Sssalve!
Ok,
dunque, bene... per prima cosa questa roba qua è stata
scritta per
la Scalata al Wolfstar
di wolfstar_ita,
primo livello della
challenge, che il cielo me la mandi buona. Punto due no, non sono
più
abituata a maneggiare 'sta gente e il risultato è quello che
è.
Punto
tre, questa qui è una fanfic pre-slash. Non so se si
intuisca, per
me che sono malata di loro è EVIDENTISSIMO e lampante ma
capirei
eventuali perplessità.
Punto
quattro, mi scuso con i puristi ma io l'immagine di Sirius undicenne
che trullo e contento pensa bene di voler andare a Gryffindor e farsi
detestare così da tutti i suoi cari proprio non
riesco a
concepirla. È un mio limite, abbiate pazienza. Nella mia
testa il
suo arrivo nella Casa “sbagliata” dev'essere stata
un'esperienza
traumatica e anche abbastanza spaventosa.
Punto
cinque, non so se la sciarpa in questione sia abbastanza presente
nella fanfic, però, ecco, per quanto la sua comparsa sia
brevissima
lo considero l'oggetto pregnante di questa storiella, sicuramente la
sua ragione di esistere.
Punto
sei, troverete QUI
la mia Scalata man mano che verrà pubblicata.
Punto sette...non c'è. Finiti i punti.
Lascio
la parola alle...parole.
- Sciarpa
FREDDO
Era
tutto immobile e talmente silenzioso che sembrava quasi di sentire il
respiro della polvere.
Dal
vetro della finestra chiusa penetrava appena un alone di luce,
riflesso del sole calante, che si specchiava sulla superficie di due
vecchi banchi e illuminava lievemente le pareti antiche,
apparentemente addormentate sotto il peso del tempo. Se non fosse
stato uno di essi, non avrebbe mai potuto supporre che pochi piani
più giù, scese le scale, una torma tumultuosa di
studenti si
accalcava tra i corridoi, verso la Sala Grande o nei dintorni della
biblioteca. Lassù, in quella vecchia aula in disuso, era
tutto
talmente muto che pareva di stare a milioni di chilometri di distanza
da qualunque essere umano.
Ma
nemmeno quel silenzio di piombo serviva a calmarlo. Anzi, Remus
continuava a sussultare per ogni minimo fruscio e ogni scricchiolio
di quel vetusto castello, come intuendo nel più
impercettibile
cigolio di vecchi armadi un segno di qualche presenza.
E
non erano certo i fantasmi a preoccuparlo, ma gli umani.
Qualcuno
di loro avrebbe potuto trovarlo. Certo, il castello di Hogwarts era
gigantesco, e in quel dedalo di porte chiuse e corridoi intrecciati
sarebbe stata un'impresa lunghissima scovare uno che non voleva
essere scovato, ma la sua ansia era tale che si aspettava di vederli
irrompere lì da un momento all'altro.
James,
con la fronte aggrottata e lo sguardo fiammeggiante di sdegno, le
labbra serrate rabbiosamente e l'espressione dura, un aspetto
così
poco consono a lui, così diverso dal solito ragazzino
allegro ed
estroverso. James che lo fissava assottigliando appena le palpebre
sugli occhi, con una smorfia al vetriolo tratteggiata sul viso.
Peter
no. Peter non sarebbe nemmeno venuto. Remus era certo di aver perduto
istantaneamente ogni legame con lui nel momento stesso in cui James
aveva pronunciato la parola licantropo, l'aveva
capito dall'orrore sul suo volto.
E
Sirius. Occhi grigi sgranati, ingigantiti dall'incredulità.
Un
labbro che tremava, il volto ancor più pallido, la gamba che
scattava istintivamente indietro con un moto spontaneo di rifiuto.
Era
stato vedendo quel piede schizzare indietro, seguito dal torace e
dall'intero corpo del suo amico con un'urgenza implosiva, che Remus
aveva sentito qualcosa che gli si spaccava nello stomaco. Se gli
avesse tirato un pugno o addirittura una fattura, se avesse urlato,
l'avesse spinto, magari insultato, sarebbe stato meglio. Invece
Sirius non aveva detto o fatto proprio niente, si era limitato
soltanto a ritrarsi.
Remus
non aveva più potuto sopportare di vedere o sentire
nient'altro.
Aveva cercato di non guardare niente, neppure le pareti di quel
Dormitorio che da più di un anno ormai sentiva come casa
sua, si era
puntato gli occhi sui piedi ed era uscito dalla porta, non troppo
lentamente per non sembrare esitante, non abbastanza in fretta da
lasciar capire che stava scappando.
Nessuno
l'aveva trattenuto, ma mentre si allontanava, cercando disperatamente
di impedire al suo sguardo di offuscarsi ancor di più, aveva
creduto
di sentire la voce di James alzarsi di volume, accesa, e forse
–
forse – quella di Sirius che si accavallava alla sua,
febbrile.
Ma
erano suoni ovattati, che lo raggiungevano da una lontananza
incalcolabile mentre cercava di camminare normalmente, di mantenere
un'espressione naturale davanti agli altri studenti in sala comune
quando invece si sentiva sbriciolare dentro. Soltanto dopo aver
oltrepassato la Signora Grassa aveva aumentato il passo sempre di
più, senza nemmeno badare a dove andava, continuando
soltanto a
camminare in fretta e più in fretta ancora, fin quasi a
correre su
per le scale e lungo i corridoi col cuore che rimbalzava contro la
sua cassa toracica e le mani, le gambe, persino la schiena che
tremavano.
Si
era fermato quando il silenzio era diventato così assoluto
che i
suoi passi galoppanti rimbombavano come esplosioni. Si era appoggiato
ad una porta col fiato rotto come dopo una lunghissima corsa, l'aveva
aperta e oltrepassata chiudendosela alla spalle e si era lasciato
scivolare per terra, scosso da un serie di singhiozzi silenziosi e
senza lacrime, singulti asciutti che facevano male alla gola e ai
polmoni.
Era
tutto finito.
Proprio
ora che si era convinto di aver trovato dei veri amici, adesso che
aveva appena iniziato ad entrare nell'ordine di idee che, dopotutto,
anche se restava un mostro non sarebbe più stato solo,
proprio
adesso che si era concesso il lusso e la debolezza di affezionarsi a
qualcuno nonostante quel che era, il suo segreto si era svelato ed
era tutto finito. A malapena iniziato, già distrutto.
La
rabbia di James, il gelo di Sirius, lo sguardo atterrito di Peter.
Non
sapeva proprio cos'avrebbe fatto, senza di loro. E ancora peggio, non
sapeva come avrebbe potuto sopportare il loro odio.
Era
lì da ore, ormai. Non riusciva nemmeno a concepire l'idea di
tornare
indietro, di fronteggiare il loro disprezzo e incassare la
malevolenza che certamente lo aspettava appena rimesso piede in
Dormitorio. Forse l'avevano detto anche a Frank. Forse ne avevano
parlato a tutta la Casa e non appena lui fosse ritornato alla Torre
di Gryffindor li avrebbe trovati tutti lì, a scrutarlo con
odio.
L'immaginava come un muro umano di ostilità, una parete di
braccia e
toraci che lo respingevano e in mezzo ai quali spiccavano le labbra
tirate di James e gli occhi sgranati di Sirius.
E
gli occhi di Sirius.
Tutta
la sua persona che si tirava indietro, come se la sola idea di averlo
vicino, di respirare la sua stessa aria, fosse inaccettabile.
Forse
sarebbe stato espulso; Dumbledore si era tanto raccomandato di
mantenere il segreto, per poterlo accogliere ad Hogwarts. E adesso
che la verità era venuta allo scoperto, anche se lui non
l'aveva
voluto, magari sarebbe stato costretto ad andarsene.
Meglio
così, in un certo senso: non avrebbe mai potuto restare
lì e farsi
detestare da tutti quanti. Però aveva tanto voluto diventare
un
mago, l'aveva desiderato così immensamente...
Le
sentì finalmente pizzicare all'angolo degli occhi: lacrime.
Alla
fine erano arrivate anche loro, e sospettava che per un bel pezzo
sarebbero state le uniche a volere la sua compagnia. Ancora
accucciato nella stessa posizione di quand'era arrivato lì,
da
quelli che sembravano secoli, nascose il viso tra le braccia e pianse
in assoluto silenzio, con un'angoscia che gli attorcigliava lo
stomaco e faceva male, male.
Le
lasciò uscire per qualche minuto, forti, a scroscio, e
quando il
fiato cominciò a mancargli deglutì giù
tutto il bolo nero che
ancora gli rodeva il petto e, violenta com'era stata fino ad allora
la necessità di non uscire più da quella stanza,
avvertì repentina
l'impellenza di uscirne, di respirare aria aperta, sentirla fredda
sulla faccia e sperare che lo alleggerisse di qualche cosa.
Ad
occhio e croce mancava almeno un'ora prima che le porte del castello
chiudessero per la sera, un'ora in cui si poteva ancora rimanere
lungo il lago, anche se dubitava che ci fossero molti studenti
lì
fuori: l'inverno ancora non era finito e faceva freddo presto.
Ma
sarebbe uscito lo stesso. Il mantello non l'aveva, e non aveva
nemmeno la minima intenzione di passare a prenderlo in Dormitorio,
sapendo benissimo cosa l'aspettava lì. Ma sarebbe uscito lo
stesso,
e pazienza per il freddo: aveva sensazioni molto peggiori con cui
confrontarsi, al momento.
C'erano
tutte le cose, nella sua testa.
Gli
ibridi.
Quand'era piccolo suo
padre gliel'aveva spiegato. Per la verità, in famiglia
gliel'avevano
spiegato tutti un sacco di volte.
Mostri.
Feccia. Inferiori. Bestie. Infetti. Marciume. Vergogna della
società.
Reietti. Assassini. Esseri inumani.
I
lupi mannari non hanno l'anima. La loro più grande gioia
è veder
scorrere il sangue. La
voce di
sua madre.
Provano
gusto a infettare e corrompere le persone pure.
Bellatrix, il suo sorriso maligno.
Gli
faceva male l'aria nella gola. Era perfettamente orribile.
“...Abbia
potuto non dircelo! Proprio a noi!” tuonava James fuori da
ogni
grazia. “...Ti senti bene?”
Sembrò
dimenticarsi per un paio di secondi il punto focale della
conversazione e tese una mano verso di lui, come per sorreggerlo, ma
la trattenne invece a mezz'aria guardandolo interrogativo.
Sirius
annuì freneticamente. Aveva paura di stare per mettersi a
piangere.
Parlavano da troppo tempo e gli si appannava la vista.
“Credete
che dobbiamo dirlo alla McGonagall?” squittì Peter
ansiosamente,
tormentandosi poi le labbra tra i denti.
“Non
essere scemo!” lo riprese James sgranando gli occhi.
“Io non la
faccio, la spia! Dobbiamo parlarne direttamente con Remus!” E
già,
con quell'affermazione fiera, sembrava riprendere il controllo di
sé.
Sirius
annuì di nuovo. Ovviamente,
per quanto l'idea di parlare con Remus, o anche solo di vederlo da
lontano, in quel momento sfiorasse quanto poche altre cose l'essere
terrificante, era fuori discussione che andassero a spiattellare una
cosa del genere a qualcun altro.
“Ma
allora...” continuò Peter lamentoso, parendo
sempre più agitato.
“Te
lo dico io cosa facciamo: ora lo andiamo a cercare e gliene diciamo
quattro. Voglio proprio vedere quale spiegazione tirerà
fuori per
avercelo tenuto nascosto,” lo interruppe James baldanzoso,
raddrizzando le spalle con istintiva temerità.
Non
sembrava che fosse la licantropia a disturbarlo più di
tanto. Era
quell'altra cosa, quella falsità, quella verità
di cui erano stati
tenuti all'oscuro così a lungo e che invece dovevano
meritare,
perché loro, a Remus, di segreti non ne avevano nascosti
mai. Sirius
riuscì a deglutire e poi, tanto per cambiare,
annuì di nuovo, ben
contento che qualcuno avesse preso in mano le redini della
situazione. Tendeva a piacergli, fare il capo, ma in quel momento non
sarebbe stato capace nemmeno di trovare la strada per il bagno.
“Giusto,”
mormorò flebilmente, prima di voltarsi verso la soglia. Fece
due
passi, poi il suo stomaco si strinse inesorabilmente. Fu quasi sicuro
di vomitarsi sui piedi e si tappò la bocca con la mano per
trattenere il conato.
“Sei
proprio sicuro che
stai bene?” insistette James, scettico.
Sirius
deglutì qualcosa di acido.
“Sì,”
mormorò, cercando di sentirsi forte e padrone di
sé. Aveva tredici
anni e una paura fottuta, di cosa non lo sapeva bene. “Io
vado...
Devo camminare.”
James
aggrottò la fronte.
“Camminare,”
ripeté lentamente, perplesso. “Ma
Remus...”
“Dopo,”
mormorò Sirius, e dovette sembrare così sfinito
che il suo migliore
amico non osò ribattere. Non gli propose nemmeno di
accompagnarlo,
fatto assai strano, avendo forse intuito il suo stato d'animo.
Gli
serviva una tregua, perché aveva tante voci diverse nella
testa e
doveva metterle d'accordo o farle tacere, prima che il suo povero
cranio esplodesse.
Lo
riconobbe da lontano, accoccolato in riva al lago, anche se era
girato di schiena, anche se indossava un mantello identico a quello
di tutti gli altri studenti della scuola e la sua capigliatura era
corvina come decine di altre. Lo riconobbe dalle spalle, e dalla
posizione che Sirius aveva, quella che prendeva sempre quando si
richiudeva su se stesso e se ne stava annidato sopra il proprio
torace, quasi attorcigliandosi intorno a quel malessere di figlio
degenere che non era capace a buttar fuori schiettamente ma solo, in
altri momenti, facendo il bullo.
Pensò
di correre via, scappare prima che l'altro si accorgesse di lui.
Doveva assolutamente andarsene il più in fretta possibile e
invece
le sue gambe lo scaraventarono avanti, e avanti ancora,
perché vedi,
io lo so, io l'ho capito che non sei così diverso da me, sei
fuori
posto anche tu, e allora ti voglio dire una cosa, ed è che
forse non
c'è niente di male, non è colpa tua e non
è colpa mia, è solo che
siamo storti per qualcosa che non dipende da noi, tu rispetto al tuo
mondo e io rispetto a tutto quanto, ed è anche stato
difficile
diventare amici perché siamo così diversi che se
non fosse stato
per James non ci saremmo mai rivolti la parola, e ancora adesso certe
volte ti spaccherei la testa contro il muro o ti farei un Anatema per
come sei piantagrane e tu a me per come sono a posto, e probabilmente
sarà così sempre, però guarda, dai,
certe volte andiamo d'accordo
ed è solo bello, è come stare al posto giusto e
chiudere tutto
fuori dalla porta. Non sono mica cattivo.
Si
fermò a pochi metri e non aprì bocca. Di quelle
parole che gli
sbattevano in testa non ne avrebbe detta nessuna, perché era
lui in
torto, era lui il mostro; e anche volendo non poteva parlare
perché
si sentì d'un colpo svuotato, svuotato dall'incertezza e dal
timore
della reazione di Sirius, svuotato mentre Sirius, accorgendosi di una
presenza, si voltava indietro e lo riconosceva, svuotato dal suo
sussulto, svuotato dal suo sguardo un po' inquieto, un po' ferito e
un po' aggressivo, svuotato da tutto. Rimase solo lì fermo a
farsi
guardare e fu una delle cose più faticose e più
coraggiose che
avesse fatto fino ad allora, stare lì fermo davanti a Sirius
che
forse adesso lo odiava.
Fermo,
in silenzio.
Sirius
tornò a voltare la testa, riportando lo sguardo sulla
superficie
appena increspata del lago. Remus si sentì pietrificare da
quella
reazione che, tra tutte, non aveva calcolato e non sapeva
assolutamente come interpretare. Non era molto facile, con Sirius, in
nessun caso. Un po' perché era fatto tutto a modo suo e
sapeva
spiazzare tutti da un momento all'altro, un po' perché
c'erano
spigoli, tra loro due, che certe volte sembravano taglienti. Ogni
tanto a Remus veniva ancora il dubbio che il Pureblood lo tollerasse
solo per far piacere a James, perché erano davvero tanto
diversi
l'uno dall'altro, in apparenza. Poi però scuoteva la testa e
s'intimava di piantarla, perché Sirius a modo suo era un
amico e lo
dimostrava in mille piccoli, bislacchi modi.
Ma
stavolta era diverso. Non sapeva cosa fare e rimase ancora immobile,
piantato su quel prato col sole che tramontava e Sirius che fissava
l'acqua.
Per
un tempo quasi infinito.
Sirius
respirò più profondamente per un paio di volte,
con gli occhi
socchiusi. C'era silenzio, e gli faceva bene.
Qualche
volta, quando l'ansia gli risaliva in gola, quando pensava a sua
madre, quando la confusione sembrava sul punto di mangiarlo e
l'inquietudine gli aggrediva la testa senza nessun motivo particolare
se non l'incertezza su quale posto fosse suo, a Sirius piaceva stare
con Remus. Senza nemmeno James. Si metteva accucciato in un angolo
con tutti quei suoi pensieri e l'amico che studiava lì
accanto e non
apriva bocca, in un perfetto silenzio, senza dover dire qualche cosa,
senza dover dimostrare niente a nessuno, ma senza neanche essere
solo. Gli sarebbe bastato tendere la mano e Remus era lì.
Ed
era lì anche in quel momento. Aveva smesso di guardarlo e si
fissava
i piedi, trovando sempre più difficile non andarsene.
“Così...”
E Remus sobbalzò, preso alla sprovvista dalla voce incerta,
ma non
aggressiva, di Sirius. “Sei un...”
“Lupo
Mannaro. Sì,” confermò Remus con un
notevole sforzo per parlare,
terminando la frase che l'altro aveva lasciato a metà.
Sirius
annuì tra sé, senza spostare lo sguardo.
“E
ti trasformi in un...” Un'altra domanda, o affermazione,
morta a
metà.
“Lupo.
Assolutamente.”
Sirius
assentì nuovamente col capo, assorto. Aveva la fronte
aggrottata e
sembrava immerso in qualche riflessione tutta sua.
“E
sei..?”
Remus
sporse leggermente la testa in avanti, questa volta senza riuscire a
capire cosa volesse dire.
“...Pericoloso?”
si decise a concludere Sirius, girandosi finalmente a guardarlo.
Remus
restò come trafitto. Non erano occhi ostili e nemmeno
spaventati, ma
neanche amichevoli. Erano occhi seri, che chiedevano trasparenza.
Si
strinse nelle spalle.
“Posso
esserlo, quando divento lupo. Per questo Dumbledore...”
“E'
più...grosso?”
Sirius
lo interruppe senza badargli, lasciandolo nuovamente spiazzato.
“Come?”
“Il
tuo lupo. È più grosso di te, vero?”
La
domanda suonava retorica, e Remus non poté che confermarla
come
tale.
“Ovviamente.”
Allargò lievemente le braccia, come a mo' di prova, ed
esibì la sua
figuretta smilza, annegata nella divisa scolastica.
“Cioè, ti
sembra che io sia pericoloso, così?” aggiunse,
scettico.
Sirius
piegò leggermente il capo, mentre le sue labbra si
storcevano prima
gravemente per poi distendersi in qualcosa, del genere, vagamente,
simile a una specie di sorriso.
“No,”
mormorò a voce bassa. “Non lo sei.”
Remus
spostò di scatto lo sguardo dal proprio torace al suo viso.
Non
rispose niente.
Sirius
espirò rumorosamente, aggrottando la fronte, e
sollevò lo sguardo
in lontananza, verso l'altra sponda del lago.
“Ce
lo dovevi dire.”
“Lo
so,” affermò Remus automaticamente. “Ho
avuto...”
Fu
lui a non terminare la frase, allora, ma Sirius non gli venne in
aiuto. Rimase accigliato a guardare lontano, tormentandosi un labbro
tra i denti, e Remus prese fiato.
“Pensavo
che mi avreste odiato.”
“Pensavo
che fossimo amici.”
Non
c'era tecnicamente nulla di sbagliato in nessuna delle due
affermazioni, ma le separava ugualmente un abisso. Remus si strinse
un po' le braccia intorno. Cominciava a fare freddo, lui non aveva un
mantello.
“E
lo siamo,” sussurrò, forse un po' troppo
speranzoso.
“James
se l'è presa a morte. E se vuoi saperlo, anche io.”
“Certo
che voglio saperlo.”
Non
era così difficile come aveva pensato mentre stava chiuso in
quell'aula. Era terribile, in qualche modo, ma non difficile in senso
stretto, ora che era iniziato.
Sirius
scosse la testa, con tanta enfasi da sembrare che volesse scacciare
via qualche cosa.
Lui
doveva non smettere di parlare.
“So
che ora sembra che non mi fido di voi. Ma non è
così semplice.
Nessuno vuole avere a che fare con un licantropo, lo...sai
benissimo.”
“Ma
noi siamo i tuoi amici.”
Ineccepibile,
irreprensibile, una replica che non lasciava spazio a troppe
giustificazioni.
“Pensavo
di non poterne mai avere. Quando vi ho trovati, dovevo
fare in modo che...”
Lasciò
di nuovo cadere le parole a mezz'aria, perché a quel punto
Sirius si
alzò in piedi e si mosse verso di lui, e Remus non
poté far
nient'altro che tacere senza muovere un muscolo. Lo guardò
con una
certa inquietudine – calci, pugni e piccoli incantesimi pochi
simpatici erano già nel repertorio di Sirius dall'anno
precedente,
dopotutto – e poi lo guardò ancora senza capire
mentre il
Pureblood, lentamente, si iniziava a srotolare dal collo la sciarpa
rossodorata della casa di Gryffindor; con una sola mano,
graziosamente, tanto che lui si ritrovò a seguire il gesto
senza
quasi respirare. E il fiato gli si strozzò definitivamente
in gola
quando Sirius, senza emettere un fiato, appoggiò quella
stessa
sciarpa sulla sua spalla e le diede un rapido giro intorno al suo
collo.
“Fa
freddo,” borbottò poi, impacciato.
Remus
buttò giù il fiato come poteva. La sua mano
salì quasi da sola a
stringere un lembo di quella stoffa, quasi a verificare che fosse
vera. La covò tra le dita, sembrava più morbida
di qualunque altra
sciarpa.
“Grazie,”
soffiò.
L'altro
annuì, stringendosi nelle spalle.
“L'ho
pensato anche io, all'inizio,” ammise a mezza voce, storcendo
il
naso.
“Eh?”
Ma
Sirius non rispose più, annegando le mani nella
profondità del
mantello. Remus continuò a stringere la sciarpa e a
guardarlo senza
parole, ed anche se non lo sapeva era straordinario che un semplice
gesto così minimo e banale come quello che l'altro aveva
appena
compiuto, passargli la sciarpa, fosse capace di regalargli una
leggerezza così incredibile, di cambiare tutti i colori del
mondo.
Solo Sirius lo sapeva fare.
Avrebbe
voluto abbracciarlo o dire ancora qualcosa, ma saggiamente si
limitò
a continuare a stringere la sciarpa.
Sirius
spostò lo sguardo verso il Castello.
“Sarà
meglio che rientriamo, e poi James ti deve ancora cazziare.”
C'era
un'altra musica nella sua voce adesso, una che a Remus era
più
familiare: un brio leggero, impertinente.
Annuì
compreso, con l'aria di prendere la questione molto seriamente.
“Ci
rimarrà malissimo se non arrivo in fretta, allora.”
Sirius
piegò appena il capo verso il basso, con un leggero accenno
di riso.
Poi scrollò il capo e poggiò la mano sulla sua
spalla per spingerlo
avanti, verso l'ingresso della scuola. La tenne lì appena un
secondo
più del necessario, poi la rituffò nel mantello.
Remus caracollò
in avanti, affondando il naso nella sciarpa.
Rientrarono
ad Hogwarts fianco a fianco, senza parlare.
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