Traccia
16 - traccia e titolo di Naomi92/Nakaba
Titolo:
“Don't Live Me By Myself” Pairing: KakashiSasuke
Rating: Arancione Specifiche sulla trama: Una one shot
incentrata sulla KakashiSasuke. Sasuke è ritornato a Konoha,
ma dopo quello che è successo con Itachi, si sente depresso e
più volte tenta il suicidio (tagliandosi le vene, etc...).
Sembra che nessuno riesca ad aiutarlo, né Sakura con il suo
costante amore né Naruto con la sua perenne presenza. L'unico
che riesce a comprenderlo è Kakashi e, quando una sera si reca
a casa del ragazzo, lo conforta. A modo suo.
Titolo: come da
traccia n°16. Genere: introspettivo. Pairing: come da
traccia n°16. Rating: come da traccia n°16. Avvertimenti:
shonen ai, what if?, one shot. Disclaimers: i personaggi e i
luoghi non mi appartengono e non c'è lucro. Note: quel 'a
modo suo' giustifica il rating arancione con qualcosa di più
spinto, o almeno credo che chi ha posto le condizioni intendesse
questo, tuttavia vedo un possibile approccio approfondito un po' più
avanti nel tempo e dal momento che non sono ammesse le long
preferisco avere punti in meno ma lasciare alla storia i suoi tempi,
come credo un Kakashi vagamente ic lascerebbe a Sasuke. Il rating
è ugualmente arancione a mio avviso, perché ci sono due
tentati suicidi e gli argomenti trattati non sono esattamente
all'acqua di rose, quindi il giallo mi sembra troppo poco. Per il
resto credo che se c'è dell'ic sia davvero molto al limite e
falsato da alcune situazioni non troppo vicine ai possibili risvolti
dell'opera originale, per vedere i personaggi in questa situazione è
necessario secondo me staccare il naso dal manga ed immergersi nelle
circostanze di questa what if. Non rispecchia molto la traccia, ne
sono consapevole, ma non è stato facile scrivere di qualcosa
del genere, avendo passato un periodo di depressione a mia volta. Ho
cercato comunque di attenermi il più possibile e spero che
piaccia alla giudicia e che chi ha scritto la traccia si senta almeno
un po' soddisfatta - altrimenti però non la rimborso eh, u.ù
mi spiace. Questo sarebbe già un bel premio, sì.
Don't
leave me by myself di
slice
Non è il suo
respiro che fa differenza, lì. In quel luogo fa veramente
freddo, di quel gelo che ti entra dentro, quello che avverti con
tutti i sensi; privo di brividi, colmo di disagio. È quel
freddo che lo coglie anche tutte le notti, le sere, le mattine, i
pomeriggi, è quel freddo che non lo lascia mai, che lo
attanaglia e cerca di trascinarselo via, nel buio. È anche
buio, lì. Non si spiega come mai, ma da quando è
tornato, il sole non arriva a toccarlo, non lo sente addosso, non lo
sente nella sua vita. È buio, ma non quello che fa stringere
nelle spalle, bensì quel buio freddo che fa scappare. C'è
desolazione. Non c'è un angolo che non sia in evidente stato
d'abbandono, non c'è un muro che sia completamente in piedi,
non c'è niente di integro; né fuori né dentro di
lui. E non c'è nessuno in quel luogo. Quel posto è
lugubre di notte e spettrale di giorno. Non avverte speranza nei
giorni che si susseguono, non vi è pace fra i suoi sensi, non
vi è riposo, né luogo dove nascondersi dal mal di testa
e dal mal di stomaco. Il tramonto non è più la fine di
un ennesimo stupido giorno, è l'inizio di un'altra nottata
insonne. Le sue occhiaie parlano chiare, le sue nocche altrettanto.
Per questo ci pensa un secondo in più prima di sferrare un
altro pugno sul legno della finestra. Ci pensa sempre un altro
secondo, ma questo fa solo sì che i colpi avvengano ad
intervalli regolari. Niente di più. I suoi occhi neri sono
posati al di là della finestra, su quella strada polverosa che
si addentra nel silenzio morto di quei vicoli scuri. C'è solo
tristezza, là fuori; come vi è dentro. Dentro la casa e
dentro di lui. In tutto quello il suo respiro non fa molta
differenza, decisamente. Eppure non riesce ad ignorarlo, è
obbligato ad ascoltarlo e lo ode perfettamente perché non c'è
altro lì, a parte quello. Non c'è niente lì, a
parte lui. Niente, nemmeno il passato, tanto meno il futuro. Il
suo respiro è un affronto: lui è vivo, la sua famiglia
no. Lui vive, quel posto no. Il mondo fuori ha smesso di toccarlo,
non vede e non sente niente che lo trattenga
lì. Naruto. Sakura. Kakashi. Vivere per loro non
ha funzionato. È un genio, e lo sa fin da quando ha rimesso
piede a Konoha che glielo doveva; doveva provarci. Per loro. Ma
non ha funzionato. Non riesce più a sentire la musica del
mondo. Quando Tsunade ha detto che il rischio era cadere in
depressione non l'aveva degnata di uno sguardo, quando ha smesso di
sentirsi vivo invece, se non per una serie di funzioni che
involontariamente il suo corpo insiste a compiere, ha compreso cosa
volesse dire. Non ha cercato aiuto. All'inizio non lo voleva, poi non
se lo meritava, e alla fine è troppo tardi. Senza sapere che
quelli sono esattamente gli stadi di qualcosa che ti spinge
all'isolamento. Il demone volpe si è preso la maggior parte
della sua vista e della sua abilità. Ha stracciato
ulteriormente il suo orgoglio, portandosi via l'unica cosa per cui
avrebbe volentieri dato entrambe le doti strappategli: Naruto è
ancora in coma, a mesi da quello scontro. Sedato, attorniato da vari
oggetti che aiutano a contenere il demone. È orribile da
vedere. Quel tizio là, quello esagitato che urla sempre e che
non si arrende mai, è orribile vederlo in quel modo, con tubi
e aghi che entrano ed escono da tutte le parti. Lui lo ha visto una
volta sola, prima di uscire dall'ospedale, e se la farà
bastare. Ospedale in cui è stato praticamente recluso, per
poi finire in un'altra gabbia che ha odori e lamenti di casa sua. Il
quartiere Uchiha è ancora come lo aveva lasciato, è
ancora come se lo ricordava. Il primo giorno ha fatto la spesa ed
è tornato a casa all'imbrunire come quando era un genin fresco
d'accademia, proprio come prima di partire per Oto. Dopo non è
più uscito e, nonostante abbia il permesso di poche ore alla
settimana, per provvedere alle proprie necessità, non ne usa
nemmeno mezza. Rimane lì, ad attendere che Sakura bussi alla
porta con la spesa in mano, che faccia un po' di baccano e
chiacchiere vuote atte a distrarlo, e poi che se ne vada
sconsolata. Comunque non importa. Sakura non può essere
sempre lì, e quando c'è è una labile
distrazione, quando se ne va invece torna il niente. Quel niente che
prova anche in quel momento, mentre impugna la katana. L'ha
fissata per giorni, la sua katana. Per notti intere, quando fuori il
vento soffia e da dentro sembra che si lamenti, come un essere umano
straziato, quando in casa ci sono scricchiolii e sussurri, quando
Itachi gli parla nella sua testa, quando si rende conto che è
solo e che non ha niente da fare. In quei momenti fissa quella lama.
La liberazione. Scende le scale con calma perché non c'è
fretta, non c'è nessuno che glielo impedisca, nessuno che
possa biasimarlo. Non c'è nessuno, lì. C'è solo
il suo respiro, così vivo da disturbarlo profondamente: se lo
elimina tutto avrà senso. Tutto si sistemerà. Si
inginocchia, in salotto, regge l'arma con entrambe le mani ed
esercita forza da entrambi i lati tirandole in direzioni opposte. Il
fodero scorre rivelando la lama affilata, riflesso vivo portatore di
morte. Tuttavia quel riflesso è vivo per un momento, dopo è
un viso stanco, già morto, in sintonia con il resto. Ha una
vaga percezione di cosa appare da fuori, probabilmente sembra solo
lui, pensa, forse un po' più stanco, ma dentro non c'è
più niente se non disperazione che non riesce ad ingoiare, e
lacrime che, anche se non vuole versare, a volte lo
tradiscono. Dentro c'è Itachi che sorride e lui che lo
uccide. Dentro ci sono suo padre, Madara, Danzo e il Sandaime che
obbligano un bambino a sterminare la sua famiglia. Dentro c'è
sua madre che muore perché è nata nel posto sbagliato,
al momento sbagliato. Dentro c'è la sua infanzia, lontana e
lisa, sporcata dall'adolescenza, vicina e nitida. Sfila il fodero
del tutto e lo appoggia di lato, osservando la punta della
katana. Dentro di lui c'è la sua decisione di tagliare
legami, la sua decisione di rimanere solo in quello spicchio di luce
che la porta della vendetta gli lasciava intravedere, cosicché
adesso che la porta è chiusa lui è al buio, al freddo,
nella desolazione. E non ha nessuno. Torce il polso e la lama
preme sul suo stomaco, lievemente. Chiude gli occhi. Qualcosa
disturba i suoi sensi. C'è qualcuno lì, in quella
stanza. Adesso lo sente, si muove. Non apre gli occhi, sente solo
la katana allontanarsi, sfuggire alle sue dita. Sente gli occhi
inumidirsi e lo stomaco contrarsi, come un bambino, perché non
importa chi sia, lui non ce la fa più. È troppo. Non si
vive così, non è umano, non ce la fa. Non ce la fa
più. “Sai qual è stata la prima cosa che ho
pensato quando ho trovato mio padre morto per mano sua?” È
la voce di Kakashi, è vicina, bassa, gli si è seduta
davanti, quella voce. C'è silenzio per molto tempo, quello
che si ode però è un silenzio sopportabile, è
tutta la pazienza del Rokudaime e tutto l'amore del sensei. Sasuke
è un uomo ormai, un ninja, un ex nukenin di rango S, ma prima
di tutto è un essere umano. Il suo istinto di sopravvivenza lo
scuote e lo avverte, gli fa prendere coscienza del fatto che non si
vive se non si condivide; si rende conto che vuole compagnia, vuole
un dialogo con qualcuno che non sia morto per mano sua, vuole
prendere le cose come vengono e non pensare al futuro, vuole
rispondere semplicemente alla domanda postagli. “Non hai
potuto avere la tua vendetta,” dice. Ha la voce roca, non
parla da giorni, o forse settimane, gli occhi sono ancora chiusi, ché
tanto in quel buio non vede niente. Non è una domanda, è
solo una cosa che gli sembra scontata e si fa più attento,
istintivamente, quando pur non vedendolo sente Kakashi muovere la
testa in segno di diniego. “Non bastavo. Non ero sufficiente
per farlo rimanere qui, a combattere,” si ferma un momento,
registrando con una punta di fastidio il dondolio di Sasuke, calmo,
lieve e incessante, “Ero un bambino, non mi ero accorto di
niente, non sapevo di dover dire la verità ad alta voce. Oggi
lo so, oggi ne ho tante di verità da dire, permettimi di
fartele sentire prima di tutto questo,” lo dice in un sussurro,
pauroso della reazione o, al contrario, della totale assenza di
reazioni. C'è silenzio lì e quell'ex nukenin di rango S
sembra così fragile che fa aggrovigliare lo stomaco vederlo
così. Sasuke dondola ancora, con gli occhi chiusi e umidi,
apre la bocca e sospira. Un sospiro ampio, che gonfia i polmoni e
comunica ansia, un sospiro stanco, irrequieto, di qualcosa che vuole
uscire, ma non sa come farlo. “Non è stata colpa tua.
Io c'ero, l'ho visto, sono morti in fretta. E, in parte, condivido la
tua scelta di lasciare il villaggio: Konoha ci avrebbe messo molto
più tempo a prepararti per...” si blocca, appena nota
che il dondolio è cessato, poi riprende cauto quando vede che
il ragazzo non accenna a fare altro, “ti voglio bene, Sas'ke,
te ne vuole Sakura e te ne vuole Naruto, ma ti assicuro che nessuno
te ne vuole quanto te ne voglio io. Se te ne vai, una parte di me
verrà via con te.” Sasuke apre gli occhi, con una
lentezza disarmante che potrebbe sembrare calcolata se solo non
apparisse un gesto tanto faticoso, una lentezza che amplifica
l'immagine di stanchezza e malattia che il genio propone di sé,
da qualche mese ormai. Lo fissa. Lo fissa a lungo, in silenzio,
vagamente sorpreso ora che nella penombra del tardo pomeriggio, e
della sua vista malata, scopre che il sensei è senza
maschera. “Come fai a sapere quanto bene mi vogliono Sakura
e Naruto?” dice, ignorando volutamente la questione
maschera. Lo avrebbe chiesto con più rabbia se fosse stato
in condizioni normali perché se c'è qualcosa che sa,
che ha capito e che non si dimenticherà mai, è quanto
quei due scemi tengano a lui. Se c'è una cosa che non può
tollerare è che si prenda in giro o si sottovaluti quel legame
che solo grazie a quei due non è mai riuscito a recidere del
tutto. Ma la risposta lo lascia sorpreso ancora una volta. “Lo
so perché il mio è un altro tipo d'affetto, Sas'ke,”
dice Kakashi, calmo, “io non ti voglio solo bene, io ti
amo.” Il genio spalanca gli occhi e la testa compie un gesto
repentino, nervoso, mal controllato. C'è silenzio, ci sono
gli occhi di Sasuke spalancati, c'è lo stupore e la calma e
l'aria fresca di fine estate: c'è vita lì dentro ed era
quello che Kakashi voleva prima di ogni altra cosa. “Non
voglio niente da te, non ti sto chiedendo niente tranne... Vivi,
Sas'ke. Ti prego.”
Il sole si muove,
lui non lo avverte ancora, ma sempre più spesso c'è
qualcosa che vibra lì, intorno a lui. Kakashi fa
rumore. Sasuke sospetta che lo faccia apposta, ed è
incredibilmente e illogicamente grato di questa premura. Non è
Naruto, ma riesce a fare abbastanza rumore per distogliere i suoi
pensieri, almeno per un po', da tutto quel niente che gli pesa sullo
stomaco e sulle spalle, che gli schiaccia la testa e lo rende
apatico, insofferente. Non si dicono molto, in verità
raramente si parlano, si girano intorno come se fossero l'unico cane
e l'unico gatto ancora in vita. Il gatto è infastidito e
diffida, mugolando con il pelo arruffato, ma la presenza del cane lo
rassicura, gli è vitale, in realtà; il cane ha una
pazienza secolare, da Goshinboku, e si fa avanti a piccoli passi
attendendo che il gatto smetta di avvertirlo come un fastidio, senza
sapere che è molto più ben accetto di quanto crede. È
bello stare in cucina con Kakashi comunque, quando fa rumore con le
pentole, quando c'è odore di cibo. È ancora più
bello quando c'è Sakura che ciarla, anche se lo fa per
riempire gli spazzi vuoti e un po' lo rende triste perché
quello era ciò che faceva la testa quadra. In fondo però
la ascolta volentieri perché lei parla di cose vere, di
persone vere, e fa parlare Kakashi la cui voce inizia presto ad
essere indispensabile per Sasuke. È bello quando preparano
pietanze varie a base di pomodoro e Sasuke li guarda, attento. Li
guarda parlare, ridere, rivolgersi a lui senza aspettare risposta,
schizzarsi d'acqua, mentre preparano tutti quei pomodori e la sua
attenzione si acuisce quando uno di quegli ortaggi cade per terra; si
innervosisce quasi, ché gli maltrattano la cena. Sakura
comunque è bene accetta finché non parla di Naruto,
perché quello è ancora un tasto dolente che Sasuke si
rifiuta di affrontare. Non ci sono notizie positive e quindi non
c'è niente da dire, brontola, sulla difensiva, quelle
poche volte che l'argomento viene casualmente tirato fuori. Sakura
di incupisce e borbotta che dovrebbe andare a trovarlo, ma quando
Sasuke le dà le spalle si affretta a dire che ha ragione e che
non c'è niente da temere perché se c'è qualcuno
tenace al mondo quello è Naruto. Kakashi la aiuta ad uscirne:
sorride, socchiudendo l'occhio scoperto, e cambia argomento. Torna
tutto in fretta al suo posto, poi. Perché Sasuke non ha la
forza di tenere il punto e nemmeno di arrabbiarsi. Inoltre non gli
riesce affatto facile, arrabbiarsi con Sakura. Lei ha i capelli rosa,
così chiari e profumati che lì sono una piacevole
variazione. Ha gli occhi verdi, chiari anche quelli, così
chiari che è difficile paragonarli all'erba o alle foglie,
perché lui le vede talmente buie adesso da fargli venire la
nausea. Il verde degli occhi di Sakura brilla e lui lo scorge, anche
con quegli occhi malati, anche con tutto quel buio e quel freddo
intorno, lui li vede e li segue perché nonostante la
stanchezza, le occhiaie e quel posto, il suo istinto di sopravvivenza
è forte. La guarda negli occhi quando parla, la guarda negli
occhi ogni volta che non è strano che lo faccia, coglie ogni
occasione per guardarle quel verde brillante, quel rosa tanto
invadente quanto luminoso e caldo. Lei non è più una
bambina, Sasuke se ne è accorto perché non corre più
dietro a qualcosa di lontano da lei, a qualcosa che anche con tutto
l'impegno possibile non avrebbe potuto renderla felice come si
merita. Se ne è accorto solo perché fuori, quando esce,
a volte c'è quel Sai ad aspettarla, non perché abbia
notato qualcos'altro. Se ne è accorto perché alcune
volte la intravede dalla finestra affrettare il passo nell'ultimo
tratto e saltare al collo del ninja d'élite. Non perché
abbia sviluppato maggiore empatia o la sua indifferenza si sia
affievolita, solo perché è evidente ed è
altrettanto evidente che lui non ne soffre. Va bene così.
Non è mai appartenuto a Sakura ed è giusto che lei
abbia accanto qualcuno che può essere contagiato a pieno da
quegli occhi verdi.
Il sole si è
svegliato. Naruto ha smesso di ronfare e ha deciso che loro, poveri
mortali, possono tornare ad essere graziati della sua presenza, e
Sasuke è intenzionato a fargli pesare tutto questo per molto
tempo. Quella casa prima era immensa, da perdercisi, ora sembra
che non ci sia spazio sufficiente, che non si possa svoltare un
angolo senza inciampare in qualcuno. Ma non è così, è
solo che Naruto ha sempre tre cloni che gironzolano, per mettere in
ordine, dice, ma Sasuke non è scemo e sa che si preoccupa
perché lo sente piangere la notte e a volte lo ascolta parlare
con qualcuno che non c'è più. Quando si trova un
clone biondo e invadente davanti, il genio lo defenestra o gli spezza
l'osso del collo o sbuffa e gli fa lo sgambetto, perché lui
sarà anche cieco e depresso ma quel cretino non riesce a stare
in piedi da solo. Nelle giornate in cui si sente particolarmente
attivo e ancora capace di odiare il mondo è possibile vederlo
scagliargli addosso un Raikiri, chiedendo poi in un borbottio torvo
dove diamine sia l'originale. Naruto è quasi più
irritante di quel sorriso plastico del coglione anemico, come
ha recentemente soprannominato Sai. Quel tipo lo rendeva irrequieto e
ansioso i primi tempi, ora non lo sopporta esattamente come non lo
sopportava prima, ma almeno riesce a non farsi avere un attacco
d'ansia. Non era paura, solo che quella pelle innaturalmente bianca e
quei sorrisi falsi miscelavano un duo che non avrebbe più
voluto vedere. E, anche se ad una più attenta analisi i
soggetti in questione sono lontani anni luce da quel ninja, quando si
parla con il cugino morto chiedendogli come sta il fratello,
altrettanto morto, è abbastanza chiaro che l'equilibrio è
ancora molto precario. Fin troppo per cercare di smontare paure
irrazionali. Effettivamente adesso lo digerisce meglio, quel tipo.
Fa felice Sakura averlo intorno e alla fine non è questo
grande sforzo da parte sua perché quello sta zitto e lui può
fare beatamente altrettanto. È una cosa che funziona, in
effetti. Poi anche volendo è difficile conversare con
Naruto intorno: quello fa un sacco di rumore. Fa più rumore
di Kakashi, indubbiamente. Ne fa più di Kakashi e Sakura messi
insieme. Quando il vento soffia non sente lamenti straziati,
quando il buio si fa denso non riesce a perdercisi dentro, quando
guarda fuori non riesce a sentire a pieno tutta quella desolazione:
Naruto fa troppo rumore. Ne fa troppo anche per lasciargli
intravedere Itachi, sanguinante, che sorride. Ne fa troppo anche per
sentire quello che dice sua madre, con quella voce soave, in quella
parte della sua mente che se la ricorda ancora. È una cosa
positiva avere la testa piena di qualcosa che non sono ricordi di
un'infanzia perduta per sempre che inneggiano ad un'apatia
commemorativa, o di un'adolescenza dalle tinte troppo forti per
essere quel periodo delicato nella vita di un essere umano dove da
bambino si diventa adulto. Passaggio che i ninja anticipano, in
genere, o saltano, passando direttamente alla lapide dei caduti. Il
sole scalda, lo sente se si concentra, le foglie sono un po' più
verdi, il nulla di quel posto invece lo avverte ancora, lo tocca
ancora, nel profondo, dove è completamente solo, dove entra la
notte e ne esce distrutto al mattino. La sera e la mattina infatti
sono i due momenti che più detesta. Sono i momenti di panico,
in cui c'è lui e basta. Lui e il silenzio. Ancora. Tutti
tornano alle loro abitazioni alla sera. Tutti lo lasciano solo, la
sera. Naruto dopo aver parlato con Kakashi non lascia mai del
tutto la sua casa: c'è sempre un clone da qualche parte.
Nascosto, perché altrimenti Sasuke lo taglia a fettine
sottili; molto sottili. È un despota, ma le sue azioni non
rispecchiano il suo volere; la maggior parte delle volte mastica
imprecazioni salendo le scale perché sa dov'è quel
maledetto clone e gli tocca far finta di niente perché quel
coso arancione rischiara quel nulla buio e freddo, e la mattina
presto quando si sveglia, talmente presto che fuori non c'è
ancora luce, fa meno paura quella casa, quel posto. Il cuore decelera
più in fretta, dopo quel brutto viaggio che è costretto
a compiere tutte le volte che chiude gli occhi, quando sa che al
piano di sotto, o nella stanza accanto o al di là della porta,
c'è quell'imbecille biondo. Poi arriva l'originale e si
riconosce perché urla come un pazzo cose che a lui non fregano
molto, ma che contribuiscono a rompere quell'amarezza nera che gli
sale in petto la maggior parte delle volte che si trova in posizione
orizzontale. Dopo arriva Kakashi, insieme si mettono a fare
baccano per tutta la casa partendo dalla cucina, perché sia
mai che la gente si faccia la colazione a casa propria. Certo che
no. Adesso ha gli sportelli pieni, ha tre tipi di cereali, un
sacco di latte e di succhi di frutta, diversi tipi di spaghetti, di
riso e di salse, ha un sacco di bacchette e bicchieri e ciotole; ci sono
sempre cose nuove in giro e, quelle che non mettono a posto loro, lui
non le tocca perché fanno disordine in quell'ordine cupo che è
l'assenza di vita di quella casa troppo grande. Esageratamente
grande, specialmente la sera e la mattina, specialmente la notte.
Quei tre idioti più
il coglione anemico, che non è parte di loro bensì
è la maggiorazione di un numero perfetto, un numero che
funziona anche senza di lui, hanno anche le missioni da compiere e i
loro impegni da rispettare. Kakashi Rokudaime dà veramente
fastidio perché ce lo ha spesso tra i piedi e non c'è
niente che non possa fare: se Naruto lo chiede può saltare le
missioni e rimanere in quella casa per settimane. Tra i suoi piedi,
con i dieci cloni che sparpaglia in giro e con tutta la sua
aranciosità. A Sasuke non dispiace, in effetti, ma quel
cretino dà davvero sui nervi e lui glielo comunica con tutto
il suo essere. La sera è ancora il momento peggiore e lui
sta seduto in salotto a leggere, cercando di ignorare tutto ciò
che esula dalle parole stampate sulla carta. Naruto attizza il camino
di cottura, pochi metri più in là, al centro della
stanza. Sasuke lo sa che ogni tanto volta la testa, lo osserva per un
momento e poi torna ad occuparsi di quello che sta facendo. È
irritante come il suo solito, ma conserva qualcosa di quasi, uh,
tenero nel preoccuparsi con così tanta attenzione delle sue
condizioni. Tenero e imbarazzante come solo quel termine sa
essere. Sasuke sbuffa, chiudendo il libro e alzando la testa di
scatto. “Non hai altro da fare, testa quadra?” Naruto
si volta ad osservarlo con le sopracciglia arcuate verso l'alto,
nella sua classica espressione da pollo lesso. Poi sospira,
passandosi una mano sulla guancia più vicina al calore del
focolare. “Che palle, teme...” brontola,
accigliandosi, “No, ok? No!” dice, prima di tornare a
seguire il bracere a legna. La risposta è stata prevedibile
e Sasuke era già tornato al suo libro ancora prima che l'altro
finisse di parlare, però quello che succede dopo ha
dell'incoerenza unica, degna di Uzumaki, che lo lascia sempre un po'
confuso. Il clone sparisce in una nuvola di fumo e l'attizzatoio
cade sul legno del tatami con un tintinnio sordo. Rimane fermo per
qualche secondo ad osservare il punto in cui era il cretino, senza
muovere ciglio, come se quello potesse ricomparire da un momento
all'altro. Mentre pensa distrattamente alle spiegazioni più
plausibili che, dal momento che Naruto e Sakura sono in missione,
variano da una possibile imboscata ad un probabile errore di calcolo
del ninja più imprevedibilmente goffo del villaggio della
Foglia, ode altri rumori simili nella casa e un altro sbuffo, uguale
al precedente, si intravede in cucina. Tutti i cloni stanno svanendo.
Ed è osservando la cucina spoglia, ornata solo della flebile
luce che arriva dal fuoco in salotto, che avviene il risveglio. La
testa si snebbia della tranquillità imbastita dal libro e dal
compagno, da un'abitudine serena che si appoggia con lui di spalle
alla gabbia delle sue paure aiutandolo a tenerla chiusa. Prende
coscienza di qualcosa a cui riesce a non pensare per molto con la
presenza di quelle persone invadenti e tenaci che gli vogliono
indubbiamente bene: adesso è completamente solo. Di notte. In
quella casa. E la gabbia si spalanca.
Kakashi sta parlando
con Naruto. Da quando lo ha nominato suo assistente, come primo
passo verso la carica di Kage che tanto agogna, anche se in tutta
serenità se lo aspettava, se lo trova ovunque, e decisamente
quel suo allievo non è sempre sopportabile. Sospira mentre
appoggia la guancia sul palmo aperto, ascoltando tutto il fiume di
idee sensatamente incoerente che l'altro rovescia sul tavolo, come se
fosse una scatola di pezzi di puzzle che tanto il Rokudaime è
tenuto a ricomporre, e nel frattempo cerca pure di trovare un modo
per conciliare le brillanti idee della nuova generazione con quelle
dei nuovi consiglieri; per quanto Shikaku simpatizzi per lui e per il
jinchuuriki non significa che amerebbe vedersi sommerso da idee
rivoluzionarie come quelle. Tutte buone idee indubbiamente, sensate e
dettagliate, ma di un'audacia che le rende attuabili nell'arco di
dieci anni. Tutto si risolve nella sua mente quando con uno sbuffo
conosciuto il silenzio torna a regnare in casa sua. Tutto si risolve
per un momento, un istante di rassicurante nulla in cui le sinapsi
dell'Hokage, che è sfuggito a Shizune per l'intera giornata
solo per trovarsi il kohai sulle scale di casa, si rilassano
clamorosamente. Poi, l'attimo dopo, sono indecentemente forzate ad
un ritmo serrato, rispetto a quello precedente.
La gabbia si
spalanca, sbalzandolo nel mezzo di quel posto morto con il suo
respiro e il suo cuore, così vivi, nelle orecchie. Quel
poco che ha capito di quella malattia - ha deciso che lo è dal
momento che lo debilita come fa la febbre - è che il confine è
la compagnia. Quando quella viene a mancare non c'è niente che
contenga la depressione, filtra come la sabbia faceva tra le dita,
quando era in missione per conto di Orochimaru al confine con il
Paese del Vento. Si insinua dentro con maestria perché è
come un luogo e una volta che si conosce si sa come tornarci. Ha
capito che quella malattia ormai sa farsi strada nella sua testa,
anche senza il suo permesso, e non c'è niente dentro di lui
che possa contrastarla. Non può, non da solo. Più la
teme, più è facile che ci ricada; si è reso
conto che respingerla significa soltanto pensarci su: non la
dimentica mai realmente. È sempre lì, in agguato.
Quando è solo gli balza addosso. E in quel momento, al buio,
in quella casa, è un macabro invito. Si alza,
meccanicamente e si fa più vicino al fuoco, ravvivandolo con
l'attizzatoio. Quando la fiamma è viva, la luce e il calore lo
avvolgono, fa per posare l'attrezzo sul tatami, ma l'oggetto scivola
dalle sue dita tremanti e finisce sul pavimento con un tonfo. Non
è lo stesso suono, ma nella sua mente se ne sovrappone un
altro. È quello che lo perseguita da quando ha smesso di
pensare come un nukenin, da quando si è fermato a fare il
punto della situazione, della sua vita, e non ha potuto evitare di
guardare indietro. Da quando quella casa sembra risucchiare tutta la
sua energia positiva. Da quando è tornato. È il
suono della testa di Itachi che sbatte contro il muro prima che il
suo corpo senza vita cada in terra, ai piedi del simbolo del clan
Uchiha. Scuote la testa e si rifiuta di guardarsi intorno. Se lo
fa, vedrà qualcuno che non può esserci, che non può
più essere preso in tempo, prima che la sua testa cozzi con
quel muro e quello stupido simbolo che li ha condannati e uccisi
tutti quanti. Prima che il clan manchi di rispetto a suo fratello
ancora una volta. All'inizio non vi ha fatto troppo caso, sicuro
di aver risolto tutti i suoi problemi, non si era neanche accorto di
avere alle spalle proprio quell'odioso ventaglio. Dopo invece non
lo ha più lasciato, quel suono lo tormenta. Non è solo
il ricordo, lo sente spesso, è un bambino potente con le
occhiaie, le lacrime di sangue e gli occhi nerissimi, che lo ha
protetto e amato fino all'ultimo respiro. E lui lo ha lasciato
cadere. Lo ha lasciato schiantarsi indecorosamente contro la pietra.
È così indelicato, così ingiusto, che Sasuke si
piega in avanti e preme una mano sullo stomaco per non vomitare,
strizzando gli occhi per l'improvviso dolore. Quando li riapre si
concentra sul pavimento seguendo la rifinitura fino ad un angolo
della stanza: sotto l'ultimo tatami a sinistra ci sono dei
kunai. Itachi è morto sorridendogli, è morto dopo
averlo liberato dalla maledizione di Orochimaru, è morto dopo
averlo colpito in fronte un'ultima volta, e dopo ha sbattuto su quel
muro, producendo quel maledetto suono. Come se tutta la sua
intelligenza e tenacia fossero state insignificanti, come se tutto il
suo amore non fosse valso lo sforzo di suo fratello. Quel muro e
quel ventaglio ridevano di lui, di loro. Ridevano di quel suono
orribile. Il tempo di afferrare una di quelle lame e portarsela al
polso, senza aspettare, senza cerimonie, e dei rumori familiari gli
invadono il cuore, facendoglielo pulsare fastidiosamente in gola. Si
prende la testa tra le mani, ascoltando i passi di piedi piccoli, di
una divisa da ANBU, ascoltando Itachi chiamarlo per nome. Una voce
lontana, quella di suo fratello da bambino. Quando lo immagina,
Itachi ha tredici anni. Ne è certo perché è
vestito da ANBU, o con la tuta da allenamento, e ha quelle profonde
occhiaie che contraddistinguevano già l'ultimo periodo, prima
del massacro. Ne è certo perché legge stanchezza in
quegli occhi, ci legge un devastante e profondo turbamento. E fa
davvero male. La notte non riesce a sostenere quel dolore e si
sveglia piangendo, pregando suo fratello di perdonarlo. Nei sogni
che fa è bambino anche lui, inciampa e Itachi lo prende prima
che tocchi terra, lui invece lo lascia cadere, rimane fermo, in
piedi, appoggiato a quel simbolo, ad ascoltare quel bambino spogliato
di onore e futuro che sbatte la testa contro il clan anche dopo la
morte. Non lo immagina mai già grande, forse il suo
inconscio si rifiuta di avere a che fare con Itachi adulto. Itachi
che muore. Itachi che cade. E quel suono non lo lascia
mai. “Sas'ke.” La mano che si posa sulla sua spalla
non è di suo fratello: è più grande di quella
dei sogni ed è più grande anche di quella dei pochi
ultimi ricordi che ha di lui. Ha dei guanti a mezze dita e, poco
sopra, le maniche sono accorciate con dei risvolti. Kakashi. È
contento di vederlo, di averlo lì. Nella confusione si rende
conto che ha bisogno di espellere tutto quello che lo opprime, di
spingerlo lontano dalla sua mente. Trema e afferra la sua mano,
spalancando gli occhi neri. “Non l'ho preso,” dice,
con il panico nella voce, “non gli ho risparmiato nemmeno
quello...” continua, incoerente, stringendo la stoffa delle
maniche della divisa del jounin. Kakashi avverte il cuore
stringersi. Lo ha sentito borbottare quando è entrato, lo ha
chiamato ma il ragazzo non ha dato cenno di essersi accorto di
niente. Lo ha sentito chiedere scusa a Itachi come se lui fosse lì,
in quella stanza. Senza poterselo impedire ha poggiato una mano sulla
sua spalla per riportarlo alla realtà, e quella non era la
reazione che si sarebbe aspettato. Sasuke continua a tremare, lo
guarda fisso nell'occhio e continua a ripetere qualcosa senza
un'intonazione precisa, solo per ribadirlo. “L'ho lasciato
cadere. L'ho lasciato cadere. L'ho lasciato cadere...” di
seguito, incessantemente, senza tregua; come il suo dolore. Il
jounin allontana il kunai, dimenticato ai loro piedi, con una mano,
prima di dedicarsi al ragazzo. “Sas'ke, vieni,” dice,
tirandolo su, portandolo in posizione eretta, “Appoggiati a
me,” concede anche se non si aspetta che lui lo faccia. Ed è
per questo che quando invece l'ex nukenin si abbandona sulla sua
spalla, interrompendo la cantilena, riesce a sentirsi utile, padrone
della situazione. Lo aiuta a salire le scale, a raggiungere la
camera, a sdraiarsi sul futon. Osserva la sua mano trattenere la
stoffa della sua manica e si abbassa per cercare di
toglierla. “Rimani qui.” La sua voce è
tornata calma, non saprebbe dire quanto di preciso lo sia lui, ma
almeno la voce non vibra colma di panico come pochi istanti prima. La
sua è una richiesta piuttosto bizzarra, che conoscendo il vero
Sasuke sembrerebbe insolita oltre ogni dire, ma che in quel momento è
come se fosse una naturale conseguenza. Kakashi avverte il suo
bisogno, la necessità che Sasuke ha di avere vicino,
fisicamente, qualcuno. Si sdraia sul futon, accanto a lui, allora.
Senza fiatare. Supino. Con gli occhi aperti nel buio, mentre Sasuke
si volta su un fianco e appoggia la fronte alla sua spalla. Come un
bambino solo e stanco che vuole soltanto dormire, e riposare sul
serio.
La prima notte
Sasuke si sveglia piangendo e Kakashi è lì a spostargli
i capelli sudati dal viso. Lui sospira, si volta e si addormenta di
nuovo. La seconda notte non riesce a prendere sonno. Kakashi è
sempre lì però, è caldo e ha un respiro calmo su
cui ci si può concentrare facilmente. Si sveglia ogni
mezz'ora, ma quel respiro è ancora lì e riprende sonno
ogni volta. La terza notte Kakashi lo sveglia. Sasuke si sente
portato alla realtà da alcune carezze sul viso. Quando apre
gli occhi non è contrariato, ma si sente molto confuso,
agitato e anche in apprensione: si scopre a chiedersi se qualcosa non
turbi l'uomo. Poi si tocca il petto per via di un fastidio che sente
all'altezza del cuore e si rende conto solo in quel momento della
tachicardia che lo ha colto. I sogni agitati riprendono altre volte,
ma quando è troppo ci sono le mani di Kakashi che lo
destano. La quarta notte Sasuke ha un fastidio in gola, qualcosa
preme per uscire, vuole parlare e dire cosa non va, ma nessuno glielo
ha mai insegnato. Rimane allora inquieto, sveglio. E Kakashi prende
l'iniziativa. “Mio padre mi ha cresciuto, mi ha amato, mi ha
dato tutto e mi ha insegnato il necessario per diventare quello che
ero, quello che sono. Ma non mi sono accorto di cosa accadeva e così
sono stato complice della depressione, perché senza sapere
bene cosa fosse avvertivo del disagio in lui e mi allontanavo sempre
più...” dice con fatica, come se pur essendo cose
lontane fossero ancora troppo vicine, “Ero solo un bambino,
vestito da chuunin, e l'ho lasciato solo,” continua, con gli
occhi al soffitto e le orecchie tese di Sasuke a pochi centimetri
dalle sue, “Vedi? Anch'io l'ho lasciato cadere,” sospira
con amarezza. Sasuke si volta ad osservare il suo profilo. Rimane
così un sacco di tempo, ad osservare quella maschera. Una
maschera per nascondersi, per nascondere suo padre che vive in quei
lineamenti, per nascondere la sua vergogna, la sua inettitudine. “Ho
deluso Itachi.” Kakashi ha un piccolo spasmo nell'udire la
sua voce, così chiara, in quel silenzio. Dopo qualche minuto
pensava quasi che si fosse appisolato e invece quella voce è
forte, decisa. Sasuke si impone di parlare di qualcosa che lo
ferisce, che come un uncino fa meno male spingerlo in fondo e
lasciarlo dov'è piuttosto che estrarlo. “Tutte le
volte che penso ai miei propositi su Konoha, alle vite che ho preso,
agli ideali che ho calpestato, sento quel suono...” Kakashi
non sa che suono sia, ma si accontenta del quadro che il ragazzo gli
fornisce e lo lascia proseguire, senza intervenire. Sasuke si
volta nuovamente verso di lui, però. Il jounin si sente
osservato, avverte gli occhi dell'altro sulla maschera. Forse vuole
che interagisca, ma lui non si volta, chiude gli occhi e lo lascia
parlare. “Ho tradito Itachi. L'ho lasciato cadere e quel
suono è la mia punizione.” Adesso c'è una nota
di desolazione e rassegnazione che punge, nella voce di
Sasuke. Quello a cui si riferisce è qualcosa di reale, di
fisico, non si tratta solo di una caduta metaforica bensì di
una cosa successa, un'immagine vera che lui deve aver preso per
allegorica, che lui ha elaborato come punizione. Kakashi capisce per
la prima volta il peso che le rivelazioni di Madara hanno avuto sul
bambino di otto anni che è ancora là dentro, dentro
Sasuke. Capisce che cosa lo tiene ancorato a quel luogo e a suo
fratello, capisce quello che pensa di dover dare indietro. “Tu
sei qui, Sas'ke.” Lo dice interrompendo un'altra frase, se
ne frega e va avanti. Tacere gli è ormai impossibile. “Ma
questo era esattamente quello che Itachi voleva, è per questo
che lui si è battuto, è per questo che è morto.
Se ti uccidi, se non vivi sereno, questo vorrà dire lasciar
cadere Itachi, tutto il resto è qualcosa di fisico che poteva
non accadere ma che non cambia il presente. Tu non sei andato contro
Konoha, non importa quello che hai pensato di fare prima, contano le
tue azioni.” Adesso è lui a voltarsi e a cercare
quegli occhi neri, stanchi. “Hai salvato Naruto dal demone
volpe, e se c'è qualcuno che rappresenta Konoha, i suoi ideali
e il suo spirito, quello è proprio Naruto. Tu sei qui, a casa
tua, e hai contribuito a portare la pace in cui stiamo vivendo,”
sospira, passandosi una mano sul volto, togliendosi la maschera,
“Itachi è caduto perché è morto e tu sei
stato una sua pedina fino a quel momento. Ma non l'hai tradito, hai
realizzato il suo sogno. Questo è quello che conta.” Sasuke
però non risponde, rimane fermo, steso supino, con gli occhi
sgranati nel buio. Kakashi dopo poco si sdraia nuovamente, deciso a
dargli i suoi spazi, i suoi tempi.
La quinta notte
Sasuke dorme. Dorme senza agitarsi, senza sognare né suo
fratello né nessun altro della sua famiglia. Dorme tutta la
notte e parte della mattina, fino a quando il sole non si fa alto. Si
sveglia piano, con gli occhi asciutti e la testa leggera. Nel petto
ha un vuoto che sul momento non sa identificare, ma che con il
passare delle ore definirà positivo. Un vuoto che dà
pace, che gli fa emettere uno sbuffo divertito, che sa di assenza di
peso, assenza di qualcosa di negativo. Quel vuoto è spazio
libero, per sé, come un foglio bianco in cui il proprio
destino non è stato scritto da nessuno e nel quale lui può
anche non scriverci niente di preciso fino all'ultimo momento, se
vuole. Kakashi dorme lì vicino, con un braccio piegato
sotto la testa, Sasuke lo osserva per un po' poi gli abbassa la
maschera e lo bacia. Lieve, a fior di labbra. Ci appoggia le sue
sopra, senza sapere bene cosa fare e, quando sente il bacio tornargli
indietro non si imbarazza, non gli dispiace, non si scandalizza.
Pensa solo che lo ha svegliato e che, quello sì, gli dispiace;
non voleva. Poi le sue labbra si stirano in un leggero sorriso:
basta con i rimorsi.
Owari
ATTENZIONE: scusate, ci tengo a precisare che, nella mia assurdità, a volte mi succede di scrivere qualcosa ed essere indecisa se postarla o meno, perché non so se sia frutto di un mio pensiero o piuttosto di averla letta da qualche parte. In questo caso ho scoperto - con sommo fastidio, perché oltretutto era proprio indirizzato a lei - che l'idea di elencare i giorni che ho utilizzato per l'ultimo paragrafo è di suni; precisamente, dopo aver rovistato nella sua libreria, è in 'Uno dopo l'altro'.
Ho corso dietro al pensiero di cambiare approccio al concetto senza modificarlo, per settimane, invano, e poi mi sono detta che modificare il pezzo radicalmente avrebbe alterato la storia e, trattandosi di una ff che ha partecipato ad un contest, non mi pareva il caso. Pertanto lascio ormai com'è e chiedo scusa pubblicamente a suni, ringraziando voi dell'attenzione.
Voglio ringraziare
così tante persone che penso ne citerò giusto un paio.
Non serve riempire la pagina di nick, dopotutto, nel senso che chi
deve saperlo lo sa. Per fortuna, direi. u.u Ci sono tipe toste
però, come Urd, che non posso non citare: lei è stata
La beta per me, quella che mi ha insegnato tutto quello che so e che,
prima di incontrarla, non immaginavo neanche potesse esistere. Poi ci
sono state un'altra serie di tipe toste e serie e colte e ricche,
davvero molto ricche dentro, che mi hanno messo a mio agio e quindi
nelle condizioni di imparare serenamente quello che ancora non
sapevo, senza additarmi come l'ignorante che sono.
Un'altra che debbo
citare assolutamente è suni che, nonostante non mi abbia fatto
da beta, se non per sporadici favori, quando serviva mi ha spintonato
nella giusta direzione. Il suo compleanno è il 28 di
Dicembre e come di consueto io sono nettamente in ritardo. -.-' Però!
Però! Però è vero anche che lei ha dei gusti...
Ksdhdig! Dei gusti, ecco, e quindi non sempre mi è facile
accontentarla. Mi ucciderà infatti - o, beh, probabilmente -
perché anche se effettivamente è solo accennata la
storia è comunque una Kakashi Sasuke: non so quanto possa
rientrare nelle sue grazie una cosa del genere. Bene. Mi accingo al
patibolo. ^^ Con affetto e un giusto (?) ritardo: auguri suni!
Mi dispiace di non
citarne altre, ma davvero rischierei di lasciare indietro nomi che
invece devono brillare e quindi mi astengo completamente. Come ho già
detto chi deve sapere già sa! XD
Giudizio:
I CLASSIFICATA
pari merito con wari
“Don’t leave me by
myself” di slice, titolo e traccia di Naomi92
Questa
fanfic è bellissima. Al di là del contest, della
traccia, dei giudizi: è bellissima. Davvero, ho bisogno di
dirtelo perché mi ha colpita moltissimo. Per prima cosa,
c’è da dire che la traccia che avevi non era semplice da
utilizzare: il pensiero di Sasuke che vive in depressione e medita il
suicidio, rischiava di farti scrivere qualcosa di indigeribile.
Invece, hai saputo trattare il suo disagio con grande maestria, con
profonda e toccante sensibilità. L’inizio cattura
immediatamente, lo stomaco si contorce per la solitudine così
solida, il senso di buio e freddo che prova il protagonista. E c’è
quell’insolito ‘Io ti amo’ di Kakashi che suona
come una dichiarazione vuota alle orecchie di Sasuke. Almeno, questo
è quello che ho percepito io. Perché quando si è
depressi il mondo è pronto a dispiacersi, a mettersi in fila
per fare qualcosa, ma solo a parole. Kakashi lo dice, e ci crede, è
sincero, ma Sasuke non può saperlo se non quando lo vede nei
gesti della fine. Kakashi non lascia solo il suo allievo, mai.
Gli sta vicino, concretamente. Poi è bella la scelta
dell’ambientazione, casa Uchiha che distrugge tutto con la sua
desolazione. Eppure ci sono Naruto e Sakura (descritti in modo divino
attraverso gli occhi – malati – di Sasuke), c’è
Kakashi, e persino il ‘coglione anemico’. Riempiono
davvero lo spazio dell’angoscia, trasformandolo per un po’
in qualcosa di meno opprimente. E’ bello questo tuo modo di
vedere gli amici in questa situazione. E’ confortante e atroce
al contempo. Perché senza di loro la disperazione torna. Quel
maledetto suono… Non lo so, per adesso non ho mai letto
fanfic con un Sasuke di ritorno a Konoha, così ben delineato
nella propria angoscia. Al di là del fatto che potrebbe
risultare OOC, c’è da dire che la situazione è
quella. Difficilmente riesco a immaginarlo comportarsi in modo
diverso, pensando al contesto in cui lo hai inserito. Insomma,
hai descritto tutto in modo preciso e anche fedele allo stile di
Kishimoto: i personaggi, l’ambientazione e i loro sentimenti.
Hai inserito l’ironia per alleggerire la storia laddove potesse
risultare troppo pesante; hai dato il giusto spazio a Sasuke,
soffermandoti con particolare interesse su come ha vissuto lui tutto
quello che è passato - letteralmente - addosso alla sua
famiglia; sei riuscita a farmi amare profondamente il protagonista e
a farmelo capire un po’ di più attraverso la tua
interpretazione. Mi dispiace solamente per il limite di pagine,
perché era tanto bella che l’avrei continuata
volentieri! E sì, è un pugno nello stomaco, parla
di una tristezza purtroppo vivida e di un problema che esiste
veramente, ma è bella proprio per questo. Mi sono immedesimata
molto. Poi, hai disseminato la storia di tanti piccoli particolari,
nessuna frase è messa lì per caso, ma ha un suo
significato e/o riferimento preciso. Come ad esempio il modo di
vedere le cose di Sasuke che è cambiato anche a causa del suo
sharingan, i colori che sembrano spenti (ma gli occhi di Sakura no),
il simbolo del clan Uchiha che pesa e colpisce, non solo le sue
spalle ma tutto il suo animo. Agghiaccianti i riferimenti alle voci
che Sasuke ha in testa (quella della madre, quella di Itachi) e le
immagini scolpite nella sua mente o il modo in cui ricorda il
fratello (non riuscendo a vederlo adulto). Poi è bello il
modo ‘leggero’ con cui Kakashi entra nella disperazione
dell’allievo e lo ‘aiuta’ a uscirne. Usa il ‘suo
modo’, quello concreto della vicinanza e dell’amore.
Anche il finale così sospeso è bello, perché un
bacio a volte è così intenso che basterebbe solo
quello… Ma noi sappiamo che c’è dell’altro,
perché ce l’hai messo tu. Davvero, è un
ottimo lavoro e vorrei soffermarmi seriamente su ogni paragrafo per
dirti cosa ne ho apprezzato, ma forse lo farò in un’adeguata
recensione : - ) . Brava, bravissima. I miei complimenti!
Capacità di
gestire la traccia scelta: 10/10 penso che non avresti potuto
scrivere di meglio Stile: 10/10 scorrevole, piacevole,
coinvolgente. Ottimo uso di alcune ripetizioni per rendere meglio
certi passaggi e ben calibrato per quel che riguarda ironia e
serietà. Correttezza: 9/10 è molto corretta, se
proprio voglio essere pignola (ma solo perché sono innamorata
di questa fanfic) ci sono forse dei periodi che a volte sono lunghi.
Ma a dirti la verità, leggendo ero così presa che la
mia parte di beta reader è andata in vacanza! Voto traccia
1: 5/5 l’idea di una trama ‘a catena’ non è
affatto banale e nemmeno così facile da trattare. Mi piace
molto il fatto che tu abbia usato questa idea per il contest, perché
secondo me si presta davvero benissimo. Voto traccia 12: 4/5 hai
stabilito semplicemente due pairing e due canzoni utilizzabili.
Tuttavia c’è da dire che “Ain't no mountain high
enough” è un’ottima idea per una storia etero : )
soprattutto tra due jonin adulti. Divertente e adatta anche “hungry
like the wolf” per la GenmaKiba! Scelta delle canzoni
sicuramente ponderata. Media originalità delle tracce
inviate: 4.5/5 Giudizio personale complessivo 5/5 Totale
punteggio: 47.5/50
Grazie.
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