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L'Ombra
della Notte
Ero
stato faccia a faccia con la morte e, dopo una partita a scacchi
durata sessantaquattro secondi, l'avevo sconfitta.
Dopodiché, otto
lunghi giorni di incoscenza, durante i quali avevo visitato luoghi
lontani e inesistenti, visto il mio futuro e il mio passato. All'alba
del nono giorno avevo riaperto gli occhi.
Fu un rumore di
passi
a svegliarmi, quella notte, nella mia stanza della clinica
Corachàn.
Mi guardai intorno,
e nel buio intravidi la sagoma di un uomo. Non avevo bisogno di
accendere la luce per capire chi fosse: dopo che avevo tanto indagato
su di lui e sulla sua vita, mi sembrava di conoscerlo da sempre, anche
se in realtà l'avevo visto in faccia per la prima volta solo
cinque anni prima - e ne ero stato terrorizzato.
Tentai di
chiamarlo, ma non mi uscì alcun suono. Prontamente, lui mi
aiutò a bere un bicchere d'acqua, dopo il quale mi sentii
subito meglio.
"Daniel", disse con
la sua voce roca.
"Sei venuto per
dirmi addio", affermai.
"Sono venuto per
chiederti di vivere per me. Non ci rivedremo più, Daniel",
rispose lui, stringendomi la mano.
"Proprio ora che ci
eravamo incontrati!", dissi.
"Ci eravamo
incontrati già qualche anno fa".
"Ma io non sapevo
che fossi tu. Ho cercato di saperne di più su di te a
rischio della mia stessa vita, e ora che finalmente posso parlare con
te, vieni per dirmi addio?".
"E' meglio
così, Daniel, lo sai anche tu".
Lo sapevo,
sì, lo sapevo. Ma non era giusto.
Mi voltai a
guardare il soffitto.
"Resta qui almeno
per questa notte", dissi a bassa voce, "voglio solo parlare con
l'autore del libro di cui ho promesso che avrei avuto cura per tutta la
vita".
Lo sentii sospirare.
"Va bene, per
questa notte resterò", rispose infine.
La sua mano era
ancora stretta nella mia mentre ripercorrevamo il cammino che, a mia
insaputa, avevamo condiviso.
"Ti sei spaventato
la prima volta in cui mi hai visto, vero?".
"Beh, avevo solo
sedici anni", risposi, sentendomi un ipocrita. Come se quella fosse
stata una degna giustificazione.
"Già".
Il suo tono di voce era quello di una persona che sorrideva, anche se
sapevo che lui non ne aveva più la possibilità da
molto tempo.
Restammo in
silenzio, a riflettere sui nostri momenti condivisi e su tutto quello
che ancora non ci eravamo detti e, forse, non avremmo mai detto.
"Sai", ricominciai
dopo qualche minuto, rompendo il silenzio, "quando Fumero mi ha sparato
e tu sei venuto a soccorrermi, ho visto...".
"Che cosa hai
visto?".
"Ho visto il tuo
vero volto".
"Io non ho
più un vero
volto,
ormai. Eri in preda al delirio, Daniel. Stavi morendo".
"Ma io l'ho visto,
lo giuro... poi, un attimo dopo, è svanito... e sei tornato
ad essere Laìn Coubert".
"Mmh. E adesso, chi
sono?".
Strinsi
più forte la sua mano e improvvisamente mi sembrò
di vedere, proiettate sullo schermo nero della notte, delle immagini di
fuoco e fiamme. In mezzo all'inferno più caldo e assassino,
un uomo, a terra, tentava di muoversi, mentre il fuoco ardeva sul suo
corpo.
Poi vidi una
giovane Nuria Monfort con l'amore negli occhi, vidi la penna di Victor
Hugo, vidi i libri. Tanti, tanti libri. Un ragazzo alto e magro mi
puntava contro un fucile. La desolazione dell'abbandono. Il sorriso di
un amico. Una cripta. Angoscia, perdita, rimorso, colpa.
Vidi un'angelo dal
dolce viso di ragazza, una ragazza morta nel 1919.
Vidi l'amore eterno
e sofferto.
Mi chiesi se anche
lui, mentre era lì a guardare un punto non ben definito
davanti a sé, stava vedendo ciò che i miei occhi
avevano visto: il suo viso intatto mentre mi soccorreva, sempre lo
stesso volto ma deturpato dal fuoco la notte del nostro primo
incontro... le persone della mia vita... Bea...
"Sei
Juliàn", risposi, "Juliàn Carax. Laìn
Coubert è solo un demone dell'odio".
Improvvisamente mi
accorsi che alla finestra iniziava a filtrare una luce azzurrina.
"E' già
l'alba?", chiesi sgomento. Non pensavo fosse passato così
tanto tempo... possibile che le immagini che avevo visto sulla vita di
Juliàn fossero state un sogno?
"Già. E'
tempo per me di andare, Daniel".
"Prendi almeno la
penna di Victor Hugo. E' tua. E, ti prego, ricomincia a scrivere".
Mi
lasciò la mano, che aveva tenuta stretta per tutta la notte,
e fece per alzarsi.
"Devo andare".
"Juliàn!".
"Sì?".
Gli riafferrai la
mano e alzai il busto a fatica, avvicinandomi a lui. Ricordo la strana
sensazione che mi pervase il corpo quando baciai quelle che un tempo
erano state le sue labbra, e che ora erano solo pelle dura, distrutta
dal fuoco.
"Ti prego, non
odiarti mai più così tanto", gli dissi a bassa
voce.
Quando gli sfiorai
la guancia con la punta di un dito, lui si ritrasse:
"Devo andare.
Addio, Daniel. Non ti dimenticherò".
Uscì
dalla stanza come vi era entrato qualche ora prima, mentre, portando
con sé la marea di sentimenti che mi agitavano, il sonno mi
rapiva.
Ok,
questa è la mia prima "slash" ed è la mia prima
su "L'ombra del Vento", che ho finito di leggere ieri. Inutile dire che
Juliàn e Daniel li adoro entrambi, e dopo aver letto la
scena di lui e Juliàn di notte in ospedale, ho pensato di,
diciamo, rivisitarla in questa chiave. L'ho scritta molto di getto, e
rileggendola la trovo un po', per l'appunto, "impusliva"... ma spero
che sia piaciuta, e ricordatevi che le recensioni sono sempre
graditissime!
Vostra
Soph :)
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