Exogenesis
Prologo
Era
tornato.
A
scuola, dietro gli sportelli degli armadietti, durante
l’intervallo
e persino nelle ore di lezione, l’argomento sulla bocca di
tutti
era solo uno.
Era
tornato.
In
verità suscitare scandalo e portare scompiglio al liceo
statale di
Teignmouth non era davvero così difficile: in una cittadina
di circa
quindicimila anime anche il minimo evento fuori
dall’ordinario
godeva di un’eccezionale risonanza.
Era qualcosa del quale Dominic Howard non avrebbe mai smesso di
stupirsi.
Aprendo
il proprio armadietto ed estraendone il libro di algebra, il ragazzo
cercò di ignorare le querule voci di due ragazze che
ridacchiavano e
ciarlavano alle sue spalle.
-
Così è tornato!-
-
Già, già.-
-
Certo che ha del fegato a ripresentarsi qui… A me non sembra
neanche guarito, a giudicare dalla faccia!-
Altri
fastidiosi risolini, poi le due ragazze si allontanarono dai loro
armadietti in prossimità di quello di Dominic, che lo
richiuse con
energia.
Diamine,
quella storia lo infastidiva da morire.
Ok,
Matthew Bellamy era tornato a scuola… E allora?
Evidentemente
era riuscito a superare i suoi problemi, quelli che lo avevano
ridotto al rango di barzelletta dell’intera
collettività locale.
La
campanella suonò in quell’istante, seguita da un
languido e labile
coro di gemiti di disappunto da parte degli studenti.
Un’altra
allegra mattinata scolastica, insomma.
Nessuna
novità avrebbe potuto cancellare la routine grigia della
popolazione
adolescenziale di Teignmouth.
All’ora
di uscita Dominic raccattò in tutta fretta le proprie cose,
senza
salutare nessuno e avviandosi a passo celere verso la porta
dell’aula
per guadagnare finalmente un soffio d’aria non viziata dai
respiri
di altri venti ragazzi… Certo, se alcuni di loro avessero
avuto più
familiarità col sapone sarebbe stato già un passo
avanti nel
rendere accettabile quella quotidiana convivenza forzata.
Si
sforzò di ignorare la baraonda di ragazzi urlanti che lo
circondavano.
Gli
arrivò uno spintone, che lo gettò a terra e gli
strappò un grido
soffocato.
-
Cazzo… Scusa! – esclamò una voce alle
sue spalle, prima che il
proprietario schizzasse via come una scheggia verso l’uscita,
senza
neanche voltarsi indietro a controllare i danni provocati dalla
propria goffaggine.
Spolverandosi
con aria torva i pantaloni sulle ginocchia, Dominic sibilò
fra sé:
- Idiota.-
Attese
che la folla si diradasse lasciando spazio allo sparuto corteo dei
ritardatari, al quale si unì caracollando pigramente.
Un
giorno assolutamente, uniformemente, inevitabilmente normale.
Quando
passò di fronte alla variopinta bacheca degli annunci appesa
vicino
all’uscita, Dominic le gettò uno sguardo distratto.
Uno
sgargiante manifesto attirò la sua attenzione –
poche parole
stampate alla bell’e meglio su sfondo color giallo
fluorescente,
una parte di esso era occupata da un casellario per le firme.
Per
la prima volta in quella giornata – anzi, in quella lunga
sequenza
di giornate trascinatesi da settembre fino a quel giorno di novembre
– Dominic Howard sorrise, spinto da un sentimento di vaga
aspettativa.
Casa Howard
era l’ultima del quartiere.
In
generale a Dominic questo non pesava molto: provava un curioso
piacere nel passare di fronte alle case dei vicini, addobbate di
panni distesi ad asciugare, di giocattoli, statue e vasi vuoti sparsi
in giardino ed esposti ad ogni genere di intemperie.
Spesso
però tale “giardino” era solo un
fazzoletto d’erba
spelacchiato abbandonato di fronte alla soglia di casa e decorato
solo di tarassachi e pratoline: nulla di studiato, nulla di curato.
Non
era un quartiere popolato di nababbi, quello, e la gente preferiva
spendere soldi per generi di prima necessità e non
scialacquarli in
sciccherie superflue.
La
famiglia di Dominic non faceva eccezione, ovviamente.
Il
ragazzo ogni tanto si chiedeva se non valesse la pena di spendere
qualche penny per acquistare qualcosa in grado di scacciare via lo
squallore che regnava fuori e dentro le quattro mura che
l’avevano
visto crescere fino ad allora.
Anche
se una ventata di colore all’esterno avrebbe costituito solo
una
bugia di cattivo gusto, un’illusione che non sarebbe servita
a
nessuno.
Il
cancelletto rotto cigolò, salutando per primo il ritorno di
Dominic
a casa.
Calpestando
i pochi fili d’erba del vialetto per evitare di imbrattarsi
le
scarpe del fango dal quale erano circondati, Dominic alzò lo
sguardo
verso la casa dei vicini.
-
Taglialo dritto, scema!-
-
Tu sei scema!-
-
No, tu!-
Le
gemelline Bradford, sedute in veranda, stavano litigando come al
solito: da sopra la staccionata Dom riuscì ad intravedere
che
entrambe avevano in mano delle forbici ed un foglio di carta
ripiegato più volte.
In
quel momento la signora Bradford si affacciò dalla porta,
minacciando le figlie con un lungo cucchiaio di legno: - Finitela di
litigare, voi due!-
Angelica
Bradford batté i piedi a terra, indicando la
sorella: - Ha cominciato lei!-
Dominic
scosse il capo, prevedendo ciò che accadde subito dopo:
Samantha
Bradford spalancò gli occhi verdi quanto quelli della
sorella,
assumendo l’aria innocente che sfoggiava solo in determinate
occasioni, e replicò precipitosamente: - Mamma, tu non
puoi davvero credere che abbia cominciato io!-
E
perché no? Sei sempre tu quella che inizia. Mocciosa infida.
La
madre trascinò in veranda il suo personale voluminoso
rivestito di
uno sgargiante camicione a fiori che le arrivava fino ai piedi,
sempre con quel cucchiaione pendolante fra le mani.
Ponendosi
le mani sui fianchi, dedicò un’occhiataccia ad
entrambe le
bambine, borbottando: - Vorrei proprio sapere perché non vi
riesce
di comportarvi da brave sorelle, tutte e due.-
Angelica
e Samantha chinarono i capi umilmente di fronte alla reprimenda della
signora Bradford, ma non smisero di fissarsi di sottecchi con aperta
ostilità.
Dominic
sospirò, decidendo all’improvviso di averne
abbastanza di quello
spettacolo, e salì gli scalini che portavano dal piccolo
portico di
casa sua alla soglia.
La
porta era solo accostata, e la voce di sua madre lo raggiunse
immediatamente.
-
Be’, ammetto che è stata una sorpresa un
po’ per tutti!-
Una
donna dal tono di voce fin troppo sommesso mormorò qualcosa,
e la
signora Howard rise di cuore: - Cara Marilyn, tutti hanno dei
grattacapi in famiglia! –
Indubbiamente,
mammina
aggiunse mentalmente Dom in tono ironico, cercando allo stesso tempo
di associare il nome dell’ospite ad un volto.
Marilyn,
Marilyn…?
Cercò
di sgattaiolare su per le scale, nel tentativo di rifugiarsi in
camera sua senza essere visto, ma purtroppo per lui era impossibile
raggiungere la meta stabilita senza passare di fronte alla porta
aperta del soggiorno.
-
Dommy ! Non vieni a salutarmi?-
Sospirando
quietamente, Dominic accostò appena le labbra alla guancia
della
madre nel solito bacino d’ordinanza.
La
donna seduta in poltrona di fronte alla signora Howard sorrise
debolmente nell’osservare il gesto del ragazzo, che
finalmente la
riconobbe.
Marilyn
Bellamy, perché non ci aveva pensato subito?
La
famigerata dama di carità Diane Howard che prendeva un
tè con la
madre dello scemo del villaggio. Quel
cliché.
-
Dominic… Cielo, come sei cresciuto in questi mesi!-
-
Non tanto, a dire il vero… Ma i maschi non dovrebbero
crescere
tutti d’un botto?-
Diane
allungò un braccio per acciambellarlo attorno alla vita del
figlio,
guardandolo dal basso verso l’alto: - Quando diventerai alto
come
tuo padre, eh, Dommy?-
La
delicatezza che Dominic pose nello sganciarsi dall’abbraccio
della
madre era un riguardo più nei confronti della signora
Bellamy che
quelli della sua stessa genitrice.
-
Diane, in fondo c’è ancora tempo… E
comunque è già un gran bel
giovanotto.- argomentò cortesemente Marilyn, prendendo un
sorso di
tè dalla tazza che stringeva fra le mani.
Era
come se stesse tentando di prendere le distanze
dall’ostilità
repressa fra madre e figlio, ma allo stesso tempo a Dominic il suo
sguardo sembrò quasi… Comprensivo.
Il ragazzo si sentì un po’ infastidito, ma
apprezzò comunque quel
tacito sostegno: ogni alleanza era ben accetta, in tempo di
necessità.
-
Vado in camera mia.- annunciò finalmente Dominic, e mentre
usciva
Diane commentò tranquillamente: - Certo, tesoro.-
Dominic
divorò i gradini due alla volta, sbattendo la porta con
noncuranza
dietro di sé nell’entrare.
Si
gettò sul letto, non prima di aver notato che fosse stato
rifatto
con la cura meticolosa che è proprietà universale
di ogni madre –
le aveva detto di non entrare in camera sua. Glielo ricordava ogni
volta e lei puntualmente lo ignorava.
Si
rifiutò di prendersela per questo, allungandosi a
mo’ di gatto
sulla superficie del proprio materasso.
Sospirò,
soddisfatto. Infilò una mano in una tasca dei suoi ampi
jeans
sdruciti, riscaldando le punte delle dita infreddolite.
Sospirò
ancora, stavolta con un sorriso leggero sulle labbra.
Da
un angolo della minuscola camera, poco felicemente incassata
all’incrocio fra due pareti, la sua batteria esponeva le
proprie
cromature alla fioca luce che penetrava dalla finestra a
ghigliottina.
Un
gregge di nuvole color grigio perla galleggiava nel cielo, soffocando
il sole basso nella loro lanugine.
Entro
l’ora di cena avrebbe piovuto, constatò Dominic,
sfilando le mani
dalle accoglienti aperture nelle quali avevano appena cominciato ad
intiepidirsi.
Chiuse
gli occhi, rivedendo contro lo sfondo scuro delle palpebre abbassate
il nero sbiadito dei caratteri impressi sul manifesto letto a scuola
– ormai conosceva a menadito il contenuto
dell’annuncio.
Il
complesso jazz della scuola cercava un nuovo batterista.
Il
precedente, un ragazzo del secondo anno, si era rotto un braccio
giocando a basket ed ovviamente si era visto costretto a dare
forfait; quando l’aveva saputo, Dominic non aveva potuto fare
a
meno di sperare che il complesso organizzasse delle audizioni per
individuare un sostituto.
Una
volta tanto, sognare quel poco che si era concesso in quelle
circostanze non gli si era ritorto contro.
Un
brivido di eccitazione gli riverberò nel ventre, piacevole e
caldo.
Tirandosi
su a sedere sul ciglio del materasso, Dominic si rivolse direttamente
alla batteria poco lontana: - Vogliamo riprovarci, piccola?-
I
cimbali e le altre parti lucide non brillavano più; il sole
era
tramontato dietro le colline.
Stando
in silenzio, la risacca fomentata dal vento teso era perfettamente
udibile nel suo monotono andirivieni anche da lì.
Una
macchina dalla marmitta evidentemente esausta passò
borbottante giù
in strada, un motorino ronzò acuto subito dopo di lei.
Dominic
si alzò in piedi, quando la quiete di quel pomeriggio
novembrino si
ripresentò con il suo familiare canto d’acqua
sciabordante.
Certe
volte si chiedeva se quel suono non facesse il lavaggio del cervello
a tutti, se anche solo quello strascicato fruscio avesse il potere di
erodere le menti degli abitanti come faceva con i sassi e le
conchiglie.
Quanti
desideri si era ripreso il mare di Teignmouth? Quante vite aveva
modellato e consunto?
Le
bacchette erano sulle scrivania, pronte all’uso.
Anche
loro portavano segni di un lavorio violento ed implacabile lungo il
loro stelo.
Il
legno sembrava essere venuto via a morsi, strappato furiosamente da
mani che pure le amavano come ogni musicista ama il proprio
strumento.
Dominic
le afferrò, accendendo poi la luce e mormorando fra i denti:
-
Facciamo casino.-
Quando
smise di suonare, pioveva.
Quella
era acqua diversa, non frusciava e non mangiucchiava nulla. Aveva un
ritmo serrato, galoppante. Se avesse deciso di divorarti, lo avrebbe
fatto in fretta come se avesse avuto qualcuno alle calcagna.
A
proposito di “divorare” … Cazzo, che
fame!
Il
piatto fumava già di zuppa bollente, quando Dominic prese
posto a
tavola.
Il
lampadario della sala proiettava un alone giallastro lungo le pareti,
e si rifletteva anche sulla tovaglia bianca e sul volto tondo e gaio
di sua madre, colorando le sue guance di una strana sfumatura
paglierina.
Diane
affondò il cucchiaio nella propria scodella, tirandone su
una
discreta dose di brodo.
-
Mhmmm…- mugolò, evidentemente apprezzando la
propria opera.
Il
figlio non diede mostra di notare la sua reazione, tenendo gli occhi
bassi sul piatto.
-
Che ne pensi, Dommy? Io trovo che sia squisita!-
In
effetti la zuppa non era niente male, forse non abbastanza densa ma
comunque buona; Dominic annuì silenziosamente, continuando
come
sempre a mangiare e ad ascoltare ciò che sua madre stava
allegramente cinguettando.
-
Sai cosa ci ho aggiunto? Un po’ di cumino. Ricordi che
l’avevo
comprato per quelle frittelle, tempo fa? Ecco, a quanto pare sta bene
anche nella zuppa.-
Dominic
assentì senza parlare, versandosi dell’acqua dalla
brocca di
coccio sul tavolo.
-
Di solito non sono una che sperimenta, lo sai bene …
Però, sai,
ogni tanto ho anche voglia di variare un po’, di cambiare
sapori!
Devo chiedere a Marilyn qualche altro consiglio … Che donna
in
gamba! Peccato per quello che le è successo … Lei
e suo marito
hanno divorziato due anni fa, vive con sua madre, il suo figlio
maggiore è terribilmente ribelle e il più
piccolo… Be’,
insomma…-
Solito
cenno del capo, solito tacito disinteresse da parte del ragazzo.
-
Se non sbaglio il più piccolo ha la tua età
… O un anno in meno?
Mhm, mi sa un anno in meno, sì… Va alla tua
stessa scuola. Il più
grande, Paul, ha diciannove anni. Vuole trasferirsi a Londra, la
prossima estate. -
-
Beato lui.-
-
Come, tesoro?-
-
Nulla… Parlavo del cumino.-
-
Mhm, già. Comunque, Marilyn Bellamy è davvero,
davvero in gamba...
-
-
Ok, sono sazio.- la interruppe Dominic, iniziando ad alzarsi da
tavola.
Le
concesse un sorriso tirato per tranquillizzarla, quando Diane
osservò
confusa: - Ma… Ne hai lasciata metà nel piatto.-
-
Be’… Vorrei tenerne un po’ per domani a
cena. Sai, è così…
Squisita.-
spiegò il ragazzo, continuando a sorridere in quella strana
maniera
poco sincera.
Un’ombra
di disappunto oscurò gli occhi grandi e rotondi di sua
madre, prima
che tornassero chiari, allegri ed incredibilmente ottusi: - Te la
metto in frigo, allora!-
-
Sì, sì… Vado di sopra.- la
informò piatto Dominic, prima di
lasciare rapidamente la sala.
Le
cene con sua madre si stavano facendo sempre più brevi,
rifletté
Dominic con i gomiti appoggiati sul davanzale della finestra della
sua stanza.
Diane
aveva rinunciato ad ogni tentativo di tenerlo seduto al suo posto
oltre il minimo indispensabile… Alla buon’ora.
Il
respiro del ragazzo si condensò sul vetro freddo, e Dominic
cancellò
l’alone opaco con il palmo della mano.
La
maglie delle nuvole si stavano gradualmente allentando, e una stella
splendeva solitaria su di un fazzoletto di cielo nero.
In
quel momento, i lampioni illuminarono una figurina ammantata da un
k-way arancione che avanzava trotterellando sul marciapiede.
Incuriosito,
Dominic avvicinò il viso alla finestra fino a schiacciarci
il naso
contro.
Chi
diavolo poteva aver deciso di uscire con un tempo del genere?
L’individuo
era incappucciato in modo tale che solo parte del naso e degli occhi
era esposta alla vista; il resto del viso e del corpo era
intrappolato sotto quell’orrida cappa color mandarino.
Quando
lo sconosciuto si fermò, Dominic pensò che
evidentemente un minimo
di buonsenso potesse essergli finalmente filtrato in testa.
Si
aspettò di vederlo girare i tacchi per tornarsene a
casa… Ed
effettivamente andò proprio così.
Solo
che, prima di farlo, il tipo sollevò lo sguardo proprio in
direzione
di casa sua, fissando la sua finestra che dalla strada appariva
certamente buia – non aveva acceso la luce, preferendo
restare per
un po’ al chiarore dei lampioni, in silenziosa contemplazione
del
panorama che gli offriva il quartiere.
Nonostante
ciò, non riuscì a reprimere la strana sensazione
che in realtà
fosse fin troppo esposto, allo sguardo indistinguibile del tizio.
Quando
questi se ne andò, gli venne improvvisamente voglia di
accendere la
luce e di mettere su della musica.
*fissa
la pagina con aria meditabonda*
Me
ne pentirò, lo so perfettamente.
Questa
storia è seppellita nella cartella
delle Fiction Incomplete sul mio computer ed in un angolo remoto del
mio cervello da quasi due anni (e si vede - c'è ancora molto baroccume, qua e là XD). Ogni tanto la apro, me la coccolo un
po' e poi la rimetto dove stava senza più toccarla
– il che
dipende dal fatto che, notoriamente, mi pesano le chiappe di fare
praticamente qualsiasi cosa ma! voglio che le cose cambino, quindi
eccola sulle pagine di EFP come incentivo a darmi una mossa ed a
lavorarci seriamente, visto che è effettivamente qualcosa in
cui
credo ancora e che voglio portare avanti (… suono
così pretenziosa
che mi do fastidio da sola).
Comunque,
come da presentazione, è una
sorta di What If? ed i personaggi sono per certi versi OOC (oh, e ovviamente è tutto falso, tutto gratis, tutto all'insaputa dei protagonisti - disclaimer, deve esserci un motivo profondo se mi scordo sempre di inserirti). Insomma,
il genere di cose nelle quali non amo cimentarmi, ma per qualche
strano motivo nella mia testa funziona. XD
Se
vorrete farmi conoscere la vostra opinione al riguardo, grazie mille in
anticipo. Cheers! :D
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