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Titolo: That's how it must end
Fandom: Axis Powers Hetalia
Pair: Romano (Lovino Vargas) e Veneziano (Feliciano Vargas)
Genere: Storico (almeno cerca di esserlo), Drammatico
Rating: Verde
Avvertimenti: OneShot
Conteggio Parole: 1351
Note: Seconda fanfiction scritta per la Maritombola, indetta dalla community Maridichallenge
<3 il prompt è l'80 “Alle volte mi vengono in mente delle cose con
cui non sono affatto d'accordo.”, la mia personale visione del momento
precende alla Marcia su Roma prima della Seconda Guerra Mondiale,
sperio piaccia e non dia fastidio a nessuno. Lo scopo principale della
fanfiction è di mostrare un Feliciano un po' diverso, sostanzialmente yandere,
per questo posso capire perfettamente che posso risultare OOC rispetto
all'usuale Feliciano al quale siamo abituati. Nonostante ciò spero
piaccia :3!
@pubblicata anche su Livejournal, se mi volete bene e avete un account
lì, lasciatemi un commentino e sarò felice tutta la vita
:3 http://3x9-lover.livejournal.com/47408.html#cutid1
-Dove è andato? Dove si è cacciato?! Se non si presenta entra cinque minuti io-
-Signor Lovino, la prego, si calmi!-
-Calmarmi?! Ah! Molto divertente tirapiedi del cazzo, ma io ho nessun buon motivo per calmarmi, quindi continuo quanto mi pare e mi piace.-
-La supplico! Il signor Feliciano sarà qui a momenti!-
Lovino
comunicò all’ammasso tremolante di vestiti e di paura, in teoria, ma
molto in teoria, un soldato –di rango decisamente basso- la propria
rabbia con un rinnovato sbuffo gutturale, rauco, profondamente
scocciato. Poi si sedette, accavallando con eleganza le gambe,
nonostante i calci sgraziati di poco prima –che avevano fatto arrivare
una sedia in fondo al salone-, decidendo infine di pazientare ancora un
po’.
-Vattene. Posso stare anche da solo in attesa del mio
stupido fratello- lo mandò rudemente via con la voce dura e categorica
e con un gesto secco della mano.
Il giovane soldato si trattenne
dal sorridere sollevato, dileguandosi con effetto immediato quando
gliene fu data la possibilità.
Lovino Vargas, si sapeva, faceva davvero paura.
O
almeno questo era quello che, in tutta l’Italia, era risaputo: al
contrario di Feliciano, che era dolce, gentile, così affabile da far
sciogliere chiunque, Lovino era una persona alquanto difficile,
rinchiuso com’era nel suo mondo tutto particolare, all’interno del
quale faceva accedere, seppur con grandi difficoltà, solo lo spagnolo
Antonio Fernandez Carriedo, da lui inseparabile.
Ma, in quel preciso
momento, Lovino proprio non ce la faceva a fingere indifferenza di
fronte a tutto ciò che stava succedendo. Suo fratello che lo chiamava
in via ufficiale –e non con i suoi consueti, stupidi striletti al
telefono, ‘veee è tanto che non ci vediamo!’- lo metteva in
agitazione; e il fatto che ancora, dopo più di un’ora di attesa, non si
decidesse a mostrare la sua stupida faccia, lo insospettiva ancora di
più.
Un brivido gli corse lungo la schiena, facendolo scattare
come una molla sulla comoda poltroncina di velluto rosso. Si diresse
verso la finestra, poi nuovamente verso il tavolo, contando i secondi e
i minuti. Sfinirlo non era propriamente un’ottima tecnica per poi
fargli firmare qualche noioso pezzo di carta.
“Ridicolo” pensò nel momento esatto in cui
la porta si aprì, lasciando intravedere una figura che
sgattaiolò all’interno.
Feliciano
alzò il viso, mostrando un sorriso strano, pentito ed enigmatico
–Scusami fratellone- disse poi, avanzando verso di lui.
-Alla
buon’ora- mormorò Lovino tra i denti, andando nuovamente a sedersi
–quegli stupidi mi hanno fatto fare anticamera per mezz’ora, ma lo sanno chi sono io?- disse, indignato.
-Certo che lo sanno- lo rassicurò Feliciano con una piccola
risata, sedendosi davanti a lui –solo che, beh, i tempo sono questi. E non sono affatto belli- aggiunse, scuotendo la testa.
Lovino
aggrottò la fronte, fissando il volto del fratello; non che non sapesse
ciò di cui stava parlando l’altro. Erano sull’orlo di qualcosa di
grosso, questo ormai era chiaro; che fosse un’altra guerra o qualcosa
di peggio, era fin troppo chiaro.
-Beh, comunque. Perché mi hai
fatto chiamare? Poi con quello stupido telegramma ufficiale, non potevi
telefonarmi?- chiese Lovino, tornando ad accavallare le gambe mentre
appoggiava la schiena all’indietro, contro la comoda sedia.
Feliciano rise, ancora,
portandosi una mano sulla bocca –Certo, potevo, ma era meglio fare le
cose per bene questa volta. E dire che sono riuscito a tirarla così per
lunghe per avere un incontro con te…- mormorò, quasi tra sé e sé.
-Feliciano ma di che cazzo stai parlando?- sbottò Lovino, ormai stufo di tutta l’incertezza che avvolgeva il loro discorso.
-E
va bene, so che…non c’è altro modo che questo, per dirtelo- disse
l’italiano, alzandosi in piedi e avvicinandosi al fratello –Lovino, tu…-
L’altro
rabbrividì; molto di rado Feliciano lo chiamava per nome –Cosa?- alzò
il viso verso di lui, ancora seduto, come paralizzato, schiacciato da
qualche che gli impediva i movimenti.
Feliciano sorrise, accarezzandogli quasi con tenerezza una guancia -Tu…l’Italia del Sud, tutta quella gente…potreste scomparire, per favore?-
Lovino
quasi inconsciamente alzò il braccio per scostare brutalmente la mano
di Feliciano: lo vedeva sorridere, sentiva le sue parole, la sua voce
aveva un suono così dolce, eppure ciò che gli aveva appena detto era
quanto di più terribile al mondo. Si ritrasse maggiormente, scattando
in piedi e allontanandosi dalla sedia sulla quale era accomodato.
Feliciano
invece si ritrovò a sospirare, trovava tutto così dannatamente
difficile, eppure non trovava altra via di scampo. Se voleva salvare il
fratello da tutto quello –dagli orrori della Seconda Guerra Mondiale-,
doveva semplicemente sopprimerlo, per quanto dolorosa e disperata fosse
quell’azione.
Eppure alle volte gli venivano in mente delle cose con cui non era affatto d'accordo,
constatò Feliciano, incamminandosi verso Lovino, come in quel preciso
momento: si rese conto che, forse, c’erano effettivamente altri modi
per proteggere suo fratello, ma lui –loro- avevano consapevolmente deciso di sottometterlo con forza brutale a tutto quello.
Lovino
trattenne il respiro quando vide il fratello nuovamente così vicino a
sé, tirandosi indietro visto ad acquietarsi contro il muro; era il suo
stupido fratellino, era Feliciano, era lo stesso di sempre, allora
perché gli faceva così paura in quel momento? Rabbrividì mentre le mani
dell’altro –mani così simili alle sue- gli accarezzavano il viso,
mentre i suoi occhi lo fissavano con una punta di mal celata amarezza.
-Solo
per po’- disse Feliciano d’improvviso, come se nulla fosse successo e
lui potesse continuare a parlare dal punto in cui si era fermato prima
–una ventina d’anni, solo per un po’ e poi tutto tornerà alla
normalità- spostò la mano in basso, aggiungendovi l’altra e aggrappando
entrambe al bordo della sua giacca militare.
Feliciano sapeva di
stare mentendo, aveva voglia di ridere tristemente e poi con cattiveria
al pensiero che Lovino, in realtà, non si sarebbe mai ripreso del tutto
da quello che stava per accadere. Lo sentiva già da adesso sotto le
proprie dita irrigidirsi, tremare, diventare freddo dalla paura,
preludio per qualcosa di molto più grande, spropositato, che neanche –soprattutto- lui sapeva fino a dove sarebbe arrivato.
-Allora che ne dici, fratellone?- sussurrò Feliciano come se
effettivamente Lovino avesse una possibilità di scelta.
Lovino
deglutì, scivolando lentamente contro la parete, sentendo le ginocchia
cedere sotto il peso di tutto quello -Feliciano…ragiona, ti prego…-
-Ho
già ragionato, ho già riflettuto, ho già fatto tutto il possibile.
Quanto ti ho detto è l’unica soluzione alla quale siamo giunti- e quel
‘siamo’ fu una distinta pugnalata al cuore per Lovino –allora?-
E,
davvero, Lovino solitamente non avrebbe reagito così a un discorso così
impertinente, soprattutto da parte di suo fratello -infatti faceva
fatica a riconoscersi in quel frangente- ma lo sguardo scuro e serio di
Feliciano era più che sufficiente per farlo desistere da qualsiasi tipo
di intento rissoso.
Si lasciò andare del tutto ma gradualmente,
gli occhi vacui mentre si inginocchiava di fronte all’altro, le labbra
schiuse e un po’ secche, riarse per l’amarezza e la lenta
consapevolezza di quello che sarebbe stato il suo destino, le mani
prima strette a pugno poi allentate fino a essere poggiate a terra.
Feliciano
vide bene di intendere quel gesto come un sofferto assenso alla sua
proposta, troppo difficile per essere detto ad alta voce. Si abbassò a
propria volta, accovacciando davanti al fratello maggiore: per un
istante perse il taglio duro che aveva preso il proprio sguardo,
tornando a quello dolce di sempre, mostrandosi semplicemente triste e
ferito quanto Lovino per via di quella difficoltosa situazione.
Feliciano si allungò verso il fratello, baciandogli le palpebre, prima
una e poi l’altra, lentamente, come per imprimere su di esse la propria
presenza per sempre.
Lovino trasalì a quel tocco così stranamente
intimo, sentendo come se un pezzo del proprio essere fosse sul punto di
essere trascinato via con la forza, e quando Feliciano si alzò,
allontanandosi, quello stesso pezzo si scollò del tutto, con un rumore
immaginario e particolarmente secco.
-Ti voglio bene Lovino-
sussurrò l’Italia del Nord, vedendo il fratello ancora in ginocchio,
costretto tra il muro e una sedia –te ne voglio davvero tanto- aggiunse
prima di uscire dalla stanza.
Lovino non seppe per quanto
effettivamente rimase in quello spazio così angusto, in uno stato di
totale shock, ma di una cosa fu certo, sfiorandosi il viso: una sola
era la lacrima che gli bagnava la guancia, ormai secca e piacevolmente
salata, ma con essa si era compiuta la caduta del Sud Italia.
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