La solitudine di un sogno
S.
Pietro, Roma 28 Giugno 1633
Necessitava di un posto per riflettere.
Un posto per pensare.
Tutta la sua vita era stata
predisposta, fin dal principio, al fine che lui diventasse architetto.
Era quasi un incarico, sì.
Perché non si può parlare né di
sogno, né di voglia, né di qualsiasi altra cosa simile. Per lui
diventare architetto era come per un diacono diventare prete.
Necessario e indispensabile per il raggiungimento pieno della sua
esistenza. Francesco Castelli percepiva così tutto ciò che faceva,
realizzava, pensava.
Come se Dio stesso l'avesse
prescelto… E allo stesso tempo, ingiustamente punito ed abbandonato.
Come Adamo ed Eva furono cacciati
dal paradiso terrestre dopo essersi illusi di fare eternamente parte di
quell'eterno splendore, così Francesco era stato messo all'angolo
dell'olimpo dell'arte romana, cacciato via come un verme strisciante,
repellente quanto inutile. L'aveva visto quel fasto indescrivibile,
quell'abbondanza incontenibile, quella libertà senza confini.
L'aveva assaporata come un gustoso
frutto; aveva udito il dolce suono, palpato le straordinarie forme,
sentito il caldo profumo. Ma era stata solo un'illusione, un sogno.
Il tradimento.
Lorenzo l'aveva tradito. L'aveva
inebriato di calde parole promettendogli gratitudine eterna, vicinanza,
amicizia. L'aveva trattato quale suo fratello solamente per poter
domandare l'aiuto di cui aveva bisogno. Lui l'aveva ascoltato e, come
un vecchio amico, gli aveva risposto a tutto ciò che gli aveva chiesto;
"Francesco,
tu sai come far sì che il baldacchino non si pieghi su se stesso?"
"E'
fantastico Francesco. Sarei un uomo morto senza di te."
"Eccola,
ecco la soluzione! Sei un prezioso amico Francesco, questa basilica non
potrebbe fare a meno di te."
"Come
potremmo sistemare quest'angolo Francesco? Hai qualche idea?"
Ma era questa la menzogna più
grande di tutte era stata questa;
"Abbiamo diviso equamente il
lavoro; poi divideremo equamente la gloria
e gli onori".
Ogni qualvolta ripensava a questi
momenti, Francesco sentiva una rabbia enorme crescergli nel petto fino
a diventare opprimente, togliendo il respiro, mentre sugli occhi si
formava un velo di lacrime amare.
Ora, mentre "suo fratello" riceveva
gli onori di quanto loro avevano sudato, progettato, lavorato,
creato, modellato… Francesco Castelli giaceva in disparte, all'ingresso
della cappella Gregoriana, come un uomo qualunque. Sebbene fosse
circondato da migliaia di persone il suo atteggiamento chiuso, con le
braccia incrociate al petto, lo separava dal resto del mondo come un
taglio netto.
Non c'era modo di potersi
immedesimare nell'euforia che percorreva tutta la folla accorsa da ogni
angolo della grande Roma per godersi l'inaugurazione.
Non esisteva cura che potesse
avvicinarlo di nuovo a quel paradiso irrimediabilmente perduto.
Non c'era speranza di gratitudine,
né di salvezza; soltanto una incontenibile solitudine.
Poi un fremito percorse la folla.
Dal fondo della basilica più grande
della cristianità il suo sommo capo, il pontefice Urbano VIII, varcava
solennemente il portone con uno stuolo di preti e cardinali. Un canto
accompagnò l'avanzata del Papa, fino a che la processione arrivò
davanti alla struttura enorme che si ergeva ancora coperta, sotto la
cupola. Un segno di Urbano e il velo cadde; stupore e meraviglia
accendevano i volti di tutti, mentre si riempivano gli occhi di
quell'impossibile miracolo che si era compiuto davanti a loro. Persino
Francesco, seppur per un brevissimo momento, percepì quell'emozione
incredibile.
Tutto era perfettamente bilanciato.
Quattro enormi colonne tortili reggevano un maestoso baldacchino
riccamente decorato. Benché l'opera fosse fatta di pesante bronzo, in
molti ebbero l'impressione che ondeggiasse leggera sotto la cupola
creata dalla maestria di Michelangelo.
Lei batteva le mani, entusiasta.
Nonostante tra loro ci fossero migliaia di persone, Francesco la
riconobbe subito; appena sotto l'altare, vestita splendidamente, con i
capelli leggermente tirati dentro un'elaborata acconciatura. Gli occhi
brillavano e le labbra pareva volessero gridare un'euforia
incontenibile. Occhi e labbra che erano tutti volti a contemplare sia
il baldacchino, che il suo presunto artefice. Castelli continuò a
guardarla e colse come un fremito nei suoi occhi, mentre quel pavone
vanesio riceveva la gratitudine eterna del Papa e di tutta la corrotta
città di Roma. Un dubbio dipinse il volto della Principessa, facendola
voltare a guardare sulla folla, come cercasse qualcuno…
Francesco si rese conto che cercava
lui, proprio lui, solo quando i suoi sguardi, da lontano, si
incrociarono. Un brevissimo istante nel quale lei dovette percepire
tutti i sentimenti di lui. Che per questo abbassò lo sguardo, voltò i
tacchi e si diresse fuori dalla basilica. Non voleva condividere quella
disperazione con nessuno, soprattutto con lei.
Lei che l'aveva abbandonato,
tradito e umiliato.
Esattamente come lui. Lorenzo, che
ora si godeva sia la gloria, sia la Principessa.
Francesco non aveva dubbi; niente
al mondo l'avrebbe più distratto dal suo vero obiettivo.
Sarebbe diventato architetto, non
avrebbe più chiesto aiuto a nessuno,
non avrebbe più aiutato nessuno,
non avrebbe più ascoltato nessuno;
sarebbe andato avanti per la sua
strada solo.
Fiero e sicuro ma… solo.
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Angolo
dell'autrice:
Continuo a scrivere su questo libro. Quando so che queste
"pazzie" non le leggerà nessuno, quando so che dovrei essere altrove a
fare tutt'altro. Scrivo lo stesso su "La congiura di Bernini" perché mi
rilassa, ma al contempo mi entusiasma, mi trasporta in un'epoca
distante eppure così affascinante.
Quindi... Non c'è molto da aggiungere! A parte, come sempre, che tutto
quanto scritto è pura invenzione della sottoscritta e non c'è nessuna
certezza che si tratto di qualcosa di realmente accaduto. Alcuni
elementi di questa fiction sono realmente accaduti (come
l'inaugurazione da parte di Urbano VIII del baldacchino, alla presenza
di Bernini) ed altri verosimili (veramente Borromini ha partecipato
alla realizzazione del baldacchino ma non è stato ricordato da nessuno;
è probabile che comunque sia stato presente alla sua inaugurazione, un
po' furibondo di quell'inesistente riconoscenza che si aspettava di
ricevere).
Anche se è vagamente impossibile... Se qualcuno passasse di qui, e
volesse commentare questo piccolo scritto sulla Roma barocca sarebbe
molto gradito, ve lo assicuro! ;)
Ciao!
_Diane_
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