heee
- « he won’t let her out his sight.
- La
verità è che non c’è molto da dire. Solo che oggi il tempo non passa e forse
perché ti ho rivisto e, non lo so, ma qualcuno ha scritto che noi passiamo metà
di una vita ad aspettare quello per cui siamo nati, e l’altra metà a ricordare
l’esatto istante – un momento, un soffio – in cui abbiamo vissuto questa vita.
- Per
esempio.
- Ho
ancora in mente l’odore di pioggia che c’era quel giorno, e il cielo grigio di
Londra - quella Londra che è grigia nel cuore -, e le macchine che passavano, e
le persone che ridevano, e le foglie che cadevano dagli alberi, foglie stanche,
stanche del mondo, stanche di noi, stanca io che neanche mi sono accorta che
qualcosa stava cambiando, che c’eri tu, tu di cui non sapevo niente, ma che poi
m’è bastato così poco per conoscerti e riconoscermi nell’unico uomo di cui
avrei voluto vedere il riflesso negli occhi senza neanche vergognarmi di
com’ero, di come sono, delle macchie della mia vita, di tutte le strade mai
percorse, rimaste incastrate in angoli di rimpianti, per la paura e non so
cos’altro. Tu sei stato la mia rivoluzione.
- E ora
voglio dirtelo. Che io non lo so perché uno sguardo scateni una tempesta.
Davvero, non lo so. Ma per favore, tu sta’ fermo, che a me sembra ancora di
averti davanti e, sai cosa?, son i tuoi occhi, son i tuoi occhi che cambiano un
mondo intero – e non è che serva cambiare un mondo, mh?, hai cambiato me. Ecco.
Io non lo so perché uno sguardo scateni una tempesta. Però, mentre fuori
cominciava a piovere - pioggia fredda, pesante, insensata -, ho pensato che
avrei fatto di tutto perché continuasse.
- Hey,
Pete? Eri giù ad Albione con la mente mentre mi guardavi? Giù, giù, giù.
- Perché
io cercavo di capire da dove tu iniziassi per scattarti quella foto. Però non
lo capivo. Eri davanti a me e non ti guardavo sul serio, non riuscivo a
trovarti, cercavo di vedere da dove nascevi, da dove veniva il tuo respiro, ma
non lo sapevo.
-
- Era il
2004. Io lavoravo per NME e tu eri il mio incarico più importante, al momento.
Eri quel Pete Doherty che aveva composto Time
for Heroes, si drogava tanto da farsi cacciare dalla migliore band di indie
rock del millennio, se ne fotteva di tutto e di tutti e fondava i Babyshambles.
Diamine se per me non eri un principe dei nembi. (*)
- Tu
vivevi fuori di testa e dentro ad una canzone.
- E io
vivevo per come mi volevano gli altri, per come mi avevano cresciuta, perché di
paura ne avevo tanta, perché, che ne so, non mi piacevo, mi vedevo tutta
sbagliata e forse avevo solo bisogno di crescere, forse è sempre e
semplicemente questo, bisogna crescere e andare avanti e riuscire a guardarsi
indietro senza chiudere gli occhi, senza cancellare niente, proprio come ci
insegnavano a scuola, che gli errori non si cancellano col bianchetto, ma si
tagliano con la penna e boh, ecco, io non lo so, forse era solo questo.
- Comunque
quel giorno t’ho cercato davvero dentro i tuoi occhi. T’ho cercato davvero,
perché dovevo capirti, dovevo fare quella foto e una foto non è semplicemente
una bella posa, tu messo lì con un gran sorriso e donne nude tutte intorno. Una
foto è un istante rubato, un bacio soffiato al vento, è una parola mia
arrivata, una bugia mai svelata. È così che io faccio foto. Cerco di imparare
da quello che mi sta davanti.
- Credo
di avertelo chiesto. «Ma dov’è che sei?»
- E tu mi
hai sorriso. Sembravi un bimbo dall’aria raminga, silenzioso e perso in un
mondo troppo veloce. Certe volte durante la notte ti svegliavi che ti mancava
il respiro – è troppo, troppo veloce
questo mondo.
- Tu odi
dormire perché perdi attimi. Allora prendevi l’armonica a bocca e ti mettevi a
suonare musiche senza basi, che non avevano ritmo, ma erano così belle da
entrarti nelle vene e fin dopo anni io ancora me le ricordo, io ancora ce le ho
dentro, come tutto di te che non passi senza lasciar traccia. Tu non sei fatto
per passare come passi sull’erba. Tu sei fatto per passare come passi sulla
neve, cicatrici su un bianco indelebile.
-
- «Non mi piacciono le ragazze coi capelli
corti.» Eri seduto davanti a me. A dividerci, un tavolo con sopra la mia
macchina fotografica e mille parole non dette. Intorno, operatori che
lavoravano al set fotografico. Tu sussurravi. Quando parli con le persone, tu
non alzi mai la voce. Le tue parole arrivano ovattate. È come se tra te e il
mondo intero ci fosse un sipario.
- «Sta’ zitto, tu. Ti sto cercando.» Ti ho
detto, scavandoti negli occhi.
- «Com’è che ti chiami?»
- «Emily.»
- «Emily tries but
misunderstands, she often inclined to borrow somebody's
dreams ‘til tomorrow.»
- Silenzio.
- «Non mi chiedi il mio nome?»
- «Ma lo so già il tuo nome, Doherty. E
adesso fammi concentrare, sennò questa foto non la faremo mai.»
- «Prima mi sa che devi avere la
consapevolezza di me.»
- «John, ‘sto qua non sta zitto, che facc-?»
- «Vieni con me.»
- «Scusa?»
- «Vieni con me.»
- «Hai detto che non ti piacciono le ragazze
coi capelli corti.»
- «Emily. Vieni con me.»
- «Ma tu non hai presente cos’è quella cosa
chiamata professionalità?»
- «In culo la professionalità.»
-
- E
niente. Ti sei alzato dalla sedia e mi hai baciata davanti a tutto il set.
-
- «You'll lose your
mind and play free games for May, see Emily play.
Ti va di vederti giocare? Di perdere
la testa?»
-
- No,
ecco. Avrei voluto che quella tempesta che eri tu e i tuoi occhi psichedelici
non finisse proprio più.
- Perché poi
ci sono venuta a giocare con te in quel parco squallido vicino ad Heathrow dove
l’erba piena di pioggia si confondeva con il verde delle bottiglie di birra.
- E te le
ricordi le altalene? Cigolavano che era una meraviglia, ma andavano su. Cazzo,
ad un certo punto ho davvero avuto paura che una delle catene s’allentasse
facendomi fare un volo lungo non so quanto. Però non è successo. Forse per lo
stesso motivo per cui io son venuta via con te dal set, quel giorno. Perché anch’io
cigolavo in ogni giuntura, in ogni legame, però volevo andare in alto.
- Tu ti
chiami Peter per qualcosa.
-
- «Perché l’hai fatto?»
- «Fatto cosa?»
- «Baciarmi. Dirmi di seguirti. Ti rendi
conto che ho solo tre giorni per quella maledetta foto?»
- «Va bene.»
- «Non è una risposta!»
- Mi hai guardato e ti ho sentito fin dentro
il respiro. Sembravi uscito da un altro mondo. Ad un certo punto, hai abbassato
gli occhi e hai preso a giocare con un rosario nero messo al collo.
- «Sei religioso?» Ti ho chiesto.
- «No. Però mi piace.»
-
- Fai sempre
e solo quello che ti piace. Non ti senti vincolato da imposizioni o da leggi. Non
mi stupirei se decidessi pure il giorno della tua morte.
- Alla fin
fine, ci sei solo tu su quel palco che è la vita e il resto del mondo è il tuo
pubblico, e per quanto possano amarti, nessuno potrà mai capirti – nemmeno io e
ti rendi conto di quanto faccia male? – perché c’è uno spesso drappo rosso che
ci divide.
- Tu vivi
da poeta, e i poeti non crescono mai veramente.
- Probabilmente
per questo tu hai paura del tempo che passa, ma non di lasciare la porta di
casa tua aperta, che può entrare chiunque.
-
- «Puoi per favore chiudere la fottuta porta?
Sai, non è che mi senta molto sicura a dormire così.»
- Ma tu canticchiavi sempre: «Panic on the streets
of London... »
- «Smettila, idiota. Buonanotte.»
- «Ti amo.»
-
- Sei mesi
di pura follia e la fotografia è stata l’inizio della fine o la fine dell’inizio.
- Tu che
non guardi l’obbiettivo, ma un punto che non ha alcun significato se non per
te, e vagabondi per le strade buie come prima di allora ha fatto il popolo
eletto di dio Kerouac, portandoti dietro la tua bella donna che è la chitarra.
- È una
foto piena di nebbia confusa, come lo sei tu che ti perdi.
- Ti perdevi
in te, in Baudelaire, nella musica, nella droga e io cercavo di starti dietro
perché volevo farlo, perché amavo il modo in cui tu mi guardavi quando tornavi
in te, il modo in cui mi sorridevi o mi stringevi o facevi l’amore con me.
- Il modo
in cui io mi perdevo in te.
- In qualche
modo, ti amavo.
- Come quando
mi portavi alle bianche scogliere di Dover cantando gli Smiths – to die by your side is such a havenly way to
die -, o tornando dagli studi di registrazione mi compravi la cioccolata
ripiena al caramello, come a dirmi: Hey, pensavo a te. O come quando
organizzavi serate nel tuo appartamento – è un tale disastro che mi chiedo come
abbiano fatto a non cacciarti per tutto questo tempo – e ti mettevi a suonare e
invitavi gente, fans, e ad un certo punto ti voltavi verso di me cantando: But if you’ve lost your faith in love and
music, the end won’t be long. Non ho mai capito se lo dicevi a me o a te.
Però mi guardavi.
-
- Oggi te
l’ho pure ricordato, questo. Ci siamo incrociati per caso in un Fish and Chips
dell’East End ed è stato giusto perché le cose non dette erano troppe.
- Mi hai
chiesto perché era finita, appunto.
- E io ti
ho risposto che tu avevi perso la fede nella musica e conseguentemente anche
nell’amore, anche in me. E in quel momento mi sono resa conto che anche tu ce l’hai
un padrone e te l’ho detto. Che sì, magari avevi ragione tu a dirmi che avevo
paura di vivere, ché vivere è un gioco che richiede troppa fatica, però ho
ragione anch’io quando ti dico che non sei libero. Tu e la tua dannata droga,
Doherty.
- Non hai
detto più nulla. Mi hai salutata e poi, mentre stavi per uscire con il tuo
sacchetto in mano, ti sei voltato e mi hai chiesto: «Le sentivi le farfalle
nello stomaco quando mi amavi?»
- «Sì.» E
sento ancora le cicatrici che le tue mani hanno lasciato sul mio corpo.
- «E secondo
te le farfalle cosa sentono nello stomaco quando s’innamorano?»
- «Non lo
so. Ma è meglio non pensarci troppo, altrimenti ne usciamo pazzi.»
-
-
- ***
-
-
-
- (*) allooora. l’espressione principe dei nembi viene dritta dritta
da questa poesia qui di Baudelaire che, per inciso, oltre ad essere uno dei
miei amori platonici, lo è anche di Pete:
- Come il
principe dei nembi
è il Poeta che, avvezzo alla tempesta,
si ride dell'arciere ma esiliato
sulla terra, fra scherni, camminare
non può per le sue ali di gigante.
-
- non
date la colpa a me, ma agli arctic monkeys e alla loro balaclava che con un
semplice verso – il titolo, per l’appunto – mi hanno fatto venire in mente
tutta questa cosa qui. è il mio modo di iniziare l’anno e boh, mi andava di
farlo con pete doherty, l’ultimo dei poeti maledetti.
-
- alle mie sorelle, perché son loro e
vattelappesca ho detto tutto;
- a cee, perché c’è sempre;
- ad eleonora, perché sposerà pete e mi darà
un sacco di pass per i backstage.
-
- ah,
pete, ovviamente non mi appartiene e magari, insomma, di certo non sarei qui.
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