Buonasera a tutti.
Qualche tempo fa ho partecipato ad una Fanfiction di gruppo su Jacob
scrivendo questo capitolo. Oggi l'ho ricordato per caso e ho
detto....beh, perchè non postarlo? Cercherò di
farvi un'introduzione quanto più breve possibile :
In quella FF Jacob (nel
momento presente) ha 26 anni, è sposato con una bella donna
di nome Jane e vivono alle Hawaii dove lui lavora come intagliatore di
longboard. Lei una sera gli chiede di raccontarle del suo passato e
così lui incomincia. Il suo racconto parte proprio dal punto
in cui (in Eclipse) riceve la partecipazione alle nozze di Bella e
Edward. Anche in questa FF Jacob fugge....ma per non tornare mai
più. Si ritrova un giorno alla fattoria di Kate ed Isahia
Kent dove viene accolto e si stabilisce. Un giorno però il
destino vuole che in fattoria, il giorno del compleanno di nonna Kate,
arrivino i suoi due nipoti : Noah e la bella Jane. I due hanno un
incontro piuttosto rocambolesco e lei dopo tante insistenze riesce a
convincerlo ad aprirsi con lei...magari davanti ad un piatto di
biscotti.
A questo punto si
inserisce il mio capitolo : la parte iniziale è il Jacob al
presente che guarda sua moglie dormire e si lascia andare al ricordo
dell'unico momento della sua vita passata che non c'è
bisogno che lui le racconti, perchè lei l'ha vissuto in
prima persona.
Spero possa piacervi.
Jane Mallory Kent e il suo stupido spirito da crocerossina
Su. Lentamente
Giù.
Con lo stesso ritmo.
Jacob
Black non riesce a staccare gli occhi dal movimento fluido e sensuale
compiuto dal ciondolo a forma di delfino sul seno di Jane. In questo
momento vorrebbe soltanto posare le sue labbra su quel fortunatissimo
pezzo di metallo, scostarlo leggermente, ed iniziare a percorrere con
morbidi baci lo splendido corpo di sua moglie.
Ma
c’è un’altra cosa che Jacob Black non
riesce mai a fare : svegliare l’amore della sua vita.
In
tanti anni insieme non l’ha mai fatto, e pensa seriamente che
mai lo farà.
Jane
mugugna appena nel sonno, abbandona la posizione supina e rotola
pigramente sul fianco, avvicinandosi istintivamente al corpo bollente
di Jacob.
Jake
sorride compiaciuto di quel gesto tanto naturale e spontaneo, si sente
grato nei confronti di quel sogno che ha portato Jane a muoversi,
facendo frusciare le lenzuola blu notte e rompendo il suo stato
ipnotico.
Alla
fine nella camera da letto ci sono arrivati. Dopo alcune soste in
cucina e sotto la doccia, ma ci sono arrivati.
Nella
stanza dalle pareti totalmente rivestite in chiaro legno di
bambù entra una sottile brezza marina che fa ondeggiare
pigramente le tende di lino bianco, poste ad incorniciare
l’enorme porta-finestra affacciata sulla veranda di casa
Black.
In
realtà è proprio quel leggero movimento che
ricorda a Jacob che la brezza marina notturna è sempre
piuttosto fresca per chiunque non abbia una temperatura corporea di 42
gradi.
Abbassa
nuovamente lo sguardo su sua moglie. I lunghi capelli biondi si
intrecciano in morbide onde dorate e scompigliate sulle lenzuola blu
notte del cuscino. In effetti non l’ha mai confessato a Jane,
ma l’unico motivo per il quale le lenzuola siano la sola cosa
che lui continui ad acquistare per casa loro è proprio
quello : adora fermarsi davanti ad una vetrina, vedere delle lenzuola
di un nuovo colore scurissimo che non possiedono ed immaginare il forte
e bellissimo contrasto che questo possa fare con i capelli e la pelle
dorata di Jane.
Lentamente
fa scivolare un braccio tra il materasso e la spalla di Jane, prima di
attirarla a sé e stringerla, facendo attenzione a non
svegliarla. Con l’altra mano tira su le lenzuola scure e la
copre fino al collo.
Poi
ci ripensa su un secondo e le abbassa fino al gomito per godere ancora
un po’ di quello spettacolo magnifico, del resto il calore
del suo corpo basterà.
Jacob
sente un sorriso allargarsi sul suo volto e nel suo cuore al pensiero
di quel gesto tanto infantile. Ma del resto fa tutto parte del famoso
“effetto Jane”. Lei lo fa sentire come se avesse
ancora e sempre sedici anni. Sedici anni umani, di un qualsiasi
ragazzino spensierato che si gode la vita a pieno.
Sospira
felice Jacob Black, non può farne a meno. E allo stesso
tempo ringrazia il cielo di avergli donato sua moglie. Senza di lei non
sa nemmeno cosa o dove sarebbe oggi. Senza di lei non potrebbe
sicuramente essere tanto felice.
Ma
i suoi pensieri non vanno oltre, lui non vuole nemmeno pensarci ad una
vita senza Jane.
Inevitabilmente,
però, i suoi pensieri ritornano indietro di molti anni,
all’unico momento della sua storia passata che non
c’è bisogno che lui le racconti, perché
Jane lo conosce benissimo.
Non
ha sonno Jake, e si lascia andare ai ricordi con la sicurezza che di
lì ad un paio d’ore sua moglie si
sveglierà per il loro abituale spuntino notturno.
Ridevano
tanto, di gusto, e sicuramente per una battuta stupida di Jacob quando
lui e Jane entrarono nella cucina della fattoria Kent. L’aria
lì dentro era pregna di aroma di vaniglia e cioccolato, dava
quasi alla testa.
«
Ehi, non vorrai finirteli da solo! » Jane rideva ancora
mentre rimproverava il fratello, scoperto con la bocca piena di
biscotti e le mani allungate verso i piatti che li contenevano.
Jacob,
che il giorno precedente lo aveva a stento notato, si
soffermò un secondo su quel ragazzo dall’aria
buffa. Sembrava abbastanza alto, nonostante fosse seduto. La cosa che
lo colpì fu che non avrebbe potuto avere colori
più diversi dalla sorella : capelli neri, occhi scuri. Anche
i lineamenti non gli ricordavano Jane, lui aveva un’aria
vagamente asiatica, con folte sopracciglia scure, labbra sottili e un
naso che molti avrebbero giudicato piuttosto lungo ed affusolato, ma
che secondo Jacob era perfetto per quel volto.
«
Fatti gli affari tuoi mostriciattolo. Al massimo posso cederne qualcuno
a te, Big Jim » fece un cenno col capo in direzione di Jake.
Lui gli sorrise in risposta e gli si accomodò di fianco,
afferrando subito uno dei pochi biscotti rimasti nel primo piatto in
legno al centro della tavola.
«
Tranquillo, tanto il secondo lo finirò da solo »
lo pungolò Jacob con aria di sfida lanciando
un’occhiata al secondo piatto colmo di biscotti.
«
Devo ricordarvi che i biscotti li ho fatti io e quindi ne merito almeno
una decina? » Jane si sedette sulla sedia
dall’altro lato del tavolo, di fronte ai due ragazzi, e
allungò una mano verso uno dei due piatti
«
Dettagli » le rispose Noah dandole uno schiaffetto sulla mano
e tirando a sé il piatto ancora pieno.
Jane
gli rispose con una linguaccia e si impossessò del piatto in
legno quasi vuoto.
«
Prendi pure, Jim » Noah fece l’occhiolino a Jacob e
i due iniziarono a mangiare dal piatto tra loro.
«
Jake, Noah.
Si chiama Jake,
non Jim » lo rimbeccò Jane con la bocca piena, lui
alzò gli occhi al cielo prima di risponderle
«
Lo so, bionda! Stavo scherzando » poi si rivolse a Jacob che
intanto infilava due biscotti alla vaniglia in bocca « Eppure
è mia sorella! » si avvicinò
all’orecchio di Jake e parlò a bassa voce ben
sapendo che Jane l’avrebbe sentito comunque «
Secondo me è adottata »
Jane
lanciò un pezzo di biscotto al fratello che andò
ad incastrarsi nei capelli e alcune briciole si sparsero sulle spalle
avvolte nella maglietta blu. « Idiota, hai 30 anni e sei
ancora un bambino » lo prese in giro divertita
«
Ecco, lo vedi che non li meriti? » le rispose Noah
scrollandosi i biscotti dai capelli « E comunque io faccio il bambino
perché mi diverte. Tu
invece sei bionda, tesoro. E in quanto tale è geneticamente
provato che resterai sciocca a vita »
«
Ma smettila! E tu Jacob non dici nulla in mia difesa? » Noah
non poté fare a meno di notare l’involontaria
occhiata maliziosa che la sorella aveva appena lanciato al ragazzone
seduto accanto a lui. E la cosa non gli piacque. Per niente.
«
A me piacciono le bionde » commentò Jacob
leggermente in imbarazzo. Poi sollevò appena gli occhi in
quelli di Jane, e con un mezzo sorriso furbetto ad increspargli le
labbra aggiunse « Soprattutto quando sono intelligenti.
» poi si voltò verso Noah e la sua espressione
cambiò completamente « Una volta ne ho conosciuta
una al parco »
Noah
colse al volo l’occhiolino fugace che Jake gli aveva appena
fatto e rispose subito « Ah si? E come si chiamava?
»
«
Lola. » Jacob rispose sospirando, prima di aggiungere ridendo
« Era uno splendido Golden Retriever! »
I
due ragazzi risero di gusto, e anche Jane si unì a loro
commentando con un semplice « Idioti ». Poi lei
abbassò lo sguardo sul suo piatto in legno scoprendolo
vuoto. Ma ciò che vide sul fondo la colpì molto.
«
Non ricordavo che la nonna avesse questi piatti così belli
» fece scorrere le dita sui solchi profondi intagliati nel
fondo del piatto in legno scuro ammirando il disegno : Un corvo, una
rana, un’aquila, un serpente.
«
In effetti non li aveva. Quando ha scoperto che mi diverto ad
intagliare il legno mi ha chiesto di personalizzare un piatto per ogni
membro della famiglia. E quello è il mio » le
rispose Jacob indicando il piatto con un mignolo sporco di cioccolato,
prima di infilarlo tra le labbra e succhiare via i dolci rimasugli.
«
Andiamo! Mi prendi in giro! » gli rispose Jane stupita, quel
disegno era troppo perfetto per essere un prodotto di quelle mani tanto
grandi e ruvide.
«
No, davvero. Sono simboli che appartengono alla mia tribù
» Jacob non sapeva nemmeno perché ci tenesse a
dimostrarle che quella era opera sua. Ma inspiegabilmente sentiva di
volere che lei lo considerasse qualcosa di più di un
semplice deficiente tutto muscoli buono soltanto a inforcare la paglia.
«
Jacob ma sei bravissimo » Jane puntò i suoi grandi
occhi verdi in quelli scuri di Jacob « Hai talento
» poi gli sorrise dolcemente e per un attimo cadde il
silenzio in cucina. In quel breve attimo però successero
tante cose.
Jane
sentì le guance riempirsi di un calore insolito per il suo
carattere forte e sfacciato. Jacob invece sentì aprirsi
sulle labbra uno di quei sorrisi da ebete che aveva sempre deriso, ma
non gliene importò nulla. Quella ragazza era talmente bella
da mozzargli il fiato e se avesse continuato a guardarlo a quel modo
avrebbe dovuto senz’altro fare qualcosa, qualsiasi cosa per
non sembrare un pivello alle prime armi. Noah invece non
staccò gli occhi un secondo dal volto della sorella, storse
il naso nel vedere le sue guance rosse e poi si accigliò del
tutto quando scrutò gli occhi verdi della sorella
scorgendovi una luce che purtroppo aveva già visto.
Così
Noah tossì brevemente, come se gli fosse andato di traverso
un pezzo di biscotto e Jane parve risvegliarsi da
quell’ipnosi momentanea.
«
Sai, un disegno come questo spopolerebbe sulle longboard di tutto il
mondo » disse ostentando una tranquillità che non
possedeva affatto in quel momento ed iniziò a raccogliere i
lunghi capelli in una treccia.
Prima
che Jacob potesse risponderle Noah si intromise « Sai cosa
starebbe proprio bene su questi biscotti, Jim? » si era
rivolto a Jacob ma in realtà non aveva staccato gli occhi di
dosso alla sorella nemmeno per un secondo « Il latte della
mucca della nonna, quello che ci faceva bere da piccoli »
Jacob
Black, che era sempre stato un tipo fin troppo sveglio, non
impiegò più di qualche frazione di secondo a
capire che il ragazzo intendeva soltanto mandarlo fuori di
lì per qualche ragione che ancora gli sfuggiva. Ma del
resto, chi era lui per intromettersi nelle questioni di due fratelli
che a stento conosceva? Così decise che forse per quella
volta, ma solo per quella, avrebbe vestito i panni del finto tonto.
«
In magazzino abbiamo dell’ottimo latte fresco, dottor Carter
» Noah non riuscì a fare a meno di ridere a quel
soprannome che si era sentito affibbiare innumerevoli volte per la sua
incredibile somiglianza ad un personaggio di una serie tv « E
anche se la mucca non è più la stessa della
vostra infanzia penso possa andare bene comunque »
così Jacob si congedò, scostò la sedia
dal tavolo ed uscì dalla cucina per dirigersi al magazzino
adiacente.
Aprì
le pesanti porte in legno ed iniziò a cercare tra i
contenitori in latta quello con la data di mungitura più
recente. Lui non era mai stato uno spione, anzi, preferiva sempre farsi
i fatti suoi e lasciare agli altri la stessa intimità che
desiderava per sé stesso. Ma la sua nuova natura non la
pensava esattamente come lui, e i due ragazzi nell’edificio
accanto di certo non potevano sapere che i suoi sensi sovrumani gli
avrebbero permesso di ascoltare tutta la loro conversazione.
«
Cosa stai facendo ? » Noah si rivolse alla sorella con un
tono brusco che poche altre volte aveva usato
«
Mi lego i capelli, Noah. Non si vede? » gli rispose sperando
che il fratello se ne stesse buono
«
Jane Mallory Kent » scandì piano Noah, ma Jane lo
interruppe subito
«
Lo sai che odio il mio secondo nome. E’ ridicolo! »
«
Sta zitta e ascolta » Noah fu molto duro, ma
abbassò ulteriormente la voce « Pensi che non
abbia notato nulla? »
«
Non so di cosa tu stia parlando »
«
Ah no, Jane? Quindi vuoi dirmi che erano solo allucinazioni le mie? Ho
visto bene come guardi quel ragazzo »
«
Non lo guardo in nessun modo, Noah. Smettila »
«
No, smettila tu, Jane! » aveva alzato la voce senza
controllarsi, la rabbia che gli cresceva nel petto era davvero tanta,
ma si costrinse ad abbassare il tono. Si allungò leggermente
sui gomiti e puntò l’indice sul tavolo con
decisione, guardando la sorella dritta negli occhi «
Cos’hai intenzione di fare ? Vuoi farti incastrare di nuovo
dal primo sconosciuto dall’aria
“maledetta” che incontri? Vuoi farti fregare ancora
per il tuo stupido spirito da crocerossina? » Jane si
sentì pugnalare a quelle parole, e Noah lo sapeva benissimo,
ma in quel momento non poteva fare altro. Così
continuò « Non ho la minima intenzione di
ritrovarti come qualche settimana fa. E non permetterò mai
più a nessuno al mondo, e nemmeno a te stessa, di farti
ciò che ti ha fatto quello stronzo. »
Jane
sussultò. Non era da suo fratello esprimersi in quei modi,
ma forse le loro ferite erano ancora troppo fresche per riuscire ad
essere controllati. Noah si riferiva a Thomas.
Jane
aveva perso la testa per lui. Thomas Rope, uno scapestrato di
prim’ordine. E Jane doveva ammettere che il fratello aveva
ragione da vendere, lei aveva davvero uno stupido spirito da
crocerossina. Ma con Thomas era stato diverso, lui era stato il primo a
portarla a gesti tanto stupidi.
L’aveva
conosciuto all’ultimo anno di liceo, bello e dannato come
solo un rocker poteva essere, con i suoi capelli neri sempre
scompigliati e gli occhi azzurri e glaciali. Jane era stata catturata
subito dal tormento che leggeva in quegli occhi tanto freddi, e i due
avevano iniziato a frequentarsi. Lui non aveva avuto segreti per lei,
aveva messo subito in tavola le sue carte peggiori : madre alcolizzata,
padre mai conosciuto, si era rifugiato più volte nel
paradiso artificiale che qualche volta la droga gli regalava, si vedeva
come un fallito, un dannato, un senza speranze n’è
futuro. Ma Jane non la pensava così, e Dio solo sapeva
perché.
Si
innamorò perdutamente di quel ragazzo tanto chiuso, ma che
con lei sembrava ritrovare la luce, che le ripeteva costantemente di
essere l’unica cosa bella della sua vita, l’unica
che lo facesse sentire in grado di diventare un uomo maturo ed onesto.
Ovviamente la famiglia di Jane, con Noah in prima linea, si oppose
tenacemente alla loro relazione quando videro che per lei non si
trattava soltanto di un infatuazione momentanea. Così Jane
fece una cosa che avrebbe rimpianto per il resto della sua vita. Una
notte d’estate, subito dopo il diploma, raccolse pochi abiti
in uno zaino e andò via di casa.
Scappò
con Thomas ed insieme si trasferirono vicino Los Angeles, dove vissero
insieme per quasi tre anni. Jane per lui aveva rimandato ogni cosa,
perfino l’iscrizione al college, pensando che pian piano
avrebbe potuto rimettere insieme i cocci del suo amore tormentato e
cominciare una nuova vita insieme. Di certo la sua vita durante quei
tre anni non fu ciò che si era aspettata. Lavorava ogni
giorno fino a notte fonda, in due ristoranti diversi, per poi tornare a
casa e trovare Thomas immerso nel suo stesso sporco e disordine. A
lungo non era riuscita ad arrabbiarsi con quegli occhi tanto freddi,
pensando che fosse solo questione di tempo e poi il suo amore per lui
avrebbe sciolto ogni dolore rendendolo la persona che desideravano
entrambi che lui fosse. Ma un giorno tutto cambiò.
Un
giorno di appena un mese prima Jane tornò a casa prima del
solito e trovò Thomas avvolto nelle lenzuola tra due bionde
e il comodino cosparso di polvere bianca. In quel momento qualcosa
esplose nelle profondità dell’animo di Jane, e
produsse un onda d’urto sconvolgente e devastante che per un
interminabile momento le fece mancare il respiro. In un breve istante
la vera Jane, quella forte, decisa ed intelligente, si
risvegliò come da un lungo sonno.
Improvvisamente
tutto intorno a lei le provocava un incontenibile senso di nausea. Jane
odiò tutto quello schifo, odiò tutta la sua vita
negli ultimi tre anni, odiò quegli occhi di ghiaccio nei
quali realizzò che non sarebbe mai cambiato nulla, ma
più di tutto odiò sé stessa per
ciò che era stata, per ciò che aveva fatto, per
essersi permessa di farsi schiacciare e mettere da parte tutto, perfino
i suoi sogni e le sue ambizioni. Scappò via da quella casa
senza prendere nulla con sé, non voleva nulla di quella
vita, e se avesse potuto avrebbe lasciato lì perfino i
vestiti che indossava in quel momento. Aveva vagato per la
città per due giorni, i più terribili della sua
vita, nei quali non desiderò altro che sparire. Poi
inspiegabilmente pensò a Noah.
Noah
era sempre stato l’altra parte di lei, molto più
di un fratello, qualcosa di molto più indispensabile, al
pari di un organo vitale. Jane si era fatta coraggio, aveva racimolato
qualche spicciolo e l’aveva telefonato. Noah non aveva avuto
bisogno di scuse o spiegazioni, le aveva semplicemente chiesto dove
fosse. Qualche ora dopo Jane lo aveva visto arrivare con una macchina
rossa carica di bagagli, un sorriso sul volto ed una lacrima che
scendeva giù da quegli occhi tanto scuri, caldi e pieni
d’amore e sofferenza.
Così,
appena qualche settimana prima, si erano ritrovati dopo tre anni. Noah
non le aveva detto subito cosa intendesse fare, ma qualche ora dopo
entrambi avevano gettato via ogni freno. Jane gli aveva raccontato ogni
cosa degli ultimi tre anni, e Noah le aveva detto che non sarebbero
tornati a casa tanto presto, che quella sarebbe stata la loro estate on
the road nella quale si erano promessi di ritrovare loro stessi prima
di ricominciare a vivere. L’unica condizione di Noah era
stata farsi giurare da Jane che si sarebbe iscritta al college al loro
ritorno, che avrebbe studiato Biologia Marina come sempre aveva
desiderato. E poi, dopo qualche settimana di viaggio, si erano
ritrovati esattamente lì, alla fattoria dei nonni il giorno
del compleanno di nonna Kate.
Ed
in quel momento Jane non riusciva in alcun modo ad arrestare le lacrime
e i singhiozzi che la scuotevano dal profondo, nemmeno con
l’aiuto dell’abbraccio forte e sicuro di Noah
«
Scusami, piccola, ti prego » le ripeteva continuamente, come
un disco rotto, chissà da quanto.
Jacob
non capiva cosa fosse successo per farla piangere e disperare a quel
modo, ma dall’ultima frase di Noah aveva intuito che forse il
dolore di Jane era quanto di più simile potesse esserci al
suo.
«
Scusami tu, fratellone » disse Jane tirando su col naso e
facendosi forza per uscire da quei ricordi ancora troppo presenti nella
sua vita « Per tutto quanto »
«
Non dire sciocchezze. Lo sai che per te farei di tutto » le
posò un piccolo bacio sulla fronte, come non faceva da anni
e Jane sorrise. Non avrebbe permesso mai più alla sua
impulsività di rovinarle ancora la vita. La sua e quella di
Noah
«
Ti amo, dottor Carter » gli disse quasi ridendo e
abbracciandolo forte
«
Ti amo anch’io, stupida bionda » le rispose Noah
ridendo e scompigliandole la lunga treccia.
«
Sai cosa mi manca? » gli disse poi staccandosi dal caldo
abbraccio del fratello ed avviandosi verso le scale che
l’avrebbero condotta alle loro camere «
Quell’enorme pizza tutti gusti che fanno in quel ristorante a
Miami » andò via senza aggiungere altro. E non ce
ne fu bisogno.
Ne
per Noah, che sapeva cosa significava tutto quello. Ne per Jacob, che
riusciva benissimo a sentire il morbido fruscio prodotto dai vestiti
che Jane stava infilando rapidamente nelle valigie.
Jacob
afferrò la prima scatola di latta che ebbe
sott’occhio, sospirò a lungo e forte, cercando di
non pensare a quanto era stato un’idiota nel credere che
qualcuno sarebbe rimasto nella sua vita per più di qualche
manciata di giorni. Raggiunse Noah in cucina e i due si scambiarono
soltanto un’occhiata che parve scavarli a fondo entrambi,
prima di finire i biscotti ed il latte in silenzio.
Jacob
trascorse il resto della giornata senza vedere ne l’uno ne
l’altra, continuò a lavorare per tutto il
pomeriggio senza nemmeno pranzare perché, ne era sicuro,
quei biscotti gli sarebbero rimasti indigesti a lungo. E quando al
tramonto ridipingeva la staccionata della fattoria non fu sorpreso nel
vedere la macchina rossa carica di bagagli che si allontanava dalla
tenuta dei Kent e dalla sua vita.
Quando
rientrò per cena Kate evitò di proposito il suo
sguardo affaccendandosi ai fornelli, mentre Isaiah si limitò
a poggiare accanto alla sua grossa mano un biglietto stropicciato.
Jacob lo prese e lo ripose in tasca senza leggerlo. Cenarono in
silenzio e soltanto quando Jake fu sulla sua branda, solo e pronto a
leggere un altro addio, aprì il biglietto.
“Scusami
tanto, Jacob. Ma non posso.
Non posso
restare, non posso rallentare, non posso fermarmi.
So che ti
dovrei molte più spiegazioni di queste…..ma sento
anche che capirai.
Buona sorte
Jake.
Magari ci
rincontreremo in una prossima vita, su una spiaggia al tramonto, e
parleremo davvero come fosse soltanto oggi.
Jane
”
Ovviamente i due si sono
persi di vista per molti anni....ma alla fine, in qualche modo che
ancora non conosco si sono incontrati dinuovo. Si sono sposati e hanno
vissuto felicemente.
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