieme.
|